11. Di nuovo su Nuhlenony
Il pianeta, Nuhlenony, visto dall'orbita era meraviglioso. L'oceano verde-azzurro si estendeva da un polo all'altro, con tonalità più chiare dove le isole inabissate erano più vicine alla superficie.
– Hai fatto un buon lavoro, Norby – si congratulò Fargo, riprendendo personalmente i comandi. – Noi non conoscevamo le coordinate di questo mondo.
– Neanch'io – sottolineò il robot – ma questo ragazzo, l'Invasore, mi ha dato molte informazioni utili su cui lavorare. Come sapete, sono sempre stato molto bravo in matematica spaziale.
– Ovviamente – disse Fargo – ma io ho fiducia che, oltre ad averci portato nel posto giusto, tu ci abbia portato anche nell'epoca giusta.
– Io sempre... – iniziò Norby, ma poi si interruppe e, valutati meglio i fatti, cambiò discorso e agitò le sue mani bilaterali in direzione dello schermo: – Comunque sia, stavolta vi ho portati anche nel tempo giusto. Andiamo giù, Fargo. Ho un conto da regolare con quei Hleno.
– Ahimè! – trasmise mentalmente Uhfy, che aveva continuato a toccare timidamente Norby, fin da quando il robot gli aveva richiesto tutte le nozioni di astronomia che aveva imparato a scuola. – Hai un'aria molto irritata. Sei armato? Non vorrai certo far del male alla mia gente?
– Non vogliamo far del male a nessuno, Uhfy – lo rassicurò telepaticamente Jeff, passandogli lievemente la mano su un fianco – a meno di non essere costretti a difenderci, e anche in quel caso faremo di tutto per evitarlo. Noi veniamo in pace, e in pace vogliamo stare con tutti gli esseri intelligenti e con tutte le forme di vita.
Tuttavia, cinque minuti dopo, Jeff era già un poco meno sicuro che questa sua attitudine alla benevolenza universale lo avrebbe portato molto lontano.
Non appena la Hopeful entrò negli strati inferiori dell'atmosfera, venne circondata da plotoni di Hleno, i cui tentacoli afferrarono ogni parte dello scafo a cui si potessero aggrappare. Rimasero attaccati, nonostante le sgroppate con cui Fargo cercò di strapparseli di dosso; ma d'altra parte era veramente difficile governare l'astronave, con numerosi palloni bitorzoluti appiccicati da ogni parte.
– Che facciamo? – chiese Fargo. – Tutti i tentativi di metterci in contatto restano senza risposta. Tu credi, Jeff, che il tuo giovane amico possa comunicare con loro?
– Uhfy – Jeff ritrasmise la domanda telepaticamente al Hleno – puoi parlare ai tuoi compagni?
L'altro agitò i suoi tentacoli in un gesto pieno di disperazione: – Il modo in cui io posso parlare non funziona con i vostri apparecchi. Non potreste farmi uscire attraverso i tubi di scarico?
Sfortunatamente, prima ancora che Jeff potesse rispondergli, tutti coloro che si trovavano nella sala di comando, compreso lo stesso Uhfy, gemettero di dolore. I Hleno, dall'esterno dello scafo, provocavano delle vibrazioni tali, che Jeff ebbe l'impressione che il cervello gli stesse friggendo.
– Non possiamo restare qui – disse Fargo.
Sparò l'astronave verso l'alto e i Hleno furono costretti a staccarsi.
– Andiamocene! – incitò Norby, e subito l'astronave scivolò fuori dello spazio normale.
– No, Norby – intervenne Jeff. – Non possiamo lasciare Nuhlenony. Dobbiamo provare a ragionare con i Hleno.
– Loro non sono esseri ragionevoli – ribatté Norby. – Sono pericolosi e io non voglio tornare laggiù.
– Credevo che tu avessi un conticino da saldare con loro – insinuò Fargo, scaltramente.
– E lo salderò non appena potrò tornare con l'ammiraglio Yobo e con una intera flotta di astronavi – ribatté Norby.
– Stiamo lasciando Nuhlenony? – chiese la Grande Draghessa, che non capiva il basic terrestre che gli altri parlavano. – Ma allora come otterremo che Uhfy scopra il modo di liberare i Mentori?
– Hai ragione, mia cara Maestà – approvò Fargo, in jamyano. – Dobbiamo tornare indietro, Norby. Tenterò di ragionare con loro.
Era vero, considerò Jeff, che il fratello con le sue chiacchiere riusciva sempre a incantare chiunque, ma aveva il presentimento che i Hleno non sarebbero rimasti là a ascoltarlo, neanche se fossero stati telepatici, il che non era.
– Penso anch'io che dovremmo tornare indietro – disse Albany – ma restando negli strati superiori dell'atmosfera, dove i Hleno non possono raggiungerci. Forse troveremo una qualche maniera di comunicare con loro, o qualche maniera di andare giù restando giusto alla distanza necessaria perché Uhfy possa patrocinare la nostra causa.
– E in tal caso molto probabilmente Uhfy sarà sculacciato da suo padre – bofonchiò Norby – e sarà mandato a letto senza cena, perché nessuno è disposto a dare retta a un ragazzo. Comunque, cercherò di fare come volete, anche se ho ancora le vertigini a causa di tutte quelle vibrazioni di poco fa. Bene, andiamo!
Intorno a loro il grigiore svanì e fu sostituito di nuovo dalla visione del meraviglioso pianeta. Però la vista non era la stessa.
– Norby, ti sei confuso – sottolineò Fargo. – Questo non è Nuhlenony.
– Lo è. Le coordinate sono le stesse.
Jeff osservò le isole dalle forme strane che punteggiavano il verde-azzurro dell'oceano.
– Sì, è Nuhlenony, credo, ma in un'epoca passata, prima che le cappe di ghiaccio si sciogliessero e il livello delle acque crescesse sopra la terraferma.
– La colpa non è mia – disse Norby, prontamente. – Ve l'ho detto che avevo ancora le vertigini, ma no, voi avete preteso che vi portassi giù ugualmente!
– Jeff, come fai a sapere che adesso noi ci troviamo nel passato? – chiese Fargo, ignorando completamente Norby.
– L'ho imparato dalla Dookaza, quella vite di cui vi ho raccontato. Il sogno che ebbi fu come l'aver vissuto la vita stessa della Dookaza, per cui conosco la storia di Nuhlenony.
Prese il tentacolo di Uhfy, in modo da potergli ripetere concisamente la storia del suo mondo.
– Sì, molte di queste cose le sapevo già – disse Uhfy – ma non ho mai sentito dire che la Dookaza sia stata mutata dagli Antichi, grazie alle loro tecniche di ingegneria genetica. A scuola ci insegnano che solo i Hleno civilizzati sono stati mutati in quel modo ed è per questo che il pianeta ci appartiene. Spero che mio padre non si preoccupi quando saprà della Dookaza. Lui è molto orgoglioso di essere un Hleno.
Sotto di loro il pianeta scintillava alla luce del sole, e stavolta nessuno squadrone di Hleno si innalzò in volo per affrontare la Hopeful.
– Forse gli Antichi sono ancora sul pianeta – osservò Albany. – Non sarebbe meraviglioso se riuscissimo a vederli?
– Potrebbero anche essere loro a voler venire a vedere noi – replicò Fargo. – È possibile che non siano più amichevoli di quanto lo siano i Hleno, e anzi possono essere assai più pericolosi.
Jeff si mosse a disagio. Non aveva detto a nessuno quale aspetto avevano gli Antichi e, per quanto lo riguardava, non era affatto sicuro di volerli incontrare.
– Dunque – concluse Albany, con fermezza – andiamo giù e vediamo.
– È proprio questo che faremo – approvò Fargo, sempre pronto a fare qualunque cosa che promettesse di comportare dei rischi.
Così andarono giù.
– Vorrei che la Dookaza fosse con noi – disse la Grande Draghessa. – Detesto i vegetali intelligenti e quello era particolarmente sgradevole, ma avrebbe potuto dirci se le isole sono oppure no le stesse di quando gli Antichi vivevano su Nuhlenony.
Jeff studiò lo schermo. – Fargo – disse – portaci in un'orbita diversa, sopra i poli.
– Una buona idea! – approvò il fratello, che aveva notato anche lui ciò che aveva spinto Jeff a fare quella richiesta.
– Vedete la cappa di ghiaccio polare che forma uno strato spesso su dozzine di isole? – Jeff spiegò anche agli altri, dopo qualche istante di riflessione. – Siamo effettivamente nella lontana preistoria di Nuhlenony, prima che i ghiacci si sciogliessero completamente. Gli Antichi devono abitare quelle isole, però nelle zone più calde.
– Per favore – intervenne Uhfy a un tratto, telepaticamente – facci scendere immediatamente su un'isola, e fa' in modo di portarci vicino alla spiaggia. Là deve esserci acqua. Non ho più avuto dell'acqua fin da quando ho lasciato Melodia, dove almeno c'era il fango e ero sempre bagnato, e la pelle sta cominciando a bruciarmi. Noi siamo creature acquatiche, lo sapete, e non possiamo stare a lungo lontano dall'acqua.
– Uhfy ha ragione – disse Albany, piuttosto preoccupata. – La sua pelle si sta coprendo di pustolette.
Jeff sospirò. Era indispensabile che atterrassero, giacché non potevano rischiare di compromettere la salute di Uhfy. Decise di fare in modo di ricavarne, almeno, il meglio possibile.
– Sarà eccitante dare un'occhiata alla civiltà degli Antichi – rilevò. – Secondo la Dookaza, era incredibilmente avanzata, con città magnifiche...
– Niente città – disse Norby, mentre l'astronave sorvolava la superficie del pianeta a una quota sempre più bassa. – Nelle zone buie non c'è luce. Niente elettricità. Per quanto mi riguarda, qui non c'è alcuna forma di civiltà.
– Voglio andare a casa – intervenne la Grande Draghessa. – A me non interessano affatto le altre civiltà, anche se fossero altrove. Noi dobbiamo unicamente trovare il modo di liberare i Mentori, in modo che io possa tornare a Jamya sapendo che cosa fare.
Uhfy prese a piagnucolare.
– Anch'io voglio andare a casa – disse, dentro la mente degli altri. – Voglio mio padre. E voglio dell'acqua in cui nuotare.
– Avrai l'acqua – gli assicurò Jeff – non appena saremo atterrati.
Atterrarono sul bordo di un'isoletta, e Jeff e Fargo aiutarono Uhfy a strisciare attraverso il tubo di scarico per lasciarsi cadere sulla spiaggia.
Uhfy rotolò a lungo sulla sabbia umida, poi fece a mezz'aria uno stupendo triplo salto mortale e si tuffò in acqua. Ripeté l'esibizione più volte, agitando festosamente i tentacoli ogni volta che risaliva in superficie.
– Non riesco a udire ciò che dice – commentò Jeff – ma suppongo che vada tutto bene.
Fargo si accigliò: – Parla emettendo degli ultrasuoni, non è così?
– Sì, ma appena al limite della fascia d'onda – sottolineò Jeff. – Certe volte, quando si sforza di parlare nel tono più basso che gli è possibile, si sente una specie di squittio.
– Vedi, stavo pensando che deve essere possibile regolare il computer in modo che trasformi l'altezza delle onde sonore. Potrebbe ricevere le nostre e ritrasmetterle al Hleno dopo averle tradotte nella sua frequenza, e ricevere le sue e riconvertirle nelle frequenze d'onda che noi possiamo udire. In tal modo sarà possibile parlare a Uhfy in jamyano. Fatto ancora più importante, potremo parlare con i Hleno adulti e forse da loro otterremo qualcosa.
– Sarebbe fantastico! – si entusiasmò Jeff. – Quanto tempo credi che ti sarebbe necessario per fare questo, Fargo?
– Una mezz'ora, forse, se la mia idea è giusta; altrimenti, non verrò mai a capo di nulla.
Si sedette al computer e prese a trafficare sulla tastiera, eccitatissimo anche lui.
– Se Fargo ha intenzione di computerizzare tutto – mormorò Albany, preoccupata – sarà bene che io mi consulti con Norby sul modo di ritornare nella nostra epoca. Lui è abbastanza irritabile, dopo essere rimasto imprigionato per due giorni, e ho il sospetto che non gradisca vederti dedicare tutto il tuo tempo a star dietro a Uhfy.
– Ma Uhfy potrebbe essere la chiave per arrivare ai Hleno. Dobbiamo essere buoni amici!
– Sì, ma tu sai Norby come è fatto – sottolineò Albany, in un mormorio ancora più basso. – Se non gli si fanno un po' di moine, è capacissimo di non riportarci mai al nostro tempo.
La ragazza scomparve lungo il corridoio. Jeff rimase in attesa, seduto sul bordo del tubo di scarico, sentendosi in uno stato da far pietà e dondolando i piedi, mentre osservava Uhfy che sguazzava nell'acqua.
– C'è qualche problema, Jeff? – chiese la Grande Draghessa, venendo fuori anche lei dal tubo di scarico e strizzando gli occhi alla forte luce solare. Lola era con lei, stiracchiandosi tutta e sbadigliando.
– Se vuoi che te li enumeri ordinatamente, Vostra Draghessa, allora: uno, detesto essere andato a finire in un'altra epoca, perché ho sempre paura di essere costretto a restarvi, incapace di tornare nel mio tempo; due, vorrei essere a casa; tre, ho fame. Questo è il terzo giorno che non faccio un pasto decente!
– Al momento non c'è assolutamente nulla da fare per riportarti nel luogo giusto e al tempo giusto, Jeff – osservò la Grande Draghessa – ma almeno puoi mangiare qualcosa. Ti preparerò uno spuntino con i miei stessi artigli.
– Questo mi farà apparire tutto migliore, madama – assicurò Jeff, compitamente. – Potresti preparare qualcosa anche per Uhfy? Qualcosa del tipo di quei cubi verdi o bruni che mangiano i Hleno?
– Ugh – sbuffò la draghessa, ma il verso spazientito doveva essere interpretato come un assenso.
Se ne andò sveltamente e tornò quasi subito con una fetta di pane proteico, spalmata di burro di arachidi e marmellata e con un grosso pezzo di pane di proteine per Uhfy.
– Ehi, Uhfy! – lei stessa chiamò il ragazzo, nel tono più acuto che seppe farsi uscire dalla gola.
Il giovane Hleno, che stava ancora sguazzando sulla superficie, guardò nella sua direzione e lei gli tirò il pezzo di pane. Lo prese al volo, lo mangiò in un sol boccone e agitò il tentacolo in un gesto di ringraziamento e di saluto.
– Spero che gli sia piaciuto – disse lei.
Jeff masticò avidamente il suo panino. Non era il più sofisticato cibo del mondo, ma a lui sembrò qualcosa di paradisiaco. Fu stupito constatando che gli era bastato mettere qualcosa nello stomaco per rendere meno struggente la sua nostalgia di casa.
Lola, con un "miau" pensieroso, stava osservando le evoluzioni acquatiche di Uhfy. Raggomitolò le zampe, saltò in aria, fu portata sull'acqua dal suo collare antigravitazionale e si lasciò cadere nell'oceano, mettendosi a sguazzare anche lei come un cagnolino o, piuttosto, come un gatto dotato di pinne.
– Non sapevo che Lola sapesse nuotare – osservò la Grande Draghessa.
– Può fare molto più di questo – affermò Jeff, orgogliosamente. – Quando venimmo la prima volta su questo pianeta, si trasformò in pesce e in questo modo mi salvò la vita.
Al sole si stava caldi e, con lo stomaco pieno di pane, burro di arachidi e marmellata, Jeff cominciò a vedere tutto molto più roseo. Forse erano tornati talmente indietro nel tempo, che gli Antichi non avevano ancora avuto la possibilità di sviluppare la loro civiltà. Il ragazzo finì presto per addormentarsi, con la testa posata sulla spalla della Grande Draghessa, che si era addormentata anche lei e russava sonoramente.
Jeff sognò di essere la Dookaza, la vite, e di stare osservando gli sforzi primitivi di coloro che sarebbero diventati gli Antichi. LORO erano primitivi, tuttavia costruivano piccole capanne e cucinavano il cibo e si facevano delle barche per andare a pesca. Non avevano ancora addestrato i Hleno ad andare a pesca per loro conto...
Credette di sentire dei rumori, alle sue spalle, ma resistette all'impulso di svegliarsi e continuò a vedere mentalmente i LORO, alti, magri e strani...
– Jeff! Aiuto!
Si svegliò del tutto e guardò giù nell'acqua. Là c'era la testa di Fargo e tutt'intorno a lui, sott'acqua, era pieno di Hleno, ma così vicini alla superficie che le loro forme erano perfettamente visibili. Erano molto piccoli, molto più piccoli di Uhfy, e affusolati come squali!
– Mi stanno circondando – invocò Fargo – e non sono affatto amichevoli. Sono i Hleno primitivi e qui non c'è alcuna forma intelligente con cui parlamentare!
Parlando, tirava pugni e calci ai piccoli Hleno, per allontanarli. Anche la Grande Draghessa si svegliò:
– Vado a dire a Norby di portare l'astronave più vicina, in modo da poter issare Fargo a bordo. Ma dove sono Uhfy e Lola? – Poi lanciò un grido sbalordito: – Ehi, Jeff, guarda!
In lontananza, però sempre più vicina, c'era una flotta di barche sagomate in modo da sembrare delle lunghe canoe, con dei sottili galleggianti fissati alla parte centrale dei bordi. Degli esseri alti e snelli, che somigliavano vagamente a uomini, spingevano le canoe con le pagaie verso la Hopeful.
Albany si precipitò fuori con una pistola paralizzante stretta nel pugno: – Fargo! Se riesci ad allontanarti un poco da loro, li metterò tutti fuori combattimento!
– Aspetta! Può anche darsi che non siano pericolosi – disse Jeff. – Non ricorriamo alle armi a meno che non sia strettamente indispensabile.
Il ragazzo si fece poi portavoce con le mani e gridò al fratello: – Fargo! Da quelle parti deve esserci anche Lola. Cercala e tirati fuori da là attaccandoti al suo collare.
– Non la trovo da nessuna parte e sono stanco di battermi contro queste creature.
Le canoe erano ancora molto lontane e Jeff non sapeva se erano cariche di altri nemici potenziali oppure di possibili amici. Era già pronto a tuffarsi per raggiungere suo fratello, quando la Hopeful ebbe un sussulto e cominciò a muoversi.
Jeff dovette afferrarsi al bordo del tubo di scarico, perché l'astronave filava così vicina al pelo dell'acqua da sollevarne delle onde che gli bagnavano le scarpe.
Fargo nuotò verso la mano tesa del fratello, ma anche il piccolo Hleno stava cercando di raggiungerlo, quando a un tratto mandò uno strillo e andò sotto.
– Devono averlo intrappolato sott'acqua – disse Jeff. Avverti Norby di badare lui alla nave. Intanto io...
– Non tuffarti! – lo trattenne Albany, afferrandolo con forza per i pantaloni. – Ti farai prendere anche tu. Penso io a sparare a tutti quanti!
– Potresti colpire e stordire anche Fargo e allora annegherebbe di sicuro.
La testa di Fargo irruppe di nuovo in superficie e lui trasse un respiro profondo.
– Uno di loro aveva messo i tentacoli intorno alle mie gambe, ma gli ho dato un colpo di karate e almeno per ora ha smesso di tirarmi sotto. Per fortuna non hanno una bocca del tipo con cui si possa mordere, ma se riuscissero a tirarmi sott'acqua... Bene, allora nessuno si decide a venire a salvarmi? Dov'è Norby, il salvatore?
– Sto tentando! – gli rispose la voce di Norby, attraverso l'interfonico dell'astronave. – I Hleno ti fanno spostare tutte le volte che io cerco di portare l'astronave sopra di te. Riesci a restare fermo?
La testa di Fargo andò di nuovo sotto, poi riemerse sputando acqua: – No, non posso. Adesso un altro ancora è riuscito ad afferrarmi.
– Guardate là! – gridò la Grande Draghessa.
Al di là delle canoe che continuavano ad avvicinarsi, c'era una forma grigia che correva attraverso l'acqua. Passò avanti alle canoe, si immerse così profondamente che Jeff non riusci a scorgere più nulla, e poi intorno a Fargo l'acqua prese a spumeggiare.
– Corpo di un salsicciotto! – imprecò Fargo, allontanandosi a nuoto più veloce che poteva.
Norby riuscì a portare la Hopeful proprio sopra di lui e Jeff tese la mano al fratello, tirandolo di nuovo dentro la condotta. A eccezione di qualche segno sulle gambe, Fargo era illeso.
Le onde si sollevarono fino a rovesciarsi su tutti quelli che si trovavano nella condotta e Uhfy emerse dall'acqua, scuotendosi da dosso un assortimento di Hleno primitivi.
– Che facevi nell'oceano, Fargo? – Jeff domandò al fratello.
– Di sicuro non c'ero andato per gioco! – replicò l'altro seccato. – Volevo dare a Uhfy il mio nuovo congegno.
Uhfy fluttuò fino alla condotta e vi si afferrò al bordo con un tentacolo, mentre con un altro toccava Fargo.
– Se avessi saputo che avevi intenzione di gettarti a nuoto, Fargo – disse, naturalmente ricorrendo ai suoi poteri telepatici – ti avrei messo in guardia dai Hleno primitivi.
Jeff gli tese la mano fino ad arrivare a toccarlo.
– Dov'è Lola? – gli chiese.
– Non sono riuscito a trovarla. Stava nuotando con me in acqua quando sono arrivati i Hleno e lei è scomparsa. Credevo che fosse tornata all'astronave.
– No, non è tornata – disse Jeff, provando una stretta al cuore.
A quel punto, arrivarono le canoe e il capociurma alzò in aria la pagaia, in quello che doveva essere un saluto.
– Prendi questa, Uhfy – Fargo si slacciò una scatoletta metallica che portava ai fianchi e la appese a due cordini, con cui la assicurò al collo di Uhfy. – Prova se funziona.
– Ossequi, stranieri – disse l'essere nella canoa.
La sua pelle rosso-porpora era liscia e rigonfia di muscoli. Aveva tre occhi, un collo corto su cui era imperniata la testa a bulbo, e due paia di braccia, che però avevano una conformazione diversa da quelle umane.
– Posso udirli! – esclamò Uhfy.
La sua voce, attraverso l'altoparlante, era forte e metallica, ma poteva essere udita senza problemi da orecchi umani.
– Tu puoi udirci? – disse Fargo, stavolta senza toccare Uhfy.
– Si! Si!
– Anch'io posso udirvi – disse l'essere della canoa. – Il vostro linguaggio è comprensibile, ma il vostro accento è abominevole. Non capisco perché non avete risposto al mio saluto. Perché siete coinvolti con questo grosso Hleno?
– Non volevamo essere scortesi, Sir – assicurò Jeff, dando al fratello un calcio negli stinchi per ammonirlo a comportarsi più diplomaticamente. – Questo Hleno viene da un altro posto, dove i Hleno sono civilizzati e sanno volare.
Era impossibile dire più di questo. Gli altri vivevano nel passato e Jeff sapeva che qualunque cosa avesse detto avrebbe potuto avere l'effetto di cambiare in qualche modo il loro futuro. Jeff era certo che di questo rischio si sarebbe subito reso conto anche Fargo.
– Eccellente – disse il nativo. – Appartiene a una varietà che possiamo udire facilmente. Gli altri non possiamo udirli affatto.
– Lui ha un dispositivo sussidiario che gli consente di parlare e di udire – spiegò Albany.
– Interessante! Davvero interessante! – commentò il nativo. – Voi sembrate intelligenti, per cui è sorprendente che non sappiate parlare meglio la nostra lingua. Il modo in cui la pronunciate gratta gli orecchi. Comunque, se volete visitare il nostro villaggio, certamente sarete i benvenuti.
– No – disse la voce di Norby – non lo vogliamo.
– Ciò che lui intende dire – si affrettò a intervenire Jeff, diplomaticamente – è che terremmo molto a ossequiarvi come si conviene, ma prima c'è un lavoro importante a cui dobbiamo dedicarci. Ci rincresce moltissimo.
– Si – confermò Fargo, che poi ridusse la sua voce a un bisbiglio, e per giunta in basic terrestre: – Faremo bene a tornare in gran fretta alla nostra epoca, se non vogliamo far aggrovigliare tutta la storia.
– Ancora non possiamo andare – bisbigliò Jeff, a fior di labbra. – Abbiamo perso Lola.
– Jeff – intervenne ancora la voce di Norby – ho sondato le canoe con i nostri sensori di bordo. Ti suggerisco di chiedere al capo o a quel che è di restituirti ciò che ti appartiene. Mentre venivano qui, li ho visti tirar fuori qualcosa dall'acqua.
– Di che cosa state parlando? – chiese il capo, facendosi di colpo molto sospettoso. – Cos'è che vi appartiene?
Uhfy lasciò la Hopeful e veleggiò sopra l'ultima canoa, i cui occupanti tremavano di paura. Uhfy si abbassò, raccolse qualcosa dalla canoa con i suoi tentacoli e tornò veloce all'astronave.
– È questo che Norby intendeva? – chiese Uhfy, consegnando a Jeff ciò che aveva preso.
Era un cilindro piuttosto corto e largo, di pelle verde, abbastanza simile a un cuscino, se non fosse stato coperto di aculei.
– È Lola – disse Jeff, sollevato. – Questa è la forma che assume quando si sente in pericolo. Deve essersi fatta spuntare le spine per essere certa che i nativi non la mangiassero.
E, se non fosse stato per quegli aculei, se la sarebbe stretta forte al petto.
– Non quadra – disse il capo. – Vi riferite a questo oggetto come a "lei". Forse è in un qualche stadio dell'evoluzione vitale della vostra specie? Suppongo che questo sia possibile. Tutto è possibile, dato che al mondo non ci sono persone come voi. Noi lo sappiamo, perché abbiamo esplorato ogni isola. A meno che voi non veniate dai ghiacci.
– Noi veniamo... – iniziò Jeff, ma subito si corresse. – Veniamo da qualche altro posto.
Il capo rifletté su quelle parole.
– Credo di capire ciò che intendi dire – asserì poi. – Questo è un mondo e noi lo chiamiamo Nuhlenony, ed è il nostro mondo. In cielo c'è la grande luce che noi chiamiamo sole e di notte ci sono molte piccole luci. Perché le piccole luci non potrebbero essere dei soli lontanissimi, con altri mondi che vi orbitano attorno? Sono questioni di cui noi abbiamo già discusso lungamente e io ritengo che voi dobbiate giungere da un altro mondo di tale fatta. Se è così, questo prova che i nostri ragionamenti sono corretti.
Jeff ascoltava non senza ammirazione il jamyano musicale e elaborato con cui l'altro si esprimeva.
– Credo che da noi abbiano già imparato troppe cose pericolose per il loro futuro prossimo e remoto – disse ai suoi compagni, a voce bassissima. – Dobbiamo ripartire.
– Bene – approvò la Grande Draghessa. – Torniamo nel nostro tempo.
– Si – confermò Fargo – visto che anche Lola è di nuovo qui.
Tornarono tutti sull'astronave e aiutarono Uhfy a infilarsi a bordo.
– Addio! – Jeff gridò al capo, che stava ancora ritto nella sua canoa, in una posa piena di orgoglio. – Come ti chiami?
Il nome rotolò fuori dalla bocca del capo, composto da molte sillabe, musicale eppure impronunciabile per un essere umano.
– Grazie – rispose il ragazzo. – Io mi chiamo Jeff.
– Tornerai presto a visitare il nostro villaggio, Jeff lo Straniero?
– Forse no, ma credo che un giorno o l'altro voi andrete a esplorare altri mondi. Vi faccio i migliori auguri.
La condotta si chiuse e l'astronave decollò.
– Grazie per aver salvato la vita a Uhfy, Norby – disse Jeff.
– Sono felice di averlo fatto, Jeff. Di recente tu e la Grande Draghessa avete salvato me. Voi potete averlo dimenticato, io no.
Ancora una volta, Norby lanciò la gloriosa Hopeful nell'iperspazio.
* * * * *