13. L'uovo

Dopo l'annuncio angosciato di Albany, l'intercomunicante rimase muto per qualche attimo.

– Riesci a vedere dov'è Lola? – chiese Jeff, con voce rotta. – La vedi nuotare?

– No, non vedo nulla. Adesso salto in acqua e...

– No! – gridò Fargo. – Resta nella nave. Qualcuno deve pur restarci!

– Vado io, Jeff – disse Norby, facendo con le mani dei gesti di disperazione e di insofferenza. – Andrò io a cercare quella cucciola insopportabile e non intelligente a cui tu evidentemente pensi molto più che a me!

– Quando l'avrai trovata, sii cortese con lei – raccomandò Jeff. – Non è affatto vero che io penso a lei più che a te.

– Bah! – bofonchiò il robot. – Mi butto nell'oceano.

Ma non fu affatto necessario che vi andasse. All'estremità della sala di ricreazione si verificò dell'agitazione e dalla porta di cui una volta si erano serviti anche Jeff e Lola entrarono due Hleno, i quali conferirono con Buhlric, e questo parlò attraverso il comunicatore, affinché tutti potessero udirlo.

– Nella condotta d'aria è entrato un animale, che quando è arrivato aveva le branchie e adesso non le ha più.

Jeff tirò un sospiro di sollievo: evidentemente, Lola non desiderava altro che riunirsi a loro.

– È Lola, la mia cucciola – disse. – Per favore, portatemela qui.

Gliela portarono, tenuta con delicatezza fra i tentacoli da un Hleno. Appariva sana e vegeta, sebbene fosse bagnata, naturalmente, e sembrasse considerevolmente più sottile. Portava qualcosa che in condizioni normali sarebbe stato troppo grosso per le sue mascelle, ma lei aveva ingrandito quelle mascelle in modo che potessero assolvere il loro compito.

– Questo animale! – disse Norby, sdegnato. – La prossima volta lo lascerò a Manhattan. È incredibilmente disubbidiente!

Lola non prestò alcuna attenzione a Norby e, dopo che venne rilasciata, non dedicò a Jeff niente di più di un'occhiata. Andò dall'uno all'altro dei Hleno che fluttuavano quasi rasoterra, annusandoli, finché trovò Uhfy, e allora lasciò tra i suoi tentacoli il fardello che aveva portato fin là.

Era un piccolo cuscino di pelle verde.

– Lola ha fatto un uovo! – esclamò Fargo.

– Che cos'è? – domandò Uhfy, in tono lamentoso. – Che cosa dovrei farne?

– È un qualcosa da cui verrà fuori un altro cucciolo onnivalente. È il piccolo di Lola e io penso che lei voglia che lo tenga tu, Uhfy.

– Il piccolo è dentro questo oggetto?

– Si – disse Fargo, schiarendosi la gola. – Ti insegnerò a cantare nei tono giusto la ballata dell'apertura del cuscino dei cuccioli onnivalenti.

Cantò l'intera ballata dalla prima all'ultima parola, ma non accadde nulla: l'uovo di Lola rimase chiuso.

– Forse non è ancora il momento – disse Fargo, un poco sconcertato. – Non per nulla le galline covano le uova per diversi giorni, prima che siano pronte a dischiudersi.

– Lola non è una gallina – ribatté Jeff – Non so cosa c'è che non va.

Poi aggiunse, in basic terrestre, in modo che soltanto il fratello potesse capirlo: – Fargo, fatti venire qualche idea: i Hleno si stanno facendo inquieti.

– Io di loro non mi fido – disse Norby. – Dicono che siamo liberi e che ci sono riconoscenti per aver dato loro la telepatia, ma non mi piace affatto il modo in cui mi stanno guardando. Credo che mi odino. Voglio tornare a casa.

– Non è educato da parte vostra parlare in una lingua che noi non siamo in grado di comprendere – rilevò Buhlric – e, anzi, è un modo molto discutibile di ricambiare la buona volontà di cui abbiamo dato prova nel tollerarvi. Che cosa state complottando?

– Assolutamente nulla – si affrettò a rispondere Jeff. – Ci stiamo semplicemente consultando sul modo di far aprire l'uovo di Lola.

– Non vedo questo quale importanza possa avere – replicò la madre di Uhfy, altezzosamente. – Mio marito è stato troppo precipitoso e facilone nell'accettare di trattare voi alieni come amici. Non sappiamo cosa farcene di un animale verde che respira aria, se non metterlo in mostra nello zoo, e io, tanto per essere chiari, non vedo neppure che cosa farmene di tutti voi, a cominciare dal robot.

– Ma sono tutti amici miei! – replicò Uhfy, mettendosi a piangere.

La madre gli diede un robusto scappellotto con un tentacolo.

– Questi Hleno mi piacciono sempre meno – dichiarò Norby.

Jeff si accovacciò a terra per coccolare Lola, il cui pelo era ancora bagnato. Lei mostrò di essere terribilmente compiaciuta di se stessa e si rotolò sulla schiena, per farsi grattare sotto il mento. Lui accarezzò il pelo soffice.

– Lola – mormorò intanto – possiamo riportare l'uovo con noi sulla Hopeful o dobbiamo lasciarlo qui?

Jeff sapeva che un cucciolo onnivalente non è in grado di capire alcun linguaggio, neppure il basic terrestre, ma Lola era stata progettata in modo da essere molto sensibile ai desideri del suo padrone. Tuttavia, stavolta non diede alcun segno: si limitò a fare le fusa, come se le ansie di Jeff non avessero alcuna consistenza.

– Vedi, dunque – riprese Buhlric – che c'è un limite a ciò che possiamo fare per voi creature che avete una leggera rassomiglianza con gli Antichi. Noi non torneremo a Jamya e non distruggeremo la tecnologia su alcun pianeta. Questo ve lo promettiamo solennemente. Però, non possiamo aiutarvi in alcun modo per i robot jamyani che abbiamo portato via o disattivato. Questo è stato già fatto e ormai non può più essere disfatto, per cui voi potete anche lasciare il nostro pianeta senza altri indugi. Vi diamo il permesso di farlo.

– Noi, invece – replicò Fargo – non possiamo ripartire, e non abbiamo alcuna intenzione di farlo, prima che Norby, il nostro robot, abbia stabilito come sarà possibile disfare ciò che voi dite ormai fatto.

– Se esplorassi questo edificio – disse Norby – troverei certamente un computer. Non è neppure pensabile che in un palazzo come questo non ve ne siano.

– Non esplorerai nulla senza di me – affermò Jeff.

– No, quel robot non esplorerà proprio un bel niente! – ringhiò Buhlric, sempre più irritato. – Andatevene immediatamente!

– Papà – gridò Uhfy, lanciando un'occhiata guardinga alla irascibile madre dagli scappellotti facili – non fare così. Loro sono miei amici. Mi hanno aiutato anche se credevano che fossi un loro nemico. Sono stati sempre cortesi e generosi con me e io ho promesso loro che noi Hleno avremmo rimesso i loro robot in grado di funzionare.

Buhlric agitò in direzione del figlio tutti i tentacoli: – Non avresti dovuto fare agli alieni promesse che non puoi mantenere. È appunto perché loro si sono mostrati cortesi verso di te che non li abbiamo fatti prigionieri e che ora diamo loro il permesso di tornare ai loro pianeti. Non possiamo fare di più.

Jeff scosse la testa. – Guarda che cosa hai combinato, Lola! – mormorò alla cucciola, che continuava a fare le fusa. – Se non ci avessi disubbidito e non avessi complicato le cose portando qui quell'uovo...

– Miau? – fece Lola, rimettendosi sulle quattro zampe e agitando la coda.

Andò a riprendere l'uovo fra le labbra, si diresse verso la piscina dei Hleno, allungò il muso al di sopra dell'acqua, aprì la bocca e lasciò cadere l'uovo nella piscina.

– Ehi! – gridò Jeff. – Non intendevo dire che dovessi distruggerlo!

In quello stesso momento, irruppe nella sala di ricreazione una Albany Jones zuppa fradicia, con l'equipaggiamento sub appeso alle spalle e con una pistola paralizzante in mano.

– Che fai qui? – la apostrofò Fargo. – Perché non sei nell'astronave?

– Ho inserito il pilota automatico – disse lei – perché non potevo più resistere senza sapere che cosa stava accadendo.

– Ma come hai fatto a arrivare fin qui? – chiese Jeff.

– Mi sono ricordata di ciò che ci dicesti, a proposito di come avevi fatto tu. Ho trovato le due rientranze nella cornice della porta e le ho premute contemporaneamente. Siete nei pasticci? Questi dirigibili non hanno l'aria di essere troppo amichevoli.

– Continuate a parlare in una lingua incomprensibile – esplose Buhlric. – Questo è intollerabile! E tanto meno sono disposto a tollerare che questa nuova creatura stia qui anche lei. Imprigionatela!

Due dei Hleno che si trovavano più vicini allungarono i tentacoli verso di lei, ma la pistola che Albany teneva nel pugno fu più veloce. I Hleno furono rigettati all'indietro, come se avessero ricevuto uno spintone invisibile ma poderoso. Barcollarono, poi si raddrizzarono e si massaggiarono la fronte con i tentacoli.

– Non riprovarci, Albany! – gridò Jeff, in jamyano; poi, rivolto a Buhlric, aggiunse: – L'arma era regolata a una potenza ridotta. Noi possediamo armi molto pericolose, che furono progettate dai nostri antenati che, ai loro tempi, si servivano della tecnologia poco saggiamente. Abbiamo cercato di trattarvi con la massima cortesia e non vi abbiamo minacciato con le nostre armi. Vedete che, se lo avessimo fatto, sareste in grave pericolo; ma noi non vogliamo mettervi in pericolo. Perché voi non ci trattate con pari generosità?

A quel punto, Lola interruppe la discussione con un miagolio tanto forte che i suoi echi riempirono tutto il locale.

– Oh, lei è qui al sicuro! – esclamò Albany tutta contenta, accorgendosi soltanto allora della cucciola onnivalente. – Bene, questo è un grande sollievo. Ma perché strilla in questo modo?

Jeff le indicò la piscina, dove il cuscino galleggiava sull'acqua e piano piano si andava aprendo. Ne venne fuori qualcosa e la cucciola onnivalente smise di colpo di gridare e prese a lavarsi, come se non fosse accaduto assolutamente nulla.

– Che cosa sta inquinando la nostra piscina? – intervenne ancora la madre di Uhfy, astiosamente.

Adesso, sopra la superficie della piscina si poteva distinguere chiaramente la testa di una piccola creatura che spuntava dal cuscino. Somigliava esattamente a Lola in una delle fasi in cui prendeva le sembianze di un gatto, ma molto più piccola.

– Uff! – disse la creatura.

– Uaurrr! – disse Lola.

Si rialzò in piedi, si chinò sopra la piscina e addentò per la collottola il suo rampollo. Il piccolo di Lola aveva un intero apparato di branchie, poderose pinne posteriori e, davanti, delle pinne più piccole. Si accovacciò sulla coda e guardò fieramente i Hleno, con dei miagolii sommessi, appena percettibili.

– Deve avere anche i polmoni – considerò Fargo, con voce stupefatta. – Sta respirando aria!

– Proprio come me – sottolineò Uhfy. – Io posso respirare tanto nell'aria quanto nell'acqua. Ho sempre desiderato un cucciolo come questo!

– È tuo – disse Jeff. – Lola deve aver desiderato che lo tenessi tu, dato che lo ha portato a te. A meno che non lo vogliano gli altri Hleno.

I Hleno si erano affollati intorno, allungando i tentacoli verso il piccolo esserino. Sembrò interessata persino la madre di Uhfy.

Uhfy parti alla carica, facendosi largo in mezzo ai vari corpi; spinse da parte i tentacoli degli altri e sollevò la creaturina fra i suoi tentacoli.

– È mio! – proclamò. – È un dono degli stranieri e, se volete anche soltanto toccarlo, dovete essere gentili verso gli stranieri.

– Mio figlio ha ragione: non si può prendere senza dare – disse Buhlric, indicando Jeff con un tentacolo. – Tu e il robot potete esplorare questo edificio, ma spero che non ci metterete troppo tempo.

L'unico passaggio che consentiva di scendere sotto la sala di ricreazione era una stretta scala di pietra, che sprofondava in un buio tale che Norby dovette accendere il fanale incorporato nel suo cappello. I loro passi riecheggiavano; l'aria odorava di umido. Proprio sul fondo si apriva una serie di stanze, piene di macchinari, alcuni dei quali erano ancora in funzione.

– La roba che si trova in questa stanza – disse Norby – serve per la circolazione dell'aria e qui non c'è alcun computer. Proseguiamo oltre.

Norby fece strada. Jeff si sentiva molto più che a disagio. Si pentiva di non aver chiesto a Fargo – o, meglio ancora, a Albany con la sua pistola – di accompagnarlo. Si vergognava di se stesso, ma non gli piaceva la sensazione di stare camminando attraverso il passato remoto di Nuhlenony, un passato dimenticato e forse, ormai, morto completamente.

Poi entrarono in un'altra stanza che sembrava più grande della prima. Qui non c'erano molti macchinari, anzi non c'era quasi nient'altro a parte i mattoni e i pezzi di gomma ammucchiati contro una parete.

– Jeff! Sento qualcosa! – gridò Norby. – Qui dietro c'è una macchina. Dobbiamo spostare tutta questa robaccia per vedere di che si tratta.

Jeff e Norby lavorarono sodo per spostare tutto ciò che era stato ammucchiato contro il muro. Norby dovette faticare di meno perché, grazie all'antigravità, bastava che prendesse un oggetto e fluttuasse a mezz'aria portandolo fino a un altro angolo, senza alcuno sforzo. Quando ebbero finito, Norby fece passare il raggio della sua lampada sulla parete nuda.

– Si direbbe la parte frontale di uno strano computer – disse Jeff.

– Non troppo strano – corresse Norby. – Si direbbe dello stesso tipo dei computer di Jamya, nel castello dei Mentori, ma molto più primitivo. La spiegazione, del resto, non è difficile da trovare: gli Altri, ossia gli antenati degli abitanti di Nuhlenony, devono avere necessariamente realizzato i computer di Jamya molto tempo dopo questo.

– Ovviamente – annuì Jeff. – Dopo tutto Nuhlenony fu il punto da dove fecero le prime mosse. C'è da credere, Norby, che questo sia il computer che loro lasciarono in funzione quando abbandonarono il pianeta in mano ai Hleno. È morto, ora?

– Non completamente, ma sembra parzialmente spento. Spero che la banca-dati sia intatta.

Norby si mosse lentamente attraverso l'aria e passò sull'intera superficie della parete del computer, studiandone i rilievi, gli incavi, e altre caratteristiche analoghe a quelle di un qualsiasi computer terrestre.

– Norby! – esclamò Jeff. – Ascolta! Ascolta! Si sente qualcosa.

– Nient'altro che uno sgocciolio d'acqua – rispose Norby, dopo un momento.

– Ma questo potrebbe essere dannoso per il computer – precisò l'amico.

– Non è qui, Jeff. Deve essere in una stanza lontana. Andiamo a vedere.

– Come? Io nel buio non vedo nulla.

– Aspetta un momento. A questo credo di poter rimediare.

Norby giocherellò con le sue mani sulla superficie del computer e, a un tratto, la stanza si illuminò. Era spaventosamente sporca, con funghi e muffa che crescevano dappertutto.

Si era illuminata anche la stanza successiva e Jeff, che adesso si sentiva meno nervoso, vi si addentrò. Era un vasto locale a più livelli, alcuni dei quali erano al di sotto di quello su cui il ragazzo si trovava. Ovunque c'era acqua, che arrivava quasi fino ai piedi di Jeff, il quale poteva udirla sgocciolare lentamente dalle travature laterali che sostenevano le pareti. Tornò di corsa da Norby:

– L'edificio fa acqua! E temo che i Hleno non sappiano come ripararlo.

– Ovvio che non sanno! Loro non possono riparare nulla – commentò Norby, con compunzione. – Loro hanno distrutto o paralizzato tutti i robot che avrebbero dovuto assicurare il buon funzionamento di ogni cosa, qui dentro.

– Come i molti che ho visto nella prigione dietro lo zoo! – si ricordò Jeff. – Mi chiedo se qualcuno può funzionare ancora.

– Perché no? Io funzionavo ancora, quando mi hai tirato fuori dalla bolla – disse Norby, dondolandosi sui piedi a due facce. – Ci sono! Ho trovato il modo di riattivare completamente il computer. Sta' buono, Jeff, mentre io cerco se in esso c'è una banca-dati o qualcosa di utile.

Mentre Jeff aspettava, lo sgocciolio d'acqua si fece più sonoro e minaccioso. A meno che l'edificio non fosse riparato, il mare ne avrebbe preso possesso completamente; e sarebbe andato perduto l'ultimo edificio costruito dagli Altri, e con esso le piante terrestri e gli animali preservati nello zoo.

Proprio quando l'attesa sembrava farsi interminabile, Norby si fece udire di nuovo: – Ho finito, Jeff. Andiamo.

Norby prese il ragazzo per mano, si innalzò e spinse Jeff attraverso l'aria, per tutto il tragitto fino al punto in cui gli altri erano rimasti a aspettarli.

Il robot insistette di essere lui a riferire:

– È chiaro, signori, che questo edificio deve essere riparato, oppure sarà distrutto. Le pareti si sono deteriorate al punto che vi si sono aperte numerose crepe, e questo comporta il rischio che il macchinario si fermi definitivamente. Il mio suggerimento è che alcuni di voi si rechino a Jamya e ne riportino indietro alcuni Mentori riattivati. Loro vi aiuteranno a fermare la rovina. Nel frattempo, potrete riprogrammare i robot da lavoro che tenete chiusi nelle vostre prigioni. Anche loro potranno essere molto utili perché tutte le riparazioni possano essere fatte rapidamente; dopo di che tutti i robot potranno essere riportati su Jamya, con i vostri infiniti ringraziamenti, mi auguro, e con la vostra sempiterna gratitudine.

L'avvilimento di Buhlric era reso visibile dal modo in cui i suoi tentacoli pendevano inerti.

– Ora mi rendo conto – disse – che è esatta la vostra affermazione, che le specie intelligenti devono conservare la loro tecnologia se non vogliono tornare allo stadio primitivo. Noi non sappiamo più come riattivare i robot, per cui non possiamo portare avanti i lavori di riparazione. E chi può dire che cosa sarà di noi? L'ultimo palazzo degli Antichi è condannato!

– Niente affatto – replicò Norby. – Nella banca-dati del computer, nelle cantine del palazzo, ho trovato le istruzioni per la riattivazione dei robot. Dopo tutto, i robot sono stati costruiti dagli Antichi, come ben sapete, e così si può dire anche di una parte di me.

– Ma i robot non ci puniranno? – chiese Buhlric, un poco timoroso.

– Certamente no – affermò la Grande Draghessa – ma spero che vi insegneranno a essere più tolleranti e a dimostrare una maggiore apertura mentale.

Soffiò con il naso, sbuffò fuori una sottile fiammata giusto per dare maggior forza alle sue affermazioni, e si diresse con passo altero verso la condotta d'aria per uscire.

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