3. Nell'oceano
Quando Jeff riapri gli occhi e tornò in uno stato in cui era a malapena cosciente dell'esistenza dell'universo, era notte fatta. Il ragazzo comprese all'istante che non si trovava su Jamya né sulla Terra né in alcun altro posto in cui era già stato prima, perché le stelle punteggiavano il cielo così fitte e brillanti che il risultato era un chiarore diffuso simile a quello lunare.
– Dobbiamo essere in un ammasso globulare – bofonchiò.
L'Invasore era sempre sopra di lui. Jeff poteva vederlo come un'ombra che si stagliava contro la luce brillante delle stelle. Il ragazzo penzolava inerte dai tentacoli dell'Invasore e gli passò per la mente che avrebbe potuto liberarsi senza eccessive difficoltà; ma poi guardò in basso e rimase senza fiato. Non c'era davvero da stupirsi che Lola gli stesse avvinghiata intorno al collo, come se si trattasse di salvare la sua cara pelliccia!
Erano molto al di sopra di quello che appariva come un immenso oceano, le cui onde scintillavano alla luce delle stelle. Le acque si estendevano tutt'intorno fino all'orizzonte, dove si tramutavano con una linea netta nel cielo trapunto di stelle. Era una notte limpida, con poche nuvole e senza foschia. Nell'aria c'era una leggera brezzolina pungente.
Stavano viaggiando veloci e Jeff ebbe l'impressione che da due pieghe di pelle, che si aprivano e chiudevano ritmicamente sui fianchi del corpo dell'Invasore, uscissero degli sbuffi d'aria, creando un vento leggero che gli scompigliava i capelli. Non era impossibile che gli Invasori si muovessero grazie a qualche forma di propulsione a razzo, ma erano senza dubbio troppo grossi perché potessero fluttuare a mezz'aria senza l'aiuto di un qualche dispositivo antigravitazionale.
Jeff poggiò una mano sul collare di Lola, l'unica cosa che avrebbe potuto salvarlo dal precipitare in acqua se l'Invasore avesse allentato la presa.
Dove stavano andando? La domanda era senza scopo, dal momento che, a quanto pareva, non c'era alcun posto in cui andare. Jeff non scorgeva nient'altro, da qualunque parte guardasse, che lo sconfinato scintillio riflesso delle stelle, ed era certo che anche alla luce del giorno l'oceano non avrebbe presentato alcun punto di riferimento.
Per quanto tempo sarebbe continuato ancora quel volo? Lola stava cominciando a fare quei rumorini che volevano dire «Ho fame», e il ragazzo la teneva stretta per consolarla. Con l'altra mano, invece, toccava con circospezione il tentacolo dell'Invasore, e allora rabbrividiva e desiderava fervidamente di stare toccando, invece, la mano di Norby. In quel caso gli sarebbe stato facile liberarsi davvero, aiutato dal modo intelligente in cui il robot sapeva servirsi dell'antigravità, e insieme si sarebbero spostati attraverso l'iperspazio per tornare nuovamente sulla Terra. Si augurò di poter udire di nuovo la voce di Norby, mentre sfrecciavano insieme nell'aria, o intendere le parole che il robot gli trasmetteva direttamente dentro la sua mente quando viaggiavano nell'iperspazio. Ma per il momento...
Nella sua agonia fatta di desideri impossibili, dimenticò di stare attento a Lola, che trovò la punta del tentacolo dell'Invasore e lo morse a fondo.
Come un serpente che si snoda, il tentacolo si srotolò e Jeff cadde, soltanto per schizzare di nuovo verso l'alto non appena lui e Lola pensarono "su" simultaneamente. L'Invasore si girò e tornò indietro per riprenderli, con i tentacoli allargati intorno e gli occhiacci gialli che lampeggiavano debolmente alla luce delle stelle.
– Miaurrrr! – disse Lola, allungando un'artigliata verso i tentacoli.
L'Invasore si voltò di nuovo e, come se fosse giunto alla conclusione che Lola e Jeff non erano degni delle sue attenzioni, piegò la testa verso il basso e si tuffò nell'oceano.
Jeff lo segui con lo sguardo. Secondo ogni apparenza erano giunti alla loro destinazione (o comunque quella che doveva essere la destinazione dell'Invasore) e Lola aveva deciso di mordere appena un istante troppo presto. E adesso?
– Miao? – disse Lola, in un tono di voce che significava: «Ho fame e tu che cosa stai facendo per rimediarmi qualcosa da mangiare?»
Anche Jeff aveva fame. Alla festa per il compleanno dell'ammiraglio Yobo aveva mangiato molto meno degli altri perché, a eccezione dell'ultimo piatto misterioso che non aveva neppure fatto in tempo a assaggiare, era stato lui il cuoco, troppo preso tra fornelli e tegami per trovare anche il tempo di mangiare. Il suo stomaco brontolava, ma non c'era in vista nient'altro che acqua.
Nient'altro che acqua? Eh, no. La luce delle stelle si stava facendo sempre più scialba, mentre il cielo si faceva rapidamente più luminoso e all'orizzonte spuntò un sole rossiccio, i cui raggi batterono su una serie di strani oggetti neri. Jeff fece in modo di avvicinarsi agendo opportunamente sul collare di Lola, il che era tutt'altro che facile, tanto più che spesso le sue intenzioni contrastavano con quelli che erano i desideri di Lola.
In una zona dell'oceano che sembrava nettamente più chiara, adesso che la luce solare rendeva possibile accorgersene, spuntavano degli alti cilindri neri. Al di là della zona chiara, l'acqua tornava a essere molto più scura.
Dovette manovrare in modo da portarsi ancora più vicino, ma ogni volta che ci provava si dimenticava di pensare "su" e rischiava di sprofondare nell'acqua, dato che secondo ogni apparenza Lola aveva deciso di pensare "giù".
– Insomma, che ti prende? – Jeff si spazientì.
– Miaurrrr! – rispose lei, con enfasi, leccandogli il mento. Gli fece il solletico e Jeff rise. Istantaneamente, piombarono attraverso l'intero strato di aria che c'era sotto di loro e Jeff si trovò con le gambe nell'acqua prima che riuscisse a pensare "su" con tanta intensità che il collare riuscisse a farli risalire. Ma anche allora non si alzarono di molto: Lola sembrava decisa a andare giù.
– Io non ho alcun desiderio di bagnarmi – dichiarò Jeff. – Voglio andare a casa, esattamente come Zargl poco tempo fa, però non c'è qui Norby che possa portarmici! Andiamo a dare un'occhiata a quei cilindri.
A forza di tentativi, dondolandosi su e giù a mezz'aria e oscillando avanti e indietro, Jeff alla fine riusci a posizionarsi al di sopra del cilindro più vicino, ma non era solido e vi affondò fino al petto prima di trovare un bordo metallico abbastanza spesso da potercisi sedere sopra, se si stava attenti a non scivolare. Il cilindro era di metallo nero e appena tiepido. Il ragazzo guardò dentro l'apertura e dapprima poté scorgere soltanto buio, però sentì un soffio d'aria che ne usciva, come se un essere colossale stesse respirando attraverso quell'enorme snorkel, una specie di presa d'aria sul tipo di quelle usate nei sommergibili.
Il centro cavo del cilindro era grosso abbastanza per il suo corpo e lui stava per infilarvisi dentro, per compiere una esplorazione, quando sentì sotto i piedi il tintinnio argentino di una griglia metallica che bloccava il pozzo un poco più giù.
Jeff concluse che non c'era scopo a tentare di andare sotto a curiosare attraverso la grata e cominciò a architettare le possibili azioni alternative, quando Lola, che annusava vigorosamente l'aria, risolse la questione saltando via dalle braccia del ragazzo.
Jeff, colto di sorpresa, perse l'equilibrio e dovette aggrapparsi forte al bordo del cilindro per non essere sballottolato su e giù dentro l'acqua attaccato a Lola, che fluttuava veloce verso il basso, tenuta sospesa dal suo collare antigravitazionale. Il ragazzo poté scorgere la sua chiazza verde indistinta che camminava sopra la griglia.
Dovette pazientare fino a quando Lola si fu convinta che da quella parte non c'era alcun passaggio. Dopo di ciò, tentò di spiccare un salto, ma non ci riuscì. Tentò di arrampicarsi, e non riuscì neanche in questo. Soltanto allora si ricordò, con la forza della disperazione, di attivare il collare antigravitazionale. Sfrecciò in su come un'aquila, sparata verso le braccia di Jeff, che la prese al volo e la strinse a sé.
– Va tutto bene, Lola – la rassicurò. – Non possiamo passare da questa parte, ma sotto deve esserci un edificio o qualcosa del genere, da cui esce l'aria. Si tratta semplicemente di trovare un'altra strada per entrarvi.
Per la verità lui non era del tutto sicuro che sotto la superficie dell'oceano ci fosse davvero un edificio, ma l'aria che usciva dal cilindro doveva pur venire da qualche parte. Questa considerazione, materializzata a alta voce, servi a farlo sentire più tranquillo.
Lola si dibatté per saltar via dalle braccia del ragazzo, comportandosi come se avesse visto nell'acqua qualcosa che voleva. Jeff decise che dovevano essere alghe o qualcosa di simile. Per quanto i remoti antenati di Lola fossero stati animali carnivori particolarmente ghiotti di sangue, Mentore Primo li aveva sottoposti a una serie di mutazioni genetiche, secondo le tecniche di bioingegneria, tanto da trasformarli in nuove specie vegetariane, che potevano mangiare di tutto purché non fosse di natura animale.
"Quasi" tutto, corresse Jeff mentalmente. Lola poteva mangiare tranquillamente vegetali jamyani o terrestri; ma se le piante di quel mondo sconosciuto fossero state velenose?
Adesso che, sotto il sole, l'aria si era riscaldata, poteva vedere le piante che salivano alla superficie. Avevano dei ciuffetti di foglie piatte di misura decrescente, quasi dello stesso colore azzurro-verdastro dell'acqua, e reggevano grappoli di fiori bianchi, simili alle vescie di lupo, che ballonzolavano sopra le foglie, sostenuti da gambi corti e sottili. Ricordavano un poco, ma soltanto un poco, dei piccoli gigli d'acqua.
– Miiaoo!
Lola si dimenò fra le braccia di Jeff, si liberò e saltò dentro l'oceano, proprio su una di quelle piante fluttuanti. Serrò le sue mandibole sulla pianta, poi si issò sul bordo del cilindro, seguendo la pista di un lungo gambo trasparente con foglie che si estendevano alternatamente da una parte e dall'altra, con fiori simili a funghetti.
Lola si destreggiò tra le gambe di Jeff e continuò a mangiare ingordamente. Lola mangiava sempre ingordamente. Però i fiori non le piacevano e li scartò, dopo aver provato a mangiarne uno. Dopo un morso di prova, vennero rifiutati anche gli steli; invece le foglie furono masticate e trangugiate in gran quantità. Quando Lola ne ebbe avuto abbastanza, si leccò le labbra, si ripulì e si mise a fare le fusa.
– Bene – disse Jeff – almeno adesso uno di noi ha lo stomaco pieno. Se solo potessi raggiungere Norby...
Chiuse gli occhi e si concentrò, ma senza successo. Per poter comunicare telepaticamente con Norby aveva bisogno di toccarlo.
Jeff in vita sua non si era mai sentito così solo. Seduto sull'immensa distesa di un oceano sconosciuto, senza alcuna speranza di tornare a casa, si lasciò sprofondare nella disperazione. Per evitare il disastro finale, trasse un profondo respiro e recitò una versione delle sue litanie per la solennità del solstizio:
«Sono una creatura della Terra, parte della vita che si evolse sulla Terra. Mi trovo molto lontano dalla mia casa, ma sono ancora parte dell'universo, parte della sua vita. Ogni cosa è parte dell'universo, a prescindere da quanto a volte possa sembrare strana o pericolosa. Cercherò con tutte le mie forze di scacciare ogni timore in modo da poter decidere serenamente ciò che più conviene fare.»
Accarezzò Lola per impedirsi di pensare alla fame e alla sete e invece puntò gli occhi sull'oceano. Dapprima desiderò che all'orizzonte apparisse una nave o qualsiasi altra cosa. Visto che non accadeva nulla, provò a immaginare quanto sarebbe stato bello sentirsi a casa propria dentro l'oceano.
Ciò che avrebbe voluto veramente era essere un magnifico pesce lucente, dotato di branchie, o anche una foca con le pinne, oppure un castoro con una comoda e simpatica coda piatta da usare come timone. Continuò a sognare a occhi aperti, finché le mani lo informarono che a Lola era accaduto qualcosa.
La guardò. Aveva cambiato forma. Era più lunga e più sottile, con le zampe simili a pinne e la coda appiattita. La cucciola onnivalente sbadigliò, lo baciò e si tuffò in acqua.
– Lola! Torna indietro!
Lei non gli badò minimamente, ma continuò a nuotare sopra e sotto le piante galleggianti. Sembrava che si stesse divertendo un mucchio.
Jeff sapeva che si sarebbe dovuto decidere a bagnarsi se voleva riprendere Lola e il suo collare. Si tuffò in acqua e nuotò verso la superficie, pensando che il mare non era freddo quanto aveva immaginato e che era sorprendentemente limpido. Si tuffò di nuovo e vide che il cilindro nero andava su e giù sopra una superficie bianca, dove crescevano molte piante. Nuotò sopra di esse e notò che avevano le stesse foglie di dimensione decrescente di quelle che aveva mangiato Lola. Di quando in quando, le piante si staccavano dal ciuffo e salivano alla superficie.
Lola nuotò in mezzo alle sue gambe fino all'aiuola sottomarina, staccò con un morso qualche foglia e tornò da Jeff, ruminando tutta contenta. Stavolta Jeff si afferrò strettamente al suo collare, perché fra le piante c'erano altre creature che nuotavano, sciamavano, guizzavano intorno, ma nessuna di esse era riconoscibile e identificabile. Sembravano più piccole di Lola e probabilmente non erano pericolose, ma di questo Jeff non poteva essere del tutto sicuro.
Considerò invece, con una sensazione di disgusto, che non doveva assolutamente mollare il collare del cucciolo onnivalente. Senza il collare di Lola, sarebbe rimasto a fluttuare dentro l'acqua per l'eternità, perché da solo non sarebbe mai stato capace di arrampicarsi sulle pareti del cilindro.
Lola aveva voglia di giocare, Jeff invece voleva unicamente tenere la testa fuori dall'acqua. La sua disperata riluttanza all'idea di essere privato dell'aria dovette fare un qualche effetto su Lola, giacché lui sentì il dorso della cucciola trasformarsi ancora. Cercò di studiare come era cambiata adesso; e, almeno per quanto gli risultò, vide che aveva su ambedue i fianchi delle specie di pieghe di pelle che si aprivano quando scendeva sott'acqua. Delle branchie?
– Ehi, Lola – chiese Jeff – per caso ti stai trasformando in un pesce?
Comunque fosse, lei non aveva perso i suoi denti e all'improvviso li snudò con un ringhio talmente forte che quando mise di nuovo la testa sott'acqua fece deviare il flusso di bollicine. Jeff guardò in basso e, attraverso il liquido limpido, vide avvicinarsi una grossa forma grigia.
Un Invasore? Intorno al muso aveva gli stessi tentacoli, ma almeno il doppio più numerosi di quelli che avevano gli Invasori aerei, e il doppio più lunghi. In effetti l'intera creatura era lunga il doppio. Il suo corpo era quasi perfettamente tubolare, con una parte fluttuante nel fondo della schiena che serviva da coda. Soltanto i ripugnanti occhi gialli erano gli stessi. E stavano andando dritti verso Jeff.
Non c'era altro posto dove andare a mettersi in salvo che sopra il mare, ma Lola non voleva affatto andare sopra: voleva affrontare il nuovo nemico a faccia a faccia e battersi. Per quanto fosse un animale vegetariano, restava il fatto che la sua eredità genetica era tale da renderla ancora molto simile a una di quelle terribili tigri dai denti a sciabola della remota preistoria!
Mettendo a profitto tutta la sua forza di volontà e i suoi poteri mentali, Jeff finì per avere il sopravvento sui capricci di Lola e risalirono insieme fuori dall'acqua, all'aria. L'Invasore non li segui. Continuò a nuotare tutt'intorno e di quando in quando irrompeva in superficie cercando di afferrare Jeff con i tentacoli, ma il ragazzo badava a restare sempre fuori portata.
Però a Lola non piaceva quel modo di combattere. Si dibatté furiosamente, finché riuscì a liberarsi da quella specie di gabbia formata dalle braccia e dal petto del suo amico, e si tuffò in acqua, addosso all'Invasore. Fu seguita, ovviamente, da Jeff, il quale non aveva un suo collare antigravitazionale. Nuotò più vigorosamente che poteva per tenersi lontano dall'Invasore, ma, quando si voltò, la strana creatura gli era quasi addosso.
E allora, per nessuna ragione al mondo che Jeff riuscisse a scorgere, l'Invasore scese più in basso, con i tentacoli che si allungavano all'indietro, anziché in avanti alla caccia di Jeff. Qualcosa lo aveva disturbato.
Tenendo la testa sott'acqua, Jeff vide Lola attaccata con gli artigli lunghi e aguzzi a una delle pieghe di pelle sul fianco del corpo dell'Invasore. Le sue zanne avevano le dimensioni delle "sciabole" delle tigri preistoriche, e lei sferrava sempre altri colpi. Dalle ferite fuoriusciva un fluido grigio-azzurro: evidentemente l'Invasore stava perdendo in abbondanza il suo particolare tipo di sangue.
L'Invasore si diede lestamente alla fuga. Girò la coda e nuotò veloce lontano da Jeff e dalla fila di cilindri neri. Trascinò Lola con sé, e Jeff fu lasciato solo. Nuotò fino al cilindro più vicino e lo abbracciò forte, per averne sia un sostegno sia una protezione; ma era troppo grosso per consentirgli una buona presa.
Gli era entrata in bocca un po' d'acqua dell'oceano e lui la assaggiò. Non aveva quel forte sapore di sale dell'acqua degli oceani terrestri, ma lui giudicò che era ancora troppo salata per poterla bere senza inconvenienti. Tuttavia era difficile tenersene lontani, a causa della sua grande sete.
Poi notò che sui fianchi del cilindro metallico l'acqua si era condensata. Possibile che fosse acqua dolce? Avvicinò le labbra e la leccò con la punta della lingua per assaggiarla. Infatti, non sentì sapore di sale; ma quando ebbe leccato tutta l'acqua che aveva alla sua portata su ogni lato del cilindro, aveva ancora sete e la lingua gli doleva.
– Miao? – davanti a lui spuntò la testa a forma di gatto di Lola.
Aveva un bernoccolo sul naso e un orecchio piegato: ma, a parte questo, aveva un'aria molto soddisfatta di se stessa. Jeff mise una mano sul collare antigravitazionale e decise di tentare di innalzarsi di nuovo fino alla sommità del cilindro e poi di penetrarvi, per tentare di forzare la grata.
Lola, però, aveva altri programmi. Lei si immerse e trascinò Jeff con sé.
Trattenendo il respiro, Jeff vide che lei stava nuotando velocemente attraverso la superficie bianca che si estendeva sul fondale, finché a un tratto questa finì. Poi nuotò ancora più giù nelle acque scure. Jeff, che non aveva più fiato, la lasciò andare e nuotò verso la superficie più rapidamente che poteva, perché aveva estremo bisogno di aria.
Mentre cercava di tenersi a galla e di riempirsi i polmoni d'aria, una palla di pelo bagnata gli fece il solletico sotto il mento.
– Uaurrr! – disse Lola, polemicamente.
– Non posso venire – rispose Jeff. – Non posso farmi spuntare delle branchie come te!
Lei lo colpì al mento con una delle sue zampe a forma di pinna e miagolò di nuovo, poi nuotò via, ma soltanto per voltarsi e miagolare ancora una volta verso di lui, in un modo disperato.
– Non posso, come devo dirtelo? – gridò Jeff, scuotendo la testa.
Lei tornò e lui si afferrò a lei, pensando che, almeno, su quel pianeta d'acqua uno di loro sarebbe sopravvissuto. Immaginò di essere perfettamente attrezzato per la respirazione subacquea, di essere perfettamente a suo agio in uno strano oceano... e poi sentì qualcosa che spuntava fuori dal dorso di Lola. Guardò sconcertato. Era come un tubo aperto a una estremità, da cui uscivano delle bollicine d'aria.
– Ehi, Lola – esclamò Jeff, stupefatto – hai inventato un qualche nuovo tipo di snorkel?
Per un attimo si sforzò di immaginare come Lola potesse respirare sott'acqua attraverso le branchie e nell'aria respirare normalmente con i polmoni, e per giunta, come se non bastasse, espellere aria attraverso un tubo; ma la fisiologia era troppo al di là delle sue conoscenze. A titolo di semplice esperimento, provò a respirare l'aria che veniva fuori dal tubo di Lola e trovò che andava benissimo. Probabilmente c'era più diossido di carbonio di quanto ve ne sarebbe stato all'aria aperta, e odorava di vegetali, però era certamente respirabile.
Quando Lola si immerse ancora, Jeff rimase aggrappato al suo collare e respirò la sua aria. Lei nuotava con movimenti ondeggianti proprio sopra di lui e Jeff batteva le gambe per aiutarla. Costeggiarono tutta la fila di cilindri neri, poi discesero le pareti di un edificio grosso quanto uno di quelli che sorgono a Manhattan, ma alto appena quattro piani. Il ragazzo sbirciò nel buio dell'oceano, ma non vide altre strutture intatte, sebbene tutta la zona apparisse cosparsa di un fantastico guazzabuglio di costruzioni di pietra e travature metalliche, inghirlandate di piante sottomarine e animali oceanici.
Più oltre, si sarebbe detto che il fondale affondasse nel buio. Jeff non poteva scorgere più nulla. Quando Lola volle ritornare agli edifici, Jeff non trovò nulla da obiettare. Erano appena giunti al muro bianco, quando Lola manovrò in modo da spingere il ragazzo dietro un ciuffo di piante particolarmente grosso. Quando lui si guardò alle spalle per vedere da che cosa lei stava fuggendo, lo snorkel per poco non gli sfuggi dalla bocca spalancata.
Invasori!
Ce n'erano quattro, lisci anziché grassi e bitorzoluti come quelli che lui aveva già visto su Jamya, ma più piccoli di quello che lo aveva attaccato qui. Inoltre, avevano lo stesso numero di tentacoli di quelli che avevano invaso Jamya e quindi meno dell'altro essere selvaggio. Che quegli esseri si fossero evoluti in due specie distinte?
Era l'aria, pensò Jeff, che faceva rigonfiare la loro pelle e li faceva apparire grassi e bitorzoluti quando erano fuori dall'acqua. Li osservò attentamente mentre nuotavano verso l'edificio e piegavano a sinistra, seguendo la curvatura dell'edificio stesso. Poi uscirono di vista.
Seguiamoli, pensò Jeff, incitando Lola. Lei non era telepatica e non poteva comprendere il pensiero, tuttavia la sua mente certamente reagiva alle emozioni e agli ardenti desideri di una persona che la toccasse, per cui girò il naso in quella direzione e riprese a nuotare, con Jeff attaccato a lei.
C'era una porta! Aveva l'aspetto di una manica d'aria rotonda, insolitamente larga, senza maniglia o serratura. Gli Invasori dovevano servirsene per entrare nell'edificio, ma Jeff non vedeva come. Fece scorrere le dita intorno alla porta e trovò un rilievo con una fossetta su ambedue i lati. Tenendo Lola stretta a sé, il ragazzo premette prima una depressione, poi l'altra, ma non accadde nulla.
Jeff rimase a pensare. I tentacoli degli Invasori erano disposti in modo tale da potersi allargare in ogni direzione, per cui, probabilmente, le due fossette andavano premute insieme. Spinse Lola dentro la parte inferiore della sua uniforme, in modo che non potesse nuotare lontano da lui togliendogli l'aria di cui aveva bisogno, e allargò le braccia più che poteva per arrivare a premere contemporaneamente le due rientranze.
Questa volta la porta si spalancò e lui vi nuotò attraverso nell'oscurità più totale. Affondò a mano a mano che l'acqua all'interno della manica d'aria si ritirava, finché si ritrovò in piedi, all'asciutto. Lasciò andare il tubo d'aria di Lola, di cui adesso non aveva più bisogno, e pensò a un gatto con quattro zampe anziché delle pinne, e senza branchie.
Quando la porta interna si aprì, il corpo di Lola era già tornato normale. Jeff entrò in un atrio debolmente illuminato e mise a terra la cucciola che, dopo essersi scossa tutta come un cane bagnato, si accovacciò e prese a leccarsi il pelo come un gatto. Lola si mostrava assolutamente impavida e, per il momento, lo era anche Jeff, dato che la sala, grande abbastanza per contenere diversi Invasori, era completamente vuota. C'erano altre tre porte, tutte di forma arrotondata a eccezione della parte inferiore, che era invece piatta.
Con quale porta tentare?
Jeff sospirò e si sedette, togliendosi gli stivaletti bagnati, che legò insieme e si appese a una spalla affinché asciugassero. Mentre stava là seduto, pensò di aver sentito la voce di Norby.
Sentito?... Sì, esatto, perché non la udiva nel solito modo in cui ci giunge una voce attraverso l'aria e neppure nel modo in cui passa da una mente all'altra in una comunicazione telepatica. Era semplicemente una sensazione. Non poteva udire e tanto meno comprendere alcuna parola, ma sentiva per certo che Norby stava cercando di raggiungerlo. Norby doveva essere là!
E dunque... quale porta?
* * * * *