L'ULTIMA RISPOSTA
All'epoca in cui diventai uno scrittore professionista di fantascienza (e cioè nel 1938) la rivista-leader del settore era Astounding Science Fiction, e il suo direttore, John W. Campbell jr., dominava il campo come un colosso. La mia principale ambizione era apparire nelle pagine di Astounding, figurare nel sommario e avere il mio nome stampato fra i collaboratori di quella grande rivista.
Riuscii a soddisfare tutti questi sogni, ma intanto il tempo passava: prima gli anni, poi i decenni. A un certo punto la testata cambiò in Analog, e di lì a poco John Campbell morì. Nel 1980 il nuovo direttore della rivista, Stanley Schmidt, mi chiese un racconto per celebrarne il 50° anniversario. Come potevo rifiutare?
Scrissi così L'ultima risposta, chiedendomi se John Campbell, nel frattempo, non avesse deciso di sfidare perfino Domineddio.
Murray Templeton aveva quarantacinque anni ed era nel pieno della vita: il suo corpo funzionava a meraviglia, a parte certe delicatissime regioni delle coronarie, ma tanto bastò a metterlo nei guai.
Il dolore cominciò all'improvviso, arrivò a vette insopportabili e poi a poco a poco rifluì. Murray sentì il ritmo del respiro rallentare e una sorta di pace scendere su di lui.
Non c'è piacere più grande dell'assenza di dolore dopo aver sofferto intensamente.
Murray si sentì così euforico che ebbe l'impressione di non essere più sulla terra, ma di galleggiare nell'aria.
Aprì gli occhi e vide con divertimento che i suoi colleghi erano ancora in agitazione. Quando l'attacco aveva colpito, senza preavviso, si trovava in una stanza del laboratorio, e prima di perdere i sensi, sopraffatto dal dolore, aveva sentito gli altri gridare di sorpresa.
Ora, nonostante che il dolore fosse scomparso, i colleghi si affannavano ancora intorno al suo corpo caduto…
… Che, notò con una certa meraviglia, lui stesso poteva vedere con perfetta chiarezza. Da una posizione elevata.
C'era un Murray per terra, con le membra scomposte e la faccia contorta, e un Murray "per aria", tranquillo e distaccato osservatore.
Pensò: Miracolo dei miracoli! Tutte quelle scempiaggini sulla vi-ta-dopo-la-vita erano vere!
E sebbene non fosse la scoperta più decorosa, per un fisico ateo com'era sempre stato lui, Murray provò soltanto una leggera sorpresa e nessun turbamento della pace in cui era immerso.
Pensò: Dovrebbe esserci un angelo, o qualcosa del genere, che mi venga a prendere.
La scena mondana cominciò ad affievolirsi; la coscienza di Murray Templeton fu invasa dall'oscurità, e in lontananza, come un ultimo barlume di luce, apparve una figura dall'aspetto vagamente umano che irradiava calore.
Murray pensò: Che burla, per me! Stai a vedere che vado in Paradiso.
Nel pensare questo si accorse che la luce era scomparsa, ma il calore restava. La pace non fu minimamente turbata, anche se nell'Universo erano rimasti soltanto lui e la Voce.
La Voce disse: — L'avrò fatto un'infinità di volte, ma è sempre un piacere venire a raccogliere un frutto della vittoria.
Murray avrebbe voluto dire qualcosa, ma pensò di non avere bocca, lingua né corde vocali. Tuttavia cercò di proferire parola. Senza bocca, tentò di mugolare, o piuttosto di borbottare, nella speranza di far vibrare… qualcosa.
E le parole vennero. Sentì la propria voce (sì, abbastanza riconoscibile) e le parole infinitamente chiare.
Murray chiese: — Mi trovo in Paradiso?
La Voce disse: — Questo non è un "luogo" nel senso che tu dài alla parola.
Murray era imbarazzato, ma già premeva un'altra domanda: — Scusatemi se vi sembro un po' grezzo. Voi siete Dio?
Senza cambiare tono, e senza in alcun modo increspare la perfezione cristallina del suo timbro, la Voce riuscì a suonare divertita. — È strano, ma questa domanda me la fanno sempre. Anche se in un numero infinito di modi, si capisce. In realtà non c'è una risposta che tu possa comprendere. Io sono: è tutto quello che posso dirti. Interpreta pure le mie parole nel modo che preferisci.
Murray ribatté: — Ma io che cosa sono? Un'anima? Un'essenza personificata? — Cercò di non sembrare sarcastico, ma gli parve di non esserci riuscito. Per un attimo pensò di completare la frase con un "Vostra Grazia", "Santità" o cose del genere, per bilanciare l'effetto del sarcasmo; ma non ne fu capace, anche se per la prima volta nella sua esistenza dovette prendere in considerazione l'eventualità di essere punito per la sua insolenza (peccato?) con l'Inferno o un qualche equivalente.
La Voce, tuttavia, non sembrava offesa. — Perfino per uno come te la risposta a questa domanda è facile. Puoi considerarti un'anima, se vuoi, ma in realtà sei un nesso di forze elettromagnetiche il cui schema è tale che le relative connessioni e relazioni corrispondono perfettamente a quelle del tuo cervello nell'esistenza fisica… e quando dico perfettamente intendo fino all'ultimo dettaglio. Quindi hai la tua capacità di pensiero, i tuoi ricordi, la tua perso-, nalità. Ti sembra, in una parola, di essere ancora tu.
Murray non riusciva a crederci. — Volete dire che l'essenza del mio cervello era eterna?
— Nient'affatto. Non c'è niente di eterno a parte ciò che decido io. Il nesso di cui ti parlavo l'ho fabbricato personalmente, mentre eri ancora in vita, e l'ho attivato nel momento in cui la vita è cessata.
La Voce pareva compiaciuta, e dopo un momento di pausa continuò: — È una realizzazione complessa, ma di grande precisione. Potrei farla per tutti gli esseri che vivono sul tuo mondo, ma ho deciso di no. C'è piacere nella selezione.
— Volete… vuoi dire che ti limiti a sceglierci in pochi?
— Molto pochi.
— E che ne è degli altri?
— Inghiottiti dall'oblìo! Oh, voi lo chiamate Inferno.
Se ne avesse avuto la possibilità, Murray sarebbe arrossito. — Io non lo chiamo in nessun modo. Ma non avrei mai creduto di essere così virtuoso da venire Eletto…
— Virtuoso? Ah, capisco che cosa vuoi dire. Ho qualche difficoltà a minimizzare i miei pensieri in modo tale da essere in sintonia coi tuoi. No, non ti ho scelto per la tua virtù ma per le tue qualità di pensatore. Così come scelgo altri fra i milioni di specie intelligenti che popolano l'universo.
Murray provò un'immediata curiosità: era l'abitudine di una vita. — Li scegli tutti da solo o ci sono altri esseri come te?
Per un attimo Murray ebbe l'impressione che l'Essere fosse lievemente stizzito, ma quando la Voce risuonò non aveva alcuna inflessione emotiva. — Se io sia il solo o se ci siano altri come me non ha importanza. L'universo dal quale provieni è mio, e mio soltanto. L'ho inventato e costruito io, e segue i miei scopi.
— Ma con tutti i miliardi di "nessi" che hai creato, perché ti attardi con me? Sono così importante?
La Voce disse: — Non sei affatto importante. Io ho la facoltà di essere contemporaneamente anche con gli altri, o almeno, la tua percezione la vivrebbe come contemporaneità.
— Però sei uno solo…
Di nuovo quell'aria divertita. La Voce disse: — Cerchi di farmi cadere in contraddizione? Se tu fossi un'ameba che per "individui" intende organismi formati da una sola cellula e se chiedessi a una balena, formata da molti miliardi di cellule, di dirti se è "una" o multipla, come pensi che potrebbe rispondere la balena in modo da farsi capire dall'ameba?
Murray disse, asciutto: — Ci penserò. Può darsi che arrivi a una soluzione.
— Esatto, questa è la tua funzione. Tu penserai.
— A che scopo? Tu sai già tutto, suppongo.
— Anche se sapessi tutto, potrei non sapere di saperlo.
— Mi sembrà uno di quei detti orientali che sembrano così precisi perché non significano niente.
La Voce disse: — Sei promettente: rispondi al mio paradosso con un paradosso… solo che il mio non era un vero paradosso. Rifletti: io esisto da sempre, ma questo che cosa significa? Che non posso ricordare l'inizio della mia esistenza. Se potessi, non sarei esistito da sempre. Ma se non posso ricordare l'inizio della mia esistenza, c'è almeno una cosa che mi è precluso conoscere.
"Inoltre, se è vero che la mia sapienza è infinita, dev'essere vero per conseguenza che lo scibile è infinito. In tal caso, come essere sicuri che i due infiniti coincidano? L'infinito della conoscenza potenziale può essere molto più grande di quello della mia effettiva sapienza. Eccoti un facile esempio: se io conoscessi tutti i numeri pari, conoscerei già una serie infinita. Eppure, non conoscerei neppure un numero dispari."
Murray disse: — Ma i numeri dispari potresti calcolarli. Dividendo per due ogni numero pari della serie infinita, ne otterresti un'altra infinita che in sé conterrebbe quella dei numeri dispari!
La Voce replicò: — Sei un uomo d'ingegno, mi fa piacere. Sarà tuo compito escogitare per me altre soluzioni del genere, naturalmente molto più complesse, in modo da colmare la distanza fra il conosciuto e ciò che ancora è da conoscere. Hai i tuoi ricordi: usa tutti i dati che hai appreso o che sei in grado di dedurre da essi. Se necessario, ti sarà concesso accedere ad eventuali informazioni supplementari, legate naturalmente ai problemi ai quali ti dedicherai.
— Ma non potresti fare tutto da solo?
La Voce rispose: — Potrei, ma è più interessante così. Ho creato l'universo per avere un maggior numero di problemi coi quali cimentarmi. Ho introdotto il principio d'indeterminazione, l'entropia e altri fattori casuali per non rendere tutto subito ovvio. Ha funzionato, perché mi sono divertito moltissimo.
"In seguito ho introdotto fattori più complessi, che prima hanno prodotto la vita e poi l'intelligenza, e ho usato quest'ultima per avere a mia disposizione una specie di squadra di ricerca su scala cosmica. Non che abbia veramente bisogno d'aiuto, ma la cosa rende più imprevedibile l'esito delle mie ricerche: ho scoperto che non ero più in grado di prevedere quale sarebbe stato il prossimo importante sviluppo della conoscenza, chi l'avrebbe realizzato e con quali mezzi."
Murray domandò: — E i risultati sono soddisfacenti?
— Certo. Non passa secolo senza che da qualche parte non venga scoperto qualcosa di fondamentale.
— Qualcosa che tu avresti potuto pensare da solo, ma su cui non avevi ancora riflettuto…
— Sì.
— Credi davvero che io possa esserti utile, in questo senso?
— Nell'arco del prossimo secolo no di certo. Ma dato che hai un ingaggio per l'eternità, il tuo successo in tempi lunghi è praticamente certo.
Murray disse: — Devo pensare per l'eternità? Per sempre?
— Sì.
— A che scopo?
— Te l'ho detto. Colmare il distacco fra ciò che è noto e ciò che rimane da conoscere.
— No, a parte questo. A che scopo colmare il distacco?
— Era quello che facevi nella vita fisica. Non era il tuo scopo, allora?
Murray rispose: — Il mio scopo era scoprire qualcosa cui io, e io soltanto, potevo accedere. Ottenere il plauso dei colleghi. Provare la soddisfazione di essere riuscito nel mio lavoro ben sapendo che il tempo concessomi per compierlo era limitato. Ora, tutto quello che posso scoprire è qualcosa alla quale tu stesso arriveresti facilmente, se solo ti prendessi il disturbo. Inoltre tu non puoi lodarmi: puoi solo divertirti. Non c'è merito nel raggiungere uno scopo quando si ha tutta l'eternità davanti.
— Non ritieni che il pensiero e la conoscenza valgano di per sé? Non pensi che tutti gli altri scopi siano secondari?
— In un tempo limitato, sì. Ma con tutta l'eternità davanti, no.
— Capisco il tuo punto di vista. Comunque non hai scelta.
— Hai detto che devo pensare, ma non puoi obbligarmi a farlo.
La Voce disse: — Non intendo costringerti direttamente, anche perché non ne ho bisogno. Dal momento che non avrai nient'altro da fare, penserai. Non potrai fame a meno.
— Allora mi darò uno scopo. Mi inventerò una meta.
Tollerante, la Voce disse: — Puoi farlo, certamente.
— Ho già trovato il mio scopo.
— Posso sapere qual è?
— Lo sai già. Questa non è una normale conversazione, credi che non l'abbia capito? Nel fabbricare il mio "nesso" hai fatto in modo che io avessi la sensazione di sentirti parlare e di parlarti a mia volta, ma in realtà tu trasferisci i miei pensieri a te e i tuoi a me direttamente. Quando io concepisco un'idea tu ne sei immediatamente informato, e non hai bisogno che io te la comunichi volontariamente.
La Voce disse: — Hai ragione al cento per cento. Sono compiaciuto. Ma mi farà piacere se vorrai comunicare con me volontariamente.
— Allora senti: lo scopo del mio pensiero sarà scoprire il modo per distruggere il nesso elettromagnetico che costituisce la mia coscienza. Non voglio lavorare al solo scopo di divertirti. Non voglio esistere in eterno al solo scopo di soddisfarti. Rivolgerò tutti i miei sforzi verso la distruzione del nesso. Questo divertirà me.
— Non ho obiezioni — replicò la Voce. — Perfino uno scopo suicida come quello che ti sei prefisso può rivelare, tuo malgrado, interessanti frammenti di conoscenza. E ovviamente, se anche tu dovessi riuscire sarebbe tutto inutile, perché ti ricostruirei subito e in modo tale da rendere impossibile quel particolare tipo di suicidio. Dovresti escogitarne un altro più sottile, dopodiché io ti ricostruirei daccapo e così via. Potrebbe trasformarsi in un gioco interessante, ma tu comunque esisterai in eterno. È la mia volontà.
Murray si sentì fremere, ma parlò con perfetta calma: — Sono capitato nell'Inferno, per caso? Dalle tue parole devo dedurre che l'Inferno non esiste, ma se ci fossimo dentro la menzogna farebbe parte del gioco.
— Se la pensi così, a che serve che io ti rassicuri? Comunque, per quel che vale, ti garantisco che non sei all'Inferno. Non esistono il Paradiso e l'Inferno: esisto solo io.
— Allora ascoltami — disse Murray. — Mettiamo per ipotesi che i miei pensieri si rivelino inutili. Se quest'ipotesi si verificasse, non ti converrebbe distruggermi e farla finita con me?
— Come premio? Tu pretendi il Nirvana come premio del fallimento e metti le mani avanti per garantirmi che fallirai? Non è leale, amico mio. Tu non puoi fallire, per il semplice fatto che hai l'eternità davanti. In condizioni simili è inevitabile che tu abbia almeno un pensiero interessante, per quanto ti ostini!
— Allora mi troverò un altro scopo. Non cercherò di distruggermi, ma farò di tutto per umiliarti. La mia mèta sarà questa. Escogiterò qualcosa che non soltanto non hai pensato finora, ma che non potresti mai pensare! Inventerò l'ultima risposta, quella oltre la quale non è possibile altra conoscenza.
Disse la Voce: — Tu non intendi la natura dell'infinito. Possono esserci cose che non mi sono preso la briga di conoscere, lo ammetto: ma niente che io non possaconoscere.
Pensieroso, Murray ribatté: — Non puoi conoscere l'inizio della tua esistenza. L'hai detto tu. Di conseguenza non puoi conoscere il momento della tua fine. Bene, allora il mio scopo sarà questo, e troverò l'ultima risposta. Non distruggerò me, distruggerò te, se tu non mi distruggi per primo.
La Voce disse: — Ah, vedo che sei arrivato al nocciolo della questione in un tempo inferiore alla media! Pensavo che ci avresti messo di più. Nessuna delle intelligenze che mi tengono compagnia in questa vita di eterno pensiero chiederebbe di meglio che annientarmi. Ma non si può fare.
— Io ho tutta l'eternità — rispose Murray — e troverò il modo di liquidarti.
La Voce disse, paziente: — Allora provaci. — E lo lasciò solo.
Ora Murray aveva uno scopo ed era contento.
Infatti, che cosa c'è di più desiderabile della fine per un'Entità che sappia di essere eterna?
A che scopo, se non per trovare la risposta a questo problema, avrebbe lavorato la Voce per innumerevoli miliardi di anni? Per quale ragione avrebbe creato l'intelligenza e ne avrebbe preservati alcuni esemplari, in modo da aiutarlo nella grande ricerca? Ognuno, come Murray, nutriva la segreta ambizione che lui e lui solo ci sarebbe finalmente riuscito.
Scrupoloso, animato dal sacro fuoco dello Scopo, Murray cominciò a pensare. Il tempo non gli mancava.
Titolo originale: The Last Answer (1980)