- Benissimo, allora sono lieto di poter partecipare. Era felice, sprizzava soddisfazione da tutti i pori. «Razza di stronzo!» pensò Paula. Probabilmente tutti i vizi e i reati di quell'amena comunità passavano per le sue mani. Droga, prostituzione... combattimenti di galli? Qualunque cosa. Di sicuro quello contava su una rete perfettamente organizzata che lo metteva sull'avviso quando era il momento di agire, esattamente come lo avvertiva di ogni loro comparsa nel bar. Le considerava potenziali clienti o si accontentava del gioco di sguardi cominciato il giorno in cui si erano conosciuti? Lo osservò attentamente: capelli neri, lustri, pelle spessa e scura senza una sola imperfezione, occhi piccoli e inespressivi. Gli uomini. Aveva fatto la scelta sbagliata. Non avrebbe mai dovuto prendersi un uomo che le desse stabilità: economica, sociale, emotiva. Per scrivere qualcosa che valesse la pena bisognava essere disposti a buttare la propria vita in un letamaio. Avrebbe dovuto sposare un energumeno come quello, l'ultimo uomo sulla terra. La letteratura non richiedeva una consacrazione da vestale, ma il più spregevole abbrutimento. Niente sacrifici né preghiere, nessuna purezza. Lui era esattamente il tipo che avrebbe dovuto scegliere. Un uomo accanto al quale non si potesse vivere e dal quale non ci si potesse aspettare nulla. Ma per fare una scelta simile ci voleva coraggio, e lei di coraggio non ne aveva mai avuto. Osservò Susy, seduta davanti a lei a sorseggiare alcol puro come un uccellino. Quella ragazza non aveva la minima idea della vita, era un gattino con gli occhi chiusi. E avrebbe continuato a vivere con gli occhi chiusi. Lei, se non altro, aveva ricevuto qualche segno, qualche raggio di luce. Aveva fallito con cognizione di causa, sapendo in ogni istante di dirigersi verso il nulla. Era nata per essere una pantera, carica di elegantissima potenza, e sarebbe morta come una maledetta gatta randagia, in mezzo all'immondizia. Di notte siamo tutti gatti. Si accorse che il gattino stava parlando con il gran bastardo messicano, ma non sentiva cosa si stessero dicendo. Il gran bastardo ordinò un'altra bottiglia di tequila. «Aspetta» pensò lei, «aspetta, gran bastardo, ti insegnerò io che cosa puoi offrire a due signore come noi». Il gattino non ci avrebbe messo molto a raccontare i suoi problemi al gran bastardo: la sua orribile madre, il casto sposo che non la prendeva sul serio, la sua insuperabile solitudine e tristezza. Il gran bastardo ne avrebbe tratto una profonda conclusione «alla messicana»: ecco un'altra gringa piena d'alcol fino al collo. Avrebbe pensato che gringos e spagnoli si meritano di crepare tutti e le loro donne di essere esposte nude al pubblico ludibrio, le cosce spalancate a cuocere sotto il sole. Che benessere. Forse non si era mai sentita così bene, ormai aveva perso di vista i contorni delle cose, ma continuava a percepirne i volumi. Susy, al contrario, cominciava a mostrare gli effetti più spiacevoli dell'alcol. Incespicava a ogni parola, all'improvviso le uscirono di bocca alcune frasi in inglese, cosa che non le capitava mai, le si chiusero gli occhi, sorrise senza espressione. Di colpo fu chiaro che era il caso di andarsene, prima di doversi accollare l'americana e portarla di peso fino al villaggio. Il messicano era perfettamente sobrio. Si vedeva che era abituato a bere. Il liquido in cui aveva galleggiato nel ventre di sua madre doveva esser stato mezcal puro. - Mio caro, non credo sia il caso di continuare a bere in questo posto. Ma non fraintendermi: ho detto «in questo posto». Continuare a bere da un'altra parte sarà come accettare il nostro destino naturale. Visto che oggi sei così gentile, ti propongo di invitarci da te. Le bottiglie le compriamo noi, qui; tu metterai i bicchieri e la stanza. In questo modo divideremo gli oneri e la serata sarà un perfetto esempio di fratellanza e cooperazione.
Dopo questo discorso, il messicano la guardò negli occhi. Sorrise con tutta la malizia del rancore accumulato. Accettava la sfida e tutto quel che sarebbe venuto dopo.
- Non c'è bisogno che compriate nulla, in casa ho diverse bottiglie di tequila e anche dell'ottimo mezcal. Posso offrirvi anche tè, caffè e perfino biscotti.
- I biscotti te li puoi tenere.
Susy, ubriaca, rise a crepapelle. Paula pensò che un po’ d'aria fresca le avrebbe fatto bene. Non avrebbe perso i sensi, avrebbe resistito.
Nella strada deserta sembravano tre spettri. Tre tristi spettri. O forse solo tre creature di tre razze diverse messe insieme dal caso. Nulla in comune fra loro, nulla in comune fra loro e il resto del mondo. Procedevano in silenzio, attenti a camminare senza inciampare, senza barcollare, senza zigzagare. Da qualche parte, come sempre, si udiva della musica. Arrivarono alla tana della bestia. Tutto era come l'altra volta. Buttarono dei cuscini sul pavimento. Presero i bicchieri. La bestia stava accendendo due candele. Il colmo della raffinatezza, il padrone di casa ideale.
- Immagino tu abbia un po’ di roba.
- Cosa volete, coca o altro?
- La coca andrà bene.
- Sarei lieto di offrirvela, ma, cercate di capire, gli affari sono affari...
- Certo, gli affari sono affari. Non preoccuparti, i soldi li ho.
- Se non li ha oggi me li darà un'altra volta.
- Ti ho detto che li ho. Prendine anche per te, offriamo noi.
Il messicano si alzò, ma in quel momento bussarono alla porta. Non si poteva mai stare tranquilli in quel maledetto paese. Paula vide di sfuggita tre uomini. La guida non li fece entrare. Parlarono sottovoce e in tono precipitoso. Lui rispose secco e sicuro, fece un cenno con la testa e quelli se ne andarono. Poi scomparve per un attimo e tornò con varie bustine in mano.
- La migliore sulla piazza. Ma questo lo sapete già. Susy sniffò meccanicamente. Paula aspirò la polverina come una creatura agonizzante in cerca d'aria. In quel momento pensò che Dio esisteva. Adesso aveva le idee chiare e sapeva quel che doveva fare. Si avvicinò al messicano bastardo e gli slacciò la cintura. D'istinto, lui reagì fermandole la mano bruscamente, ma Paula lo guardò fisso negli occhi, e alla fine si lasciò fare. Lentamente, a strappi ripetuti, lei gli tirò giù i pantaloni. All'improvviso, il messicano la afferrò, la tirò per la maglietta, gliela tolse. Lei cominciò ad armeggiare con i bottoni della sua camicia. Si stavano spogliando a vicenda come in un feroce combattimento. Adesso erano nudi, sul pavimento. Susy li guardava in silenzio. Il messicano leccava lentamente il sesso di Paula. Questa la chiamò, con voce roca: - Vieni, Susy, vieni qui.
Susy si spogliò. Non riusciva a togliere gli occhi da quei due, era come ipnotizzata. Il messicano aveva la pelle scura, glabra. Susy si avvicinò. Paula le disse: - Toccalo, toccalo a fondo.
Susy si inginocchiò e accarezzò la schiena liscia del messicano. Lui non si voltò nemmeno. Paula s'innervosì.
- Non così. Ficcagli dentro le dita, forza.
Susy, come uno zombie, scosse la testa, osservando le natiche piccole e muscolose dell'uomo.
- Non posso farlo.
Paula si tirò su, alzò la testa del messicano tirandolo per i capelli, l'allontanò dalla sua vulva. Spinse Susy a prendere il suo posto. L'uomo non rifiutò il cambio, aprì il sesso di Susy con le mani e lo leccò dall'alto in basso, muovendo la lingua lentamente. Susy cominciò subito a gemere. Lui e Paula erano in perfetto silenzio. Paula fece quel che prima aveva ordinato a Susy. Si leccò due dita e le fece scivolare fra le natiche del messicano. Lui sussultò ma continuò il suo lavoro di lingua, succhiando con le labbra carnose. Il suo respiro si fece lento, faticoso. Poi si sollevò e cercò in fretta il centro di Susy, la penetrò. Paula, dietro di lui, non mollò, continuò a stimolarlo ritmicamente da dietro. Disse sottovoce: - Grida, bello, su, grida.
Dalla bocca del messicano non uscì un suono. Paula alzò la voce, lo sodomizzò con maggiore violenza.
- Grida, stronzo, grida!
Allora sì, allora lui s'inarcò come un gatto e gli uscì dalla gola un verso da animale, il grido di una bestia che muore. Susy si lasciò sfuggire un gemito, Paula si allontanò, si stese di fianco a loro in posizione fetale e restò così, calma e sudata.
Gli uomini tornarono al villaggio all'imbrunire, come tutti i venerdì. Manuela aspettava con impazienza e non appena sentì un rumore in giardino andò ad aprire. Non diede neanche un bacio al marito. Lo tirò per la manica e lo condusse subito nel soggiorno.
- Siediti, - gli intimò. - Spero tu sia tranquillo e rilassato, perché ti toccherà sentire una cosa molto grave. Adolfo chiuse gli occhi un istante, in preda a una stanchezza mortale. Sua moglie l'aveva saputo, naturalmente. Una cosa del genere non rimane segreta a lungo, tantomeno in un ambiente chiuso come quello. Si preparò alla valanga di rimproveri che stava per sommergerlo.
- Ricordi la riunione che avevo convocato l'altro giorno, quella per la festa di beneficenza? Bene, è successa una cosa impensabile: Paula ha accusato pubblicamente Victoria di averle portato via il marito, e lei non ha negato.
Fece una pausa, aspettando una reazione stupita o scandalizzata, ma Adolfo si limitò a passarsi la mano sul viso. La sua sola risposta fu: - Sì, me lo immagino.
- Come sarebbe, te lo immagini? Lo sapevi?
- Santiago ha deciso di lasciare il cantiere. Tornerà in Spagna.
- Con Victoria?
- Sì, con lei. Cosa c'è per cena?
- Scusa un attimo, Adolfo, mi stai prendendo in giro? Stanno succedendo cose orribili, tu lo sai e non mi dici nulla, e poi quando ti decidi ad aprire bocca, la sola cosa che ti viene in mente è chiedermi cosa c'è per cena?
- E cosa vuoi che faccia?
- Non lo so. Parlarne, magari. Oltretutto, potresti fare qualcosa. Tu sei l'ingegnere capo, e in un certo senso tutti sono sotto la tua responsabilità.
- Ripeto la domanda: cosa vuoi che faccia?
- Qualcosa! Ormai il villaggio è sommerso dai pettegolezzi. Le mogli sono tutte in agitazione.
- Se vi faceste gli affari vostri, questo non succederebbe.
- Bella risposta! Noi non viviamo in una grande città, ma in una piccola comunità dove tutti si conoscono. E inevitabile che siamo turbate e sconvolte. Quei due avrebbero dovuto pensare alle conseguenze prima di imbarcarsi in una storia del genere.
- Quei due, come dici tu, si sono innamorati.
- Quindi ti sembra giusto.
- A te sembra sbagliato?
- A me, in queste circostanze, sembra che commettano una grave mancanza di rispetto nei confronti dei loro coniugi e nei confronti di tutti noi. Perfino nei confronti di loro stessi! Se si sono innamorati, cerchino di controllarsi e aspettino la chiusura del cantiere, oppure si rendano conto che quando si è sposati si ha il dovere di lottare contro questo tipo di sentimenti.
- È la loro vita, non la tua.
- Mi lasci di stucco, Adolfo, davvero.
- Si può sapere perché?
- Chiunque non ti conoscesse, crederebbe che approvi questa relazione.
- E tu mi conosci, Manuela?
- Siamo sposati da più di trent'anni. Dimmelo tu se ti conosco o no.
- Mi conosci e pensi che io condanni l'amore di questa coppia.
- Ascoltami bene, Adolfo, cerchiamo di essere realisti...
- No! Ascoltami tu, invece. Sono stufo di essere realista, di essere pratico, di tenere i piedi per terra, di vivere secondo le regole della mia educazione, del mio ambiente, della mia posizione. Tutte cose che per te sono della massima importanza, non è così? Per una vita intera ci siamo comportati da persone ragionevoli, e va benissimo, ma non ti è mai venuto in mente neanche una volta che io possa avere dei dubbi sul tuo amore?
- Ma Adolfo, tu sei mio marito!
- Esatto! E a volte ho la sensazione che al mio posto potrebbe esserci chiunque. Sembra che l'importante sia formare una famiglia, comportarsi da persone rispettabili, brillare in società. Bè, sai cosa ti dico, Manuela? Io ammiro due persone che hanno il coraggio di rompere con tutto e andarsene via insieme. Mi sembra una fortuna, per loro, che si siano innamorati con tanta passione. Insomma, li invidio e offro loro tutto il mio appoggio.
- Allora prima se ne vanno, meglio è!
- Se ne andranno quando lo vorranno loro, non prima!
- Non ti riconosco più, davvero.
- Solo perché è un mucchio di tempo che non mi guardi più, Manuela. Io adesso vado al club, se non ti spiace, mangerò lì. Sono di pessimo umore e non mi va di continuare a discutere.
Si alzò e si avviò, ma senza l'energia di chi vuole concludere una discussione accesa, a passi lenti, come se un grande peso lo opprimesse. Manuela voltò il viso dall'altra parte, perché lui non la vedesse piangere. Ma le sue non erano grosse lacrime gonfie di dolore, bensì piccole e pungenti lacrime di rabbia. Sentirsi dire una cosa così, dopo una vita intera, dopo tutte le volte in cui aveva taciuto invece di parlare, dopo tutti i sacrifici che aveva fatto in nome dell'armonia e della pace! Lei, che aveva completamente rinunciato a una vita propria per seguire suo marito ovunque il lavoro lo portasse; lei, che si era accollata l'educazione di tre figli. Chi li aveva tirati su, quei ragazzi, così brillanti, così ben inseriti, così normali ed entusiasti sul lavoro? Con quel che si vedeva in giro! Figli di papà drogati, o semplicemente sfaticati, incapaci di fare qualcosa di utile per la società. Eppure, dopo tutto questo e molto altro, l'uomo per cui aveva dato tutto vedeva quei due... adulteri, ecco la parola giusta, due adulteri, che si comportavano come i protagonisti di un filmetto romantico, e perdeva il senno peggio di una liceale. Vergognoso, come se la vita matrimoniale fosse fatta di sguardi e carezze, o magari solo di sesso. Ma attenzione, se era sesso quello che cercava, chissà che suo marito non fosse anche lui cliente delle ragazze di quel famoso locale di cui le aveva parlato? Era possibile? No, calma, stava perdendo la testa. Suo marito non avrebbe mai fatto una cosa del genere. No, stava solo attraversando una stupida crisi, la tipica crisi dell'uomo di mezz'età, solo che a lui era arrivata in ritardo. Una donna pronta a mollare tutto per loro! Questo li faceva sospirare. Bella ingiustizia, come se lei non avesse mollato tutto per lui ogni singolo giorno della sua vita da quando erano sposati!
Ramon non tornò al villaggio con gli altri mariti, ma si presentò a casa più tardi, quando tutti avevano già cenato e regnava ovunque il silenzio. Victoria, che aveva tirato un sospiro di sollievo vedendo che suo marito non era nella spedizione di ritorno, sussultò sentendolo aprire la porta. «Bè, cosa ti aspettavi?» si disse. «Di non rivederlo più? Tutta qui la tua maturità?». Cercò di riaversi, ma non sapeva come comportarsi. Tanto meno riusciva a prevedere come si sarebbe comportato lui, cosa le avrebbe detto, se le avrebbe rivolto la parola. Suo marito sembrava addirittura dimagrito, era pallido, con due profonde occhiaie. Questo non la aiutò a calmarsi. Lui posò le chiavi sul tavolo, la guardò.
- Quando te ne vai? - fu la prima cosa che le chiese.
- Presto, martedì della prossima settimana. Ramon non fece alcun commento. Entrò in cucina e ne uscì con un bicchiere d'acqua. Di colpo lei capì quali conseguenze pratiche poteva avere quella visita.
- Scusa Ramon, non ci avevo pensato, se vuoi rimanere in questa casa per il fine settimana, io vado in albergo. Non ci avevo pensato, davvero.
Lui la osservò con un sorriso triste, ma poi rapidamente mutò espressione, si rianimò.
- Sai cosa vorrei, cosa vorrei davvero? Che tu non te ne andassi, amore mio, che tu restassi con me, come è sempre stato.
Victoria sentì un'ondata di calore salirle al viso. Abbassò lo sguardo e continuò ad ascoltare quella voce suadente, un po’ forzata, che le suonava estranea. Lui proseguì sullo stesso tono.
- Ieri notte, mentre dormivo, di colpo mi sono svegliato e ho pensato: «Davvero la mia bambina se ne vuole andare? No, non è possibile, è assurdo. La mia bambina, la mia sposa e compagna, il mio grande amore, non può vivere con uno sconosciuto. E stato solo un brutto sogno e ora è passato». Basta, Victoria, se tu hai avuto un'avventura, io lo accetto, mi sembra perfino giusto; ma ora devi dimenticare questa storia. Non vedi che non può funzionare? Cosa potresti mai fare con un uomo che conosci appena? Vuoi davvero buttare all'aria tutti questi anni di matrimonio? Victoria guardava il pavimento. Ramon fece una pausa, bevve un sorso d'acqua.
- Voi non avete nulla in comune. Oltretutto, il suo matrimonio è in pezzi. Non ti ama veramente, per lui sei la soluzione più comoda. Riconosco che negli ultimi tempi non sono stato premuroso quanto avrei dovuto, forse davo per scontato il nostro amore. Ma questo non significa che non ti ami, lo sai. E mai successo qualcosa di grave fra noi? No, mai! Raramente ci è capitato di litigare, al contrario di quanto succede a molte coppie. Fra noi è sempre stato tutto, come dire... esemplare! Abbiamo due figli splendidi che stanno per diventare indipendenti, non ci manca nulla, entrambi abbiamo un lavoro che ci soddisfa.
D'ora in poi tutto migliorerà, te lo prometto. Ci aspettano momenti magnifici.
Davanti al silenzio di Victoria, il suo discorso si fece più precipitoso.
- Sono addirittura convinto che questa crisi rafforzerà il nostro amore. Appena il mio lavoro qui sarà finito, torneremo in Spagna e riorganizzeremo la nostra vita. Saremo soli e liberi, senza figli, viaggeremo, vivremo una seconda giovinezza. Anzi, se vuoi, ce ne possiamo andare subito. Dirò ad Adolfo che devo rientrare per motivi personali. Riprenderò il mio posto in Spagna. Cosa ne dici, eh, che te ne pare?
Victoria non rispondeva, non lo guardava.
- Victoria, non mi rispondi? Cosa ti succede, amore mio?
Ramon vide le lacrime rigare il viso della moglie, che cominciò a scuotere la testa, incapace di parlare.
- Resterai con me, vero? Dimmi di sì, Victoria, dimmi di sì.
Lei continuava a scuotere la testa, a piangere, con le braccia abbandonate in grembo, immobile. Ramon si alzò in piedi. Torcendosi le mani, le si avvicinò e gridò: - Dimmi che non te ne andrai! Te lo ripeto, dimmelo! Dimmelo!
Per la prima volta Victoria lo guardò negli occhi, e con un filo di voce rispose: - No, non posso dirtelo.
A quel punto, quello che era stato fino ad allora il suo compagno, suo marito, la persona di cui si fidava di più al mondo, le rivolse un'espressione carica d'odio e le disse: - Victoria, che Dio ti maledica. Ti odio, non ti perdonerò mai. Non voglio vederti mai più.
Poi uscì di casa, in preda alla disperazione. Victoria si lasciò cadere sul pavimento nel punto esatto in cui si trovava. Si piegò su se stessa, si raggomitolò. Non riusciva a sopportare tanto dolore.
Mentre si dirigeva verso il club, Adolfo vide Ramon uscire di casa come una furia e passargli accanto senza neanche vederlo. Era pallido, distrutto. Lo chiamò: - Ramon, aspetta un momento. Dove vai? Aspetta! Ramon non gli rispose. Adolfo restò lì in mezzo al giardino, confuso. Si sentì invadere dall'indignazione. Questo posto sta diventando un casino, pensò. In quel momento gli si avvicinò Pancho, l'addetto al club.
- Mi scusi se la disturbo, don Adolfo, ma... - arrivato a questo punto si bloccò, come se non riuscisse a concludere la frase che aveva iniziato con tanta precipitazione.
- Cosa c'è, Pancho?
- Bè, c'è che questo mese non abbiamo ancora ricevuto lo stipendio, ingegnere.
Adolfo ne fu sorpreso, poi ci pensò su. Già, quel mese Dario non gli aveva passato le buste paga da firmare.
- Ah, non avete ancora ricevuto lo stipendio. Ne parlerò con Dario, dev'esserci stato un errore. Vammelo a chiamare, per favore.
- Impossibile, ingegnere.
- Come?
- Il fatto è che Dario non c'è.
- Cosa significa «non c'è»? -Bè, significa che è andato via.
- E dove cavolo è andato?
- Questo non me l'ha detto, ingegnere.
- Va bene, ora vai al club, e preparami qualcosa, così magari stasera riesco a cenare, maledizione!
Appena Pancho scomparve, Adolfo prese il cellulare. Era il colmo, l'anarchia assoluta! Cosa credeva quel ragazzo? D'accordo che gli piacessero le puttane, ma che abbandonasse il lavoro per passare la sua vita al Cielito era intollerabile.
Dario sbarrò gli occhi quando vide il nome sul display. Aveva posato il telefono sul comodino, accanto agli orecchini delle due ragazze che gli facevano compagnia. Rispose con voce assonnata.
- Dario, si può sapere perché non sei al villaggio?
- Buonasera, don Adolfo. Sa com'è, siccome è venerdì...
- E venerdì, infatti, e le buste paga sono ancora da preparare. Sai dirmi perché?
Dario tardò a rispondere. Guardava le due paia di occhi scuri accanto a lui nel letto. Si armò di coraggio.
- Don Adolfo, a essere sincero, le dirò che sono una persona sensibile e che questa situazione mi risulta insopportabile.
- Quale situazione?
- Lo sa anche lei, ingegnere, lo scandalo che si è creato, la tensione che si respira.
Il capo sentì un vulcano di indignazione esplodere dentro di sé. Cercò di trattenere il tono, perché le sue parole non suonassero cariche di rabbia, ma soltanto severe.
- Dario, ascoltami bene. Domani mattina alle dieci sarò nel tuo ufficio. Voglio vederti inchiodato lì e voglio le buste paga già pronte sulla tua scrivania. Mi hai capito?
- Sì, ingegnere, non si preoccupi, sarà fatto.
- Buonanotte.
Ci mancava solo questa! «Non si preoccupi». No, certo, un capo non si preoccupa se un subalterno non fa il suo dovere. Controlla che lo faccia, punto e basta.
Altrimenti, lo sbatte fuori a pedate. Ma questa era una cosa che a quell'idiota non sarebbe mai entrata in testa. Insomma, non c'era bisogno di grande perspicacia per capire che la nave stava imbarcando acqua da tutte le parti. Stava perdendo la rotta e qualcuno doveva pur mettersi al timone. Preoccupato? No, non era preoccupato, era semplicemente stufo marcio.
Dario chiuse la chiamata. Si sdraiò a guardare il soffitto. Le due ragazze lo accarezzarono, una di qua e l'altra di là.
- E successo qualcosa, amore mio?
- Ho paura che si avvicinino tempi duri.
- Stà tranquillo, tesoro, noi siamo qui apposta.
- Non permetteremo che succeda niente di brutto al nostro tesoro.
Quando alla fine Victoria riuscì a riaversi, si tirò su e prese il telefono. Chiamò Santiago. Con un po’ di fortuna, lui sarebbe riuscito a prendere la comunicazione. Fu così, ma le bastò sentire la sua voce per capire che non ce l'avrebbe fatta a parlargli normalmente. Il minimo di calma che le era parso di ritrovare dopo il pianto era del tutto falso. Prima di pronunciare la seconda frase, era di nuovo in lacrime. Santiago si sentì mancare la terra sotto i piedi e il panico lo paralizzò.
- Cosa c'è, Victoria, cos'è successo?
- Non ce la faccio, Santiago, non ce la faccio più.
- E successo qualcosa? Rispondimi!
- Ramon è venuto a casa e... - non riuscì a continuare.
- Ti ha aggredita? Dimmelo, ti ha picchiata?
Lei fece uno sforzo per riprendersi. I timori di Santiago andavano nella direzione sbagliata.
- No, non è questo. Abbiamo solo parlato, ma è stato così penoso, è tutto così difficile al villaggio...
- E successo qualcosa con Paula?
Victoria non si aspettava quella domanda ed esitò a rispondere.
- Niente di grave, te lo assicuro.
- Questo significa che qualcosa è successo.
- Calma, ora ti spiego. Scelse le parole con cura, era già più tranquilla. - Manuela ha convocato una riunione per organizzare non so quale festa, e Paula mi ha accusata pubblicamente di averle portato via il marito.
- Dio mio, non ci posso credere! Si è data ai drammi da quattro soldi, adesso?
- Non importa.
- Sì che importa. Il mio lavoro è praticamente finito. Mancano quattro giorni alla partenza, ma tu non puoi rimanere lì. Esci dal villaggio al più presto. Prendi lo stretto necessario e allontanati. Se Ramon vuole parlarti, che ti chiami al telefono, vi vedrete in un bar di San Miguel. Sistemati nella stanza che abbiamo preso in affitto. Là nessuno potrà trovarti né insultarti. Le donne ti prepareranno da mangiare. Chiamo subito Dario perché si occupi di tutto. Porta con te dei libri e leggi, passeggia, riposa. Io verrò tutte le sere a dormire con te. Non pensi che così potrebbe andar meglio?
- Forse hai ragione.
- Non puoi rimanere ad aspettare che succeda qualcosa. È quasi finita, hai capito, tesoro? È quasi finita. Coraggio.
- Dove sei?
- Al cantiere, ma più tardi verrò al villaggio a parlare con Paula per l'ultima volta. È indispensabile che io sappia cosa intende fare. Immagino non voglia rimanere in Messico.
- Santiago...
-Sì?
- Ti amo tanto.
- Anch'io, cara, anch'io. Ti amo con tutte le mie forze, non dubitarne mai, ti prego. Vedrai, avremo tanto tempo per noi due, la vita intera.
Il tono deciso dell'uomo che amava la rincuorò. Quando chiuse la comunicazione, già sorrideva. Sì, tanto tempo, tutto il tempo: i minuti, le ore, i giorni, le mattine e le notti. Fra pochissimo sarebbero stati tranquilli, e fra qualche anno quei momenti difficili sarebbero stati un ricordo. Tirò giù le valigie dall'armadio e si preparò a buttarci dentro qualcosa. Non aveva bisogno di molto, per ora. La scelta degli indumenti la riportò a una realtà quotidiana, meno allarmante. Stava per fuggire con l'uomo che amava, come nei romanzi. L'idea la riempì di intima gioia. Il principe azzurro su un cavallo bianco. Avrebbe potuto godere fino all'inverosimile di quei primi momenti di passione, se non avessero portato con sé tanto dolore. Forse è sempre così, si disse, la felicità non è mai completa. Soprattutto dopo una certa età, quando sono molte le impronte che abbiamo lasciato sul nostro cammino.
Suo marito si alzò presto, fece colazione e uscì. Disse che aveva una riunione con Dario, poco di più. Lei non gli badò, era ancora seccata dal giorno prima. Se risparmiava le parole, tanto meglio; non ci sarebbero stati motivi di discussione. Poco dopo sentì suonare il campanello e andò ad aprire pensando che Adolfo avesse dimenticato le chiavi. Invece era Victoria. Non riuscì a reprimere un senso di fastidio nel rivederla. Pentita, cercò di accoglierla con un gran sorriso che voleva apparire cordiale.
- Su, Victoria, entra, non startene lì!
La accompagnò nel soggiorno. La fece accomodare e andò a prendere il caffè rimasto in cucina. La vivacità che cercava di mettere in ogni parola evidenziava il suo imbarazzo. Victoria non poté non accorgersene e pensò che Santiago aveva ragione: doveva andarsene dal villaggio al più presto. Era la soluzione migliore, non solo per lei, ma anche per gli altri residenti, che in fondo non desideravano altro. Ormai era diventata un'ospite scomoda. Lo capiva: senza volerlo aveva sconvolto l'equilibrio della comunità. Manuela rientrò nel soggiorno canterellando. Assurdo. Decise di venire subito al dunque per liberarla al più presto della sua presenza. Manuela le porse un vassoio.
- Assaggia uno di questi biscotti. Li ha fatti la mia domestica, ti piaceranno.
- No, ti ringrazio, Manuela; in realtà devo andare. Sono solo venuta a salutarti.
- A salutarmi? Non capisco.
- Io parto, con Santiago. Abbiamo il volo martedì. Nel frattempo penso che alloggerò altrove. Non vorrei che si ripetessero scene come quella dell'altro giorno. Sarebbe sgradevole per tutti.
- Andrete a vivere insieme?
- Sì, quel che ha detto Paula è vero.
- E i tuoi figli?
- Vivremo nella stessa città. Sceglieremo una casa dove ci sia spazio anche per loro, nel caso vogliano venire a trovarmi.
- Loro lo sanno?
- Li ho chiamati.
- E come l'hanno presa?
- Finché non li vedrò di persona non posso saperlo. Non molto bene. Ma è comprensibile.
- Victoria, hai riflettuto su quello che stai per fare? So che non dovrei immischiarmi nei tuoi affari privati, ma in fin dei conti abbiamo passato molto tempo insieme, in un piccolo gruppo, in un paese straniero... E poi sono più vecchia di te e mi sento autorizzata a dirtelo. Pensaci molto bene. Il vostro matrimonio è durato a lungo, avete dei figli, una condizione sociale invidiabile, certe comodità... Ramon è un uomo molto serio, onesto...
Victoria abbassò lo sguardo. Un'ansia indefinita cominciò a gonfiarle il petto. Manuela proseguì, più tranquilla: - ... questo non significa che Santiago mi sembri un cattivo ragazzo. Certamente è un uomo di valore, attraente, molto capace, Adolfo me ne ha parlato spesso. Ma lo sai com'è sua moglie, così poco equilibrata, così particolare, forse lui ha solo bisogno... insomma, scusami, io...
- Manuela, lo so, so già cosa vuoi dirmi. L'ho pensato anch'io tante volte, certo, è il modo più ragionevole di vedere la cosa, quello che chiunque con un po’ di buon senso penserebbe. Solo che io... io non ho la forza, io...
Non riuscì a finire la frase. Le si spezzò la voce e scoppiò a piangere con un'amarezza che Manuela non ricordava di avere visto mai. La osservò commossa, e provò una pena enorme, un dispiacere infinito che le sgorgava da dentro e di cui non aveva mai sospettato l'esistenza. Era come trovarsi nei panni di Victoria, come se fosse lei a dover lasciare l'uomo di cui era innamorata, innamorata con tutta l'intensità possibile, con tutte le sue forze. Vide all'improvviso quell'amore come qualcosa di fondamentale, superiore, e capì che soffocarlo prima ancora di dargli la possibilità di svilupparsi sarebbe stato per Victoria come perdere il resto della propria vita, perfino di quella passata, sarebbe stato come perdere tutto.
- Non puoi più rinunciare a Santiago, vero? Victoria scosse la testa, tentando di trattenere le lacrime. Allora Manuela la abbracciò e si mise a piangere anche lei, con vero dolore, con un'angoscia infinita, come se fosse protagonista della storia più triste del mondo. E rimasero così per un bel pezzo, strette l'una all'altra a piangere senza un vero motivo, perché né l'una era innamorata con passione, né l'altra pensava che la sua passione l'avrebbe condotta in un abisso.
Rimasta di nuovo sola, Manuela andò a lavarsi la faccia per cancellare i segni del pianto. Poi si incipriò il naso e fece un giro completo della casa per verificare che tutto fosse in ordine. Di solito questo la tranquillizzava quando si sentiva a terra. Ma presto capì che ora non le sarebbe servito a nulla. Cosa le stava succedendo? Il peso che la opprimeva le era del tutto sconosciuto, non si era mai sentita così. Crollò sul divano e si guardò le mani. Per quanto fosse una donna forte e molto giovanile per la sua età, quella parte del suo corpo aveva registrato più di altre lo scorrere del tempo. Era vecchia, più vecchia di quanto fosse disposta ad ammettere. Era vecchia quanto le altre donne della sua età. Il tempo non torna mai indietro. Ora l'angoscia le impediva perfino di sfogarsi di nuovo nel pianto. Tutto si rivelava falso nella sua vita, tutto; perfino suo marito glielo aveva detto. La sua intera esistenza si riduceva a un'opportunità sprecata, si vive una volta sola. Un fallimento totale. Il matrimonio, i figli, la casa, nient'altro che finzioni per dissimulare l'assenza di un grande amore. Lei non sarebbe mai stata amata con la passione che Victoria aveva risvegliato in Santiago.
E quel che più era terribile, non avrebbe mai provato quella passione, sarebbe morta senza sapere cosa fosse. Ormai non ne aveva dubbi, quella era la vera essenza della vita, e chi non ha conosciuto quel sapore può ben dire di essere morto, di esserlo sempre stato. Vivere senza un amore così è come mancare tutti gli appuntamenti importanti dell'esistenza, come non essere stati invitati alla mensa del Signore, come essere esclusi dalla cerchia degli eletti.
Ricominciò a passeggiare per la casa come una leonessa in gabbia. Passò in rassegna le foto di famiglia che aveva portato con sé dalla Spagna, esposte con cura nelle cornici d'argento: i suoi figli ancora bambini, immagini di vacanze sulla neve, lei e Adolfo al tavolo di un ristorante a Parigi, la nipotina appena nata... Quelle fotografie, che rinnovava di tanto in tanto, viaggiavano con lei ovunque andasse. Aveva sempre provato orgoglio, guardandole, ma quel giorno sentì un vuoto assoluto. Perché continuare a portarsele dietro da una città all'altra? Suo marito non la amava più e i suoi figli vivevano benissimo senza di lei. In realtà, ora si domandava se Adolfo l'avesse mai amata veramente. Certo, l'aveva amata, non con una passione divorante pronta ad abbattere ogni ostacolo, ma di un amore di natura pratica e coniugale. E i suoi figli? Se fossero stati educati in un collegio inglese avrebbero ricevuto esattamente le stesse cure che le erano costate tanti sacrifici. Non esisteva essere più inutile di lei in tutto il creato. Il senso di oppressione che aveva nel petto minacciava di farglielo scoppiare. Indossò una giacca leggera e uscì di casa. Vagava per i giardini del villaggio come una sonnambula ma con il passo svelto di chi sta andando in un posto preciso. All'improvviso si trovò faccia a faccia con Dario. Lo guardò come in un'allucinazione.
Dario era stanco morto. Era rimasto sveglio tutta la notte a preparare le buste paga. Il suo primo timore, come sempre, fu che la moglie del capo volesse intrattenerlo su chissà quali progetti. Non era in vena di ascoltarla e pensò che la strategia migliore fosse parlare prima che cominciasse lei.
- Buongiorno, donna Manuela, come sta? Ho un appuntamento proprio adesso con suo marito. Come vede, anche nei giorni di festa bisogna lavorare. Ma non si preoccupi, non sarà una cosa lunga, don Adolfo potrà tornare a casa presto a godersi il suo sabato mattina.
Aggiunse a quelle parole una risata stupida. Ma la signora sembrava non capire. Lo fissava come se non lo riconoscesse. Di colpo, senza motivo, gli prese la testa fra le mani e gli diede un fiero, intenso e prolungato bacio sulla bocca. Lui, terrorizzato, si scostò.
- Ma cosa fa, donna Manuela? E impazzita?
- Magari - disse lei. - Magari.
Poi scosse la testa come se si svegliasse da un sogno e si allontanò quasi di corsa. Dario restò solo in mezzo al giardino, si guardò intorno, preoccupato che qualcuno potesse avere assistito alla scena ed esclamò a voce alta e disperata: - Questo posto è un manicomio, un vero manicomio! Non ne posso più!
Adolfo aspettava nell'ufficio. Quando vide entrare il ragazzo con un'espressione terrorizzata, gli fece pena. Forse aveva esagerato con la severità. Doveva cercare di essere magnanimo. Alla fine tutti commettono degli errori e Dario era sempre stato un impiegato modello. Decise di non essere troppo duro con lui.
- Siediti, Dario.
- Scusi il ritardo, don Adolfo, sono andato un attimo a fare colazione...
- Non ha importanza, ragazzo, due minuti non cambiano nulla.
- Sì, però lo so che è molto seccato...
- Tranquillizzati. Intanto, prima di cominciare devo dirti che sono sempre stato molto soddisfatto di te. Non ho difficoltà a dirtelo. Ma da qualche tempo a questa parte, ragazzo mio, il tuo lavoro risente di una certa disorganizzazione. Perfino di un certo disinteresse, direi. A volte non sei al tuo posto quando dovresti, ci sono dei ritardi... e il più grave è stato questo, con le buste paga. Accidenti, Dario, siamo una squadra, e c'è gente che non ha ricevuto lo stipendio per colpa della tua distrazione!
- Lo so, ingegnere, lo so. E imperdonabile, me ne rendo conto. Per prima cosa, voglio consegnarle il lavoro ultimato, pronto per la firma. Qui ci sono le buste paga. E poi le chiedo scusa con tutto il cuore. Ma c'è un'altra cosa, don Adolfo, di cui devo parlarle. Desidero presentare le mie dimissioni.
- Le tue dimissioni? Come sarebbe, le tue dimissioni?
- Bè, voglio andarmene dal cantiere, signore.
- Ma, ragazzo mio, non so se l'impresa ti concederà una cosa del genere. Il tuo posto in Spagna sarà già coperto, ora.
- Forse non mi sono spiegato. Voglio andarmene dall'impresa.
Adolfo rimase sbalordito. Si preoccupò. Forse erano successe cose che lui ignorava. Tensioni fra i dipendenti, qualche incidente grave...
- Puoi espormi le tue motivazioni?
- Mi è stato offerto un altro lavoro.
E bravo, il giovane Dario! pensò Adolfo. Bisognava davvero essere delle acque chete per cercarsi un altro posto di lavoro da quella distanza e con tanta discrezione. Il suo desiderio di tornare in Spagna doveva essere tremendo.
- Bene, vedo che la concorrenza si muove in fretta. E anche tu. Forse non ti sei trovato bene qui con noi? Hai nostalgia della Spagna? Prima di rivolgerti a un'altra impresa avresti potuto almeno parlarne con me, e con l'ufficio personale. Forse una sistemazione te l'avrebbero trovata, forse avresti potuto perfino ottenere un aumento.
- No, ingegnere, si vede che continuo a non spiegarmi bene. Non intendo passare alla concorrenza, e nemmeno tornare in Spagna.
- Che cosa intendi fare, allora?
- Se mi lascia fare un salto di là, vado e torno in un istante con due birre.
- Fà pure.
Adolfo non amava bere a quell'ora del mattino, ma era così sbigottito che un attimo di solitudine l'avrebbe aiutato a chiarirsi le idee. Quando Dario tornò con le bottiglie si era già ripreso a sufficienza per mostrarsi del tutto tranquillo. Eppure la curiosità lo rodeva. Il ragazzo riempì lentamente i bicchieri. Anche lui aveva bisogno di tempo per pensare a quel che avrebbe detto.
- Vede, don Adolfo, è che io... insomma, lei sa che la mia fidanzata mi sta aspettando per sposarci.
- Sì, certo, lo so.
- Bè, il fatto è che non sono così sicuro di volermi sposare, né con lei né con nessun'altra. Se lo immagina cosa può diventare un matrimonio quando non si ama più la propria moglie fin dal principio? Perché la vita da sposato sarà anche bella quando c'è il sentimento, ma se non c'è... il matrimonio impone una vita pesantissima, e la libertà va a farsi benedire. Tocca pagare il mutuo, non mettere il naso fuori di casa per risparmiare, occuparsi dei figli e accollarsi mille responsabilità... Per poi finire i propri giorni a sopportare in casa propria nipoti, suocera o peggio ancora. Se non c'è il sentimento a ripagare di tutto, io non ci vedo grandi vantaggi, a dire la verità.
- Bah, ragazzo, se la metti su questo piano...
- Non riesco a metterla su nessun altro piano, e guardi che ci ho provato. Non voglio prendere in giro la mia fidanzata, e neanche mentire a me stesso illudendomi per tutta la vita di essere felice quando in realtà non lo sarò. Capisce?
- Capisco. Non sei più un bambino e immagino tu ci abbia pensato.
- Le assicuro che mi è costato prendere questa decisione.
- E quindi rimani in Messico? -Sì.
- Che lavoro sei riuscito a trovare qui?
- Da contabile, quello che ho sempre fatto.
- Presso quale impresa?
- Al Cielito, signore.
- Cazzo! - si lasciò sfuggire Adolfo.
- E un'attività molto redditizia, ma il proprietario è un gran pasticcione con i conti. Vuole che io metta un po’ d'ordine e cominci a pagare le tasse, cosa che non ha mai fatto. Sa che ho esperienza in campo amministrativo e mi ha fatto una proposta. Non mi daranno granché, ma vivrò al locale. Nessun problema di vitto e alloggio, quindi. Per il resto io non ho grandi necessità.
- Bè, certo - balbettò Adolfo.
- Sulla decisione, ovviamente, ha influito anche la presenza delle ragazze. Starò in loro compagnia e... bè, lei non può immaginare quanto mi rendano felice quelle ragazze, quanto affetto riescano a darmi.
- Pensi a una in particolare?
- Penso a tre o quattro in particolare. Io le amo tutte e tutte mi offrono il loro amore senza egoismo, senza neanche farsi pagare. Sono dolci, carine, ingenue, non pretendono nulla da me e non chiedono troppo dalla vita. Lì starò tranquillo: un po’ di lavoro, una siesta, un'atmosfera accogliente... E soprattutto nessun obbligo di fare progetti per il futuro. Con un po’ di fortuna, morirò lì. Non ho altre aspirazioni, questo è il punto. Io non ho aspirazioni, ingegnere. Le sembra sbagliato?
- Cosa vuoi che ti dica, Dario? E dura tagliare i ponti con il proprio mondo, la famiglia, il posto in cui si è nati. Immagino che per fare quello che ti proponi ci voglia coraggio.
- Grazie, avevo paura di quel che avrebbe potuto dirmi. Naturalmente lascerò tutte le carte in ordine, e se avrà bisogno di me per qualche altra settimana, resterò.
Ecco, pensò Adolfo mentre tornava a casa, anche quella mezza cartuccia di Dario aveva preso la sua decisione: mollava gli ormeggi. Quindi non era solo voglia di sesso quel che lo spingeva a tornare continuamente al Cielito, c'era qualcosa di più. Era una follia, certo, un azzardo, che poteva significare mancanza di dignità; ma in fondo, quale uomo non ha mai sognato una volta o l'altra di mandare tutto al diavolo? Quel ragazzo stava dicendo addio alle scomode imposizioni della vita matrimoniale, alle piccole miserie quotidiane, alla schiavitù dei figli e alle responsabilità che questi comportano. Nello stesso tempo, rinunciava a tutti gli aspetti piacevoli di una normale vita familiare: sentirsi padrone della propria casa, pietra angolare di un gruppo umano del tuo stesso sangue... Senza contare le ambizioni professionali; quel giovane dall'aspetto fragile e un po’ stordito si era senza dubbio reso conto che far carriera non è che pura vanità. Di fatto, per quanto un uomo sia competente, non è mai indispensabile in nessuna organizzazione. Se un bel giorno smette di essere produttivo, viene buttato fuori senza tanti complimenti. C'era qualcosa di filosofico nella decisione di Dario. E non perché andare a vivere in un bordello avesse nulla di filosofico in sé, ma per l'accettazione di una vita semplice che il suo progetto comportava. E poi c'era il sesso, la sua vita sarebbe stata semplice ma non monastica, e vivere cambiando donna continuamente era una specie di sogno erotico universale. Quante esperienze e piaceri finisce per perdersi un uomo sposato e vincolato dalle convenzioni? Molti, per non dire tutti! La moglie non è sempre disposta a nuovi esperimenti, e la dinamica stessa della vita coniugale con il passare del tempo porta a un certo disinteresse. Per non parlare del lavoro! La crescita professionale è un vero e proprio inibitore della libido, il più potente che esista: le responsabilità, le riunioni, i problemi quotidiani, le lunghe giornate di stress, le lotte di potere all'interno dell'impresa... In questo caos infernale, un uomo perde ore e ore che potrebbe dedicare al piacere e all'esaltazione dell'amore. Anzi, perde la voglia di fare l'amore, il che segna l'ultimo gradino della decadenza. No, non si poteva affatto dire che Dario fosse matto. E che quella decisione infamasse la sua persona. Anzi, in un certo qual modo, le faceva onore. Malgrado ciò, fra gli uni e gli altri gli stavano mandando a rotoli il cantiere. Ora gli si presentava il problema di richiedere un altro dipendente dalla Spagna, ed erano già due, con Santiago. E una volta che i loro successori fossero arrivati, bisognava aspettare che si ambientassero, che capissero come muoversi, e prima che cominciassero a rendere sarebbe passato qualche mese... Ah, se avesse potuto spiccare il volo anche lui! Ma ormai era troppo tardi, da tempo le ali gli erano state tarpate. A pensarci bene, era come se l'aria del Messico avesse sconvolto tutto il gruppo: Santiago fuggiva con la sua amante, Ramon reagiva con incredibile violenza, Dario faceva quel che gli pareva, e l'americana, che sembrava così per bene, si impicciava dei fatti altrui... Tutti, tranne lui, stavano dando di matto. Lui era il capitano condannato a restare fino alla fine sulla nave che affonda. «Bah, la vita!» pensò, e ricordò gli ultimi dissapori con Manuela. Chissà, a quel punto non sarebbe stato ridicolo né esagerato prospettare un divorzio. Cosa ci avrebbe guadagnato? Poter trascorrere da solo e in santa pace la sua vecchiaia! Potersi occupare soltanto di se stesso senza sensi di colpa, potersi organizzare le giornate come gli pareva, senza dover seguire regole che neanche capiva del tutto.
Provò grande sollievo nello scoprire che sua moglie non era in casa. Andò a prendersi una birra nel frigo. Adesso sì che aveva voglia di bere qualcosa.
Avevano da poco finito di cenare. Henry leggeva un giornale americano seduto in terrazza accanto a sua moglie. La osservò con la coda dell'occhio. Non una parola, non aveva aperto bocca per tutta la sera. C'era qualcosa che non andava, certo, ma chissà cosa. Non sembrava turbata da particolari problemi: le chiamate estemporanee di sua madre erano cessate, non c'erano stati incidenti particolari al villaggio... sembrava avercela proprio con lui. Era corrucciata, e rispondeva alle sue domande a monosillabi, in tono di velato rimprovero. Ormai era diventato uno specialista nell'interpretazione dei silenzi di Susy. Quanta pazienza sprecata, quanta pazienza, mio Dio! Nessuno poteva sospettare quanto gli fossero costati quegli anni di fidanzamento e poi di matrimonio. Aveva sempre sperato che lei finalmente si sarebbe adattata alla vita adulta, e invece perseverava nei suoi comportamenti isterici e infantili. Aveva forse in mente qualcosa di nuovo? No di certo, il problema era sempre lo stesso, eterno, inamovibile, a condizionare tutta la loro vita come una divinità onnipotente. Eppure, oggi sembrava incombere, più insopportabile, più lacerante che mai. La storia d'amore fra Santiago e Victoria senza dubbio influenzava i suoi pensieri, come quelli di altri: la notizia non aveva lasciato indifferente nessuno. Al cantiere si era creato un clima diverso, il lavoro si svolgeva come sempre ma in un'atmosfera di inquietudine nuova, come se un cambiamento imminente li riguardasse tutti. Forse l'irruzione di una passione così intensa in un ambiente pacifico genera una sorta di campo magnetico a cui nessuno riesce a sottrarsi. O forse era solo la curiosità a tenerli tutti in stato di allerta. Quella stessa mattina si era trovato a parlare con Santiago. I loro rapporti erano sempre stati cordiali, e per questo gli parve naturale che volesse dirgli qualcosa sulla sua storia d'amore, non se ne era stupito. «Cerca di giustificarsi ai miei occhi» aveva pensato, ma poi si era reso conto che la ragione di quel discorso era un'altra. Quell'uomo aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, di essere completamente sincero, ma forse cercava anche di metterlo sull'avviso. In realtà, quel che gli raccontava presentava affinità inquietanti con il suo caso: una moglie talmente ossessionata dai suoi problemi interiori che finisce per trascinare il marito nel baratro. Questa era la storia di Santiago con Paula, ma il suo matrimonio con Susan non cominciava a presentarsi sotto questa luce? Era quasi sicuro che Santiago intendesse farlo riflettere. Gli aveva detto: «Non c'è niente da fare, nessuna influenza benefica è sufficiente. All'inizio speri di poterla tirare fuori dal suo pozzo con la pazienza e con l'amore. Poi, quando capisci che niente può cambiare, vivi attanagliato dalla responsabilità, senti di non poterla lasciare sola e diventi il suo protettore di fronte al mondo». Se stava cercando di avvertirlo, non era solo perché aveva colto un parallelismo fra i due casi. Di sicuro Susy aveva fatto delle confidenze a Paula, e questa le aveva riferite a suo marito. Sì, Santiago gli aveva parlato molto chiaramente, in un gesto di solidarietà maschile. Non era un caso che la sola amica di Susy al villaggio fosse Paula. No, erano simili, due donne tormentate per ragioni poco chiare, due nevrotiche che stavano male con se stesse e attribuivano il loro disagio a ragioni esterne, mentre soffrivano di conflitti gravi profondamente radicati nel loro squilibrio mentale. Ed è noto che non si può curare un disturbo psichico di cui l'interessato non è consapevole. Doveva essere onesto con se stesso, quella vicenda gli imponeva di riconsiderare la sua vita con un coraggio che fino a quel momento non aveva avuto. Gli era già capitato di domandarsi: non sono troppo giovane per cadere in una simile trappola? In quei giorni Susan manifestava i primi segni di ribellione contro di lui, ma in fondo gli si aggrappava ancora come una bambina che ha paura del buio.
Quanto tempo sarebbe passato prima che attribuisse a lui la colpa di tutte le sue sofferenze e cominciasse ad aggredirlo senza ritegno? Anche lei subiva la strana influenza della storia fra Victoria e Santiago, ma qualunque fosse la ragione del suo malessere, quel che contava era il risultato, e il risultato era abbastanza preoccupante da farlo dubitare del suo matrimonio.
La guardò di nuovo. E adesso, cosa le succedeva? Perché quel silenzio in cui era immersa da quando era arrivato? Ripiegò bruscamente il giornale e le domandò con voce asciutta: - Qualcosa non va, Susy?
- No.
- Bè, si direbbe il contrario. Da quando sono rientrato non hai aperto bocca.
- Non ho niente di interessante da dire.
- In questo caso puoi dire una sciocchezza normalissima. A me non disturberebbe. Almeno, saprei che sei viva.
- Intendi dire che normalmente dico sciocchezze?
- No, non intendo questo. Desidererei solo che mia moglie mi parlasse dopo una settimana che non la vedo.
- E sei tu a decidere quando si deve parlare e quando si deve star zitti?
- Una coppia è fatta di due persone, Susy, e nel nostro caso io sono una delle due. Immagino sia mio diritto dirti quello che penso.
- E tu pensi che devo parlare anche se non ne ho voglia.
- Basta, Susan, non essere assurda!
- Tu sei assurdo, e tu hai cominciato quest'assurda discussione.
- Esatto! Io ti ho fatto una domanda tremendamente offensiva e tu mi hai dolcemente risposto. È questo quel che è successo, no?
- Lasciami in pace!
Henry si passò le mani sulla faccia, come per liberarsi da una ragnatela. Assunse un tono falsamente tranquillo.
- Ricominciamo, per favore, non ha alcun senso discutere in questo modo. Quel che vorrei sapere, Susy, è se stai zitta perché c'è qualcosa che non va. Questo mi preoccupa.
- Non mi parlare come un predicatore idiota o come se fossi il mio papà! Me l'hai già chiesto se c'è qualcosa che non va, e io ti ho detto di no. Cos'altro vuoi sapere? Devi sempre essere al corrente di quello che sto pensando? Perché ti ostini a proteggermi?
Henry perse il controllo e balzò in piedi. Gridò, paonazzo dall'indignazione: - E proprio questo quel che non voglio, Susan, quel che mi scoccia immensamente, quel che non sopporto più: proteggerti, farti da papà, farti da mamma, sopportare i tuoi sbalzi d'umore, le tue spiegazioni ridicole sui tuoi ridicoli problemi! Dovrai pure una buona volta renderti conto che non sei tu il centro del mondo! Dovrai pure accontentarti di vivere una vita normale e ragionevole come tutti gli altri!
Le loro discussioni non erano mai giunte a un simile livello di violenza, ma se qualche volta vi si erano avvicinate, Susy era sempre scoppiata a piangere. Allora lui lasciava passare qualche minuto e poi correva a chiederle scusa e a coccolarla. Ma questa volta sua moglie non pianse, si alzò freddamente dal divano e fece per entrare in casa.
- Susan! Dove vai?
Lei si voltò e gli sorrise con calma: - L'altro giorno mi sono fatta scopare da un messicano, Henry. Ma scopare davvero, senza amore né altre tenerezze del cazzo. E sai cosa ti dico? Che mi è piaciuto come non mi è mai piaciuto con te. Quindi penso che presto lo rifarò.
Scomparve con movimenti sereni, senza perdere il sorriso. Henry non aveva mai visto sua moglie così padrona della situazione. Forse stava diventando pazzo, ma non aveva la sensazione che lei avesse mentito. Si lasciò cadere sul divano. All'improvviso gli girava la testa, come se avesse bevuto troppo, come se si fosse preso un pugno in faccia senza avere il tempo di reagire.
Non era mai stata in quei quartieri prima di allora. Non sapeva nemmeno che esistessero. San Miguel le era sempre parsa una cittadina pittoresca dove tutti vivevano felici. Sapeva della povertà del Messico, ne aveva sentito parlare, ma non l'aveva mai vista con i propri occhi. Al mercato gli indios erano vestiti semplicemente, ma nessuno di loro sembrava soffrire la fame o avere gravi malattie. Eppure la povertà c'era, Manuela se ne rendeva conto adesso, mentre camminava senza una meta come una zombie. Case sempre più scure e in rovina, strade non asfaltate in cui scorrevano acque nere e pestilenziali, bambini scalzi... Ma perfino di fronte a quello spettacolo, non riusciva a provare pena per quella gente. Può darsi che vivessero col minimo indispensabile, senza possedere quasi nulla, senza cultura, ma almeno tutti loro erano certi del motivo per cui stavano al mondo: la semplice sopravvivenza. Si preoccupavano di mangiare tutti i giorni, di riprodursi e di nutrire la prole. Quelli erano scopi primari, elementari, che non ammettevano dubbi, né scelte, né delusioni. Ma lei, a che scopo stava al mondo? Fino a quel momento aveva creduto di doversi occupare di suo marito, dei figli, di dover diffondere intorno a sé un'armonia conforme all'armonia prestabilita, superiore, emanata da Dio. Ma ora cominciava a rendersi conto che quelle erano pure chimere, favole che vengono inculcate nelle menti delle ragazze per bene. Non esisteva nessuna armonia universale che imponesse regole e valori, ma solo la legge della giungla: arrangiarsi, combattere, stare all'erta per non essere sconfitti. Lei non aveva mai combattuto in nome di niente, né per la sopravvivenza, né per aggrapparsi a qualcosa. Nulla di quel che aveva fatto aveva richiesto coraggio e autenticità. Non aveva conosciuto la fame, né il dolore, né la solitudine, ma nemmeno la gioia selvaggia, la passione, l'ansia di vivere. Tutto nelle sue giornate era accuratamente misurato, niente era vero. La sua vita era come minestra liofilizzata: sulla scatola compariva una lista di ingredienti appetitosi: verdure, pollo, legumi... ma dentro la busta c'erano solo frammenti di materiale indistinto che una volta sciolti in acqua avevano tutti lo stesso sapore. Questa era la sua storia: matrimonio, figli, case, vacanze, tanta allegria quotidiana. E una volta tirate le somme, si ritrovava in mano solo parole senza contenuto. La sua nipotina (solo a pensarci le venne da piangere) non l'avrebbe neppure riconosciuta una volta tornata in Spagna. Eppure, cosa poteva fare per quella piccina? Niente, i suoi genitori l'avrebbero educata come volevano, fregandosene della sua esperienza o della sua voglia di aiutare. Le sfuggirono le prime lacrime. La gente la guardava. Di sicuro si domandavano che cosa ci facesse una signora elegante come lei in quei quartieri, e in lacrime, per di più. Doveva controllarsi ma non ci riusciva. Un bambino molto piccolo che camminava tutto solo in mezzo alla strada si fermò a guardarla. Lei, commossa, si avvicinò e gli accarezzò il mento. Era così bello! Con la pelle scura scura e gli occhi neri come olive. Si guardò intorno. Perché quella creatura così deliziosa in un posto così miserabile? Se avesse potuto, se lo sarebbe portato a casa senza pensarci due volte. Si rese conto dei muri malandati delle case, poco più che baracche lungo un sentiero dove l'acqua stagnava in fetide pozzanghere. Vide anche, per la prima volta nella sua vita, delle catapecchie sulla cui porta brillava una lampadina rossa. Devono essere postriboli, si disse, ci lavoreranno povere donne che si offrono a poveri clienti. Era un posto del genere il locale di cui le aveva parlato suo marito? Non poteva credere che gli ingegneri suoi amici andassero in posti così per bere qualcosa, né che un ragazzo come Dario potesse frequentarli assiduamente. Che miseria di mondo! E non pensava alle questioni morali legate al sesso, ma all'insensibilità che dimostravano gli uomini partecipando dell'ignominia di quelle povere ragazze. E non erano loro i soli a essere insensibili, lo era anche lei, come tutte le mogli del villaggio; tutti erano complici del sopruso che quella gente subiva pur vivendo nella propria terra. Diseredati costretti a servire, a essere sfruttati da stranieri che mettono spudoratamente in mostra il loro denaro, i loro consumi eccessivi, il loro disprezzo per le disgrazie altrui. Dio non li aveva abbandonati. No, lei era una donna attiva, positiva, tenace, e ora sapeva quale sarebbe stato lo scopo della sua vita. Finalmente aveva capito chi aveva bisogno di lei. A quelle persone, perché erano persone, intendeva dedicare tutte le sue energie. Ma non l'avrebbe fatto come prima, esercitando una carità asettica e distante. Basta con gli espedienti frivoli, basta con le feste di beneficenza, ora si sarebbe impegnata veramente, fisicamente, faccia a faccia con la povertà, scendendo lei stessa nel fango. Se l'organizzazione dei cooperanti non l'avesse accolta, avrebbe trovato da sé il modo di giungere nelle case dei poveri, a costo di bussare a tutte le porte del paese. Dar da mangiare ai bambini, somministrare medicine ai vecchi, trasportare sulla sua auto chi non fosse in grado di camminare... No, il lavoro non le sarebbe mancato, questo era certo. Come aveva potuto lasciarsi prendere dallo sconforto all'idea di non servire più a nulla? Dio le indicava la strada, e lei non doveva far altro che seguirla.
Aprì la posta elettronica, ma si rese conto che il computer non era lo strumento idoneo per un'occasione così importante. Doveva scrivere a mano e inviare la lettera con la posta tradizionale. Sarebbe stato il modo più serio e appropriato, senza contare che l'intervallo fra la spedizione e l'arrivo della lettera gli avrebbe garantito una specie di tregua. Era uno stratagemma un po’ infantile, ma data la difficoltà della situazione, un piccolo sotterfugio gli sarebbe stato d'aiuto. Prese carta e penna e cominciò: Cara Yolanda, a volte pensiamo che le cose succedano da sé, o che siamo costretti dagli altri a comportarci in un certo modo, ma non e così, le cose succedono perché noi siamo come siamo, e anche se lo sappiamo non vogliamo riconoscerlo.
Si sarebbe capito quel che voleva dire? Forse l'inizio era un po’ troppo astratto, ma non importava. A poco a poco le sue ragioni sarebbero venute fuori. Continuò, un po’ meno spaventato: Io, per esempio, per molto tempo non ho voluto riconoscere la mia vera natura, e questa e una colpa che ho sulla coscienza. Capita che ci lasciamo trasportare dalla vita, vediamo quello che fanno gli altri e ci sembra che vada benissimo. E va bene, certo, non credere, la vita della maggior parte della gente va molto bene, ma questo non vuol dire che io possa fare come loro. Qui sta l'errore.
Perfetto, neppure Noah Gordon in persona sarebbe riuscito a scrivere in modo più chiaro e conciso.
Io (e scusa se ti parlo solo di me, ma e necessario) ho una mia personalità, come dicono gli psicologi, che e fatta di tante cose: il carattere, l'influenza della famiglia, l'educazione, e perfino i geni. Bè, la mia famiglia non c'entra con quello che sto per dirti, e dì sicuro ci rimarrà malissimo quando lo saprà.
Il fatto e, Yolanda, che non sono fatto per il matrimonio, non mi ci vedo proprio nel ruolo di uomo sposato. Tu dirai che potevo pensarci prima, invece di farti perdere tutti questi anni, però, capisci, le mie intenzioni erano buone. Sono venuto in Messico per guadagnare di più e risparmiare, ed ero perfino contento che tu comprassi quell'appartamento di centoquaranta metri quadri, su cui non hai nemmeno chiesto il mio parere, ma non importa, se me lo avessi chiesto ti avrei detto ugualmente dì sì.
Si stava ingarbugliando un po’ troppo, ma un accenno all'appartamento e alla situazione in cui lei l'aveva messo gli pareva importante. Si accollava ogni colpa della sua decisione, e giustamente, ma non voleva passare per cretino. Riprese a scrivere, socchiudendo gli occhi per concentrarsi meglio.
Insomma, il fatto è che non mi ci vedo per niente a una cerimonia di nozze, anche se questo sarebbe il meno, e non mi vedo sposato, né con te né con un'altra, intendiamoci. Mi sentirei a disagio nella vita di coppia, anche se potremmo divertirci molto nel tempo libero, cosa di cui sono sicuro. E soprattutto non mi sento capace di fare il padre. Avere dei figli e l'ultima cosa che voglio. A un certo punto diventerebbero adulti anche loro e dovrebbero cavarsela da sé, e non vedo cosa ci sia di bello a mettere al mondo altre persone visto lo schifo di mondo in cui viviamo. Ma nemmeno pensare a dei figli piccoli mi entusiasma. I bambini sono pesanti e bisogna sopportarli a ogni ora del giorno e della notte. Il fatto che diano tante soddisfazioni io non lo capisco, non ho mai capito che genere di soddisfazioni siano. E sento di dovertelo dire solo perché so quanto sia importante per te questa cosa dei figli. Insomma, Yolanda, devo chiederti di perdonarmi. Penso che sarebbe tremendo se ci sposassimo e poi le cose non funzionassero e dovessimo separarci con tanto di avvocati, come già certi amici nostri stanno facendo. Sarebbe molto triste.
Non ti chiedo di capirmi, ma di perdonarmi. Forse un giorno, quando sarai sposata con qualcun altro, più adatto di me, mi ricorderai senza rancore. Se la cosa può farti sentire meglio, ti dirò che non ho intenzione di prendere moglie né di vivere con una donna. Intendo rimanere in Messico, forse per sempre, quindi non temere di dovermi incontrare per la strada. Tutto il tempo che abbiamo passato insieme e stato bellissimo e non ti ho mai mentito quando ti ho detto che ti amavo. Potrei perfino dire che ti amo ancora, ma non so se questo basti. Nient'altro. Non odiarmi, per favore. Un bacio.
Dario
Si sentì soddisfatto del risultato. Quella lettera diceva tutto quel che doveva dire senza suonare offensiva, e quasi senza mentire. Sì, era una lettera sincera. Certo, che non intendesse vivere con una donna era solo una mezza verità. Ma come si fa a dire alla propria fidanzata che la si lascia per andare a stare in un bordello con diverse ragazze tutte insieme? No, questo non si può dire, né a voce né per iscritto, nemmeno Noah Gordon ci riuscirebbe. E una cosa che non si può nemmeno pensare.
Gli fece una stranissima impressione dover suonare il campanello di casa propria, ma era così che doveva fare; ormai non abitava più lì. Luz Eneida gli aprì, e senza lasciargli dire una parola, lo abbracciò e cominciò a parlargli precipitosamente, sottovoce.
- Ingegnere, meno male che è arrivato. La signora vuole mandarmi via, pensi un po'. Io non ho fatto niente di male, è sempre andato tutto bene, ma lei non vuole spiegarmi perché. Adesso la gente penserà che non so fare il mio lavoro e non mi vorranno più in nessuna casa. Mi dica lei cosa posso fare. E poi, chi si occuperà della signora? Da quando lei non c'è, se ne sta sempre in camera sua a bere whisky e tequila. E non mangia, signore, non mangia niente.
- Calmati, per favore.
- Ma come faccio a calmarmi? Un momento fa mi ha detto che se mi rivede in casa mi rompe una bottiglia sulla testa...
- Luz Eneida, ti prego di calmarti. Mi occuperò io di tutto. Forse la signora non avrà più bisogno di te, ma parlerò con don Adolfo e di sicuro ti prenderanno in un'altra casa. O magari al ristorante, nelle cucine. Vedrai che da qualche parte un posto te lo troveranno.
- Ingegnere, lei non si ricorderà.
- Ti do la mia parola d'onore. La ragazza rimase pensierosa.
- Se la parola d'onore di uno spagnolo ti può bastare -aggiunse lui.
- Ingegnere...!
- D'accordo, allora. Ma adesso è meglio che tu vada.
- Però...
- Ti spiego quello che puoi fare. Qui hai il mio numero di telefono. Se don Adolfo non dovesse trovarti un lavoro o ci fosse qualche difficoltà, chiamami. Va bene?
Lei scosse la testa, incerta sul valore di quell'aiuto. Alla fine accettò.
- E la signora starà bene quando lei se ne sarà andato?
- Starà bene, non preoccuparti.
- Ingegnere, la ringrazio.
- Lascerò una busta per te nell'ufficio di Dario. Passa a ritirarla fra un paio di giorni. Sarà una gratifica per come ci hai trattati in questi mesi. Sei stata molto brava.
- Il Signore la ricompenserà.
Finalmente la ragazza se ne andò, lasciandosi dietro un piacevole odore di candeggina e cipolle tagliate. Santiago girò l'orologio con il quadrante verso l'interno, per ricordarsi di parlare con Adolfo. Andò in camera da letto. Era sereno, non aveva paura di quell'ultimo incontro con Paula. La trovò sulla poltrona, con un libro fra le mani. Sembrava stesse sonnecchiando. Si era aspettato molto peggio. Lei non trasalì nel vederlo.
- Ah, sei tu! Sentivo la voce di quella stronza di là. Pensavo parlasse da sola.
- Non è una stronza, era preoccupata per te.
- Sei venuto per dirmi questo?
- No, sono venuto per salutarti, e per chiederti che cosa intendi fare.
- Molto gentile da parte tua.
- Come sai, non puoi restare al villaggio.
- Un mese me lo concederanno, no? Anche un operaio, quando lo licenziano, ha diritto a un mese di preavviso.
- Ne parlerò con Adolfo.
- Gli parlerò io. Non sono muta né subnormale.
- Come vuoi. Riguardo alle questioni economiche... lascio a tua disposizione la metà del conto corrente. Poi, finché non sarai in grado di guadagnarti da vivere...
- Preferisco che questi argomenti li trattino i nostri avvocati. Immagino si occuperanno anche delle proprietà. Voglio che si venda tutto, tutte e due le case. Andrò a stare da qualche altra parte.
- D'accordo. Non appena sarai in Spagna, mi farai avere il nome del tuo legale. Il mio numero di cellulare resterà lo stesso.
- Quando parti?
- Domani.
- Certo che hai aspettato fino all'ultimo per venirmi a salutare.
- Avevo molto lavoro.
- Già. Avevi cose ben più importanti da fare che dire addio a quella che è stata tua moglie per quindici anni.
- Credi davvero che valga la pena mettersi a discutere?
- No, hai ragione, non ne vale la pena.
- Paula, voglio che tu sappia...
- No, te ne prego, niente discorsetti finali. Puoi andartene. Il saluto ufficiale è terminato.
- Ciao, Paula.
- Ciao.
Santiago si chiuse la porta alle spalle cercando di non fare rumore. Ma lo scatto, quasi impercettibile, suonò definitivo e lapidario. In quel momento Santiago provò un'amarezza che non aveva provato mai. «Ciao» e basta. Si mise a piangere silenziosamente con violenti singhiozzi. Sentiva vero dolore fisico nel petto. Ebbe paura che le ginocchia non lo reggessero. Doveva fare qualcosa, contenere il dolore come si contiene l'ira. Doveva fare qualcosa di pratico, che lo mettesse in contatto con altri esseri umani. Si ricordò di Luz Eneida. Si diresse quasi di corsa verso il club. Adolfo, probabilmente, sarebbe stato lì. Gli avrebbe parlato della ragazza, lo avrebbe pregato di farla assumere da qualche parte al villaggio. Serrò i pugni, strinse i denti, e avanzò deciso.
Susy uscì di casa di corsa. Una sensazione d'angoscia fortissima la faceva ansimare. Non ricordava di aver mai avuto una lite così violenta con Henry. Si fermò per un attimo, unì le mani a coppa e vi respirò dentro. A poco a poco il suo cuore ritrovò un ritmo normale. Calma, calma, non doveva precipitare le cose. A Henry non piaceva affatto quel che stava succedendo. E cosa stava succedendo? Che la piccola Susy cominciava a sottrarsi alla tutela coniugale. Questa volta faceva sul serio, senza libri di self- help né psicoterapeuti, i cui consigli servono solo a mantenere tutto com'è. Adesso i cambiamenti sarebbero stati radicali. Tutti le avevano mentito, fino ad allora, avevano cercato di tenerla sotto controllo, di non far venire a galla la sua vera personalità. Erano riusciti a ficcarle in testa che il solo modo per vivere è adattarsi. Una ricetta semplice: integrarsi e rassegnarsi, sempre di più. Ma adesso basta, aveva capito che esistevano altri sistemi. Ci si può ribellare, si può scegliere una vita ai margini, si possono rifiutare le regole che sembrano l'unica via di salvezza. Ma per farlo ci vuole coraggio, decisione, forza, e la lucidità necessaria per capire che il futuro è ancora tutto da scrivere, e puoi scriverlo tu, di tuo pugno. Il primo passo da fare, evidentemente, era separarsi da Henry. Per lui non sarebbe stata certo una tragedia, lei non era la moglie che si era aspettato, e nemmeno quella che gli altri si aspettavano. Se prima lo era stata, adesso tutto era diverso. Una persona non è un monolite che rimane immutato nel corso dei millenni. Ognuno cambia, si evolve, subisce vere e proprie metamorfosi. Non siamo fatti di pietra, ma di fragili ossa, di pelle sensibile, di pensieri eterei e volubili. Il suo elemento era l'aria. E si sentiva così, come un vento potente capace di devastare ogni cosa al suo passaggio. La vita cominciava adesso. Mio Dio, aveva rischiato di rimanere intrappolata per sempre nella rete di falsità intessuta da quell'ambiente borghese! Era arrivata a credere che il suo destino fosse il matrimonio, il raggiungimento della tanto decantata maturità, il superamento dei problemi con sua madre. Le avevano messo in testa che non poteva fuggire. Il suo terapeuta glielo aveva ripetuto mille volte: non è possibile sfuggire ai propri fantasmi, bisogna affrontarli. Il fantasma della sua infanzia, della sua debolezza, della sua incapacità di comportarsi da adulta, il fantasma di sua madre. Ma chi era sua madre in quel momento della sua vita? Nessuno.
Ormai per lei non esisteva più. Non ricordava nemmeno che faccia avesse. I fantasmi non sono reali, si manifestano solo quando ci tormentano, ma non appena smettono di tormentarci, non esistono più. Non voleva più vederla, sua madre. O forse no, forse sarebbe andata a pranzo con lei ogni tanto, e l'avrebbe trattata come una vicina di casa, una vecchia conoscenza del passato, con la quale non c'è mai stato niente di profondo ma che nemmeno è il caso di offendere. Una cosa era ben chiara, non avrebbe più risposto alle sue telefonate. Basta. Quelle ridicole e pressanti richieste di aiuto sarebbero rimaste sospese nel cosmo, come detriti spaziali.
Per un attimo la sua stessa euforia la intimorì, ma cercò di non pensarci. Non avrebbe più avuto paura, certo non dei propri sentimenti o pensieri. Si sentiva abbastanza sicura per affrontare qualunque cosa. Il bene e il male erano un'altra bella invenzione che serviva solo a opprimere la gente, a uniformarla, a perpetuare la paura.
Analizzò il proprio stato d'animo. Dal parossismo isterico a cui l'aveva portata la lite con suo marito era passata a uno stato di coscienza quasi esultante. Bene. Era un evento da festeggiare. Pensò che sarebbe stato magnifico andare a bere qualcosa con la sua amica, la sua compagna di avventure, la sola persona al mondo che non l'avesse mai trattata come un orsacchiotto di peluche ma come una donna.
Avvicinandosi a casa di Paula, vide uscire Santiago e indietreggiò. Lui non parve vederla, passò a qualche metro da lei assorto nei suoi pensieri, tetro come se venisse da una veglia funebre. Tanto meglio, si disse, quel tipo aveva fatto di tutto per deprimere la sua amica. Ora l'avrebbe trovata a terra. Meno male che era arrivata lei, a tirarla su. Anche se Paula, sempre al di sopra delle debolezze umane, difficilmente si lasciava abbattere. Forse l'avrebbe ricevuta allegramente, pronta a brindare a una nuova vita.
Suonò alla porta, e un istante dopo Paula le aprì. Le sue supposizioni trovavano conferma: il volto della sua amica non presentava segni di pianto né di tristezza. Si mostrava superiore e stoica come sempre.
- Ah, Susy, sei tu!
- Credevi fosse Santiago, vero? L'ho visto uscire proprio adesso.
- E venuto per l'addio definitivo.
- Ci sei rimasta male?
- Dobbiamo proprio parlarne qui, sulla porta?
- Pensavo che mi avresti offerto qualcosa.
- Entra.
Paula era molto elegante, in pantaloni ampi di lino bianco e una semplice camicetta grigia.
- Accomodati. Cosa posso offrirti?
- Dipende da cosa dobbiamo festeggiare.
- Sei tu che sei venuta a cercarmi. A cosa proponi di brindare?
- Bè, alla tua separazione, oppure al mio cambiamento spettacolare, perché sono cambiata, mia cara, non sai quanto.
- Ah, sì? Interessante, molto interessante.
Paula, voltandole le spalle, si avvicinò al mobile bar e scelse una bottiglia di whisky. Posò due bicchieri sul tavolino e li riempì. Susy si sentì a disagio. Il comportamento dell'amica, che eseguiva quelle operazioni in silenzio, le parve cinico e sprezzante. Ma questa volta era decisa a non stupirsi. Ormai conosceva il suo modo di fare, ci si era abituata, e sapeva che non significava nulla. Non doveva lasciarsi intimidire, presto tutto sarebbe stato diverso. Con lei Paula era sempre diversa che con tutti gli altri. Paula fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere.
- Quindi, sei cambiata. Così, tutto d'un colpo, o dopo lunghe riflessioni?
- Non ho avuto bisogno di riflettere, sai? Ho soltanto capito. E sono cambiata, mi sento un'altra. In questo momento stai parlando con una donna libera, che si sente pronta a liquidare tutti i suoi vincoli.
- Che coincidenza! Allora siamo in due! L'avvenimento merita un brindisi.
Paula si alzò e andò a sedersi accanto all'americana. I bicchieri si toccarono. Poi ciascuna bevve in un sorso tutto il suo whisky.
- Cos'è venuto a dirti Santiago? Che se ne va con quella gattamorta di Victoria?
- Qualcosa di simile. Era il suo addio ufficiale.
- Tremendo, sono tutti uguali! Vogliono sempre dare l'impressione di essere corretti. Avrebbe potuto risparmiartelo.
- Sì, certo, avrebbe potuto avere la delicatezza di sparire e basta. Ma non credere che me ne importi troppo.
- Lo so che sei superiore a queste cose.
- Solo che mi ha annunciato qualcosa di molto peggio che la sua fuga con la gattamorta.
- Che cosa?
- Bè, in un certo senso me lo aspettavo. Che dovrò andarmene di qui il prima possibile. Ho il diritto di vivere al villaggio solo in quanto sua moglie. Quindi, il mio piacevole soggiorno si conclude qui.
- Ma non è possibile!
- Certo che è possibile. Cosa credi? Mi butteranno fuori a calci. Queste case appartengono all'impresa, non a un'associazione benefica. Adolfo, Manuela e tutti quegli ipocriti che mi facevano tanti sorrisi e si preoccupavano per me, adesso saranno ben felici di potermi dire: «Fuori di qui, aria!». Quelli non vedono l'ora di liberarsi di me. Sarò un problema di meno.
- E tu, cosa farai?
- Me ne tornerò in Spagna, dimmi tu cos'altro posso fare.
- E pensi di vivere sola?
- Sola come un anacoreta.
- Allora vengo con te.
Paula girò gli occhi verso l'americana con stizza. E in tono indifferente, le chiese: - Come dici? Non ho capito bene.
- Che vengo con te. Ho deciso di lasciare Henry. Sarà molto meglio per tutti e due.
L'amica non fece alcun commento. Abbozzò un sorriso. Si alzò e versò dell'altro whisky nei bicchieri. Tornò a guardarla. Susy riprese a parlare con entusiasmo.
- Sì, sarebbe bellissimo, una fuga in Spagna. Perché no? Comincerei una nuova vita, completamente diversa. In fondo, la lingua la conosco, potrei trovare lavoro come segretaria o come insegnante d'inglese senza nessuna difficoltà.
- Sul serio saresti disposta ad abbandonare tuo marito?
- D'ora in poi voglio lasciarmi alle spalle tutto quel che può ostacolare la mia crescita, Paula.
Paula la guardava come se non la vedesse, annuendo meccanicamente. Allora Susy si alzò, le si avvicinò, le prese il viso fra le mani e la baciò sulla bocca con decisione. Le spinse la lingua fra le labbra, avidamente, la abbracciò sollevandole la camicetta per toccarle i seni. Dopo un attimo di immobilità, Paula si tese, come un diapason. Staccò da sé le mani della ragazza prendendole per i polsi e le disse, quasi senza fiato: - Ma cosa fai?
- Paula, lo sai, siamo arrivate a un tale livello di intimità che è chiaro quel che sta succedendo. Non c'è bisogno di spiegazioni, né di parole.
Paula fece un passo indietro. Poi tornò verso di lei e le mollò un manrovescio sulla bocca. Fu un colpo secco, ben dato, brutale. La ragazza ricadde a sedere sul divano, sbalordita. Paula era rossa in faccia, aveva gli occhi ridotti a due fessure dall'indignazione. Il mento le tremava.
- Che cos'è che so? Che cosa dovrei sapere, puttanella da quattro soldi? Credi davvero che solo perché ti ho sopportata, solo perché ti ho usata come un cagnolino da compagnia, io provi qualche attrazione per te? Non si può essere così ingenue, così stupide! O pensavi che la scopata con quel tipo fosse qualcosa di speciale? Vattene immediatamente, non voglio vederti mai più! Và a mostrare il culo per la strada, imbecille, chissà che con un po’ di fortuna qualcuno non ti faccia un favore! Susy era rimasta seduta, attonita, con una smorfia d'orrore sul volto.
- Non hai sentito? Fuori di qui, fuori!
Susy si alzò e corse verso la porta cercando di trattenere i primi singhiozzi.
Paula andò nel bagno. Aveva un mal di testa terribile. Un fischio le perforava l'orecchio. Cercò fra i medicinali e scelse una scatola di analgesici. Staccò tre compresse dal blister, impugnò la bottiglia di whisky e la portò alle labbra.
La vide da lontano, seduta su una panca. Giocherellava con le galline nel cerchio d'ombra di un albero. Una ventata di felicità lo scosse dalla testa ai piedi. Corse per arrivare prima da lei. Le galline, spaventate, si dispersero rumorosamente. La abbracciò, stringendola forte. Aveva voglia di ridere, di piangere, di ballare e di spaccare qualcosa come un cosacco. Victoria rimase in silenzio, stretta contro il suo petto. Lui la staccò da sé per guardarla in viso.
- Che spavento, credevo stessi piangendo!
- No, non piango, ma non mi riuscirebbe difficile, a dir la verità.
- Niente pianti, è tutto finito! Hai preparato le tue cose?
- Sì. Chi ti ha portato qui?
- Henry. E ho con me la valigia.
- Io ho già pagato le padrone di casa, le ho salutate.
- Allora andiamo sul portone, Dario non tarderà. È l'ultimo favore che gli chiedo: portarci all'aeroporto. Poco dopo Dario arrivò, perfettamente puntuale, e li condusse fino all'aeroporto di Oaxaca. Rimasero in silenzio per l'intero tragitto, godendo tutti e tre di una gran tranquillità.
Scesero davanti al terminal e Santiago diede una forte stretta di mano al ragazzo.
- Teniamoci in contatto. Non so ancora dove lavorerò, ma ovunque fosse, se tu avessi bisogno di un posto, ti sistemerò.
- Lo sa che intendo rimanere al Cielito.
- Sì, me l'hanno detto. Ma se un giorno dovessi pentirti...
- In parte è grazie a voi due che ho preso questa decisione.
- Sul serio?
- Quando ho visto che eravate decisi a fare quello che volevate pur avendo tutti contro... bè, mi sono detto, la paura bisogna farsela passare.
- La paura paralizza.
- Eccome. Tornerete in Messico?
- Ma certo, certo che torneremo. Grazie di tutto, Dario. Santiago diede un'ultima pacca sulla spalla al ragazzo e Victoria lo baciò sulle guance. Poi si allontanarono con le valigie.
Bene, pensò Dario, quei due hanno ottenuto quello che volevano. Se ne vanno. Ognuno deve pensare a sé, e domandarsi che cosa vuol fare veramente. Lui si sentiva a posto, gli altri potevano dargli pure del mascalzone, ma non gli importava. E nemmeno gli importava di quel che avrebbe risposto Yolanda alla sua lettera. Una parte della sua vita era rimasta indietro.
Una volta preso posto sull'aereo, Victoria guardò Santiago alle prese con la cintura di sicurezza e i giornali che aveva sulle ginocchia. «Chi è quest'uomo?» si domandò. «Sto scappando con uno sconosciuto». Osservò le sue mani maschili, le sue tempie inargentate. «Quest'uomo sarà il mio compagno e non so quasi nulla di lui, non conosco le sue convinzioni profonde, non so nemmeno che cosa gli piaccia mangiare». Ma nulla di tutto questo aveva importanza, era un uomo dalle braccia forti e accoglienti, un uomo che sapeva sorridere e che ricambiava appieno la sua passione. Insieme avrebbero resistito come rocce agli attacchi della vita. Si sentì invadere da un'enorme felicità. Lo abbracciò all'improvviso, gli diede un bacio, rise.
- Ridi? - le chiese lui.
- È divertente essere rapite dal principe azzurro.
- Non ho il cavallo bianco, ma una volta in Spagna provvederò. Ne affitterò uno e ripeteremo il rapimento con tutto il cerimoniale.
- Sarà più pratico affittare un appartamento dove vivere.
- Anche quello. Sei preoccupata per qualcosa?
- No.
- Nemmeno io. So che tutto andrà bene.
- Dio è con noi?
- Puoi starne certa.
Victoria rise di nuovo. Stava scappando con un pazzo, probabilmente. Perfino in quel momento esaltante e decisivo avrebbe potuto stendere una lunga lista di ragionevolissimi motivi che le sconsigliavano quella follia. Ma non le importava. La ragionevolezza non è la sola via verso la felicità. E poi, era fermamente convinta di quel che diceva Santiago, tutto sarebbe andato bene.
Ramon entrò in casa. Lei se ne era andata, per fortuna. Non aveva nessuna voglia di rimanere al cantiere anche quel fine settimana. Terreno sgombro, nessun imbarazzo, finalmente. Fece il giro delle stanze, constatando che Victoria aveva lasciato molte cose sue. Ne avrebbe fatto degli scatoloni e li avrebbe spediti a Madrid. Lei sarebbe passata a ritirarli. Non aveva nessuna voglia di ritrovarsi fra i piedi la sua roba finché fosse rimasto in Messico. In un certo senso, era meglio che la separazione fosse avvenuta in un luogo estraneo. Finito quel lavoro, si sarebbe liberato più facilmente dei brutti ricordi. D'ora in poi la sua vita sarebbe tornata alla normalità: avrebbe lavorato intensamente, come aveva sempre fatto. La donna di servizio avrebbe continuato a occuparsi delle faccende. L'ambiente del villaggio era piacevole, aveva i suoi amici, avrebbe potuto fare sport e frequentare il club. Le sue abitudini non sarebbero cambiate. Perfetto. Presto anche Paula se ne sarebbe andata. Meno male. Vederla aggirarsi al villaggio l'avrebbe innervosito. Era una donna imprevedibile, capacissima, se si fosse ubriacata, di insultarlo davanti a tutti.
I pettegolezzi non lo toccavano troppo. Nessuno poteva dire nulla di malizioso o denigratorio nei suoi confronti, e poi il suo atteggiamento era sempre stato chiaro e dignitoso. Lo sapevano tutti quel che era successo: un uomo con un matrimonio in pezzi per colpa della moglie alcolizzata trova l'occasione giusta per liberarsi di lei e ne approfitta. Tutto qui. Quanto a Victoria... una donna inesperta, ingenua, tutta lavoro e famiglia, si lascia incantare dal primo che le fa gli occhi dolci. Roba da romanzetto rosa: il grande amore, la passione... Figuriamoci, una cosa arrangiata alla svelta. Non sarebbe durata. E se qualcuno la pensava diversamente, non voleva nemmeno saperlo, la cosa non lo interessava. Lui sarebbe rimasto li, uguale a se stesso, a fare quello che aveva sempre fatto. Gli uomini integri e per bene è così che si comportano: fanno il loro dovere e restano al loro posto. Terminato il giro d'ispezione, pensò di telefonare ai figli. Ma poi rinunciò. L'avrebbe fatto un'altra volta, ora voleva godersi la sua nuova tranquillità. Era la tranquillità ciò che più di tutto gli piaceva, e da quel momento in poi l'avrebbe messa al primo posto. Ultimamente la sua vita era stata sconvolta dall'agitazione, dall'incertezza. Quel che doveva fare era riorganizzarsi per riempire il suo tempo di ordine e abitudini serene, un privilegio a cui non avrebbe mai rinunciato. Entrò nel soggiorno e mise un disco di musica classica, a volume moderato. Poi prese alcuni dossier che si era portato dall'ufficio per rivederli con calma e li posò sul divano. Vi aggiunse i giornali della settimana e un libro. Andò al mobile bar e si versò due dita di tequila. O forse era meglio non bere? Le questioni che voleva rivedere non erano complicate, ma forse gli conveniva rimanere sobrio. Sciocchezze! Una dose minima di alcol non avrebbe cambiato nulla. E voleva passare una serata in completo relax, con un bicchiere in mano, avvolto da una musica distensiva. Si sedette comodamente. Assaggiò la tequila. Fuoco corroborante e pieno di sapore, della migliore qualità. Estrasse gli occhiali dall'astuccio e li inforcò. Si mise a leggere, ma subito si interruppe. Si tolse gli occhiali, si coprì gli occhi con le mani e scoppiò a piangere.
Erano le due del mattino, e Manuela non era ancora tornata. Solo in casa, Adolfo era preoccupato. Certo, avevano litigato, forse come mai in vita loro, ma questo non le dava il diritto di sparire senza neanche una telefonata di preavviso. Dove diavolo poteva essere finita? La cosa più probabile era che avesse deciso di passare la notte in casa di un'amica. Strano che non gliel'avesse fatto sapere per non allarmarlo. No, impossibile, di sicuro non era al villaggio. «Maledizione!» mormorò fra sé, «quell'isterica! Alla sua età, addirittura nonna, si dà alle fughe da ragazzina!». E solo per farlo sentire in colpa, per di più. Forse non avrebbe dovuto aspettare tanto a cercarla, ma non gli era neppure passato per la testa che potesse condannarlo a passare la notte in bianco. E adesso, a quell'ora, come poteva telefonare a qualcuno? Le era forse successo qualcosa? Erano in Messico, non a Madrid, e negli ultimi giorni si era parlato del rischio di sequestri. Non sarebbe stata una cattiva idea chiamare la polizia. Eppure, dopo una lite... gli avrebbero riso in faccia. Il marito che telefona per denunciare la scomparsa della moglie... Poteva fare una figura simile? E se fosse rimasta a dormire su un divano del club? No, non era possibile, sua moglie non era tipo da dare adito a pettegolezzi. Doveva aver avuto un imprevisto, era evidente. Ecco, Manuela era in difficoltà e lui se ne stava lì con le mani in mano, capace solo di criticarla. Il solo pensiero lo fece sentire un imbecille. D'impulso, uscì a fare un giro per il villaggio.
Tutto era tranquillo. Il buio era assoluto. Si diresse verso il club. Sembrava chiuso. Ma certo, come diavolo poteva essere aperto alle due del mattino? Passeggiò fra i giardini senza sapere cosa fare. Un pensiero gli tornava in mente, come un'eco: il Messico è un posto pericoloso, pericoloso.
Vide che in casa di Susy e Henry c'era la luce accesa. Sua moglie era con loro? No, impossibile, assurdo. Probabilmente stavano leggendo, o guardando la televisione. In ogni caso non stavano dormendo, quindi non avrebbe disturbato suonando il campanello. Non era nel suo stile chiedere aiuto, ma nemmeno gli capitava mai di essere angosciato, e ora l'angoscia lo prendeva alla gola. Aveva bisogno di parlare con qualcuno. Ma entrare in casa d'altri a quell'ora gli pareva un atto di invadenza imperdonabile, e allarmante. Prese il cellulare e chiamò Henry.
- Adolfo, cosa c'è?
- Niente, non spaventarti. Scusami, lo so che è tardissimo, ma ho visto che da voi c'era la luce accesa, quindi... Insomma, di sicuro è una sciocchezza, ma Manuela non è tornata a casa e sono un po’ agitato.
- Dove sei?
- Qui, vicino alla fontana.
- Ti apro.
- Non se ne parla. Come posso piombarti in casa a quest'ora? Vieni fuori tu, piuttosto.
Un attimo dopo vide Henry scendere i gradini e il suo passo sicuro ed elastico lo tranquillizzò. Un uomo giovane mette tranquillità, pensò, sentendosi vecchio per la prima volta da molto tempo.
- Adolfo, cosa c'è?
- Mi spiace, ragazzo, lo sai che sul lavoro non sono allarmista.
Ma, caspita, queste cose mi fanno dare di matto! Mia moglie è sparita, non dà segni di vita. Comincio a essere preoccupato.
- Al cellulare non risponde?
- Si ostina a non volerne uno. Ho paura che le sia successo qualcosa.
- Calmati. Hai avvisato la polizia?
- Non ho osato. In realtà... bè, Manuela manca solo da questo pomeriggio.
- E dove potrebbe essere?
- Non ne ho idea. Sai, avevamo avuto una discussione. L'americano lo guardò sorpreso. Adolfo, umiliato, si infuriò con se stesso. Un uomo della sua età costretto a raccontare gli affari propri a un ragazzo di trent'anni, un suo sottoposto, oltretutto. Accidenti a Manuela, non gliel'avrebbe fatta passare liscia quando fosse ricomparsa. Basta con tutte le palle sulla diplomazia coniugale, sul rispetto e la tolleranza! Ecco dove stava il problema: aveva rispettato troppo sua moglie, l'aveva preservata da ogni problema, le aveva nascosto la brutalità del mondo, facendosi carico lui di affrontare la dura realtà. Ma non poteva permettersi di montare in collera davanti a Henry, che lo guardava sbalordito.
- Credo che tornerò a casa e mi metterò a letto. È inutile agitarsi. Probabilmente ricomparirà. Se domattina non sarà ancora tornata, allora denuncerò la scomparsa. Rientra pure anche tu, Susy sarà preoccupata.
- No, figurati. Si è chiusa in camera. Dice che non vuole vedermi. E dalle nove che se ne sta lì. Non credo che mi aprirà.
- Perbacco! E cosa le succede? Anche voi avete litigato?
- Non esattamente. Solo che Susy... insomma, non sembra, ma non è facile vivere con lei.
- Con lei? Vorrei sapere con quale moglie è facile vivere! Su, vieni a casa mia, ti offro un whisky. E portati il telefono, caso mai lei si svegliasse. Sedettero l'uno di fronte all'altro sui divani del soggiorno. Adolfo aprì una bottiglia del suo miglior bourbon. Provò un certo sollievo nel vedere il liquore ambrato cadere sui cubetti di ghiaccio.
- Qualcosa sta andando storto, ragazzo. Anche in America è così?
- A cosa ti riferisci?
- A questo disastro del matrimonio, a questa crisi, voglio dire.
- Da noi la gente ha sempre divorziato.
- Sì, ma è come se adesso il disastro fosse generale. Basta dare un'occhiata a questo villaggio!
- Convivere è difficile, Adolfo. Tu che sei sposato da molto tempo lo saprai meglio di me. Non è un luogo comune. Se fossimo più disposti ai cambiamenti, forse sarebbe possibile convivere, ma non lo siamo. Sono giunto a pensare che nessuno cambia mai. Alla fine ciascuno pensa agli affari suoi e non c'è modo di far funzionare la coppia. Anche se ci credevi, anche se hai elaborato strategie razionali per passare sopra a tutto quel che dell'altro non ti piace ed evitare tutto quello che all'altro dà fastidio.
- Questa è una spiegazione, ma io credo che adesso le cose siano andate oltre. Sono le donne, Henry, le donne.
- Pensi che la colpa sia soltanto loro? A me sembra eccessivo.
- No, il problema è che stanno cambiando, che sono già cambiate. Non sopportano più il matrimonio, si sentono frustrate, oppresse, bloccate. A loro non piace più.
- Allora bisognerebbe cambiare il matrimonio, renderlo diverso da come è stato finora.
- Impossibile, il matrimonio è il matrimonio, punto e basta. Serve per formare una cellula economica, un nucleo difensivo, per mettere al mondo figli che appartengano a qualcuno, che perpetuino la proprietà, la voglia di creare qualcosa. Ma alle donne tutto questo non interessa più, si stancano, non accettano il ruolo che tocca a loro. E una rivoluzione, ragazzo mio, ma una rivoluzione che va verso l'anarchia, nient'altro.
- E perché?
- Qui lo dico e qui lo nego, Henry, che non ti venga in mente di ripeterlo in giro. Ma, sinceramente, quali sono i valori importanti per loro? I sentimenti, la libertà, l'amore, il cambiamento, il nuovo, una vita fatta di cose belle, di esplorazioni vaghe... Niente di razionale, niente che possa servire a costruire qualcosa, a dare forma a un mondo, a provvederlo di un motore. Mi si rizzano i capelli in testa alla sola idea del tipo di società che verrebbe fuori se le donne riuscissero a imporre le loro regole.
- Bè, a vederla così...
- Io la vedo così. E per il momento sono ben lontane dall'imporre un bel niente, ma dimmi tu come andranno le cose quando il matrimonio sarà completamente distrutto.
- Non sapevo che fossi così pessimista al riguardo.
- Non lo sapevo nemmeno io, credimi, nemmeno io. Si versarono un altro whisky, e poi altri ancora. Quella discussione teorica sui problemi che li affliggevano riuscì a placarli. Il whisky fece il resto. E rimasero lì, a bere e a teorizzare, finché non si addormentarono, semisdraiati sui divani, esausti dopo la lunga notte. Lo squillo del telefono li ridestò di colpo. Adolfo si precipitò a rispondere. Henry non capiva nemmeno dove si trovasse.
- Don Adolfo, sono io, Dario.
Adolfo guardò l'orologio. Le otto del mattino. Riuscì a parlare a stento.
- Cosa succede?
- Donna Manuela è in casa?
- No, non c'è, perché?
- Ho appena ritirato la posta del villaggio e... bè, hanno portato una lettera che...
- L'hanno sequestrata?
- Così dice la lettera, ingegnere.
I due vigilanti non avevano visto nessuno avvicinarsi alla cassetta della posta durante la notte. Come se quella benedetta lettera fosse arrivata fin lì volando. Sul foglio era indicata la somma richiesta per il riscatto, ma non come e dove bisognasse consegnarla. Tutto ciò sarebbe stato specificato in un nuovo messaggio. Mai Adolfo aveva trovato così inefficiente la polizia locale, così come i vigilanti della colonia e il corpo consolare cui si era subito rivolto. L'intero paese gli sembrava una macchina arrugginita e incapace di muoversi. Fu convocato anche il capo della polizia di Oaxaca.
- Un sequestro politico? No, ingegnere, questi sono delinquenti comuni. Se la signora si aggirava da sola in certi quartieri... Quelli vogliono solo soldi. Non si faccia altre idee, sono poco più che ladri di polli. Tutti gli abitanti del villaggio furono interrogati. Le domande furono le solite: quando avevano visto per l'ultima volta la signora? com'era vestita? era in compagnia di qualcuno? Secondo la polizia i rapitori saranno anche stati ladri di polli, ma non erano così facili da acciuffare. Adolfo si sentiva impotente di fronte a una banda di agenti privi di iniziative, disorganizzati, forse anche corrotti. Sembrava non intendessero fare proprio nulla. E si rese conto, con terrore, che se Manuela fosse scomparsa lui si sarebbe ritrovato completamente solo al mondo.
Henry capì subito che la decisione di sua moglie era definitiva. Tornare negli Stati Uniti per un po’ in modo da pensarci su... No, Susy aveva intenzione di andarsene e non sarebbe più tornata. La crisi che sua moglie stava attraversando gli era sempre parsa necessaria, perfino auspicabile, ma che potesse mettere in pericolo il loro matrimonio non gli era mai venuto in mente. Che cosa stava succedendo nella sua testa? Questa volta non ne aveva idea, Susy si ostinava a non parlare. Metteva in discussione la coppia? Oppure il proprio posto nel mondo? O l'amore in sé? O semplicemente aveva smesso di amarlo? Henry si rendeva conto che era tutto molto triste, ma che doveva aspettarselo. Come poteva pensare che crescesse secondo i suoi piani per diventare la compagna ideale? Se l'aveva creduto era perché stava cercando di manipolarla, o almeno aveva sperato di poterlo fare. Si assumeva questa colpa con molta serenità. Non aveva nemmeno voglia di domandarsi se fosse un errore comune o una deformazione della sua personalità. No, d'ora in poi avrebbe pensato meno ai perché. E avrebbe dato meno importanza alle conseguenze delle sue azioni, visto che comunque erano imprevedibili. Si sarebbe preoccupato meno di tutto. In fondo era arrivato alla fine della relazione con Susan terribilmente stanco. Concepire il matrimonio come un work in progress era un carico eccessivo. E nemmeno vederlo alla maniera di Adolfo, come un investimento, gli pareva una buona soluzione. Forse il matrimonio non si poteva pianificare. Riusciva o non riusciva, a seconda dei casi, o del caso. Eppure era sicuro che si sarebbe risposato, non sapeva bene perché. Forse per avere dei figli. Era ancora molto giovane, e rinunciare a questo gli dava l'impressione di perdersi una cosa importante della vita. Chi poteva saperlo! Tutto era troppo complicato, e insieme troppo semplice. Per il momento si trovava in Messico, per lavoro, e giorno dopo giorno vedeva crescere la diga in costruzione. Questo, e la speranza nel futuro, erano già due buone ragioni per vivere. Non si preoccupava per la sorte di Susy, era sicuro che se la sarebbe cavata. Non aveva idea di quale nuova strada avesse deciso di prendere, ma finalmente la vedeva andare da qualche parte, e questo di per sé era già un bene. In ogni caso, ciascuno è padrone del proprio destino o, se non altro, poterlo credere aiuta ad avere le forze per accettare quel che sta succedendo.
Bel casino era saltato fuori, un caso poliziesco in piena regola! Il suo dramma amoroso era rimasto relegato in secondo piano. Che cos'era un abbandono coniugale in confronto a un sequestro? Per poco non si era persa lo spettacolo. Da quando Santiago se ne era andato lei non apparteneva più alla comunità. Ma aveva deciso di viversi fino in fondo il mese che le era stato concesso. Poi se ne sarebbe andata. Addio, banda di idioti, restatevene pure dove siete! Erano tutti in preda al terrore per la storia del sequestro, c'erano vigilanti a ogni angolo, avvisi di sicurezza ovunque, e tutti erano diffidati dall'uscire. Le madri tenevano i bambini sotto l'ala, dovessero mai perdere i teneri frutti dei loro ventri. Che fosse Manuela la vittima, non la stupiva affatto: quella non stava mai ferma, andava a ficcare il naso dappertutto. Adesso sì che avrebbe avuto modo di fare la carità, le era stata addirittura indicata la somma necessaria. La vita è giusta, alla fine tutto torna, nel gioco del Creatore.
Inoltre, col rapimento di Manuela, nessuno più la guardava quando passava, nessuno aveva motivo di salutarla facendo finta che non fosse successo niente. Lo sapeva benissimo che cosa pensavano: «Te la sei cercata». Ed era vero, se l'era cercata. Invece di quella falsa cortesia, avrebbe preferito che le sputassero in faccia. Ma ora tutto era stato messo da parte in onore di Manuela. Povera Manuela! Lei, che si era sempre data da fare per gli altri! Buonismo, spazzatura morale e ideologica, ma il mondo è fatto così. A quanto pare era stata sequestrata da una banda locale, delinquenti da quattro soldi. Si era saputo che la richiesta per il riscatto non era neppure eccessiva. Poveracci. Che errore, sequestrare Manuela. Di sicuro li avrebbe fatti diventare scemi con i suoi discorsi, avrebbe cercato di riportarli sulla retta via, li avrebbe esortati a comportarsi bene, a rendersi utili alla società. Avrebbe tentato di correggere le loro rozze maniere di sequestratori privi di classe e di educazione. Avrebbe esteso le sue ramanzine alle mogli e ai figli: si comportavano bene? andavano a scuola? seguivano una dieta equilibrata? avevano pensato a quali traumi poteva causare il fatto di avere un padre sequestratore? Dio è eterno e onnipresente, per questo nel mondo impera la giustizia universale. Finalmente Manuela sarebbe stata davvero utile a qualcuno. Le vie del Signore sono infinite, e contorte, ma alla fine ciascuno riceve il suo, e non è detto che sia una punizione. Aveva messo da parte una piccola riserva di whisky e di cocaina per gli ultimi giorni prima della partenza. Così si sarebbe goduta meglio il Messico. Si versò da bere, giusto due dita. La colpa si divide sempre equamente, pensò, non è un liquido che penetra in tutti gli interstizi, ma una materia solida che viene tagliata in porzioni perfette. Ciascuno ne riceve la quantità che merita. A Manuela ne era destinata una fettina piccolissima. A lei no, a lei spettava una fetta bella grossa della torta: aveva mandato in rovina la propria vita con piena consapevolezza. Certo, non era dotata del talento per vivere. Peggio per lei, non avrebbe dovuto avvicinarsi a nessuno, né tantomeno sposarsi. Per questo sono stati inventati i conventi, l'ascetismo, la pazzia. Bisogna saper fallire da soli. Bisogna sapersi assumere le proprie responsabilità, e questo non vuol dire altro che trovare un angolo della propria mente dove nascondere l'orrore che si prova per se stessi. Il problema era che lei, la sua mente, la conosceva già fin troppo bene. E non le era rimasto un solo angolo dove potersi acquattare. Mise via la bottiglia perché lo stomaco le bruciava come non mai. Era come avere un'ulcera delle dimensioni di un vulcano. Aveva bisogno di dormire molto profondamente, perché nessun brutto pensiero la assalisse, nessuna tentazione la turbasse, nessun demonio venisse a danzarle intorno. Ma il sonno non doveva fermarla, no, sarebbe andata sempre avanti, non doveva indietreggiare, mai. Sempre avanti, finché non le sarebbe stato più possibile muovere un passo perché la strada era sbarrata.
Inalò due spesse strisce di coca. Gliene sarebbe rimasta ancora. Andò a lavarsi il viso con l'acqua fredda. Aveva bisogno di farsi bella e di ritrovare la compostezza. Non c'era da preoccuparsi, era ancora molto bella, molto. L'invecchiamento l'avrebbe risparmiata. Non si sarebbe trasformata in una vecchia inservibile come quelle che danno da mangiare ai colombi nei parchi. E nemmeno in una di quelle traduttrici solitarie e amareggiate che finiscono per credere che il loro lavoro sia meglio dell'originale. No, niente di tutto questo. Tutta la vigliaccheria accumulata in anni e anni sfociava nel coraggio, finalmente.
Si vestì con eleganza e si truccò. Poi osservò la propria immagine allo specchio. Aveva un aspetto serio e dignitoso. I vigilanti all'ingresso le avrebbero certamente permesso di uscire vedendola tanto composta e sicura di sé. Il villaggio era diventato una specie di prigione da quando avevano sequestrato Manuela. E l'ansia cresceva di giorno in giorno perché i rapitori non avevano dato nuovi segni di vita. Era contenta di lasciare il paese. L'abbandono di Santiago era stato provvidenziale. I vigilanti le chiesero dove andasse.
- In banca - disse.
Che cosa potevano fare, fermarla? Era quasi mezzogiorno, e nessuno aveva stabilito che fosse proibito uscire. La lasciarono passare. Andò in banca. Prelevò tutto quello che aveva. Santiago, come le aveva promesso, aveva lasciato a sua disposizione la metà del conto.
Camminò decisa per le vie di San Miguel fino al bar. Dentro, regnava come al solito l'oscurità. Fu un sollievo, dopo il sole impietoso della strada, un sole capace di calcinare quel che accarezzava. Il padrone la riconobbe subito, non le sfuggì il brillio malizioso del suo sguardo. Come sempre, due o tre avventori spettrali bevevano negli angoli. Lei parlò, seria e tranquilla.
- Può avvertire Juan, la guida turistica?
- Avvertirlo di cosa, signora?
- Del fatto che sono qui. Lo sto aspettando.
- Lui non abita in questo bar, signora.
Ordinò una tequila, posò qualche moneta sul banco. L'uomo non disse niente, non toccò il denaro. Lei andò a sedersi. Appoggiò la schiena al muro, bevve. Si sentiva bene. Venti minuti dopo arrivò la guida, la sua amata guida, incanaglito, animalesco, freddo come un serpente. Non la guardò nemmeno. Ordinò una tequila al banco, la assaggiò e solo allora si decise ad avvicinarsi al suo tavolo.
- Come va?
- Siediti.
Lui sedette. Aveva sulle labbra lo stesso sorriso cinico di sempre. Lei prese a parlare lentamente, ma con decisione.
- Tu lo sai dov'è la signora che hanno rapito, vero? Non una parola di risposta, non un fremito sulla sua faccia di terracotta. Paula aprì la borsa, tirò fuori il fascio di biglietti di banca e lo posò sul tavolo.
- Non sarai mica stato tu?
- No.
- Però sai chi è stato.
- Qui siamo in pochi.
- Tutto questo è tuo, se mi dici dov'è.
- Si è messa in testa di tirarla fuori da sola?
- Questi non sono fatti tuoi.
- Può darsi che possa dirglielo, ma lei non chiami la polizia, solo il marito, e non dica chi le ha dato l'informazione.
- D'accordo. Sono pericolosi?
- Due disgraziati che non sanno nemmeno da che parte girarsi. Sono morti di paura e questo mi secca. Quando si fa una cosa, bisogna farla bene.
- Dimmi dov'è. Io rimango con te finché non la trovano, a casa tua.
- A casa mia no. La porto in un'altra casa che ho, fuori San Miguel. Lì faremo le nostre cose a letto, fa parte del prezzo.
- D'accordo.
- La tengono i fratelli Alciano, in un casolare. L'unico che c'è, sulla collina del Valle.
Paula prese il telefono, fece il numero di Adolfo. Lui rispose subito.
- Adolfo, sono Paula. Non domandarmi niente. Chiama la polizia. Manuela è nell'unico casolare sulla collina del Valle. Chiamami quando l'hanno trovata, per favore.
La guida le strappò il telefono di mano.
- Basta così. Andiamo. C'è un bel pezzo di strada per arrivare da me.
- Non mi muoverò di qui finché non avrò la conferma che hai detto la verità.
Rimasero seduti a bere per un'ora, due ore, senza parlare. Altri avventori entravano, uscivano. Si cominciò a sentire una musica in lontananza. Finalmente il telefono suonò.
- Signora, le parla il sergente Contreras, del corpo di polizia di Oaxaca. Abbiamo con noi la signora, sana e salva. Mi dica solo dov'è lei.
- Voglio sentire la signora, oppure suo marito. Riconobbe chiaramente la voce di Adolfo, trafelata.
- Paula, grazie a Dio, è andato tutto bene. Manuela è con noi. Ma tu, dove sei?
Lei chiuse la comunicazione. Spense il cellulare. La guida glielo tolse di mano.
- Questo lo tengo io. Su, andiamo. Parcheggiato fuori, c'era il fuoristrada della guida. Salirono a bordo.
- Dammi i quattrini - disse lui.
Lei glieli diede. Si avviarono verso le montagne, sempre più avanti, più avanti. I segni della civiltà sparivano a poco a poco. Non si vedeva altro che il paesaggio del Messico, enorme, eccessivo sotto il sole. In una curva, la guida gettò il telefono di Paula dal finestrino. Lei non batté ciglio. Non c'era nessuna casa di campagna, lei lo sapeva bene. Lasciarono la macchina all'imboccatura di un sentiero, e presero a salire a piedi. Lui la fece fermare sotto un albero che, stretto fra le rocce, formava un rifugio naturale. «Non è la prima volta che questo stronzo porta qualcuno qui» pensò. - Lo vede, questa è la mia casa di campagna, signora. Carina, vero? E adesso ci divertiremo, lei ed io, ma sarà vero divertimento, non come quel giorno. Le lacerò la camicetta. Le succhiò un capezzolo fino a farle male, glielo morse. Aveva la bocca fredda e umida, come una lumaca. Poi la costrinse a inginocchiarsi, si tolse il giubbotto e abbassò lentamente i pantaloni mentre le tratteneva la testa. Ecco, era lì, sotto la cintura, bella e accessibile. Era molto più facile di quanto avesse creduto. Guardò la pistola, la prese. Era il momento di decidere su chi sparare: sul messicano o su di sé? Sorrise felice. L'eco di uno sparo rimbombò fra le rocce e poi ci fu pace.
Non volle essere lasciato davanti al cancello. Chiese al tassista di fermarsi cinquecento metri prima. Avrebbe fatto due passi a piedi. Era ridicolo, con tutte le volte che la gente l'aveva visto al Cielito, proprio adesso gli venivano gli scrupoli. Ma non gli andava che il tassista si fermasse a chiacchierare all'ingresso, né che assistesse all'accoglienza affettuosa che gli avrebbero riservato le ragazze. Una questione di stile. Pagò e si avviò lentamente. Le due valigie non pesavano granché, ma contenevano tutto quel che possedeva. Era sicuro di non aver bisogno di molto altro. Ben poche cose servono davvero per vivere. In tasca aveva l'ultima lettera di Yolanda, il suo addio definitivo. Affrettò il passo. Era quasi arrivato. Una goccia di sudore gli scivolò sulla faccia. Si fermò per asciugarsela e, in quel momento, lo raggiunse il suono di chitarre del Cielito. Questo lo fece sorridere.