- Qualche colpo di sole, niente di più. Non ti piace? Me li ha fatti Conchi, la mia amica parrucchiera, te la ricordi? Secondo lei mi avrebbero addolcito i lineamenti e ravvivato il viso. Lo sapevo che non ti sarebbero piaciuti, a te i cambiamenti non piacciono mai.
Era vero? I cambiamenti non gli piacevano? Yolanda gli parlava come se si fossero visti la settimana prima.
- No, no, invece stai molto bene.
- Davvero? Se non ti piace posso farmeli togliere, di sicuro ci sarà una parrucchiera dalle tue parti.
- Non ci pensare nemmeno. Su, usciamo di qui. Spinsero il carrello dei bagagli fino al parcheggio dove caricarono tutto sull'auto. Una volta al volante, Dario sentì l'odore della sua fidanzata. Sì, era proprio lei. Gli vennero in mente i pomeriggi in discoteca e le notti passate a far l'amore in casa di un amico comune.
- Meno male che non hai cambiato profumo.
- Lo senti?
La baciò sulle labbra e di colpo sentì un prepotente desiderio di arrivare il prima possibile nella sua stanza per spogliarla. Yolanda sembrava felice.
- I tuoi ti salutano. Mi hanno anche dato un pacco per te. L'altro giorno è venuta tua sorella a portarmelo. Erano tutti così emozionati, mi hanno ripetuto mille volte che stavo andando dall'altra parte del mondo. Hanno una gran voglia di rivederti: la tua famiglia, i tuoi amici. Dicono che magari quest'estate faranno una pazzia e verranno tutti a trovarti. Visto che tu non torni mai... Anche i miei genitori mi hanno dato un sacco di regali per te.
Dario la ascoltava come se la sua voce gli arrivasse da lontano. Nulla di quel che raccontava aveva molto senso per lui. Parlava di un mondo che si era lasciato alle spalle e che non gli era facile ricostruirsi nella mente. La sola cosa che voleva era far l'amore con lei.
- Ci sarà una cena, stasera?
- Sì, mi dispiace, magari tu ti eri fatta l'idea di passare il Natale insieme, noi due soli, e invece è stata organizzata una cena di gala con tutta la gente del villaggio. Non possiamo proprio sottrarci. Speriamo solo di riuscire ad andarcene presto.
- Ma perché dici così? A me fa molto piacere, invece! Ti dirò di più: me l'ero immaginato che ci sarebbe stata una festa, e così ho comprato un vestito per l'occasione. E una meraviglia, poi vedrai. Voglio conoscere tutti e vedere dove stai.
- Non aspettarti chissà cosa. Io sono solo, non ho una vera casa, solo un ufficio e una stanza. E abbastanza grande, ma di lussi non ce ne sono.
- Nelle foto che hai mandato sembrava un posto elegantissimo.
- Quello sarà stato il club. Anche le case degli ingegneri sono belle. Il resto è molto alla buona, anche se non c'è da lamentarsi.
Per fortuna, al momento di parcheggiare non incontrò nessuno. L'ufficio e la stanza erano attigui, Dario li mostrò entrambi alla fidanzata: la scrivania, i libri che leggeva, fra i quali i romanzi di Noah Gordon occupavano il posto d'onore. Yolanda posò le valigie accanto al letto e cominciò a guardarsi intorno. Aprì la finestra.
- Certo che la tieni un po’ spoglia la tua stanza... Non hai nemmeno un soprammobile.
-C'è una tua foto sulla scrivania.
- Meno male!
Dario la abbracciò, cominciò a baciarla dietro l'orecchio, con il respiro già affannoso. Yolanda si scostò lievemente.
- Cominciamo a quest'ora? E pieno giorno. Sei sicuro che non arrivi nessuno?
- Credo di no.
- Pensavo che mi avresti portata a visitare il villaggio.
- Dopo.
Dario la spinse dolcemente sul letto, la spogliò, la guardò. Ormai era abituato alle ragazze del Cielito, e il corpo della sua fidanzata gli parve terribilmente pallido. Si tolse i vestiti in fretta. Yolanda lo guardava sorridendo.
- Non sei cambiato per niente, eh? L'essenziale prima di tutto.
- Com'è giusto che sia... - rispose lui, restituendole il sorriso.
Fecero l'amore con precipitazione, lasciando risuonare nell'aria gemiti e sospiri. Poi rimasero sdraiati sul letto, uno di fianco all'altra, in silenzio. Yolanda si tirò su e rimase immobile, appoggiata sul gomito, a guardarlo negli occhi.
- Mi ami ancora?
- Non l'hai appena constatato?
- Dario, devo dirti una cosa importantissima. Dario si spostò per poterla vedere meglio.
- Cosa c'è?
- Ho versato la caparra per un appartamento.
- Cosa?
- Hai sentito bene.
- Come ti è saltato in mente?
- Era un'occasione da non perdere; sono appartamenti bellissimi, li costruisce la banca dove lavora mio zio. Le condizioni del mutuo sono molto favorevoli. E poi quello che ho scelto io è di centoquaranta metri quadrati, i materiali sono di gran pregio. Possiamo farcela benissimo, ho fatto un po’ di conti e con quello che risparmi tu, più quello che risparmio io...
- Ma, Yolanda, io credevo che di questo ci saremmo occupati al mio ritorno - disse Dario in tono glaciale.
- Se avessi aspettato il tuo ritorno, avrei perso l'occasione. Ho portato un mucchio di foto per fartelo vedere. Mancano le rifiniture, così puoi sceglierle anche tu, sui cataloghi in internet.
Dario rimase zitto. Era profondamente infastidito, non sapeva cosa dire. Saltò giù dal letto e si accese una sigaretta. Yolanda divenne seria di colpo.
- Dario, se non vuoi partecipare all'acquisto non hai che da dirlo. Lo compro a nome mio e lo tengo per me. I miei genitori sono disposti ad aiutarmi, anzi, ne sono felici. Capisci che non posso passare tutta la vita in affitto o a casa dei miei. Voglio una casa tutta mia.
- Non è questo Yolanda, non te la prendere. E solo che mi pare un po’ affrettato.
- È un mese che ho firmato il compromesso, ma volevo tenere in serbo la sorpresa per quando ti avrei visto. E la sorpresa non ti va giù.
- Ma no, tesoro, va benissimo. L'abbiamo sempre detto che quel che avrei guadagnato in questi mesi doveva servire per la casa. Quindi, se questo appartamento ti piace tanto... meglio prima che poi. Davvero.
- Vuoi vedere le foto?
- Sì, dai, fammele vedere.
Yolanda aprì la valigia e tirò fuori una vestaglietta a fiori, la indossò, poi prese una cartellina e la porse a Dario.
- Guarda, le ho scattate io, ero così contenta... Dario scorreva le foto una dopo l'altra; nient'altro che stanze vuote, muri e pavimenti.
- Avvertimi quando arrivi alla cucina.
- Eccola.
- Pensa: piastrellata fino al soffitto, mobili in legno massello e piano di cottura in vetroceramica. Non è uno spettacolo?
- Sembra fatta molto bene.
- Io ne sono entusiasta.
- Se ti entusiasma tanto vuol dire che è veramente un bell'appartamento.
- Oh, finalmente, pensavo che non lo avresti mai detto!
Gli si buttò addosso e gli coprì il viso di baci, poi balzò in piedi e si mise a saltare per la stanza come una bambina.
- E ora usciamo di qui. Voglio vedere tutto!
- Purtroppo non potrò dedicarti molto tempo, oggi mi tocca fare una cosa talmente idiota...
- Che cosa?
- Travestirmi da Babbo Natale per i bambini del villaggio. La moglie del capo vuole che sia io a distribuire i regali.
- Ma è stupendo! Vuol dire che si fida di te. Bene, così avrò tutto il tempo per prepararmi. Metterò il vestito nuovo. Nessuno dovrà pensare che la tua ragazza è una poveretta.
- Nessuno lo penserà, te lo assicuro.
Alle nove, quasi di nascosto, Victoria uscì a fare una passeggiata nei giardini. Ramon era sotto la doccia, e lei avrebbe dovuto vestirsi per la cena. Ma aveva voglia di camminare. I giardini erano deserti, tutti si stavano preparando per la festa. Victoria si allontanò dai viali illuminati, e così, senza essere vista, osservò la vita che ferveva nelle case degli altri. Giungevano fino a lei frammenti di canzoni e voci, strilli di bambini. Un tempo anche casa sua era stata così, un luogo sicuro, separato da tutto, un rifugio dove solo i suoi cari avevano il diritto di vivere. La notte, quando girava la chiave nella serratura, aveva la sensazione di chiudere dentro casa tutto ciò che contava. Il mondo di fuori non cessava di esistere, ma le appariva come una minaccia più che come una promessa. Suo marito e i suoi figli erano lì, nella cassaforte degli affetti. Eppure, quell'impressione di tesoro messo al sicuro, di completa armonia, di clan coeso, era svanita senza che lei neppure se ne accorgesse. A poco a poco, i membri della famiglia si erano allontanati da quel caldo nucleo comune. E ora anche lei era pronta a prendere il volo demolendo completamente il poco che ancora rimaneva. I ragazzi avrebbero continuato la loro vita, ma Ramon, che cosa avrebbe fatto? Sarebbe bastato il lavoro a riempirgli l'esistenza, quando lei se ne fosse andata? Per il momento sembrava gli bastasse. Victoria ebbe un fremito, pensando al momento in cui avrebbe dovuto dirgli: «Mi sono innamorata di un altro e vado a vivere con lui». Pensò al momento in cui avrebbe pronunciato il nome di Santiago. Pensò al giorno in cui tutti avrebbero saputo che lei se ne andava con un altro. Eppure desiderava stare con Santiago, era la sola cosa che davvero desiderasse: stare al suo fianco.
Scacciò dalla mente quei pensieri insopportabili e tornò alla realtà della sua passeggiata. Il Natale in Messico. Era strano, tutto era strano. Come se la vita che stava vivendo non fosse più sua. Osservò le decorazioni natalizie sistemate da Dario. Sorrise. Povero ragazzo costretto a fare un po’ di tutto. Le venne in mente che proprio Dario era stato complice del suo amore trovando la stanza per quegli incontri clandestini. Ecco il dolore che tornava. Ma si era fatto tardi, doveva rientrare. Camminando, continuava a ripetersi: «Tutto si sistemerà».
- Crede sia proprio necessario, donna Manuela?
- Ah Dario, quante volte te lo devo dire? Faresti perdere la pazienza a un santo!
- Ma mi guardi! Ho paura che sia controproducente per i bambini. Se qualcuno dovesse ancora credere a Babbo Natale, di sicuro gli passerà la voglia appena mi vedrà.
- Tu non ti preoccupare. E poi stai benissimo. Anzi, ho idea che con un altro cuscino sotto la giacca saresti perfetto. Sei talmente magro! Siamo sicuri che mangi abbastanza? Quando sei arrivato al villaggio non eri così.
- È la mia natura.
- Certo - disse Manuela guardandolo con malizia. Se avesse potuto parlare, avrebbe avuto un paio di cose da dirgli sulla sua natura. Gli porse un altro cuscino e Dario se lo infilò nei pantaloni senza il minimo entusiasmo.
- E la tua fidanzata? Come mai non è venuta ad assistere alla vestizione?
- Si sta preparando anche lei per la festa.
- Ti rendi conto? Sono tutti elettrizzati per la serata, tranne te.
- Sì, perché solo io devo andarci vestito da scemo.
- Scemo? Dovresti sapere che fare Babbo Natale per i bambini è considerato un privilegio negli ambienti più esclusivi. Mio marito sarebbe stato felice di farlo lui stesso, se avesse potuto rientrare un po’ prima.
- Bè, io non ci vedo nulla di bello, mi spiace dirlo ma è la verità.
- Sarai ricompensato, non farmi dire di più, è una sorpresa.
- Ma io non le chiedo nulla, donna Manuela, solo che...
- Vuoi tacere una buona volta? Devo metterti la barba e se continui a parlare finirai per romperla.
- Quindi non potrò parlare con quella roba addosso?
- Non vedo perché tu debba parlare.
- E cosa dovrei fare con i bambini?
- Distribuire i regali e farti una bella risata ogni tanto, più sonora è meglio è. Ma non l'hai mai visto Babbo Natale?
- La mia famiglia è piuttosto tradizionale. Abbiamo sempre festeggiato l'Epifania.
Ti ha rovinato per bene, la tua famiglia tradizionale! pensò Manuela. Se quella povera ragazza appena arrivata, così carina, oltretutto, avesse saputo con che razza di puttaniere era finita, probabilmente si sarebbe risparmiata un viaggio così lungo. In fondo c'era solo da sperare che Dario, una volta sposato, mettesse la testa a posto e si dedicasse alla famiglia senza protestare per tutto, come stava facendo ora. Nessuno avrebbe potuto accusarla di non essere comprensiva. Sapeva bene di chiedere al ragazzo un favore che non rientrava nelle sue mansioni. Infatti ne aveva parlato con suo marito, in modo che fosse ricompensato per i servizi extra con un soggiorno in un albergo di Oaxaca per lui e la fidanzata. Dopotutto, cosa ci facevano due ragazzi come loro nell'ambiente familiare del villaggio? Inoltre, la stanza di Dario era priva di comodità, poteva andar bene per lui, ma per una donna... Senza contare che se Yolanda alloggiava con lui, tutti al villaggio avrebbero saputo che quei due condividevano lo stesso letto. Questo avrebbe potuto metterli in imbarazzo. Certo, i giovani non danno importanza a questo genere di cose, ma è pur vero che la gente semplice ha una mentalità più ristretta, e teme i giudizi. In ogni caso, con quel regalo parecchi problemi sarebbero stati risolti. Si allontanò di qualche passo dal suo Babbo Natale per valutare il risultato.
- Nel complesso, non vai affatto male. Facciamo una prova: ridi, voglio vedere se i baffi tengono.
Dario corrugò la fronte sotto le sopracciglia di cotone. Sospirò, per non perdere la pazienza, poi scoppiò in una risata in tre tempi. Manuela era sul punto di scoppiare a ridere anche lei, ma si trattenne per non demoralizzarlo.
- Bene, Dario, benissimo! Sembri Santa Claus in persona!
Gli diede una pacca di incoraggiamento e lo lasciò lì, soddisfatta del suo lavoro. In fondo, nessuno è perfetto, si disse. In realtà, la risata delle iene, nei documentari del «National Geographic», suonava molto più gioviale.
Aveva speso un occhio della testa per fare bella figura. Solo il vestito, le era costato mezzo stipendio. Purtroppo era in Messico, se fosse stata in Spagna si sarebbe affidata a una truccatrice professionista. Nulla le sembrava abbastanza per quell'occasione. Alla cena avrebbe incontrato il capo di Dario e tutti gli ingegneri dell'impresa con le loro mogli. Nessuno doveva pensare che la ragazza di Dario era solo una povera commessa. Dovevano rendersi conto della sua bellezza e del suo stile innato. Fra le sue colleghe del supermercato, nessuna poteva vantare un fisico come il suo, e nessuna aveva un ragazzo con una posizione simile. Erano tutti meccanici, idraulici, operai. Non avevano a che fare con gente importante, come invece capitava quotidianamente a Dario.
Aveva raccolto i capelli in uno chignon, un'acconciatura complicata che aveva provato più volte con l'aiuto della sua amica parrucchiera. Sua sorella Sonia, che aveva due anni più di lei, le aveva prestato gli orecchini delle nozze, due cerchi con minuscoli brillanti. Il vestito era rosso, ma non di un rosso sgargiante e volgare. Aveva scelto un tono scuro, intenso, come quello del sangue. Prima di avviarsi verso il club, si guardò allo specchio. Era bella, perfettamente all'altezza della situazione, elegante, degna di prendere parte non soltanto a quella cena, ma a ricevimenti ancora più esclusivi.
Non appena varcò la soglia del salone, si rese conto che tutti gli sguardi erano puntati su di lei. Invece di sentirsi intimorita, volle godersi appieno quel momento. La moglie dell'ingegnere capo le venne incontro e le presentò gli ospiti sparsi per la sala, in piedi, ciascuno con il suo calice di champagne. Yolanda salutò tutti con una stretta di mano, come aveva visto fare in televisione. Poi servirono champagne anche a lei, e a quel punto venne il momento più difficile: doveva parlare con qualcuno. Ma rimase sola per poco, subito alcune delle signore le si avvicinarono e attaccarono discorso. Le spiegarono che i bambini stavano già cenando, nella saletta accanto. Poi sarebbero venuti tutti nel salone, dove Babbo Natale avrebbe distribuito i regali. Alla fine, quando le domestiche li avessero riportati a casa a dormire, sarebbe cominciata la cena degli adulti. Per ora, la sola cosa da fare era conversare e bere champagne. Yolanda pensò che doveva fare attenzione a non esagerare, non poteva permettersi di finire la serata biascicando sciocchezze. Guardò le signore più in là con gli anni, le mogli degli ingegneri. Soltanto una era più giovane delle altre, una bella ragazza bionda con un forte accento straniero che l'aveva salutata con simpatia. Anche le altre erano belle, vestite in modo semplice ma indiscutibilmente con stile. Quella che le avevano presentato come Paula sembrava un po’ stramba, provocatoria e aggressiva. Non l'aveva salutata con due baci sulle guance, come avevano fatto le altre; le aveva solo stretto la mano con un sorriso beffardo. Gli uomini erano piuttosto in forma, e malgrado la pelle tostata dal sole non era possibile confonderli con semplici operai. Parlavano tutti a voce bassa. Sembravano molto distesi, come se la festa non li toccasse affatto. Proprio come aveva immaginato: in quegli ambienti le persone non dimostrano mai il loro stato d'animo; perfino quando si divertono si comportano esattamente come quando si annoiano. Doveva consistere in questo la famosa «classe» di cui Yolanda aveva tanto sentito parlare. L'atmosfera le piacque. Pensò che con una vita così comoda chiunque avrebbe imparato in fretta ad avere «classe»; nessuno dei presenti aveva dovuto preoccuparsi di fare la spesa o cucinare. I bambini, che in quelle occasioni sono sempre un problema, cenavano in un'altra stanza, sorvegliati dalle domestiche, e quando avrebbero ricominciato a dare fastidio, gli adulti se li sarebbero tolti di torno nel modo più civile possibile. Nulla a che vedere con le cene di Natale in famiglia che conosceva. A casa sua, tutti erano costretti a stare ammassati in sala da pranzo, con figli e nipoti, neonati compresi, che strillavano e rompevano le scatole dall'antipasto al dolce. Aveva sempre detestato quelle serate, e ora capiva perché. C'erano altri tipi di cene, e un giorno anche lei. avrebbe festeggiato così le ricorrenze. L'appartamento che aveva comprato era grande, ma sarebbe stato solo un punto di partenza. Nel giro di qualche anno, lei e Dario si sarebbero trasferiti in una zona residenziale, in una casa con giardino. Lì, avrebbero organizzato barbecue e festicciole per gli amici. Fra tutti e due, i soldi non sarebbero mancati. Dario aveva buone probabilità di fare carriera nell'impresa, ormai era ben considerato ed era anche molto giovane. Lei stava per essere promossa responsabile di reparto, e un giorno sarebbe diventata responsabile di filiale, sempre che un supermercato della concorrenza non le offrisse una posizione migliore con stipendio adeguato. Sul lavoro era considerata efficiente, educata e di bella presenza. Non occorreva molto altro per fare strada. Certo, erano tempi in cui la competizione non rendeva le cose facili sul lavoro, ma era anche vero che pochissime persone sapevano impegnarsi come lei. Il mondo era pieno di immigrati che capivano le cose male e tardi, che non si sforzavano per migliorare. Lei e Dario ce l'avrebbero fatta, ne era certa; con pazienza e tenacia, ma ce l'avrebbero fatta. E a quel punto la loro vita sarebbe stata esattamente come quella che vedeva ora intorno a sé, esattamente così.
All'improvviso fece la sua comparsa nella sala una signora di mezz'età con un vestito argentato molto appariscente, e un diadema, anch'esso argentato, che sarebbe stato meglio sulla testa di una ragazza. Susy gettò uno sguardo su sua madre, coperta d'argento dalla testa ai piedi come la regina del Perù, e pensò: «Bene, è arrivata la protagonista assoluta; se non lo è ancora, lo sarà molto presto». Non si sbagliava, la signora Brown accentrò l'attenzione fin dalla sua entrata in scena. Attaccò discorso con tutti gli ospiti che le venivano presentati, nessuno escluso. Ricordava perfettamente quel che sua figlia le aveva detto di ciascuno, e se ne serviva a scopo adulatorio: «Ah, Manuela! La donna in grado di organizzare da sola un'intera Olimpiade!», «Paula! Se non sbaglio è lei che deve vedersela con il terribile Tolstoj». «Brava, mamma, sei già riuscita a ottenere un discreto consenso generale, continua così» pensò Susy. Conosceva alla perfezione lo sbalorditivo arsenale di abilità sociali di cui sua madre si serviva. In un primo momento la trovavano tutti straordinaria. Così il ragno attirava le sue prede. Se poi una di queste commetteva l'errore di ritenerla sua amica, si ritrovava avvolta in una ragnatela di lamentele, piagnistei, richieste d'aiuto, dimostrazioni di squilibrio mentale. Susy ne era disgustata. Quella donna che parlava con tutti e sorrideva sicura di sé, era la stessa che aveva rovinato la vita a suo padre e ad altri uomini dopo di lui; la stessa che una volta aveva telefonato urlando a uno psichiatra nel cuore della notte, la stessa che ingoiava tranquillanti sotto gli occhi della figlia scongiurandola di restare con lei, di non andarsene dalla sua stanza finché non si fosse addormentata. Una donna debole, isterica, incapace di vivere in modo dignitoso, di invecchiare dando un senso alla propria vita. Susy bevve tutto lo champagne in un solo sorso. Paula, vedendola da lontano, alzò il calice e la imitò. «Salute, piccola americana» pensò, «beata te, che disponi di ossessioni concrete, visibili e riconoscibili senza la minima difficoltà». Le si avvicinò sorridendo, e Susy non poté non apprezzare la sua compagnia. Le disse in un orecchio: - Guardala, la regina del glamour.
- Sì, lo vedo. Una performance favolosa! Comincio a sospettare che tu ti lamenti tanto per fare. Come può una signora così affascinante essere la strega brutale di cui parli? Non sarai tu la figlia malvagia?
- Non ho mai detto che sia brutale. Lo sarei io con lei se ne avessi il coraggio.
- Che cosa faresti? Le diresti che per te non è altro che una vecchia e patetica vacca?
- Credo che preferirei la brutalità fisica.
- Un sonoro ceffone alla Gilda?
- Una scarica di cazzotti da cambiarle i connotati. Paula scoppiò in una risata. Trovava buffo il modo assolutamente corretto e disinibito con cui Susy usava certe espressioni.
- Non preoccuparti, assumeremo un sicario, non dev'essere complicato. Ma a questo punto, perché non l'ammazzi? Un semplice pestaggio sarebbe uno spreco di soldi.
- Hai perfettamente ragione.
Susy adorava l'umorismo di Paula. Non scadeva mai in luoghi comuni, invitandola ad accettare sua madre. Anzi, appoggiava divertita i suoi istinti sanguinari. Susy sentì di avere una complice perfetta. Finalmente i bambini entrarono nella sala, seguiti dalle domestiche vestite a festa, paonazze per lo sforzo di tenere a bada tutti quei frugoletti eccitati dall'occasione. Gli adulti esplosero in leziose esclamazioni di benvenuto. I piccoli procedevano tutti in fila, in allegra e ansiosa processione, guardandosi intorno come se non conoscessero nessuno dei presenti. Eppure nessuno andò a rifugiarsi sotto le gonne della mamma. Erano stati perfettamente istruiti: dovevano sistemarsi ai piedi del grande albero di carta che dominava la sala. Manuela, incantata dallo spettacolo, corse a impartire ordini affinché i bambini formassero un gruppo compatto per le fotografie. Una volta che furono sistemati, comparvero numerose macchine fotografiche. I genitori, estasiati, non la finivano più di immortalare l'incantevole scena. Subito dopo fece il suo ingresso un panciuto Babbo Natale agitando una campanella. Manuela gridava, esultante dalla gioia: «Bambini, guardate! E venuto a trovarci Babbo Natale!». Fra gli uomini presenti non mancarono i sogghigni. Anche quando arrivò nelle vicinanze degli ingegneri sfuggirono commenti. Ramon disse, con voce perfettamente udibile: - Quel Babbo Natale lì, di regalucci ne distribuisce parecchi anche in un posto che so io; e scommetto che certe bambine ne sono ben felici.
La risata fu generale. Perfino a Dario, nonostante il malumore, scappò da ridere sotto il cotone che gli nascondeva il volto. Ma Santiago venne in suo aiuto: - Volete stare zitti? C'è la sua fidanzata.
Quando Babbo Natale cominciò a distribuire caramelle e giocattoli, il chiasso fu generale. Santiago ne approfittò per avvicinarsi a Victoria e sussurrarle in un orecchio: - Esci un attimo in giardino. Nessuno se ne accorgerà. Lei, nervosa e intimorita, lo seguì con lo sguardo. Lo vide sparire dalla scena e, un attimo dopo, gli andò dietro. Mentre passava fra i cespugli del giardino, lui sbucò dall'ombra facendola trasalire. Poi la attirò nel folto e la baciò.
- Non resistevo un minuto di più senza poterti toccare.
- Dobbiamo rientrare Santiago, è troppo pericoloso.
- Forse è il momento buono per svelare tutto.
- Ma sei matto? No, così no.
- Baciami, Victoria, baciami.
Si cercarono la bocca avidamente; poi, di colpo, Victoria si divincolò da quell'abbraccio. Lui la trattenne ancora per un attimo.
- Martedì a mezzogiorno ti aspetto alla casa, verrai amore mio?
- Sì, verrò.
Mentre Victoria si allontanava, Santiago la chiamò, badando a non alzare il tono di voce.
- Victoria! Mi ami?
- Più di qualunque cosa al mondo.
- Ne sei sicura?
- Certo.
Victoria rientrò alla festa, dove i bambini stavano ancora aprendo i regali fra le esclamazioni e gli applausi di tutti. Era turbata, il cuore le batteva forte. Suo marito, ridendo, aiutava Babbo Natale con gli ultimi pacchetti. Non sospettava nulla. A quel pensiero, si sentì spregevole. Inorridì all'idea che presto lui avrebbe saputo tutto. Era ancora incapace di accettare quella situazione come una cosa reale. Vide Santiago entrare nel salone e lo seguì con la coda dell'occhio. Sembrava assolutamente tranquillo. Si diresse verso il tavolo delle bevande e chiese un whisky al cameriere. Aveva modi calmi, del tutto naturali. Poi si spostò verso il centro della sala per unirsi al momento di festa con i bambini. Sorrideva. Victoria pensò che la serenità di quell'uomo sfiorava il cinismo. Era davvero tutto così semplice per lui? Forse no, ma certo più di quanto non lo fosse per lei. Santiago non aveva figli e il suo matrimonio era in pezzi. Quando avesse confessato a Paula di volersene andare, probabilmente entrambi si sarebbero sentiti sollevati. Nulla a che vedere con il suo caso, proprio nulla.
Le domestiche riportarono a casa i piccoli esagitati. Babbo Natale corse a cambiarsi. Quando tornò nella sala, gli ospiti, già seduti ai loro posti, lo ringraziarono con un grande applauso per la sua volenterosa rappresentazione. La cena poteva cominciare. Si era fatto piuttosto tardi, e quando comparve la prima portata tutti si lanciarono sul cibo con entusiasmo. Tutti tranne Susy. L'appetito le era passato di colpo. Era sorpresa e confusa per la scena cui aveva assistito un attimo prima nel giardino. Molti dubbi la tormentavano, ma il più martellante era: doveva dirlo a Paula? Un dubbio classico, del resto, che ogni generazione ha risolto secondo gli usi del suo paese e dei suoi tempi.