Seconda parte

 

 

 

Era furioso, davvero furioso. Ecco la conferma di quel che aveva sempre pensato: le donne è impossibile capirle, sono strane creature che vivono in un'altra dimensione. Davvero, il cervello maschile e quello femminile non hanno niente a che vedere, sviluppano una diversa percezione del mondo. Uomini e donne non vivono nello stesso mondo. Qualunque essere umano dotato di buon senso, se riceve in regalo sei giorni pagati in albergo, in un magnifico albergo a quattro stelle, con tutti gli extra e un mucchio di tempo libero, dovrebbe fare salti di gioia. Logico, no? Macché. Quando parlò a Yolanda dell'omaggio che l'impresa aveva voluto offrirgli, lei andò su tutte le furie. Il punto era che avrebbe preferito restare al villaggio, e che il meraviglioso soggiorno a Oaxaca le sembrava poco meno che un'umiliazione. Roba da pazzi! L'aveva perfino accusato di avere suggerito lui l'idea, solo per allontanarla di lì. E per quale motivo? Perché si vergognava di lei, temeva che gli facesse fare brutta figura, non la riteneva all'altezza della gente importante che frequentava. Impossibile convincerla che nessuno gli aveva parlato dell'iniziativa, e che, fra l'altro, quella sorpresa gli era stata fatta in segno di stima. Yolanda non lo lasciò parlare, lo sottopose a una raffica di rimproveri da lasciarlo annichilito. Qual era il problema? Preferiva forse convivere per una settimana con l'insopportabile donna Manuela invece che trascorrere le vacanze da sola con lui? Yolanda si difese con un mucchio di insensatezze: voleva conoscere l'ambiente in cui lui si muoveva, non le andava di essere relegata in un albergo, aveva portato con sé abiti adatti per ogni occasione, aveva sperato di poter descrivere ai suoi genitori la vita quotidiana al villaggio... Tutte stupidaggini. Cos'erano quei deliri di grandezza? Che idea si era fatta della sua posizione? Credeva forse che ogni giorno fosse come la sera di Natale? Stufo di tante recriminazioni, decise di spiegarglielo chiaramente: - Io, qui, sono una specie di operaio, lo capisci? Nella gerarchia del villaggio non conto niente. Solo le donne delle pulizie e i manovali stanno sotto di me, e sono tutti messicani. Quindi puoi toglierti dalla testa l'assurda fantasia di frequentare le mogli degli ingegneri. Forse non te ne sarai resa conto, ma qui le cose funzionano come nell'esercito: i tecnici di livello medio e i dirigenti non sono sullo stesso piano, e gli impiegati come me sono l'ultima ruota del carro. L'ultima! Un conto è che per una sera siano tutti gentili perché mi sono vestito da buffone; lo sanno che non rientra nei miei compiti e hanno voluto tenermi buono. Un altro è che mi considerino dei loro. Non se ne parla proprio, capisci? Non se ne parla.

Allora lei scoppiò a piangere sconsolata e disse fra i singhiozzi: - Non so perché ho fatto tanta fatica per venire all'altro capo del mondo.

Dario si maledisse mille volte. Lui, che non alzava mai la voce, le aveva parlato come si parla a un nemico. Aveva ragione, povera Yolanda, era venuta lì per quello? Potevano passare qualche giorno insieme dopo tanto tempo senza vedersi e, tutt'a un tratto, ecco che scoppiava la lite. Ma era ancora possibile rimediare. Le si avvicinò e le sussurrò dolcemente: - Su, piccola, non piangere. Te lo dico io perché sei venuta. Sei venuta per stare con me, in uno dei migliori alberghi di una delle più belle città del Messico. Ce ne staremo noi due soli, felici e contenti, a scopare come ricci.

Lei si asciugò una lacrima e replicò decisa: - A questo non ci penso proprio. Stà pur sicuro che non ho la minima intenzione di venire ancora a letto con te.

A quel punto Dario non riuscì a trattenersi e uscì dalla stanza.

- Al diavolo! Vado a fare un giro.

Salì sul fuoristrada e, istintivamente, fece rotta verso El Cielito. Perfetto, eccole le sue feste natalizie! Aveva proprio ragione Yolanda, non sarebbe dovuta venire. Tutte quelle ore di volo solo per mettere il becco in ogni cosa e fare delle scenate... Avrebbe fatto meglio a risparmiarsi quella spesa. E se proprio i suoi genitori insistevano per darle tutti quei soldi, avrebbe potuto metterli da parte per quello schifo di appartamento che si era comprata senza neanche consultarlo; tanto, per quel che gliene fregava a lui. Bella prospettiva! Tornare in Spagna per sposarsi e vivere strangolati da un mutuo astronomico che avrebbe risucchiato i loro stipendi fino all'ultimo centesimo. E che arie si dava, la signorina: «Meglio passare il Natale in famiglia!». Bravissima. Così lui, se non altro, avrebbe potuto godersi qualche giorno con le ragazze del Cielito, senza nessuno a rompergli le scatole.

Guidò per parecchi chilometri, imprecando e premendo sull'acceleratore. L'auto sollevava dense nuvole di polvere. A poco a poco cominciò a rallentare e la sua rabbia si dissipò. Ma cosa stava facendo? La donna che aveva lasciato in lacrime al villaggio, un giorno sarebbe diventata sua moglie. Quanto alle ragazze... le ragazze erano solo prostitute, che per denaro andavano con chiunque. Era completamente ammattito? Quel maledetto paese gli aveva forse tolto il giudizio? Frenò di colpo e cercò uno spazio abbastanza ampio per fare inversione.

 

Per tutta la permanenza in Messico sua madre si era premurata di umiliarla, come al solito. Non aveva tralasciato per un solo giorno di venire al villaggio. Eppure avevano trascorso pochissimo tempo insieme, quasi mai avevano parlato di cose serie o erano rimaste sole. Come sempre, lei non pensava ad altro che a mettersi in mostra. E lì aveva trovato modo di farlo in tutta libertà. Aveva dato fondo a tutto il suo repertorio, ben collaudato in anni e anni di rappresentazioni. Aveva spiattellato le sue storie d'amore e disamore a chiunque volesse ascoltarla. Aveva ricordato in pubblico i difetti dei suoi mariti, e narrato per filo e per segno le sue continue battaglie contro i pregiudizi, destino comune delle donne che rifiutano di vivere piegandosi alle convenzioni. Aveva dimostrato ancora una volta di non essere una semplice casalinga, ma un essere tormentato, una persona interessante e degna di attenzione, una specie di eroina incompresa.

Susy non aveva trovato la forza per pregarla di smettere. Era stanca. Non si ribellava più, non tentava più di arginare la situazione. Sua madre era fatta così e non sarebbe cambiata. Era così nei suoi ricordi, era così adesso, e non sarebbe cambiata perché non ci aveva mai provato. Susy poteva scegliere di perdonarla, di accettarla così com'era. Glielo avevano consigliato i suoi amici, il suo terapeuta, persino suo marito. Ma neppure lei poteva cambiare, proprio come non poteva cambiare sua madre. Probabilmente non voleva farlo. Non l'aveva perdonata né ci sarebbe mai riuscita. Ogni volta che se lo proponeva, qualcosa dentro di lei opponeva un rifiuto netto, categorico, ferreo. Non voleva, non voleva proprio accettarla. Eppure era riuscita a trovare la forza d'animo per non intervenire. La stanchezza l'aveva aiutata. Esausta, aveva imparato a prendere le distanze e aveva fatto il possibile perché il suo odio non esplodesse, perché restasse latente come un vulcano spento. Per questo, in quei lunghissimi giorni, aveva partecipato il meno possibile alle conversazioni di sua madre con la gente del villaggio. Tanto, a lei la cosa non importava. Anzi, in questo modo la lasciava libera di inoltrarsi fra i fioriti meandri della sua biografia. Ma il peggio non erano le cronache romanzate dei suoi fallimenti sentimentali, erano le digressioni narrative che vedevano proprio lei, Susy, come protagonista. Da ragazzina si era vista costretta a starla ad ascoltare, e questo l'aveva sempre fatta sentire la creatura più miserabile e passiva del mondo, una specie di fenomeno da baraccone, una prostituta costretta a mostrarsi nuda in pubblico. Una sera, in casa di sua madre, mentre era a letto e cercava di prendere sonno, l'aveva sentita dire agli amici: «Povera Susy, non ha avuto altra scelta che essere testimone della mia instabilità emotiva. Temo proprio che questo abbia influito sul suo carattere. In realtà, è una ragazza piuttosto equilibrata, pur avendo una madre come me. Ma è tanto fragile e infantile; il suo apparente distacco non è altro che paura di essere ferita come sono stata ferita io. È così ingiusta la vita! Purtroppo mia figlia non avrà mai la sicurezza e la maturità di una ragazza allevata da una madre più tradizionale, da una di quelle brave donne che il giorno del Ringraziamento farciscono il tacchino con le proprie mani. Certo, le figlie di madri così sono quasi sempre noiose e povere di idee. In fin dei conti, ogni situazione ha i suoi prò e i suoi contro». La conosceva a memoria questa tiritera, e non voleva più sentirla. Ma moriva dalla rabbia quando sapeva che sua madre la stava propinando a qualcuno. Per fortuna ora poteva contare sulla complicità di Henry. Scherzando, lui l'aveva distolta dai suoi lunghi silenzi e aveva cercato di sdrammatizzare. Ma ormai perfino Henry cominciava a essere stanco di questo ruolo equilibratore e a volte fingeva di non accorgersi della sua esasperazione. Negli ultimi giorni sembrava non ricordare neppure l'esistenza del problema.

- Cosa diavolo hai, Susy?

- Voglio che mia madre se ne vada.

- Bè, se ne va domani, no?

- Sì, ma oggi è ancora qui e non fa che parlare con tutti.

Henry le gettò uno sguardo vagamente annoiato.

- Susy, tesoro, l'hai detto tu stessa più di una volta che tua madre non cambierà mai. Va bene, hai ragione, non cambierà. E può essere davvero terribile, sono d'accordo anche su questo. Ma è ora che tu te la tolga dalla testa. Abitiamo a migliaia di chilometri da lei, facciamo la nostra vita senza interpellarla. Il peggio che possa capitare è quel che sta capitando adesso: si fa vedere per qualche giorno e poi se ne va. In fondo non ti ha imposto la sua presenza, ha perfino preso una camera in albergo. Va in giro a raccontare le sue stramberie? E lasciaglielo fare! Lo sai che alla gente piace. Fra l'altro, le cose che racconta non sono poi così terribili.

Ignorala, altrimenti rischi di rimanere invischiata in un problema irrisolvibile che ti sei creata da sola.

- Ce l'ho già questo problema, non credo sia una novità.

Henry stava per perdere le staffe.

- E allora cosa pensi di fare? Vivere tutta la vita con il tuo problema? Custodirlo come un tesoro, farne il centro della tua personalità? Basta, Susy, per l'amor di Dio, è una situazione insopportabile! Sei in Messico e, se vuoi, non torneremo più negli Stati Uniti. Possiamo continuare a cambiare paese, mettere le radici da qualche altra parte, di sicuro l'impresa mi permetterà di lavorare dove mi pare. Possiamo girare il mondo in lungo e in largo, se ti va, ma quel che non possiamo fare è tirare avanti per tutta la vita con questo giochetto.

Susy sentì che stava per mettersi a piangere, ma fece uno sforzo e si trattenne. La rabbia trionfò sul dolore. Questa volta no. Questa volta non era disposta a recitare il solito ruolo della bambina che se ne sta a ricevere consigli da una persona responsabile e superiore.

- Sei davvero ingiusto, e quel che mi hai appena detto ha tutta l'aria di una minaccia.

- Ma non lo è.

- Sì che lo è! E devi sapere che se in questi giorni parlo poco non è perché mia madre mi tormenti poi tanto.

- Hai appena finito di dirlo.

- E invece non è così. Sto solo cercando di non dare peso a quel che mi preoccupa veramente.

Gli occhi di suo marito la fissarono con interesse.

- E cos'è che ti preoccupa veramente?

- Non so se posso dirtelo.

- Susan, per favore, piantala di fare storie!

- Non urlare con me!

- Non sto urlando!

- Sì che stai urlando!

Henry inspirò profondamente, si sistemò gli occhiali, abbassò la voce.

- Hai ragione, scusami. E adesso posso sapere che cosa ti preoccupa?

- Ho visto una cosa piuttosto preoccupante la sera di Natale.

Lui parve incuriosito. Lei valutò la nuova situazione. Henry era banale, come tutti gli altri. Capì di essere sola contro il mondo, di non poter contare su di lui. Poi riprese a parlare, un po’ più tranquilla.

- La sera della cena di Natale, Santiago e Victoria si sono baciati appassionatamente nel giardino. Henry sgranò gli occhi.

- Non può essere!

- Non sono cieca e neanche pazza.

- Smettila con questo tono, ti prego. Cos'hai visto?

- Ero uscita a prendere una boccata d'aria perché non ne potevo più del chiasso che facevano i bambini. Me ne stavo lì tranquilla appoggiata a una palma. E li ho visti. All'inizio non li ho riconosciuti, ma erano molto vicini. Ho dovuto trattenere il respiro per non farmi sentire. Ho visto tutto: come si abbracciavano, si baciavano, bisbigliavano. Per fortuna non ho sentito quel che dicevano.

- Per fortuna?

- Non volevo sapere altro. Con quello che ho visto mi trovo già abbastanza in difficoltà.

- Tu? E perché?

- Io e Paula siamo amiche, lo sai. E non so se devo dirglielo oppure no.

- Ma di cosa diavolo stai parlando? Assolutamente no, non devi assolutamente dirglielo! Proprio adesso, per di più, che siamo tutti qui, chiusi in questa specie di ghetto.

- Il fatto è che lei, sotto la sua apparenza dura, mi sembra molto fragile.

- Motivo di più per star zitta.

- E non ti sembra una mancanza di rispetto trattarla così?

Henry le si piazzò di fronte e la guardò negli occhi.

- Susan, qui siamo tutti adulti, questo non è un collegio per ragazzini. Ognuno si assume le sue responsabilità. Se tu dicessi qualcosa, potrebbe scoppiare il finimondo.

- Lo so chi siamo e dove siamo! Ma non credi che in un modo o nell'altro lei lo verrà a sapere?

- Questo non ti riguarda, non è un problema tuo. Lei fissò suo marito con una punta di risentimento. Il brutto di dipendere emotivamente da qualcuno è che questo qualcuno, alla lunga, si sente superiore e finisce per considerarti un'incapace. Restò in silenzio. Non avrebbe mai immaginato che Henry reagisse così. Questa era la filosofia di vita che applicava a ogni cosa: salvare le apparenze e lasciare che ognuno si assumesse le sue responsabilità. Ormai era sicura che Henry non la prendeva sul serio, non condivideva i suoi problemi, non si metteva mai nei suoi panni. Per questo sembrava avere sempre un equilibrio a prova di bomba. Ma era vero equilibrio? Se non si va mai a fondo delle questioni, è molto facile restare sereni, ma non si capisce un accidenti di quel che sta succedendo. In due anni di matrimonio la situazione non le era mai stata così chiara come in quel momento.

Appena lui se ne fu andato, cadde in preda al panico. Era sola. A ben vedere, non c'era nessuno al suo fianco, nessuno. Henry le aveva fatto capire come l'avesse sempre considerata. Una bambina, con la quale, per fortuna, non era costretto a dividere tutto il suo tempo. Lei aveva sempre camminato sul filo, convinta che la forte mano di Henry la sostenesse, ma non era così, adesso il vuoto si spalancava sotto di lei e non c'era nessuna protezione. Oltre alla paura e alla delusione, provò anche una vaga euforia: era sola con i suoi problemi e con il suo dolore e questo la faceva sentire eroica. Sempre, era sempre stata sola, fin dalla nascita. E malgrado tutto, aveva resistito. Pochi sarebbero stati capaci di reggere i ricatti emotivi di sua madre, la debolezza di suo padre. Lei sì, lei ce l'aveva fatta. E avrebbe continuato a farcela. Non era una bambina, no di certo.

 

Si incontrarono dietro la casa ed entrarono nella loro stanza. Avevano cominciato a chiamarla così: la «nostra» stanza. La voglia di fare l'amore li divorava. Stare l'uno dentro l'altra, sentirsi. Poi, veniva il momento delle parole. Soltanto dopo potevano parlare, distesi, osservando il corpo nudo dell'altro abbandonato e sereno. Victoria disse: - Questo letto è la nostra isola. Qui stiamo bene, al riparo da tutto. La vita diventerà sempre più difficile una volta che usciremo in mare aperto.

- Forse per me è più semplice; anche se c'è una cosa che mi tormenta.

- Vedere Ramon.

- Fosse solo vederlo... Noi lavoriamo insieme, ci aiutiamo, condividiamo ogni cosa.

- Vi è mai capitato di parlare di fatti personali?

- No, mai. Solo i quattro luoghi comuni tipici fra colleghi.

- Che tipo d'uomo è, secondo te?

- Un tipo per bene, taciturno, accondiscendente. Non contraddice mai nessuno.

- Non gli piace discutere. È uno dei suoi pregi. Ma tu, se posso chiedertelo, perché ti sei innamorato di Paula?

- Te l'ho già detto. Era sensuale, intelligente, aveva un mucchio di progetti per il futuro. A che scopo parlarne? Ha rivolto tutte le sue forze contro se stessa e ormai non ne verrà più fuori.

- Non hai paura, andandotene, che possa peggiorare?

- Non lo so, è possibile, ma siamo tutti maggiorenni e ciascuno deve sapere governare la propria vita. Non trovi?

Victoria provò una strana sensazione sentendolo parlare a quel modo. Da un lato le dava sollievo la sicurezza e la fermezza con cui agiva. Dall'altro le dispiaceva che fosse così duro nei confronti della donna con cui aveva condiviso tanti anni. Ma la colpa era sua, non avrebbe dovuto tirar fuori quell'argomento. Parlare dei rispettivi coniugi le procurava un piacere che lui non sembrava condividere. Santiago non amava parlare di Paula. Era un uomo taciturno, proprio come Ramon. Si era innamorata di un uomo simile a suo marito? L'idea le parve sconfortante.

- A cosa stai pensando? - le domandò Santiago.

- Niente, assurdità. Mi sono innamorata di Ramon solo perché era un uomo affidabile. Che sciocchezze facciamo noi donne! Ci mettiamo con un uomo così come si compra un'automobile: perché non ci lascerà a piedi in mezzo a una strada. Non ridere! È esattamente così. Abbiamo un cammino già tracciato, e scegliamo la persona con cui percorrerlo secondo le regole che ci hanno inculcato.

- Credi che per gli uomini sia diverso?

- Voi avete più libertà.

- La libertà non è misurabile: o la si ha o non la si ha.

- Bè, allora io non l'ho avuta. E forse neanche adesso ce l'ho. Un attimo fa pensavo che tu e Ramon siete molto simili, in fondo. Non faccio altro che applicare all'amore i modelli ricevuti nell'infanzia.

Lui la guardò poco convinto.

- Vuoi dire che qualunque uomo simile a tuo marito potrebbe andarti bene?

- Non dirlo neanche per scherzo, ti prego! Si baciarono a lungo fra proteste e carezze.

- In ogni caso, Victoria, una cosa dovresti farla: smetterla di pensare al passato.

- Al passato? Ma se è ancora presente!

- Il presente è quando ci troviamo in questo letto. E poi, credo si debba pensare anche al futuro.

- Tu non fai altro!

- Me lo rimproveri?

- No, ma mi dà le vertigini.

- Allora aggrappati a qualcosa di solido. A me, per esempio. Ho scritto a varie imprese spagnole per cercare lavoro, e una mi ha già risposto. Cercano qualcuno che diriga i lavori per una strada fuori Barcellona. Presto comincerà la trattativa. Questo significa che entro tre mesi potremmo partire e cominciare la nostra nuova vita.

Lei non parlò.

- Sei ammutolita dal terrore?

- Tre mesi è come dire... adesso.

- No; in tre mesi abbiamo tutto il tempo per fare le cose come si deve: spiegare la situazione in casa, organizzarci, partire e ricominciare tutto.

- Sento già tornare le vertigini.

- Sei stata tu a dire che fuori da questo letto la vita diventa sempre più difficile. E poi, non possiamo andare avanti con questi incontri clandestini. E umiliante.

- Già, e quando si verrà a sapere che stiamo insieme, tutti si domanderanno dove e come ci siamo visti.

- È inevitabile.

- Ho sonno, Santiago.

- Non dormire, cara, è quasi ora di andare.

- Te lo immagini come sarà poter dormire insieme una notte intera?

- Presto dormiremo insieme per il resto della nostra vita. E curioso, pensò lei, stava progettando di mettersi a letto ogni sera accanto a un uomo di cui non sapeva quasi nulla. Era assurdo, esattamente come continuare a farlo accanto a un uomo di cui sapeva già tutto.

 

Paula guardò distrattamente le cartelle aperte sulla scrivania. Il lavoro non aveva fatto alcun progresso negli ultimi mesi. L'editore aveva smesso di mandarle mail per chiederle come andassero le cose. Un giorno o l'altro sarebbe arrivato l'annuncio che il contratto era stato annullato. Non le importava. Non aveva percepito un anticipo, né tantomeno aveva bisogno di denaro. Era sposata con un uomo che guadagnava più del necessario. Si domandò se la tranquillità economica di cui aveva sempre goduto non fosse stata la causa del suo fallimento creativo. Se avesse dovuto contare solo sulla sua penna per guadagnarsi il pane, forse si sarebbe sforzata fino a ottenere qualcosa. Ma era davvero così? Tutto si riduceva a spremersi le meningi per sbarcare il lunario? No, James Joyce aveva una famiglia da mantenere, eppure non gli era mai venuto in mente di abbandonare il suo plumbeo Ulisse, che non gli avrebbe reso neanche un soldo. Viveva di espedienti. L'analisi del suo fallimento la portava a ben altre spiegazioni.

Era qualcosa che aveva a che fare con la totalità. La letteratura era una divinità che esigeva tutto, e questo tutto era così vasto e profondo da spaventarla al solo pensiero. «Tutto» era darsi completamente, tirar fuori da se stessi quel che non si riuscirebbe a tirare fuori neanche in vent'anni di sedute psicanalitiche. «Tutto» era non interessarsi ad altro che alla maledetta letteratura. «Tutto» era sacrificare l'amore, il piacere, persino la vita quotidiana. «Tutto» era non dare alcun peso al successo. «Tutto» era tutto, e il resto era merda. Anche il buon vecchio Tolstoj aveva lasciato entrare troppe cose nella sfera letteraria, troppa carità, troppa mistica. Troppe liti con sua moglie, troppa gelosia. Troppe battaglie in Guerra e pace, per non parlare di quella zuppa di Resurrezione. Solo il conte Vronskij si salvava, e solo quando aveva addosso la pelliccia ed era bello.

Si lasciò andare all'indietro sulla sedia. Era stanca. Ce ne voleva di energia per tener testa alle proprie ossessioni. Perfino santa Teresa, che era una mistica, se non si fosse data alla frenesia monastica non avrebbe scritto una riga. Questo l'aveva salvata dal rimanersene in un angolo a scrivere versi sciapi sul cuore di Gesù. Aveva avuto la genialità di puntare molto in alto, e in cima aveva trovato gli angeli, con la fallica spada fiammeggiante, ad aspettarla per darle ispirazione. «Tutto» era tutto, anche il coraggio o l'indifferenza indispensabili per andare avanti fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. Dietro ogni buon libro ci sono l'amarezza, le tenebre, il buco nero senza fondo, l'abisso, l'oceano di oscurità. Ed è laggiù che bisogna scendere, senza bombola di ossigeno, in apnea, fino a farsi scoppiare i polmoni, sapendo che da quell'immersione non si uscirà indenni. Macabro scherzetto! Lei non era mai arrivata alla tranquillizzante conclusione di non avere talento. Si tormentava a forza di dubbi e autoaccuse, cercando di individuare l'agente patogeno che l'aveva paralizzata: la mancanza di coraggio, la mancanza di intelligenza, l'eccessivo interesse per la vita. Ma la cosa peggiore, la cosa veramente diabolica era la speranza, il pensiero di avere ancora una possibilità, di poter sentire ancora dentro di sé un'inattesa voce interiore che le dettasse il grande romanzo. A volte aveva sentito gli echi di quella voce, ne era sicura, li aveva sentiti, intuizioni geniali, come bisbigli di un'entità superiore. Non erano state allucinazioni, né sbronze ben riuscite, né spiragli di luce, ma autentici frammenti di un'opera eccelsa, completa, immortale. Eppure quelle ventate di ispirazione allo stato puro svanivano, e tutto quel che usciva dalla sua mente e dalla sua mano era trito, suonava o profumava di righe già scritte da qualcun altro.

Pensò che fosse venuto il momento di concedersi un bicchierino di tequila, solo un dito, un goccetto, che la liberasse da quella prigione messicana, dove viveva come in una grande clinica universale delle menti perdute. Da sempre il Messico vantava la sua clientela selezionata di isterici, nevrotici e perenni insoddisfatti che avevano perso la bussola e la ragione e le staffe e la fede, e che sempre vi ritrovavano qualcosa. Questo paese ti mette di fronte a te stesso, pensò.

Sentì la lava incandescente scenderle per l'esofago. L'onda di espansione del fuoco eterno. Si fece anche una pista di coca. Si sdraiò sul tappeto e si mise a guardare la riproduzione di un quadro di Frida Kahlo con cui un arredatore irresponsabile aveva decorato la parete. Si alzò. Restarsene così era da veri disperati.

 

Uscì nei giardini. Un altro bicchiere ci sarebbe stato bene, ma non al club. Si diresse a piedi verso San Miguel. All'improvviso sentì qualcuno che correva per raggiungerla. Vide con fastidio che era l'americana.

- Susan cara, honey, oggi non sono proprio dell'umore. Voglio restare sola.

- Se avessi voluto restare sola, saresti rimasta a casa. Dove stai andando?

- Ad abbrutirmi.

- Bene, vedo che sei ispirata! Vengo con te.

- Te lo chiedo con quel briciolo di cortesia che mi resta. Lasciami sola.

- Mi assumo il rischio che tu esaurisca anche quello.

- Sparisci una volta per tutte e lasciami in pace!

- Bah, credevo sapessi fare di meglio.

Paula si girò a guardarla, sorpresa da quel tono noncurante.

- Non sono ancora riuscita a capire cosa vuoi da me, Susy.

- Voglio essere tua amica.

- Ci sono tante altre donne al villaggio.

- Le altre mi annoiano. Tu ti muovi su territori che non conosco.

- E che non conoscerai mai.

- Cosa te lo fa pensare? Mi credi una ragazzina senza problemi?

- Non ho tempo per pensare a te, cara.

- E sei convinta che una risposta del genere possa distruggermi. Ma non è così.

Paula la fissò. Bene, d'accordo, perché no? Perché non farsi un bicchiere con qualcuno invece di bere da sola? Arrivarono a San Miguel senza scambiare una parola. Quella ragazzina senza problemi, o con problemi inesistenti, voleva fare nuove esperienze grazie a lei.

Bene, molto bene, perché no? La condusse nel bar miserabile che avevano scoperto insieme. Paula domandò al padrone, sempre serio, sempre sporco, dove potessero trovare la guida.

- Abita in una casetta più avanti sulla destra. Non potete sbagliare, è l'unica dipinta di azzurro. Facilissimo, meglio così. Una stradina stretta. Una casa molto malandata. Bussarono alla porta, non c'era nessuno. Paula si sedette per terra, sulla strada polverosa, perché non c'era marciapiedi. Rimase lì ferma, a fissare un punto nell'aria. Susy sedette accanto a lei. Ne aveva di coraggio, la ragazza.

- Cosa credi che succederà se qualcuno ci vede qui, mia piccola yankee?

- Penseranno che siamo due turiste uscite a fare una passeggiata.

- Niente di più sbagliato. Io sono un'artista immortale che si aggira, travestita da traduttrice, alla ricerca di materiale per il suo nuovo romanzo altrettanto immortale. E tu... tu sei la mia scudiera.

- Questo sì che mi piace. Ti sei fatta di qualcosa?

- Tequila e una pista di coca. Niente che possa far crollare le mura di Gerico.

- Hai qualcosa con te? -Sì.

- Me ne dai un po'?

- Sì, però và dietro l'angolo e non farti vedere. Una cosa è star sedute per terra, un'altra è che ti becchino a sniffare in mezzo alla strada. Finisce che ci tocca pure corrompere un poliziotto.

Susy fece come Paula le aveva detto e poi tornò a sedersi.

- Perché stiamo aspettando la guida, Paula?

- Per farcelo, è ovvio.

- Tutte e due insieme?

- Tu mi scandalizzi, piccola, davvero. Ce lo scoperemo in rigoroso ordine di anzianità. La Spagna non ha evangelizzato queste terre perché noi ci abbandoniamo ad ammucchiate da far arrossire Isabella la Cattolica.

- Secondo te, ce la farà con tutte e due?

- Ne va dell'onore della popolazione indigena.

Susy cominciò a ridere. Le sue risate echeggiavano fra le case povere e scrostate. Passò un'ora, ma della guida neanche l'ombra. Sniffarono di nuovo. Susy era entrata in uno stato di lucida euforia, infilava un discorso dietro l'altro. Paula la ascoltava senza replicare. Finalmente la guida comparve, dondolandosi come un cowboy in un film di serie B. I suoi perenni occhiali da sole non permettevano di capire se fosse sorpreso di vederle lì. Le raggiunse senza cambiare passo e si piantò di fronte a loro. Con un sorriso indecifrabile mostrò i denti bianchissimi.

- Guarda un po’ chi si vede. Come state? Paula si alzò pigramente e lo guardò.

- Ci hanno detto che abiti qui.

- Ma prego, entrate, vi offro un bicchiere di pulque.

- Solo un momento. Stavamo facendo acquisti e abbiamo pensato che forse hai qualcosa da venderci.

Lui puntò gli occhi a terra, valutando la situazione.

- Ve l'ha detto qualcuno o ve lo siete immaginato?

- Pura intuizione.

- Entrate, vediamo cosa si può fare.

Susy si alzò in piedi e li seguì. Non parlava più. La casa era composta di un'unica stanza, col pavimento di cemento e le pareti imbiancate. Da una parte, una cucina a gas, un tavolo e una credenza zeppa di suppellettili. Dall'altra, una branda, un armadio e una cassapanca con guarnizioni in ferro. In fondo c'era una porta che probabilmente dava su un cortile. La guida prese tre bicchieri e li posò sul tavolo. Mentre versava da bere, Paula si accorse che portava una pistola alla cintola, nascosta sotto il giubbotto. Niente di strano, pensò, probabilmente tutti in Messico girano armati.

- Beviamoci questo pulque, allora.

- Senti, ti ho già spiegato che siamo venute per fare acquisti. I brindisi li rimanderei a un'altra volta.

- Questo non è un negozio. Bisogna trattare, e io non tratto mai se prima non mi faccio un bicchiere.

- Adoro i messicani, sempre così cerimoniosi! - disse Susy come rimbecillita.

- D'accordo, beviamo e trattiamo - concluse Paula. La guida andò verso la cassapanca tirando fuori dalla tasca un mazzo di chiavi. La aprì e tornò con un sacchettino bianco sul palmo della mano.

- Immagino sia questo quel che volete, ma posso offrirvi anche roba più leggera o più pesante.

Paula fece per prendere il sacchetto, ma lui glielo sottrasse.

- Quanto vuoi?

- Ve lo scrivo. Mai parlare di soldi, porta male. Scrisse una cifra su un pezzo di carta da pacchi e glielo passò. Dopo aver letto, Paula annuì. Gli diede quanto voleva. Poi bevvero. Susy sorrideva soddisfatta.

- Noi andiamo.

- Non volete accomodarvi?

- No, ma forse torneremo a fare acquisti.

- Ho sempre buona merce per i buoni clienti.

- E se volessimo qualcosa che non si trova nella cassapanca?

- Se posso fare qualcosa...

- Spero di sì.

- Sapete bene che sono sempre disposto a trattare con la gente onesta.

Uscirono senza aggiungere una parola. Quando furono abbastanza lontane, Susy applaudì.

- Brava, mi piace il tuo stile! Sembrava di vedere un vecchio film del cinema indipendente americano. Paula si fermò, la guardò con disprezzo.

- Per te è tutto un gioco, vero? Compresa la vita. Non c'è niente che non possa trasformarsi in un allegro passatempo.

Susy s'incupì. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Strinse le mandibole. Dopo l'euforia, il suo umore era in brusca discesa.

- Tu, invece, sei una donna vissuta, una che sa tutto e dà il giusto peso a ogni cosa.

- Ma guarda! Il tenero cucciolotto sfodera gli artigli. Più che una donna vissuta, devo sembrarti una terribile strega, vero?

Erano l'una di fronte all'altra, ferme in mezzo alla strada. Paula guardava l'americana con un sorrisetto. Susy la imitò.

- Non hai la più pallida idea di come stiano le cose, Paula.

- Tu credi? Può darsi che tu abbia ragione, non sapere è privilegio dei saggi.

- Sto parlando seriamente, molto seriamente. Tu te ne vai in giro a fare là femme fatale mentre Victoria si scopa tuo marito. Lo sapevi questo? Lo sapevi?

In un primo momento Paula non capì. Dovette riflettere un attimo su quel che aveva appena sentito. Senza neppure tentare di nascondere il turbamento, disse: - Di cosa stai parlando?

- Sto parlando di qualcosa che so molto bene. Santiago e Victoria sono amanti.

- Stai dicendo la verità?

Susy continuava a sorridere, godendosi l'effetto del suo pugno allo stomaco.

- Rispondimi! Stai dicendo la verità?

- Li ho visti baciarsi appassionatamente in giardino, la sera di Natale. Eravate tutti dentro a festeggiare, sono uscita a prendere una boccata d'aria e loro erano lì. Non si sono accorti di nulla, eppure ero vicinissima, te lo assicuro, abbastanza vicina da vedere chiaramente tutta la scena.

L'espressione di Paula la spaventò. La rabbia che aveva in corpo cominciò a scemare.

- Bè, io ho visto questo; se vadano a letto insieme oppure no...

Paula, come parlando a se stessa, sibilò: - Certo, certo che vanno a letto insieme. Non siamo ragazzini delle medie.

In quel momento Susy si spaventò sul serio. Per la prima volta percepiva la gravità di quel che aveva detto. Fece un goffo tentativo di marcia indietro.

- Al posto tuo non mi preoccuperei più di tanto. Cercherei di non dare peso alla cosa. Avevamo tutti bevuto parecchio e sai come va a finire...

- Risparmiati le parole di consolazione, cara. Sono anni che noi due facciamo vite separate.

Susy si chiese se fosse vero, ma capì subito che non lo era. Paula aveva semplicemente ripreso il controllo della situazione. Tornava al suo ruolo, indossava la maschera di sempre. Bene, poteva fingere quanto voleva, ma il colpo era stato forte, proprio quel che si meritava. Poteva bastare. Era stanca di fare la parte della brava ragazza in quel teatrino. Tutti hanno un punto debole, una parte di sé esposta ai venti e alla pioggia. Non era solo lei a essere fragile. Anzi, d'ora in poi sarebbe diventata più forte. Basta con i tentativi di cercare sostegno, punti di riferimento, amicizia e amore. Ora anche lei sarebbe entrata a far parte della categoria dei figli di puttana, come tutti, perché per farcela nella vita bisogna essere così. Bisogna segnare il territorio, negare il pane agli affamati anche se non si ha intenzione di mangiarlo, diffidare, tradire. Che soddisfazione. Alla prossima telefonata di sua madre, le avrebbe detto tutto quel che pensava: «Mamma, sono venuta in Messico per liberarmi di te. Ti detesto. Non chiamarmi più. E sappi che se sull'orlo del suicidio ti verrà in mente di chiamare Henry, lui non intercederà per te. In realtà, né tu né lui avete bisogno di me; e finalmente mi sono accorta che neanch'io ho bisogno di voi».

Solo dopo aver formulato mentalmente quei propositi, capì che non erano affatto nuovi. Eppure, analizzando il suo stato d'animo, sapeva di essere più decisa e forte che mai. Quel periodo trascorso al villaggio, con persone diverse da lei, parzialmente separata da suo marito, le era stato utile. Aveva imparato che i fatti quotidiani, accumulandosi, provocano reazioni irreversibili, che le persone non possono rimanere eternamente bloccate nello stesso punto. Aveva scoperto, soprattutto, che si è sempre soli, e che è indispensabile muoversi, a costo di lasciarsi condurre dalla disperazione su strade sconosciute.

 

Manuela provò l'abito tradizionale messicano. Decisamente, sembrava un costume da carnevale addosso a lei. Aveva perso la linea di un tempo, e la gonna stretta in vita metteva in risalto quel difetto tipico dell'età. Stava pensando a un ballo folcloristico a favore degli orfani della regione. Teneva molto a fare qualcosa per alleviare le sofferenze della popolazione locale, e gli orfani erano un obiettivo perfetto. Dovevano pur essercene di orfani da quelle parti. Ce ne sono dappertutto, e dove regna la povertà ce ne sono ancora di più. Perfino gli orfani dei ricchi hanno bisogno di affetto e protezione. Perdere i genitori è la cosa peggiore che possa capitare a un bambino. I genitori sono i soli a prendersi cura di noi quando siamo piccoli, e se un bambino ne è privo, una persona di buon cuore non può fare a meno di dare una mano. Soprattutto le donne; non è un segreto per nessuno che sono le donne a fare del mondo un posto ospitale senza aspettarsi nulla in cambio. A dire il vero aveva sempre avuto una naturale tendenza alla carità, un'inclinazione che si era manifestata sin dalla più tenera infanzia. Raccoglieva cuccioli abbandonati e sporchi suscitando le proteste di sua madre, e partecipava a tutte le campagne di beneficenza organizzate dalle suore della sua scuola: «Nessun bambino senza regalo di Natale», «Un corredino per un sorriso» e così via. L'aveva pensato tante volte: se non fosse diventata un'occupatissima madre di famiglia, la sua più grande gioia sarebbe stata fare la missionaria. L'idea di vivere per lunghi periodi in un paese africano non l'avrebbe spaventata. Aveva doti organizzative, nessuno poteva negarlo, e sapeva lavorare sodo, anche per molte ore di fila. Ma non era stata quella la sua strada. Formando la propria famiglia si era assunta una tale responsabilità che ogni altra scelta ne era esclusa. Certo, ora che i suoi figli si erano sistemati, poteva dedicarsi maggiormente al prossimo. E si trovava nel posto giusto, un paese dove molta gente soffre ancora per la povertà. Quando ci pensava e si rendeva conto che negli oltre due anni trascorsi lì non aveva fatto nulla, proprio nulla, veniva assalita dai rimorsi, e per di più sentiva di sprecare le sue capacità. Decise di chiamare la cooperante spagnola con cui aveva cenato tempo addietro per offrirle la sua collaborazione. Certo, un'offerta generica rischiava di rivelarsi improduttiva. La ragazza avrebbe potuto risponderle che avevano solo bisogno di fondi, oppure affidarle compiti poco confacenti alla sua personalità. E Dio sapeva che la sua vocazione non era obbedire; se così fosse stato, se il suo carattere l'avesse portata a obbedire agli ordini senza fiatare, si sarebbe fatta suora. In ogni caso, l'idea della festa folcloristica era da scartare. Non poteva presentarsi in pubblico vestita come un'eroina della rivoluzione messicana con venti chili di troppo. Avrebbe trovato un'altra soluzione, ne avrebbe parlato con Adolfo.

 

Quando finalmente uscì dall'aeroporto sentì il sollievo crescere a ogni passo. Yolanda era partita. La settimana con la fidanzata non era stata piacevole e distensiva. Fin dal primo momento lei si era dimostrata sgradevole, delusa, impaziente. La sola idea dell'albergo, per quanto lussuoso, e dell'eccesso di intimità, l'aveva infastidita, e quel fastidio l'aveva accompagnata per tutto il soggiorno in Messico.

Guidò assorto verso il villaggio, abbandonandosi alla corrente dei pensieri. Non era stata solo la resistenza di Yolanda a offuscare ogni possibile felicità, c'era qualcosa di più. Sembrava che per lei tutto dovesse funzionare secondo un copione. E questo lui non riusciva a capirlo. In fin dei conti erano in Messico, un paese di indescrivibile bellezza, ed erano una coppia di giovani innamorati. Questo sarebbe dovuto bastare a fare di quei giorni una festa continua. Ma per Yolanda l'amore era diventato un susseguirsi di formalità, un'anticamera di quel che sarebbe venuto dopo: la convivenza quotidiana nel nuovo appartamento, la vita da marito e moglie. Lui riconosceva che vivere separati non era certo la cosa più desiderabile, e che la distanza fisica aumentava la distanza emotiva, tanto da creare tensioni e malintesi... ma, diamine! una volta che si erano ritrovati, perché non potevano godersi la reciproca compagnia? Avevano a disposizione tutto ciò che rende piacevole la vita: cibo raffinato, riposo, e, finalmente, dopo un lungo anno di lontananza, potevano starsene a letto insieme quanto volevano. Bè, si era rivelato impossibile seguire una formula tanto allettante. Quando finalmente le nubi temporalesche per la mancata permanenza al villaggio si erano dissipate, in lei era sorta l'esigenza di trascorrere il tempo a parlare dei preparativi per le nozze, dell'arredamento della casa, di come organizzare gli orari e le incombenze quando Dario fosse tornato in Spagna. Tutte cose che per lui erano premature e soprattutto superflue. Lavorando lì, in quel luogo isolato, aveva imparato che i problemi si risolvono via via che si presentano, e che non occorre dannarsi l'anima per prevedere tutto nei minimi particolari. Le cose di cui parlava Yolanda gli suonavano lontane, irreali, frutto unicamente della sua fantasia: il banchetto, la lista degli invitati, i regali, il corredo, l'acquisto dei mobili. E per che cosa, poi? Se già aveva trovato un appartamento, un giorno si sarebbero stabiliti lì e tanti saluti. Ma a Yolanda era venuto quasi un colpo quando lui glielo aveva prospettato. L'aveva accusato di essere un insensibile, un egoista, un animale, ed era scoppiata a piangere a dirotto. D'accordo, non era il caso di litigare per quelle sciocchezze. Dario era disposto a transigere su tutti i ridicoli preparativi; ma ciò che davvero lo mandava in bestia era pensare che proprio quelle fossero le sole cose importanti per la sua ragazza. Yolanda era sempre stata così, fin da quando se ne era innamorato? O forse era lui a essere cambiato? Si accorse che stava mandando su di giri il motore e ridusse la velocità. Cercò di calmarsi, di essere obiettivo e sdrammatizzare. In realtà ora vivevano in due mondi diversi: Yolanda continuava la sua vita di sempre in Spagna, mentre lui si trovava in un posto dove tutto era meno rigido e complicato. Ci pensò su. Detta così, la cosa suonava ancora più grave. Non se la sentiva di riprendere le vecchie abitudini. Ormai, lontano dal suo paese, gli sembravano assurde e gratuite. Certo, probabilmente una volta rientrato sarebbe tornato alla vita di sempre. Immaginò quel che lo aspettava: sposato con Yolanda avrebbe avuto il suo lavoro e una vita tranquilla, una birretta di tanto in tanto con gli amici, un buon pranzo al ristorante la domenica. Del resto le sue aspirazioni non erano mai state diverse. Ma con tutti i progetti che lei aveva in mente, i soldi avrebbero preso il volo, almeno per un po': comprare tutti quei mobili, tutte quelle suppellettili, pagare il mutuo ogni mese... E poi, naturalmente, lei avrebbe voluto dei figli. Gliene aveva già accennato qualche volta. Gli sarebbe toccato attendere non solo mesi, ma anni, prima di poter condurre la vita tranquilla che aveva sempre sognato. Sperando di poterla condurre, prima o poi, perché con l'arrivo dei figli l'intimità della coppia svanisce e tutto si trasforma in responsabilità. Lo sapeva bene, perché alcuni dei suoi amici erano già andati incontro a quell'esperienza. Responsabilità e lavoro a non finire, ovviamente: i figli richiedono soldi senza tregua almeno fino ai venticinque anni d'età. Una trappola, insomma. Eppure questo era quel che aveva sempre desiderato e quel che alla fine avrebbe ottenuto.

Quando uno si innamora, non pensa di firmare un contratto a vita, e quando lo firma, trascura le clausole scritte a caratteri minuscoli. Non pensa che saranno quelle a condizionare la sua vita. Aprì il finestrino e respirò l'aria rovente. Faceva troppo caldo. La sola idea di tutte quelle complicazioni lo sfiniva. Ma non era il caso di fasciarsi la testa prima di rompersela, questa sembrava una prerogativa tutta femminile. Per il momento era ancora in Messico, di nuovo solo, e aveva sete. Guardò l'orologio. Affrettandosi un po', avrebbe fatto in tempo a spingersi fino al Cielito per bersi una birra, una birra e nient'altro: fresca, frizzante, col giusto sottofondo musicale, accolto dalle ragazze che l'avrebbero rivisto dopo giorni di assenza. Non si domandò se fosse giusto tornare con le ragazze dopo essere stato con Yolanda. Perché no? Era pur sempre un uomo libero. Una volta concluso quel lavoro, quando fosse rientrato in Spagna... tutto sarebbe tornato alla normalità.

 

Si guardò le unghie in controluce. Erano giallognole. Un ripugnante indizio di vecchiaia. Ricordava di averle avute rosee, e di avere avuto le mani lisce, senza vene sporgenti né macchie scure. Senza dubbio era entrata in un periodo di inarrestabile decadenza. Una brusca caduta. Questa era l'immagine usata da Quevedo. I suoi versi erano perfetti per descrivere la morte, ma molto meno azzeccati per l'amore: «Polvere saranno, ma polvere innamorata». Dopo la morte non può esserci amore, un sentimento sublime che nemmeno nella vita esiste. Santiago andava a letto con un'altra. Era una sorpresa, non per il fatto in sé, ma perché aveva avuto il coraggio di farlo lì. Probabilmente le era stato infedele un'infinità di volte, forse tante quante lo era stata lei, ma non aveva mai corso un rischio così grande. In un luogo circoscritto dove tutti si conoscevano, e con la moglie di un collega per di più. Strano, perché Santiago era un uomo prudente, che per principio non avrebbe mai suscitato pettegolezzi. Susy non aveva parlato a nessuno di quel fatto, ne era sicura, ma come li aveva visti lei, i due amanti, qualcun altro avrebbe potuto sorprenderli mentre si baciavano in giardino. Male, marito caro, molto male. Se aveva tanta voglia di scopare, non poteva scegliersi una del posto? Sarebbe stato meno compromettente. Il suo amato sposo si stava ribellando, quella non era una semplice scappatella. Forse si era innamorato davvero. Perché no? Anche se non aveva mai manifestato particolare bisogno d'amore. Era un uomo freddo, e poi avrebbe potuto capitargli mille volte nei lunghi anni del loro tortuoso matrimonio. E invece gli era venuto in mente proprio adesso, nel luogo meno opportuno e con una donna sposata. Era così irresistibile Victoria? Non si sarebbe detto. In fondo era una donna dall'aspetto assai comune. Educata, non troppo comunicativa, discreta nei modi e nell'abbigliamento... Le pareva di ricordare che insegnasse chimica all'università. Una come ce ne sono a migliaia, tutte uguali. Cercò di ricordare se avesse mai notato nulla di particolare fra suo marito e Victoria, un gesto, uno sguardo, una stretta di mano un po’ insistita... No, quella storia la coglieva di sorpresa. Davvero, la vita riserva sempre delle novità. E quella svolta decisa interrompeva la monotonia che rischiava di soffocarla.

E adesso, cosa avrebbe dovuto fare, in teoria? Poteva comportarsi da moglie tradizionale e interpellare direttamente Santiago: «È vero che hai un'altra donna?». Poteva fargli una scenata monumentale con rimproveri, grida e richieste di separazione. Non aveva mai recitato il ruolo della vittima; chissà, forse era divertente. Poteva tornarsene in Spagna senza dirlo a nessuno. E poteva star zitta per vedere cosa sarebbe successo, tenendo ben nascosto il suo asso nella manica. Per il momento questa pareva la soluzione migliore. Se quel che c'era fra Santiago e Victoria era vero amore, prima o poi lui glielo avrebbe detto, e le avrebbe anche annunciato di volersene andare. Un vero colpo di scena. Magari Dio, nella sua infinita saggezza, aveva ideato qualcosa di speciale per lei, un vero romanzo: la scrittrice frustrata veniva abbandonata all'improvviso e solo allora si rendeva conto di quanto amasse suo marito. Soffriva, soffriva molto, era sconsolata. Ma solo questo poteva spingerla a ricominciare a scrivere. Traboccante di talento riusciva a portare a termine un libro meraviglioso, un capolavoro assoluto. Successo di critica e di pubblico, profonda soddisfazione personale. E, di lì in poi, una carriera sempre in ascesa, di libro in libro, con sicura maestria, su su verso l'immortalità. Dio era fatto a modo suo, ma era giusto, e non le aveva concesso l'amore e il talento insieme. La sofferenza era sempre stata un potente motore del genio. Un nuovo orizzonte le si apriva davanti. Stava per inginocchiarsi e rendere grazie al Signore in una preghiera colma di esaltazione. No, troppo presto. Prudenza. Prima di qualsiasi atto di devozione, avrebbe scritto qualche riga per vedere se il suo cervello si fosse sbloccato, non era disposta a elargire ringraziamenti gratuiti. Avrebbe taciuto quel che sapeva e, nascosta nell'ombra, sarebbe rimasta a osservare la patetica commedia inscenata dagli amanti. Era già impaziente, non vedeva l'ora che Santiago le si presentasse e le dicesse, quasi in lacrime: «Amo quella donna. Cosa ci posso fare? La amo mio malgrado e non posso vivere senza di lei».

Le amiche abbandonate dal marito le avevano raccontato come andavano le cose. E la storia era sempre a metà strada fra il comico e il patetico. L'uomo ci faceva la figura del buffone: innamorato pazzo, innamorato immaginario, innamorato suo malgrado. Penoso. Come se la moglie, conoscendo il Sancho Panza che si nasconde in suo marito, le sue debolezze, la sua vigliaccheria, non lo credesse capace di un solo slancio romantico, di un solo gesto bello e importante. Così, denigrando il traditore, si riduce l'entità del tradimento. Eppure quelle donne parlavano piangendo, attingendo al pozzo del dolore. L'essere umano è complicato, si disse. Ma la sua complessità non è fatta d'altro che di materiale spregevole.

 

Henry non la finiva più di pensare a quel che gli aveva raccontato sua moglie. Ora che lo sapeva, ogni volta che aveva a che fare con Santiago si sentiva a disagio. Era sicuro che quella storia sarebbe venuta a galla da un momento all'altro. Se li avesse visti qualcun altro, chissà, forse tutto sarebbe rimasto com'era; ma Susy avrebbe parlato, ne era sicuro, la conosceva troppo bene. Fra le sue virtù non figurava certo la maturità. Quel suo lato infantile la rendeva divertente e sexy, ma minacciava di diventare un problema serio. Se finora non era riuscita a superare i suoi traumi, c'era da pensare che ormai fosse troppo tardi. L'aveva sposata con la convinzione di esercitare un'influenza positiva su di lei, aveva creduto che il matrimonio potesse aiutarla. Essere moglie le avrebbe garantito un nuovo status che comportava delle responsabilità. Sarebbe potuta diventare una buona organizzatrice, una padrona di casa forte e sicura. Ma in due anni non si era manifestato alcun progresso in lei. Il problema di sua madre, che a lui pareva ridicolo, finiva per bloccare tutte le potenzialità di Susy. Lui era stato comprensivo, aveva dimostrato grande pazienza, più di quanto avrebbe fatto chiunque. Ma un passo avanti bisognava pur farlo, prima o poi la loro vita matrimoniale doveva raggiungere una certa solidità. E invece tutto sembrava indefinitamente rinviato, in attesa di qualcosa di vago che non arrivava mai. Susy non voleva nemmeno sentir parlare di un figlio. Non era il momento, non si sentiva pronta. Per quanto ci avesse provato, non era riuscito a smuoverla da quell'idea. Aveva sempre affrontato l'argomento con tatto e buona volontà, ma per Susy creare una famiglia pareva l'ultima delle preoccupazioni. Le sue ansie erano concentrate tutte su di sé, in modo patologico. In fondo era anche colpa sua, avrebbe dovuto dire «basta», affrontare la moglie senza timore di offendere la sua sensibilità sempre a fior di pelle. Non aveva calcolato che l'onda d'urto dei terremoti interiori di Susy avrebbe potuto raggiungere chi la circondava, oltre a lui. Quel bacio furtivo di cui era stata testimone rischiava di scatenare un disastro. Se le fosse sfuggito di bocca qualcosa, in una piccola comunità come quella, l'armonia collettiva sarebbe andata in pezzi. Forse le sue preoccupazioni erano eccessive, forse Susy non sarebbe stata così incosciente, forse avrebbe valutato la posta in gioco e avrebbe scelto la prudenza. Su questo, a dire il vero, nutriva forti dubbi; la conosceva bene. Pensò addirittura alla possibilità di avvertire Santiago; ma con che faccia poteva dirgli: «Susy ha visto qualcosa e temo proprio che lo racconti in giro»? Lui avrebbe potuto rispondergli: «Bè, è tua moglie, non puoi parlarle tu?». Si sarebbe visto costretto ad ammettere di non avere la minima influenza su una donna tanto immatura e volubile. No, la cosa migliore era non fare niente e aspettare. Non era lui a essere colpevole di adulterio. E non riusciva a capire come fosse venuto in mente a quei due di mettersi in quel guaio. Non avevano un po’ di buon senso? Non si rendevano conto di essere seduti su una polveriera? Concedersi un'avventura in una situazione simile era da veri sciocchi, un brutto tiro per i rispettivi coniugi, una storia squallida e rischiosa. Certo, forse si erano innamorati. La cosa non l'avrebbe sorpreso da parte di Santiago. Paula era insopportabile. E pensare che in tutto il villaggio era la sola con cui Susy avesse fatto amicizia! Una donna mezzo alcolizzata, provocatoria, egocentrica, sempre pronta a portare la gente al limite della sopportazione. La loro vita matrimoniale doveva essere un inferno. Forse Santiago era stato attratto dalla personalità mite di Victoria. Lei appariva sempre tranquilla, pacifica, parlava a bassa voce, sorrideva molto e non esprimeva mai opinioni che potessero infastidire gli altri. La sua aura era ben diversa da quella che si percepiva intorno a Paula. Eppure, stava tradendo suo marito. Cosa le succedeva? Anche il loro matrimonio era in crisi? Strano, perché Ramon sembrava un uomo affidabile, riservato e lavoratore fino all'eccesso. Avrebbe giurato che, anche in privato, non fosse irascibile, né giocatore, né donnaiolo. Insomma, del tutto privo dei tipici difetti maschili che in genere avvelenano i rapporti. Ma chi poteva dirlo? Chi può sapere quel che succede fra marito e moglie? Tutti erano convinti che lui e Susy formassero una coppia piena di entusiasmo ed energia, e invece... La vita a due è difficile: possono risorgere vecchie questioni, riaprirsi ferite non cicatrizzate... Ma se Victoria agiva a quel modo solo per noia, per la stanchezza dei lunghi anni di matrimonio, se lo faceva solo per questo, allora meritava di essere presa a schiaffi. Perché si sa che il tedio della convivenza prolungata, la mancanza di nuovi stimoli, possono essere superati con la comprensione e la tolleranza. Accettare questo è il segreto delle unioni felici e durature. I suoi genitori erano cattolici, e abitavano in un quartiere dove quasi tutte le famiglie erano protestanti. Erano sposati da moltissimi anni, in pratica da tutta una vita, eppure lui li aveva sempre visti in perfetta armonia, dediti anima e corpo l'uno all'altra, perfettamente capaci di amare i loro figli. In casa loro il divorzio era considerato come una terribile fatalità. Ricordava di aver raccontato in casa, qualche volta, della separazione dei genitori di altri bambini. Sua madre si preoccupava sempre molto per quelle storie e diceva a lui e ai suoi fratelli: «Questa sera pregate il Signore perché accompagni quel bambino, e ringraziatelo per avervi dato una famiglia come la vostra». Sorrise al pensiero di sua madre, con quell'aria così fuori moda, quei valori antiquati, i limpidi occhi azzurri e il profumo di lavanda. Era un'immagine tranquilla a cui rivolgere il pensiero quando la vita si faceva opprimente. Forse il mondo a cui appartenevano i suoi genitori non esisteva più. In molti casi il divorzio era l'unica soluzione per ricominciare tutto, con un'altra persona o da soli. Affermare il contrario sarebbe stato negare la libertà dell'individuo, sottrargli la possibilità di rimediare ai propri errori. C'era da augurarsi che Susy tenesse la bocca chiusa e che quel che doveva essere nascosto rimanesse tale. Portare o no alla luce quella storia era una decisione che spettava unicamente ai diretti interessati. Lui detestava i conflitti, i litigi, gli scandali! Come avrebbe potuto lavorare in un ambiente avvelenato dai risentimenti? Il peggio era che ormai, sapendo quel che sapeva, cominciava a sentirsi a disagio.

 

Dopo aver fatto l'amore, si rifugiava contro il suo petto villoso. Solo in quei momenti riusciva a placare le ansie che la tormentavano. Per quanto fosse sicura che nessuno sapeva di loro, cominciava a sentirsi giudicata.

- Andiamocene in Spagna, Santiago, subito. Non aspettiamo oltre.

- Abbi un po’ di pazienza. Una delle imprese a cui ho scritto pare molto interessata. E probabile che presto arriveremo a un accordo.

- Potrai risolvere la questione quando saremo là. Se ci servirà del denaro, potremo contare sul mio stipendio. Lui si voltò, appoggiando la testa sul braccio ripiegato, e la guardò con un misto di gioia e preoccupazione.

- Vuoi che ti rapisca come nei romanzi? Non possiamo scappare così. Dovremo pur parlarne in casa, e poi dovremo tener duro ancora per un po', verranno giorni difficili di spiegazioni e sfuriate, prima che sia possibile un accordo sulla separazione. Una base minima su cui trattare più avanti. Ma andarsene senza dire una parola è impensabile, non te ne rendi conto?

- Certo che me ne rendo conto, ma ho paura, sono sempre più isterica ogni giorno che passa. Ultimamente temo che qualcosa possa andare male.

- Andrà tutto bene.

- Allora perché non ne parliamo subito con Ramon e Paula? Cosa aspettiamo? Prima lo facciamo, meglio è.

- Perché per fare le cose bene bisogna agire con prudenza. In ogni caso, ormai è questione di una settimana, Victoria; sono sicuro che mi daranno quel lavoro.

- Come fai ad avere tanto sangue freddo?

- Ce l'ho perché vivo già nella nostra vita futura, mentre tu vivi nel passato. Penso a come possiamo organizzarci affinché tutto funzioni. E il solo modo che conosco per evitare i fallimenti.

- Questa situazione mi fa sentire molto in colpa.

- Lo so, è spiacevole, ma bisogna mantenere la mente lucida. Stiamo facendo le cose in fretta, questo è sicuro. In pochi giorni ci siamo innamorati e abbiamo deciso di separarci per vivere insieme. Molti ci mettono anni per arrivare a questo punto.

- E vero. Tutta questa rapidità mi fa paura.

- Riflettici, però... vorresti accelerare le cose e al tempo stesso ti spaventa la rapidità con cui siamo arrivati fin qui. Ammetterai che è una contraddizione.

- Sono isterica, te l'ho già detto.

- Bè, conosco un vecchio rimedio contro l'isteria. Consiste nel dare un bel morso sul collo all'isterica in questione. Qualcosa del genere...

Si avventò su di lei e cominciò a morderla. Victoria non protestò nemmeno, rideva, cercando di divincolarsi. Scappò perfino dal letto, ma venne placcata all'istante. Lì, su quelle mattonelle lavate e rilavate mille volte, che profumavano di terra umida, fecero l'amore. Lì arrivarono fino in fondo ai loro sentimenti. Lei non ricordava di aver mai provato nulla di simile. Molte sensazioni del suo corpo la sorpresero. Dopo si sentì felicemente stanca, desiderò dormire.

 

Cenarono al club, da soli. Non c'era nulla di strano, era venerdì e la maggior parte delle famiglie ci andava di sabato. Il venerdì sera, quando gli uomini rientravano dal cantiere, in genere era dedicato all'intimità. Ma lui non se la sentiva di sostenere una serata faccia a faccia con Paula. Davanti a Victoria faceva finta di nulla, ma quella situazione pesava molto anche a lui. Il club era un territorio neutro dove tutto appariva più lieve. Inoltre, aveva trovato Paula particolarmente lucida e serena al suo ritorno.

Mangiarono scambiandosi aneddoti inconsistenti sulla vita al villaggio e al cantiere. Paula era così calma che per un attimo Santiago pensò che fosse l'occasione giusta per dirle la verità. Eppure era impossibile che la prendesse in modo ragionevole; di sicuro la sua reazione sarebbe stata inattesa, qualcosa di spettacolare e fuori dal comune. Erano da temersi soprattutto i primi istanti dopo la notizia, l'esplodere di una personalità estrema. Difficilmente Paula avrebbe accolto la sua confessione in modo discreto e adulto. No, avrebbe inscenato un vero spettacolo, che del resto era da considerarsi come il male minore. Il livello di istrionismo sarebbe stato proporzionale alla dose di alcolici ingerita. Santiago sapeva che Paula non si sarebbe mai comportata come una moglie normale: ascoltando, discutendo, piangendo o infuriandosi. No, Paula no. Rinunciò all'idea di essere sincero con lei: quand'anche fosse stato quello il momento ideale, era ancora troppo presto. Doveva aspettare. Era preoccupato: se non avesse ottenuto quell'incarico a Barcellona si sarebbe visto costretto a trasferirsi chissà dove, forse addirittura fuori dalla Spagna. E temeva che Victoria, lontana dal suo lavoro in facoltà e dal suo ambiente, non si sarebbe adattata alla nuova situazione. Per questo riteneva necessario muoversi con la massima cautela, non lasciare nulla al caso.

Tornarono a casa senza incontrare anima viva. Stranamente, lei non gli chiese di andare a prendere qualcosa al bar del club né decise di fermarsi a bere da sola, come aveva fatto altre volte. Una volta rientrati, non corse al mobile bar, né si diresse nello studio con la scusa di lavorare alla sua traduzione, ma si sedette nel portico a leggere accanto a lui. La notte era tranquilla, profumata come solo le notti messicane possono esserlo. Quello che in teoria sembrava un quadretto ideale a cui non era abituato lo infastidiva enormemente. Cosa non avrebbe dato, un tempo, per godere di una simile pace! Non aveva mai chiesto tanto: una serata trascorsa con sua moglie senza tensioni né sospetti. Una notte di cui conosceva in anticipo il finale: osservare la brezza che entra dalla finestra fino a svegliarsi a un nuovo giorno. Ma era troppo tardi, non ci sarebbero stati nuovi tentativi per sistemare le cose. Non c'era futuro per loro due. Chiuse il libro di colpo.

- Io vado a dormire, Paula, ho sonno.

- Così presto?

- Domattina alle nove ho una partita a tennis con Henry. Vorrei arrivarci riposato.

- Peccato, è una così bella serata...

- A domani.

Andò in camera ed entrò nel bagno. L'acqua tiepida della doccia lo aiutò a rilassarsi, ma quando uscì, si accorse che Paula era già a letto, sempre immersa nella lettura. Era molto tempo che non si coricavano insieme, sebbene dormissero ancora nello stesso letto. Di solito uno dei due rimaneva in soggiorno e non si faceva vedere finché non era sicuro che l'altro stesse già dormendo.

- Ho cambiato idea. Anch'io voglio alzarmi presto. Santiago annuì, prese il suo libro e cercò di rimettersi a leggere, benché la situazione gli facesse presagire qualcosa di strano. Un istante dopo, sotto le lenzuola, la mano di Paula si posò sul suo sesso. Con calma, lui la prese per il polso e, cercando di non essere brusco, la allontanò. Era passato più di un anno dall'ultima volta che avevano fatto l'amore. Le sorrise con tristezza.

- Lascia stare, Paula, ti prego. Lei si innervosì, si drizzò nel letto.

- Cosa c'è? Il nostro meraviglioso matrimonio non serve più neanche a questo?

Santiago era esasperato, stanco del suo sarcasmo, dei suoi sottintesi, delle inutili battaglie dialettiche.

- Credevo fossimo arrivati a un tacito accordo, e che l'epoca dei litigi fosse finita.

- Ma io non voglio litigare, voglio solo scopare! O la prendi come una specie di aggressione?

Santiago scostò le lenzuola, balzò in piedi e cominciò a vestirsi. Paula lo osservava.

- Cosa stai facendo?

- Vado al cantiere. Passerò il fine settimana lì. Non ho voglia di discutere. Non ne posso più, sul serio.

- E cosa dirai ai tuoi egregi colleghi?

- Niente, non dirò proprio niente. Non credo abbiano bisogno di spiegazioni. Ti conoscono, lo vedono come ti comporti, come sei diventata, e questo basta perché capiscano che uno non ce la fa a starti accanto. Ci vediamo la settimana prossima. Ciao.

Uscì dalla camera deciso. Era furibondo, più di quanto l'incidente non meritasse. Presto si rese conto di aver provato, seppur in modo non consapevole, un violento desiderio di essere crudele con Paula, di restituirle in una sola volta tutte le offese. Le serbava rancore per quegli anni e, anche se gli pesava ammetterlo, nel suo atteggiamento c'era un forte desiderio di vendetta. Cercò di calmarsi, quella rabbia non l'avrebbe portato da nessuna parte. Se voleva rompere il silenzio, l'avrebbe fatto, ma solo quando si fosse sentito tranquillo e padrone di sé.

Salì in macchina e mise in moto; i gesti normali della guida e l'aria fresca che gli accarezzava il viso cominciarono a placarlo. Per troppi anni era stato un giocattolo nelle mani di sua moglie, il bersaglio su cui lei sfogava i suoi conflitti interiori, la sua insoddisfazione, le sue eterne crisi. Ma ormai era finita, doveva rivolgere ogni sentimento verso il futuro, non lasciarsi intrappolare dall'ira e dal rancore. Era indispensabile porre fine il prima possibile a quel tormento, Victoria aveva ragione. Quello stesso lunedì avrebbe chiamato l'impresa di Barcellona per sollecitare una risposta. Avrebbe detto che aveva dei problemi di incompatibilità con la squadra, era una motivazione sufficiente per lasciare il suo posto. Nel settore tutti lo conoscevano, godeva di un prestigio professionale consolidato che poteva giustificare una scelta del genere. Doveva anche mandare un messaggio a Henry per annullare l'appuntamento del giorno dopo. Disertare il villaggio per restare al cantiere l'intero fine settimana significava non vedere Victoria neanche di sfuggita. Ma aveva bisogno di allontanarsi da Paula, che era di nuovo sul piede di guerra, decisa ad andare fino in fondo nel suo sfibrante gioco al massacro. Non intendeva più sottoporsi a quella tortura. Ne aveva davvero abbastanza, e non gli bastavano le forze per controllare la sua furia, una furia che non sapeva nemmeno di avere dentro di sé.

 

Paula sorrise nella solitudine della sua camera. Nell'aria aleggiava ancora l'odore dell'acqua di colonia di cui lui si era cosparso dopo la doccia. Probabilmente quello sarebbe stato l'ultimo ricordo intimo che avrebbe conservato di suo marito. L'esperimento aveva dato esito positivo: quel che le aveva raccontato la stupida americana era vero. Ed era vero anche quel che aveva dedotto lei stessa: Santiago era innamorato. La violenza della sua reazione lo confermava. Mai prima di allora aveva deciso di assentarsi per tutto il fine settimana, per quanto lei si fosse mostrata impertinente, per quanto avesse bevuto. Ebbene, come nei romanzi d'appendice, si profilavano grandi novità: «Un'altra donna occupava ora il suo cuore». Dopo tanti anni trascorsi a tenere in piedi la recita del matrimonio, ora Santiago passava all'azione e quasi di sicuro se ne sarebbe andato con il suo nuovo amore. Questo la feriva? Più di quanto avesse pensato. Nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di affrontare l'altro e dirgli: «Non ti amo più». Continuavano perfino a dormire nello stesso letto. Come se, pur facendosi tanto male nell'essenziale, volessero conservare intatta la superficie. Forse era stata solo paura. Paura della solitudine, paura della rottura, paura di riconoscere apertamente il fallimento, paura del futuro. Ma ora lui aveva trovato il coraggio, grazie a un'altra donna. Era la soluzione più banale nei casi come il loro, convivenze bloccate nel nulla. C'era da stupirsi che non fosse successo prima. Da quel momento in poi tutto sarebbe stato molto prevedibile. Se non altro doveva ringraziare Santiago per non essersi invaghito di una ragazzina senza cervello, ma di una donna solida, con due figli, una professione ragionevole e un temperamento equilibrato. Perfetto, ottima scelta, anche se un po’ compromettente in quella cerchia così ristretta. Nulla, tuttavia, che impedisse il trionfo dell'amore. Santiago non avrebbe potuto accusare la vita di essere stata crudele con lui. Il destino finisce sempre per dare una ricompensa a chi ha il coraggio di bruciare le navi. Andò nel soggiorno e si versò un whisky doppio.

 

Sedette sull'unica poltrona che possedeva con la ferma intenzione di bersi una birra gelata e guardare il soffitto. Aveva trascorso l'intera giornata a fare conti e si sentiva stordito, incapace di leggere o anche solo di guardare la televisione. Desiderava starsene tranquillo, sentire quel sapore amaro e vivificante scendergli giù per la gola. La vita era una gran seccatura. Così come la società l'aveva impostata, una noia mortale. Un susseguirsi di tappe pesantissime e inevitabili. L'infanzia trascorsa a sopportare i genitori, la giovinezza a studiare. Poi, la ricerca del lavoro. Più tardi, il matrimonio, i figli, i nipoti! E tutto per arrivare sempre allo stesso identico finale: la morte. Ma neanche la morte ti esenta da ogni dovere: devi pagarti la tomba e il trasporto con il carro funebre, devi lasciare tutte le carte in ordine, e niente debiti, se non vuoi che i discendenti ti maledicano. Sembrava un sistema ideato da un sadico. Ma la cosa più sorprendente era che tutti ci si adattavano senza protestare. Bè, non tutti; c'era chi viveva ai margini, chi andava per la propria strada e si arrangiava da sé. Ma a lui era stata inculcata l'idea che se non sei ricco, qualunque tentativo di uscire dal cammino tracciato conduce inevitabilmente a una vita grama. Se vuoi fare a modo tuo e non segui le regole, finisci per morire solo come un cane, senza un'anima che versi una lacrima per te. Bevve un buon sorso di birra. Non era poi tanto sicuro che fosse così grave se nessuno avesse pianto al suo funerale. In fin dei conti, con o senza lacrime, una volta morto sarebbe finito sottoterra. Quante storie! Ricco non lo sarebbe mai stato, e se proprio doveva vivere con poco, tanto valeva essere felice, no? Lo diceva anche quella storia del Vangelo che gli ripeteva sua nonna quand'era piccolo: «guardate gli uccelli dell'aria, che non seminano e non mietono...». Non ricordava esattamente che cosa desse da mangiare il Signore agli uccelli dell'aria, ma la morale era che senza mangiare, senza mangiare nel vero senso della parola, non ci rimani mai; quindi chi non è troppo esigente riesce sempre a cavarsela in un modo o nell'altro. A lui bastava avere da mangiare. Riso e lenticchie, o manicaretti d'alta cucina, non faceva nessuna differenza. Pur di avere qualche soldo per scopare... solo a questo non poteva rinunciare. Niente è come una bella scopata. Ripensò alle ragazze del Cielito e a quanto si divertiva con loro. Cosa importava che le dovesse pagare? Spesso, poi, non gli chiedevano nulla e, per dirla tutta, anche con Yolanda aveva la sensazione di dover pagare, ma un prezzo molto più alto: appartamenti da centoquaranta metri quadrati, mobili, lampade, banchetti di nozze... Si era persino messa in testa di rivolgersi a un arredatore per sistemare la casa. Una sua amica lo aveva fatto ed era entusiasta del risultato. Un arredatore! Uno che ti organizza la casa senza neanche conoscerti, un estraneo che decide come devi vivere. Ma che senso aveva? Chi aveva messo in testa a Yolanda quelle manie di grandezza? Non era possibile che in due anni di lontananza la sua ragazza fosse cambiata tanto. A meno che non fosse sempre stata così e lui non se ne fosse accorto. La distanza gli aveva aperto gli occhi? Di colpo, quei pensieri lo spaventarono. Doveva finirla di fare storie, Yolanda era la donna che avrebbe sposato, e basta. Questa era una realtà immutabile. Ormai non poteva giocarle il brutto tiro di lasciarla, con i preparativi per le nozze già in corso. Certo, quando uno si sposa già pieno di dubbi, poi succede quel che succede. Aveva davanti l'esempio dell'ingegnere, che andava a letto con la moglie di un altro. Di sicuro anche lui aveva avuto i suoi dubbi prima di fare il grande passo. Meglio non pensarci. Si sarebbe fatto un'altra birra.

Si alzò per andare al frigo, poi tornò a sedersi, un po’ turbato. Ora avrebbe pensato a qualcosa di diverso, qualcosa di più piacevole, avrebbe pensato a Rosita. Era ancora libero di pensare a chi gli pareva. Gli vennero in mente i suoi seni grandi e scuri, le protuberanze quasi nere dei capezzoli. Infilò una mano nei pantaloni, ma proprio in quel momento il campanello suonò. Imprecò sottovoce. Ne aveva tutti i motivi, conosceva bene quella scampanellata insistente e spiritosa. Tirò fuori la camicia dai pantaloni per nascondere il suo stato di eccitazione e andò ad aprire.

- Per l'amor del cielo, ragazzo mio! Cosa fai chiuso in casa in una così bella serata? Stavi bevendo una birra? Ne berrei volentieri una anch'io, non è una cattiva idea. Ho bisogno di parlarti.

- Ma prego, donna Manuela.

- Sediamoci sotto il portico, è meglio.

- Vado a prenderle la birra.

Tornò con un'altra birra per lei, sforzandosi di non dare a vedere la gran voglia che aveva di assassinarla.

- Mi spiace disturbarti nel tempo libero, figliolo, ma sai bene che qui l'orario di lavoro è un po’ elastico. Stavi riposando?

- Mi stavo rinfrescando, come vede.

Lei lo guardò con comprensione materna. Era convinta di leggergli nell'animo.

- Un po’ tristanzuolo, vero?

Dario non capiva dove volesse arrivare. Tentò una risposta vaga.

- Sa com'è...

- Non preoccuparti, ragazzo. In fin dei conti, rimarrete lontani ancora per poco. Dopo starete insieme, e per tutta la vita. Se poi, una volta sposato, tu avessi di nuovo l'occasione di trasferirti all'estero, il mio consiglio è che Yolanda ti accompagni. Anche con i bambini piccoli, è meglio che lei venga con te. Mio marito ed io abbiamo sempre fatto così ed è andata a meraviglia. Le lunghe separazioni non fanno bene, inducono pensieri strani, soprattutto in voi uomini. Per la moglie seguire il marito è un piccolo sacrificio, perché significa lasciare la propria casa, riorganizzarsi lontano dalle comodità abituali, ma ne vale la pena, te lo assicuro. Nella vita ogni cosa deve avere il posto che merita, e la solidità della coppia è quello che conta.

- Certo - disse timidamente Dario, incapace di mostrarsi entusiasta.

- Bene, ma non sono venuta qui per farti le mie prediche da vecchia signora. Voglio chiederti un consiglio.

- Mi dica.

- Si tratterebbe di un ricevimento. Bè, non proprio, più che altro una festa di beneficenza. Sarebbe bello organizzare un'iniziativa benefica, ma non so ancora che forma darle. Ti viene in mente qualcosa?

- Un'iniziativa benefica? Questa volta era davvero sorpreso.

- Vedi, ho pensato che la nostra vita in Messico non è come quella dei semplici turisti, che vengono qui in vacanza e basta. Ormai risiediamo in questo paese da un periodo di tempo piuttosto lungo e forse dimentichiamo che c'è ancora molta povertà. Dovremmo fare qualcosa per la comunità locale, dare una mano, prendere coscienza della realtà. Magari organizzare una festa e invitare gente di fuori; la stessa di sempre, che però pagherebbe un biglietto per entrare.

- E cosa ne faremmo del ricavato?

- Lo consegneremmo al parroco di San Miguel perché lo distribuisca ai più bisognosi.

- A San Miguel c'è un parroco?

- Dario, mi sembri fuori dal mondo! Certo che c'è un parroco a San Miguel. Questa gente può anche cavarsela senza un ospedale, ma non senza un prete.

- Già. E che tipo di festa vorrebbe organizzare?

- Proprio per questo sono venuta, per chiederti se ti viene in mente qualcosa. Negli ultimi tempi sono a corto di idee. Ci terrei che fosse una cosa diversa dal solito, originale.

- Che ne direbbe di una festa in maschera? - suggerì Dario, che non aveva nessuna voglia di mettersi a pensare.

- Di nuovo?

- Bè, l'altra era per i bambini.

- Non sarebbe male, ma ci ritroveremmo con le stesse difficoltà. Dove li peschiamo qui dei bei costumi?

- Se provassimo di nuovo con gli scheletri?

- Oh no, non se ne parla nemmeno! Ci manca solo che io mi debba infilare una tuta aderente...

- E se ci vestissimo da fantasmi? Potremmo nasconderci sotto dei lenzuoli bianchi. I lenzuoli bianchi si trovano facilmente.

- Accidenti, Dario, vedo che oggi non sei molto ispirato! Come vuoi che... Mmm, aspetta un momento, forse hai colpito nel segno. Possiamo dare una festa dove sia obbligatorio essere vestiti di bianco. Credo che lo facciano in uno di quei piccoli stati europei pieni di gente dell'alta società. Che te ne pare?

- Potrebbe essere adatto all'occasione - rispose Dario, ansioso di chiudere l'argomento una volta per tutte.

- Geniale! A cos'è che non pensiamo noi due... formiamo una coppia imbattibile! Ne parlerò con mio marito per informarlo. Tu, intanto, comincia a prendere accordi con il cuoco e i fornitori. Quando sarà ora decideremo il menu. E per decorare il giardino possiamo usare quel che è rimasto dalla festa di Natale. Non preoccuparti, ti aiuterò io. Sarà facilissimo.

- Se non salteranno fuori complicazioni all'ultimo momento...

- Farò in modo che tu non debba lavorare troppo. Ne parleremo ancora. Ma adesso vado, grazie per la birra.

- Buonanotte, donna Manuela.

- Grazie, Dario, vedrai che faremo del gran bene a questi poveri messicani.

Prese fra le mani la testa del ragazzo e gli stampò un sonoro bacio sulla fronte. Poi se ne andò, decisa e soddisfatta. Dario la guardò allontanarsi entusiasta, agitando i fianchi generosi come un cagnolino agita la coda. Quella donna poteva essere davvero seccante, una fonte inesauribile di problemi; poteva fargli saltare i nervi e complicargli la vita in modo indicibile, ma di una cosa era certo, lo trattava con simpatia e persino con affetto. Sì, pensò, poche mogli di un capo gli avrebbero mostrato tanta fiducia e predilezione.

 

Il giorno dopo la brusca partenza dal villaggio, si svegliò nella baracca senza sapere dove si trovasse. Poi ricordò la lite con Paula. Era stato così strano: come sua moglie lo aveva cercato nel letto, come si era comportata per tutta la sera... Da mesi non avevano il minimo contatto sessuale, perché proprio allora? Neanche a cena il suo modo di fare era stato normale, nei suoi silenzi e nei suoi sguardi aveva avvertito un sarcasmo che non riusciva a spiegarsi. Era una donna imprevedibile, però la conosceva molto bene. Che sapesse qualcosa? Che avesse fiutato il suo amore per un'altra con istinto animale? No, era un'idea assurda, una semplice conseguenza del suo senso di colpa. Sempre così, pensò, crediamo di aver superato certe paure e poi scopriamo di portarcele dentro. Nessuno fiuta l'infedeltà. Se Paula sapeva qualcosa, era perché qualcuno l'aveva informata, e solo Dario conosceva la verità. Una verità parziale, perché neanche a lui aveva rivelato chi fosse la sua nuova donna. In ogni caso, gli pareva del tutto impossibile che un ragazzo come Dario andasse a raccontare tutto a sua moglie. A meno che lei quell'informazione non gliel'avesse estorta. Ma in che modo? E per quale motivo? No, si stava lasciando trasportare dall'ansia, errore che lui stesso aveva indicato a Victoria come il più pericoloso nella loro situazione. Quel martedì sera, dopo il lavoro, tutti gli ingegneri andarono a bere una birra al Cielito. Naturalmente Dario era lì, seduto al bancone. Vedendolo, Adolfo disse: - Eccolo lì il mascalzoncello. A quanto pare non è servita a molto la visita della fidanzata.

- Ogni cosa a suo tempo e luogo - disse Henry.

- È evidente che ha un debole per le ragazze, ma alla fine sposerà la fidanzata di sempre - osservò Ramon.

- E manderà tutto a puttane. Divorzio assicurato in pochi mesi - concluse Adolfo.

A queste parole Santiago provò un certo imbarazzo.

- Volete smetterla? Sembriamo quattro comari all'ora del tè. Io vado a salutarlo.

- Bene, e digli anche di scrivere una bella lettera alla fidanzata per raccontarle quanto gli manca. Santiago li sentì ridere ancora, mentre lui si avvicinava al bancone. Occupò lo sgabello accanto a Dario, che in quel momento chiacchierava con Rosita.

- Cosa le servo, signore?

- Birre per tutta la tavolata, grazie.

- Vado subito.

Dario si voltò verso di lui con aria sonnolenta.

- Come sta, ingegnere?

- Bene, e tu?

- Come sempre, qualche birretta, con questo caldo.

- Dario, tu non hai parlato a nessuno del nostro segreto, vero?

Il giovane entrò subito in ansia, ma la sorpresa gli si leggeva sulla faccia. Sgranò gli occhi e disse: - Assolutamente no! E successo qualcosa?

- Temevo che mia moglie ti avesse fatto qualche domanda.

- No, assolutamente, può stare tranquillo. Non ho aperto bocca e mai la aprirò.

- Falso allarme, quindi. E stata un'impressione, solo questo. Non farci caso, va tutto bene. Mi permetti di offrirti da bere? Sarebbe un piacere. Ora però vado a raggiungere i miei colleghi. Non ci basta vederci al lavoro tutto il santo giorno, passiamo insieme anche le serate.

Rise e tornò al tavolo. Si sforzava di rispondere alle battute dei colleghi, ma la sua mente era lontana mille miglia. La situazione lo avviliva. Essere costretto a inganni e sotterfugi, addirittura a confabulare di nascosto con un complice... non era onorevole. Si sentiva un vigliacco, e quella sensazione, che cresceva sempre più, gli era insopportabile. Era ora di finirla. Il giorno dopo avrebbe chiamato l'impresa di Barcellona per sollecitare una risposta. E se non fosse stato possibile lasciare il Messico con un nuovo lavoro, sarebbero partiti alla ventura. Un posto l'avrebbe pur trovato, a livello internazionale era un buon momento per le grandi opere.

 

Non intendeva scoprire il suo gioco, ma voleva soddisfare un'insana curiosità. In tutti quei mesi non l'aveva quasi notata! Certo, Victoria non era il tipo di donna che attira l'attenzione. Pareva sempre così calata nel suo ruolo che finiva per mimetizzarsi con l'ambiente circostante. Una signora del tutto normale, questa era la sua immagine al villaggio. Non spiccava né per bellezza, né per cortesia, né per alcun tratto particolare del carattere. Una signora, come se quella fosse stata la sua natura sin dalla nascita. Forse proprio questo aveva tanto affascinato Santiago, stanco di originalità e comportamenti bizzarri. Una donna comune, discreta, prudente.

Non sapeva che scusa inventare per presentarsi a casa sua. Non voleva destare sospetti. Le venne un'idea semplice che poteva essere efficace. Aveva letto sul giornale un articolo sullo sviluppo dell'industria chimica in Messico. Un argomento che a Victoria poteva interessare. Lo ritagliò e se lo infilò in tasca. Quando le aprì la porta, la trovò più carina di come la ricordasse. O non l'aveva mai osservata bene, oppure avere un amante la faceva rifiorire. Le parve di cogliere un'ombra di timore nel suo sguardo, ma poteva essere solo una sua impressione.

- Ti ho portato un articolo che forse ti interessa. Era sul supplemento di domenica scorsa.

- Ah, grazie, che gentile! Entra, ho appena fatto il caffè.

Si sedettero in cucina e, dopo aver riempito le tazze, Victoria diede un'occhiata al ritaglio. Annuì in segno di apprezzamento.

- Interessante, lo leggerò. Mi fa piacere che qualcuno si ricordi di me anche dal punto di vista professionale. Qui finiamo tutte per sentirci delle casalinghe frustrate. Immagino che tu, con le tue traduzioni, non soffra di questa sindrome...

- Le mie traduzioni! - esclamò Paula. - Un giorno o l'altro l'editore mi chiamerà per dirmi di lasciar perdere.

- Perché?

- Perché la mia traduzione di Tolstoj è ferma da un pezzo. Non chiedermene il motivo, io stessa non riesco a spiegarmelo. Immagino sia un problema fra me e l'autore.

- Non avevi mai tradotto niente di suo in passato?

- Mai. E questo il punto, sto imparando a conoscerlo meglio come persona e quello che vedo non mi piace affatto. Era completamente matto. In fondo gli interessava più la religione che la letteratura. E questo odio viscerale per la moglie pur senza volersene separare! Leggere i suoi diari è stato controproducente. Quando scopri la verità su una persona, le cose cambiano, no?

- Immagino di sì.

- Ciascuno di noi tende a nascondere gli aspetti più sgradevoli, più torbidi, della sua personalità. Victoria sorrise, un po’ tesa.

- Per fortuna non sono una grande psicologa. Non mi spingo quasi mai molto in là nella conoscenza della gente.

- Ci sono personalità che traggono facilmente in inganno.

- Bè, è ovvio che Tolstoj con te non c'è riuscito.

- Come mai hai studiato chimica?

- Oh, è passato tanto tempo! La verità è che avrei voluto fare medicina, ma poi non me la sono sentita. Non ho un carattere molto forte e ho pensato che il continuo contatto con persone malate alla lunga potesse deprimermi.

- Come ti capisco! A me deprime perfino il contatto con la gente sana.

Victoria pareva sconcertata, ma non azzardò alcun commento. La guardò e sorrise, a rischio di apparire enigmatica.

- Prendi dell'altro caffè? - le chiese precipitosamente.

- No, no, grazie. Ora vado. Nessuno lo direbbe, ma ho un mucchio di cose da fare.

Victoria non fece nulla per trattenerla. Sperava solo di vederla sparire in fretta. Era evidente che sapeva o almeno sospettava qualcosa. Perché, altrimenti, quella visita con l'assurdo pretesto dell'articolo di giornale? Ma a colpirla erano state soprattutto le sue parole, cariche di sottintesi. E poi il suo sorriso, il suo sguardo inquisitore. Doveva calmarsi, forse si stava immaginando tutto. Erano o non erano considerazioni senza fondamento? Prese un libro e si sforzò di leggere, ma saltava da una riga all'altra senza capire nulla. Inviò un messaggio a Santiago con il cellulare: «Chiamami appena puoi». Prima o poi lui l'avrebbe letto. Ma subito dopo si preoccupò, era troppo allarmante. Lui avrebbe potuto temere qualcosa di peggio. Prese di nuovo il telefono e scrisse: «Nulla di grave». Così era meglio. Si accorse che le tremavano le mani. Era davvero in preda a una grande agitazione. Ma non doveva perdere la calma. L'ipotesi peggiore era che Paula avesse scoperto tutto e ora volesse divertirsi un po'. Sarebbe stata una reazione perfettamente consona alla sua personalità. Forse si proponeva di sferrare il colpo più avanti. Presto o tardi la verità sarebbe venuta fuori; il solo rischio era che tutto avvenisse prima del previsto, nient'altro. A poco a poco si rasserenò. Doveva fidarsi di Santiago. Lui era un uomo con i piedi ben piantati per terra e avrebbe saputo cosa fare. Prese il libro e riuscì a leggere qualche pagina. Poco dopo si addormentò.

La svegliò di soprassalto lo squillo del telefono. La voce di Santiago la riempì di gioia. Era ancora stordita dal sonno.

- Victoria, sono riuscito a leggere i tuoi messaggi solo ora. E successo qualcosa?

- Non lo so, probabilmente sono congetture mie. A volte mi lascio prendere dall'agitazione.

- Spiegati meglio.

- Poco fa è venuta a trovarmi Paula. Mi ha portato un articolo di giornale. Le ho fatto un caffè e... insomma, ho avuto la sensazione che sapesse qualcosa, e che volesse giocare al gatto e al topo.

- Purtroppo non credo siano congetture tue. Ho avuto anch'io la stessa impressione venerdì sera, per questo non sono rimasto al villaggio. Qualcuno deve averle detto di noi.

-Ma chi? Dario?

- Non credo, ma non è questo il punto. In ogni caso, non ti angosciare, è necessario prendere una decisione. Non possiamo andare avanti così. Questo fine settimana dobbiamo parlare con loro, dire che ci siamo innamorati e abbiamo intenzione di andarcene. Resteremo ancora qualche giorno, per lasciare spazio alle reazioni, alle spiegazioni, a tutte le decisioni necessarie. E poi ce ne andremo, che io abbia un posto oppure no. Rifletti su questo piano e dimmi se sei d'accordo. Victoria rimase in silenzio. Quello era il momento cruciale. Sentì la voce ferma di Santiago.

- Victoria, mi hai sentito?

- Sì, ti ho sentito. Non ho bisogno di riflettere molto, non credo ci siano alternative.

Riflettere, riflettere... Cosa voleva dire riflettere? Qualunque cosa pensasse, la conclusione sarebbe sempre stata la stessa: dolore. Dolore allo stato puro, nel momento in cui avrebbe detto a Ramon che non lo amava più. Era terrorizzata all'idea di confessargli che si era innamorata di un altro e che se ne sarebbe andata con lui mollando tutto: matrimonio, figli, casa... tutto. Le sembrava impossibile arrivare a pronunciare quelle parole. Lui non avrebbe mai capito, non poteva, perché non c'era stato alcun indizio di disaccordo fra loro, nessuna precedente crisi, nessun passo verso la rottura. Il lento, quasi impercettibile deteriorarsi del loro matrimonio non bastava a giustificare una risoluzione così drastica. Ma quel discorso era inevitabile. Non poteva certo fuggire lasciandogli un biglietto attaccato al frigorifero. Doveva far capire a suo marito che da tempo fra loro non c'era più amore, ma comprensione, tenerezza, complicità, nulla che somigliasse al tempestoso trasporto della passione. E quel discorso sarebbe stato solo il primo passo per successive analisi del loro rapporto. Ramon doveva rendersi conto che la sua non era una decisione presa a cuor leggero, ma una conseguenza del vuoto che si era aperto fra loro. Ma ci sarebbe riuscita. Santiago aveva previsto tutto. Era un uomo affidabile, solido, sicuro di sé. Senza dubbio agiva sempre così di fronte alle cose. Non si sarebbe sentita sola mai più. O forse, dopo qualche anno, anche loro due avrebbero finito per allontanarsi? No, questa volta no. Questa volta tutto sarebbe stato perfetto.

 

Il telefono non la finiva di squillare ma lei non rispondeva. Era certa che fosse sua madre. Aveva deciso di non risponderle per un po'. Questa sarebbe stata solo la prima fase della sua «rieducazione». La seconda sarebbe consistita nel sollevare il ricevitore e dirle: «Lasciami in pace. Non voglio parlarti. Non c'è niente da discutere. Ti chiamerò io più avanti». Per ora non aveva il coraggio di affrontarla, e il solo risultato di quell'interruzione dei contatti era che sua madre tempestava Henry di messaggi per sapere cosa stesse succedendo. Alla fine fu lui a chiamarla, infuriato.

- Tesoro, ti sembra il caso che tua madre debba infastidirmi in questo modo? Si può sapere perché non le rispondi? Mettiti in contatto con lei, una buona volta. Con tutto il lavoro che ho non posso occuparmi anche di lei.

- Ho deciso di dare un taglio alle nostre telefonate. Quando avrà accettato la cosa, le dirò che non intendo rivederla.

- Credi sia questo il modo per sistemare le cose? Ne sei proprio convinta? Ma quando la smetterai di comportarti come una bambina, Susan? Quando? Ti avverto che la mia pazienza ha un limite.

- Lasciami in pace.

Susy riattaccò bruscamente, felice di averne il coraggio. Ribellarsi era più facile di quanto sembrasse e anche più gratificante. Henry riteneva di avere l'autorità per chiamarla e sgridarla come una ragazzina. Ma le cose stavano cambiando; il Messico la stava cambiando. Il viva Mexico libre! pensò, e le venne da ridere. Seguire le sue vere inclinazioni non era poi tanto complicato. Tutto stava nel non aver paura di quel che poteva scoprire dentro di sé. Addio, paura, addio.

 

Victoria non aveva quasi chiuso occhio in quelle ultime notti. Vedeva avvicinarsi il fine settimana come la data di una sentenza invece che l'inizio della sua nuova vita. Il venerdì a pranzo non riuscì a mangiare nulla. Aveva un nodo allo stomaco che le impediva persino di respirare. Ogni tentativo di calmarsi era inutile. Le costava fatica controllarsi, mai prima di allora era stata così in ansia. Avrebbe voluto avere a disposizione dei tranquillanti, ma nessun farmaco del genere aveva mai fatto parte della sua farmacia casalinga. Non ricordava di averne mai presi. Era sempre stata una donna tranquilla, eppure ora l'ansia stava vincendo la partita. Pensò che non poteva affrontare Ramon, né avviare la conversazione più importante della sua vita in uno stato simile. No, non l'avrebbe fatto, non gli avrebbe parlato, ci avrebbe provato più avanti. Ma quando? Ormai era impossibile fare marcia indietro. In quella storia erano coinvolti tutti. No, fare marcia indietro non era più possibile. Ramon arrivò dal cantiere alle sette di sera. Le diede un bacio sulla guancia, senza accorgersi che era pallida e stravolta. Chiese se dovessero cenare con qualcuno. Disse che era molto stanco e andò a fare una doccia. Lei preparò meccanicamente un aperitivo e lo servì sotto il portico, dove già aveva disposto i giornali della settimana. Era la routine di tutti i venerdì, che ora le sembrava un rituale spaventoso. Bevve il primo martini tutto d'un fiato, come una medicina. La sua mente continuava ad affannarsi alla ricerca di un alibi morale: il loro matrimonio poteva sembrare perfetto, ma la freddezza di suo marito era forse normale? Se tutto era così impeccabile, perché da tanto tempo si sentiva sola? Perché avrebbe dovuto vivere senza amore? Ma alla fine quello sforzo di trovare delle scuse sembrò patetico anche a lei. Stava per essere ingiusta, tremendamente ingiusta. Da un momento all'altro avrebbe dato a Ramon un dolore immenso. Ma doveva farlo, la vita è così. Non è sempre facile, a volte dà, a volte toglie. Ramon tornò, in pantaloni corti, con una camicia pulita, aveva i capelli umidi. Le sorrise, uscendo nel portico. Inforcò gli occhiali e si servì un martini. - Vedo che hai cominciato a bere senza di me. Com'è andata la settimana?

- Bene, tutto bene.

- Spero che Manuela non abbia organizzato un'altra delle sue serate.

- No, per fortuna.

- Allora è stata clemente.

Aprì il giornale alle pagine sportive, bevve un sorso del suo aperitivo e si immerse nella lettura. Lei rimase immobile. Un attimo dopo, Ramon alzò lo sguardo e disse: - Tu non leggi?

- Avrei bisogno di parlarti.

Lui abbassò il giornale, un po’ sorpreso per il tono serio della moglie.

- Dimmi pure.

- Togliti gli occhiali, Ramon, e stammi a sentire.

A un tratto si sentiva forte e tranquilla, padrona di sé e della situazione. L'ansia di poco prima era scomparsa. La invase una grande pace, una sensazione fisica addirittura piacevole.

- Quello che sto per dirti è molto penoso. Per te, ma anche per me.

Lui la guardava interdetto, come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie.

- E va bene. Ma cosa succede? Mi stai facendo preoccupare.

- Ramon, mi sono innamorata di un altro.

Tagliò lì la frase, con piena consapevolezza di quel che faceva.

Osservò l'effetto sul volto di suo marito. In pochi decimi di secondo, allo sforzo di dare un senso a quelle parole, seguì lo sbalordimento e il tentativo di ricomporsi dopo il colpo.

- Accidenti, questa sì che è una novità! E posso sapere di chi?

- Di Santiago Herrera.

A quel punto il mutamento nella sua espressione fu molto più marcato. Ramon si fece rosso fino alla radice dei capelli e i suoi lineamenti si tesero.

- Ma cosa dici? Sei impazzita?

- No. Ci siamo innamorati. Mi dispiace, Ramon, davvero.

Lui tacque per un po'. Poi alzò la faccia verso di lei, furioso: - Magnifico, ti sei innamorata di un collega e proprio qui, in un posto come questo, un villaggio chiuso come un lager. E una cosa a dir poco... spregevole, inconcepibile... non so come definirla, sul serio.

- Non è molto che è successo. E preferiamo che si sappia subito per non prolungare l'inganno.

Lui si alzò, gettò gli occhiali sul tavolo e si mise a camminare avanti e indietro per la terrazza, sempre più in collera.

- Fantastico, siete davvero impeccabili! Mi congratulo con voi. E dov'è che andate a scopare? Perché naturalmente scopate. In questa casa, immagino, perché nella sua c'è sua moglie.

- Se è questo che ti preoccupa, tranquillizzati, non è stato qui.

- Oh, grazie, grazie, che delicatezza! Avete chiesto in prestito la casa a un amico messicano o siete andati in albergo?

- È questa la sola cosa che ti preoccupa? Non credi che dovresti pensare al perché è accaduto, a cosa stava succedendo fra noi, a come si è potuta creare una situazione simile?

- Ah no, mia cara, tu ti sei innamorata e tu te ne assumi la responsabilità! Non mettere di mezzo me, non cercare di scaricarti la coscienza. Ma come hai potuto...?

Un singhiozzo gli troncò le parole. Per trattenere le lacrime si premette gli occhi con le mani. Poi si voltò e uscì precipitosamente.

- Ramon, dove vai?

- Lasciami stare!

Lei restò sola, libera da ogni tensione, tranquilla. Si era aspettata di provare dolore per le emozioni del marito; ma non era stato così. Al contrario, l'aveva osservato da una distanza siderale, come fosse un estraneo. Era così rilassata che avrebbe potuto persino addormentarsi. Le venne un gran sonno, infatti, una piacevole stanchezza si impadronì dei suoi muscoli, sciogliendoli. Un momento dopo, Ramon tornò.

- Se me l'hai detto, vuol dire che state già facendo progetti per il futuro, giusto?

- Sì, intendiamo andare a vivere insieme al più presto.

- E lascerete il Messico, è ovvio.

- Certo.

- Allora, prima ve ne andate, meglio è.

- Ce ne andremo quando sarà il momento, non quando lo decidi tu - rispose lei con fermezza.

- E i tuoi figli? I tuoi figli lo sanno?

- Non ancora; e ti sarei grata se mi permettessi di comunicarglielo personalmente.

- Farò quello che mi sembrerà più opportuno. Di favori non se ne parla, Victoria, a partire da questo momento, non se ne parla nemmeno. Me ne vado.

- Dove?

- A bere un bicchiere da qualche parte. Stare con una come te mi dà la nausea.

Di nuovo sola, Victoria si mise a piangere amaramente, ma si asciugò subito le lacrime, cercando di dimenticare le parole di Ramon. Cominciò a riflettere. Non si sarebbe mai aspettata quella reazione da parte di suo marito, un uomo tranquillo, moderato, poco incline all'ira o alle discussioni. Si aspettava tutt'altro: domande, silenzi... Invece il suo era stato un comportamento esplosivo, radicale. Quel che più sembrava averlo colpito era che lei potesse tradirlo con un collega; poi, che la cosa fosse avvenuta all'interno del villaggio; infine, dove avessero fatto l'amore. Era come se lo infastidissero le circostanze, non il fatto che lei non l'amasse più. Bene, una reazione del genere facilitava le cose. Non avrebbe più sofferto per il dolore che poteva arrecargli. Da quel momento in poi ciascuno si sarebbe occupato della propria disperazione. La freddezza di quei pensieri la sorprese. Ma così era la vita, a quanto pareva.

Entrò in cucina e si servì la cena che aveva preparato per entrambi. Non aveva il minimo appetito, ma seguire il corso abituale delle azioni l'avrebbe aiutata. Ramon tornò dopo appena dieci minuti. Era pallido, così alterato da apparire quasi irriconoscibile. La guardò con un'espressione che a lei parve di odio puro.

- Torno all'accampamento. Non riuscirei mai a dormire con te. E poi, può darsi che tu abbia un appuntamento galante e non vorrei rovinartelo.

- Non parlarmi così, ti prego.

- Cosa c'è? Ferisco la tua fine sensibilità di donna innamorata?

- Se non vuoi che parliamo da persone civili, d'accordo, ma non credo tu debba mancarmi di rispetto, visto che non l'hai mai fatto prima.

- Mi sembra che tu non abbia capito, Victoria. Io faccio quel che mi pare perché questa è casa mia e, te lo ripeto, prima te ne vai, meglio è, per tutti.

Uscì dalla cucina sbattendo la porta. Victoria lo sentì muoversi in camera da letto. Di sicuro stava preparando la borsa per partire. Poi distinse il rumore dei suoi passi sulla ghiaia, in direzione della macchina. Si coprì gli occhi. Era inorridita, impossibile che stesse succedendo una cosa del genere. Non aveva mai visto suo marito in uno stato simile. Del resto, cosa si era aspettata? Quella era una situazione limite, ed era stata lei a condurlo fin lì. Gli aveva fatto la cosa peggiore che si possa fare a un uomo, la peggiore. Lo sapeva fin dal principio che sarebbe stato molto doloroso per entrambi. Doveva solo tener duro, resistere, pensare il meno possibile. Si trasferì nel soggiorno e si distese sul divano. Era sicura di addormentarsi subito, non appena avesse chiuso gli occhi, e questa possibilità le parve un benefico rifugio.

 

Santiago riuscì a parlare seriamente con sua moglie solo il sabato mattina. Avrebbe voluto farlo il venerdì sera, ma gli fu impossibile. Paula aveva insistito per andare a cena in un ristorante di San Miguel; di sicuro prevedeva il discorso di Santiago. Lo conosceva bene, come tutte le mogli finiscono per conoscere il proprio marito.

Cercò di mostrarsi particolarmente allegra e loquace per tutta la sera. Era decisa a non rendergli le cose facili. Ormai sapeva che la sua storia d'amore era una cosa molto seria. Se lui aveva scelto quella serata per la «confessione», si proponeva di mandargli a monte tutta la messinscena. Mentre lo guardava, seduto di fronte a lei con l'aria distratta e una smorfia di malumore, impaziente di liberarsi del peso della sua colpa segreta, lo giudicò coraggioso. Era pronto a far scoppiare uno scandalo sul posto di lavoro, ad affrontare Ramon, ad accettare la condanna morale che si sarebbe abbattuta su di lui e su Victoria... Avrebbe potuto attendere la fine dei lavori e lo scioglimento del villaggio, e invece no, preferiva mettersi in ridicolo e trascinarci anche lei. Non aveva calcolato che la cosa potesse importarle, e invece le importava, eccome. Ritrovarsi nella parte della donna abbandonata sotto gli occhi di tutti non era una bella cosa: l'intellettuale indomita, capace d'infrangere ogni norma e convenzione, si riduceva a nient'altro che a una moglie beffata. Santiago avrebbe dovuto risparmiarle una simile umiliazione. Era ovvio che lui e Victoria intendevano fuggire insieme. In quel caso, anche lei sarebbe stata costretta ad andarsene, la sua presenza al villaggio era vincolata al contratto di suo marito. Tutt'al più la direzione le avrebbe concesso un periodo di grazia, un generoso asilo politico a nome dell'impresa costruttrice. Sorrise a questa idea e continuò a parlare, blaterando senza fine sulla bellezza delle notti messicane. Più volte Santiago avrebbe avuto l'opportunità di interromperla dicendole: «Adesso basta con questa farsa, ascolta quel che ho da dirti», ma non lo fece. La ascoltò, cenò, rispose alle sue banalissime domande e, addirittura, una volta a casa, si coricò accanto a lei per dormire tutta la notte. Non doveva essere facile confessare una cosa del genere, per quanto nel corso del tempo loro due si fossero allontanati, per quanto i loro rapporti si fossero deteriorati. O forse suo marito non era altro che un Giuda in attesa del momento propizio per consumare il tradimento.

Il mattino dopo, quando si svegliò, lui si era già alzato. Sentì il profumo del caffè e scese al piano di sotto avvolta in un accappatoio. Si sentiva serena e in forma, la notte prima non aveva bevuto quasi nulla. Santiago stava facendo colazione al tavolo di cucina, completamente vestito. La salutò con un cenno del capo e disse subito: - Paula, dobbiamo parlare.

- Hai scelto la mattina per non approfittare del favore delle tenebre?

- Smettiamola con questi giochetti. Tanto sai già che cosa devo dirti.

- Sì, lo so.

- In questo caso, tanto meglio, perché...

- Un momento, un momento, non illuderti che sia così semplice. Sto aspettando le tue parole e le tue spiegazioni.

- Molto bene, d'accordo. È facilissimo da spiegare: mi sono innamorato di Victoria e ho deciso di andare a vivere con lei. Questo è tutto.

Paula si sforzò di dominarsi, di conservare un'espressione assolutamente neutra. Replicò con tono tranquillo: - Puoi passarmi la caffettiera, per favore? Santiago fece quel che lei gli chiedeva e la guardò, in attesa di una risposta. Lei si servì lentamente il caffè, vi mise due cucchiaini di zucchero, lo assaggiò.

- Ti è venuto proprio come piace a me, forte e aromatico.

Lui sferrò un colpo sul tavolo che fece saltare i cucchiaini.

- Basta, Paula, basta! È finita, non te ne rendi conto? Non ho più voglia di sopportare i tuoi giochetti. Sto parlando sul serio. Me ne vado con Victoria. È una donna equilibrata, sensibile e affettuosa, virtù che per te probabilmente non significano nulla.

- Lo so, caro, lo so. Susy vi ha visti mentre vi baciavate la sera di Natale. Molto intelligente, da parte vostra, col rischio di essere scoperti. Un gesto sensibile, anche. E hai una vaga idea di quel che pensa suo marito di tanta sensibilità?

- E mutile ragionare con te. Sono anni che lo so. Non vedo perché ora dovrebbe essere diverso.

- Sei un martire.

- Credi sia stato facile sopportare la tua opera di distruzione per tutto questo tempo?

- E perché non te ne sei andato prima?

- Perché ho sempre sperato che le cose potessero cambiare.

- Capisco. E hai aspettato questo fantastico cambiamento finché non è comparsa lei.

- Hai ragione. Me ne sarei dovuto andare molto prima. Ti piace di più così?

- Che vigliacco. Non hai avuto il coraggio di lasciarmi finché non ne hai trovata un'altra.

- Forse lei mi ha svegliato da un brutto sogno. Di colpo mi sono detto: cosa ci faccio qui? cosa sto aspettando? c'è davvero qualcosa da salvare?

- La tua retorica è nauseante, Santiago. Se mi permetti una parentesi stilistica, posso dire a tua discolpa che è sempre così quando si parla d'amore. Il repertorio amoroso è di una povertà spaventosa.

Santiago sorrise scoraggiato. Scosse la testa.

- Vado a fare un giro. Riprenderemo il discorso in un altro momento.

- Non te ne vai da nessuna parte invece. Ho il diritto di sapere cosa succederà.

- Cosa vuoi sapere?

- Mi interessa sapere che progetti hai per la tua nuova e felice convivenza. Soprattutto perché la cosa riguarda anche me, non so se te ne rendi conto.

- Visto che ti interessano le questioni di stile, ti prego di piantarla col sarcasmo.

- Io parlo sempre così. Dovresti saperlo.

- D'accordo, te lo ripeto: cosa vuoi sapere?

- Cose senza importanza. Per esempio, quando dovrò lasciare questa casa e questo paese? Per esempio, dove pensi di andare?

- Non abbiamo ancora definito i dettagli, ma partiremo presto; probabilmente per la sua città.

- Ah, che carino, non vuoi che la tua ragazza patisca i cambiamenti!

- Non intendo continuare quest'assurda conversazione, Paula. Ho già sopportato tutto quel che potevo sopportare.

- Mi passerai gli alimenti?

- Arriveremo sicuramente a un accordo. Ti lascio la casa. Se un giorno o l'altro tu dovessi venderla, mi darai la metà. Non credo ci sia altro da discutere a questo proposito.

- Gli alimenti puoi tenerteli. Ce la faccio da sola. Quanto alla casa... cercherò di venderla subito. Continuare a vivere lì risveglierebbe solo brutti ricordi. E ora vattene, abbiamo già parlato abbastanza.

- Mi chiedo cos'è che non ti va di questa storia, Paula. Che io cerchi di essere felice? Perché quel che non riesco a credere è che ti dispiaccia perdere il nostro amore. Quello ormai si è perso da anni.

Paula prese la zuccheriera e gliela scagliò addosso. Santiago si scansò. Il proiettile colpì il pavimento, lasciandosi dietro una scia di zucchero. Lui guardò la moglie con disprezzo e uscì. Paula rimase seduta al suo posto, sorridente. Disse ad alta voce: - Un finale molto classico.

Poi si alzò e si accese una sigaretta. Non era nervosa, nemmeno alterata. Guardò la zuccheriera distrutta. Contò i cocci. Osservò la forma curiosa dello zucchero sparso sul pavimento. Voleva ricordarsene, perché quello era il risultato di quindici anni di matrimonio.

Un'immagine simbolica: la dolcezza dell'amore andata in pezzi. Forse ora, come moglie pubblicamente abbandonata, sarebbe stata capace di scrivere un buon romanzo. Quella vicenda poteva trasformarsi in uno stimolo per il suo lavoro. Sarebbe rimasta sola e avrebbe dovuto guadagnare abbastanza per mantenersi. Ecco che la provvidenza le tendeva la mano per non lasciarla annegare. Nella sua infinita saggezza, il Signore non dimentica mai le pecorelle smarrite. Sarebbe tornata all'ovile. Forse il pastore d'anime ne avrebbe allestito per lei uno confortevole e personalizzato, altro che i maleodoranti ovili di massa dove la maggior parte della gente era costretta a vivere. Si sarebbe sistemata lì, al riparo da tutti i venti del mondo, al riparo da tutte le disgrazie e anche dalle tentazioni. Un lussuoso ovile con uno studio in cui poter scrivere, un frigorifero ben fornito, un mobile bar.

Uscì dalla cucina e andò in soggiorno. Cercò una bottiglia di tequila che era sicura di aver comprato qualche giorno prima. Troppo presto per mettersi a bere? Che senso aveva, ormai? Finalmente poteva vivere senza guardare l'orologio. Riempì un bicchiere fino all'orlo, alla salute di tutte le pecorelle smarrite che, come lei, sapevano fare di necessità virtù.

 

Non riusciva a trovare Dario in nessun angolo del villaggio. Forse aveva passato la notte al Cielito. A una svolta del sentiero si trovò faccia a faccia con Henry, in tenuta da tennis.

- Ciao, Santiago, cos'hai fatto alla fronte? Stai sanguinando.

Ricordò che la zuccheriera lanciata da Paula l'aveva sfiorato.

- Oh, nulla.

- Come nulla? Perché non vai in infermeria a farti medicare?

- Hai visto Dario?

- No. Dovevo giocare a tennis con Ramon, stamattina, ma pare sia ripartito per il cantiere.

- Come mai?

- Ha detto che si è dimenticato di finire un lavoro importante. Che forza d'animo, quell'uomo. Lavorare anche nel fine settimana.

- Sì, che professionalità.

- Su, vieni, ti metto un po’ di disinfettante su quella ferita.

Santiago lo seguì verso l'infermeria. Era meglio lasciarsi medicare quel graffio ed evitare altre domande. Henry prese un batuffolo di cotone e vi versò del disinfettante. Cominciò a picchiettargli la fronte.

- Henry.

- Dimmi - rispose distrattamente il collega mentre procedeva nel suo delicato lavoro.

- Tu sei al corrente di quel che sta succedendo, vero?

- Di quel che sta succedendo dove?

- Smettila di fingere, per favore. Non credo che Susy abbia raccontato a Paula quello che ha visto senza dir niente a te.

Henry si contrasse come se avesse ricevuto uno schiaffo. Subito dopo arrossì.

- Non riesco a credere che l'abbia riferito a tua moglie. Mi dispiace, Santiago, davvero. Ti assicuro che ho cercato in tutti i modi di dissuaderla, ma Susy è così... infantile. Ne abbiamo parlato più volte, però non è servito a nulla.

- Non ha importanza; ormai avevamo deciso di rivelare tutto. Non so che cosa ti abbia detto Susy, sta di fatto che...

- Non raccontarmi nulla, ti prego.

- Ma sono io che voglio farlo. Voglio che tu sappia che Victoria ed io ci amiamo. Desideriamo andarcene insieme il prima possibile. Ma non possiamo scappare come due ladri. Oltretutto, io sono vincolato da un contratto. Lo capisci?

- Perfettamente.

- Vorrei chiederti un favore, se posso permettermi.

- Chiedi pure qualunque cosa.

- Ramon l'ha appena saputo. Io non ho intenzione di abbandonare il cantiere... Certo, è inevitabile che prima o poi ne parliamo, ma ora sarebbe meglio evitare il rischio di un faccia a faccia. Potresti occuparti tu di non farci restare soli?

- Per me non c'è nessun problema, ma se la cosa è destinata a diventare di dominio pubblico, perché non ne parli con Adolfo? È un uomo aperto e comprensivo, e può aiutarti davvero. Può assegnarvi a zone diverse, per esempio, in modo che non dobbiate incontrarvi per forza.

- Sì, hai ragione. Avrei voluto ritardare un po’ la cosa, ma non ha senso.

- Questo non vuol dire che non sarò pronto a intervenire per alleviare tensioni, Santiago. Te l'ho detto, qualunque cosa io possa fare... E poi, mi dispiace davvero per quel che ha combinato Susy. Questa volta ha esagerato. Si è comportata in modo vergognoso. Spero proprio che cambi, perché altrimenti...

- Lascia perdere, Henry. È normale che le donne si facciano delle confidenze; non mi stupisce che sia successo. Credo che passerò il resto del fine settimana in albergo. Ne ho già avute abbastanza di emozioni per oggi. Henry gli rivolse un sorriso preoccupato e lo guardò allontanarsi a passo deciso. E un uomo coraggioso, pensò, si è innamorato in una situazione non facile. Dovrà affrontare ogni genere di pressioni morali, sociali, familiari... eppure non è disposto a rinunciare a quella donna. Non aspetterà, non fingerà, non si assoggetterà alle regole altrui. Niente da dire, Santiago aveva le palle, perché la situazione in cantiere poteva diventare insopportabile... In un ambiente di lavoro chiuso come quello, il marito e l'amante costretti a collaborare... Ma come si fa? Avrebbe preferito non dover ricoprire il ruolo del mediatore. In fin dei conti, lui era straniero, non conosceva la mentalità spagnola e non aveva idea di cosa fosse opportuno dire o non dire se le cose si fossero messe male. Si era sentito costretto ad accettare per via dell'infelice intromissione di Susy. Come aveva osato raccontare a Paula quello che aveva visto? Soprattutto dopo il suo esplicito ammonimento! Fino ad allora l'immaturità di sua moglie era rimasta contenuta all'interno della coppia, ma adesso cominciava ad avere conseguenze gravi anche per gli altri. Questo era intollerabile. Susy doveva capire che non esisteva soltanto lei al mondo, che la gente non poteva subire i suoi colpi di testa e la sua sventatezza. Le avrebbe parlato molto seriamente; ormai cominciava a essere stufo di farle da padre, era un ruolo sgradevole, innaturale. Di pazienza ne aveva avuta tanta. Più di una volta, in quei due anni di matrimonio, era stato tentato di rompere. Desiderava una relazione matura con una vera donna. Solo la speranza che Susy potesse cambiare l'aveva sostenuto nella decisione di rimanere con lei. In fondo Susy poteva essere così affascinante... Ma adesso si era spinta troppo in là e questo lo metteva di fronte a un fatto sempre più incontestabile: sua moglie non sarebbe mai cambiata.

 

Santiago rientrò. Trovò Paula nel soggiorno, seduta sul tappeto, ancora in pigiama. Stava bevendo.

- Prendo una stanza in albergo, Paula; è la cosa migliore.

- E non ne parliamo?

- Di cosa?

- Del nostro matrimonio.

- Temo che per questo sia un po’ tardi.

- Io ho delle cose da dire.

- Parleremo quando saremo tutti e due più calmi. Andò in camera e cominciò a prepararsi una borsa da viaggio. Paula comparve sulla porta e si fermò a osservarlo con il bicchiere in mano. Lui continuò quel che stava facendo senza scomporsi.

- Mi lascerai qui da sola a ubriacarmi?

- Ti lascerò sola. Che tu ti ubriachi o no, sono affari tuoi.

- Fai il duro, eh?

- Ognuno ha diritto alla propria vita.

- Sono colpita, davvero. Sembri un attore di Hollywood. Dai il colpo di grazia a quell'ubriacona di tua moglie senza battere ciglio. Ci manca solo che tu dica: «Te la sei cercata, bambola». Mi piace il tuo stile.

- Meglio così.

- Lei ti aspetta in albergo?

- Non continuare, Paula.

- Ah, scusa tanto! Come posso macchiare il nome di quello specchio di virtù? Lei non beve, vero? No, certo che no. Ed è sensata e affettuosa e sa persino cucinare piatti vegetariani.

Santiago accelerò i movimenti. Voleva uscire di lì il prima possibile. Qualunque conversazione sarebbe finita male, e lui voleva assolutamente evitarlo. Chiuse la cerniera lampo della borsa e fece per uscire, ma Paula, in piedi sulla soglia, gli bloccava il passaggio.

- Non c'è bisogno che tu vada in albergo. Puoi dormire nella stanza per gli ospiti, non ho intenzione di aggredirti.

- Tornerò e parleremo, non sto scappando. Ma temo che tutto quel che potremmo dire oggi sarebbe controproducente. E meglio che me ne vada.

- Già, e tu, invece, preferiresti che tutto si svolgesse con la massima tranquillità e civiltà, vero?

- Nei limiti del possibile, sì.

- Perfetto. Tu hai diritto alla tua vita, ma a quanto pare accampi dei diritti anche sulla mia. Te ne vai con un'altra e per di più pretendi di decidere come dobbiamo dirci addio.

- Immagino sia la giusta compensazione per tutti gli anni in cui ho rispettato il tuo modo di fare o, per meglio dire, di disfare le cose.

- Credi che io mi diverta a essere come sono? Non ti sfiora l'idea che io possa avere dei problemi, che soffra, che non sia contenta di me stessa?

- Non mi hai mai detto quali fossero i tuoi problemi, Paula. Io ne ho solo subito le conseguenze. Non mi hai dato la possibilità di aiutarti.

- Tu non hai mai voluto aiutarmi!

- Non è giusto che tu dica così! Ti sei chiusa in te stessa, mi hai rifiutato, ti sei sforzata di mettere in chiaro che nel tuo mondo interiore non c'era posto per me! In fondo mi hai sempre ritenuto uno stupido, un uomo banale, incapace di comprendere il tuo spirito elevato... All'improvviso Santiago tacque. Si rese conto che stavano gridando. Posò la borsa per terra, la guardò in faccia, fece uno sforzo per calmarsi.

- Vuoi che andiamo di là, ci sediamo e parliamo di tutto questo con calma?

- No - rispose Paula con un sorriso gelido.

Lui allora riprese il bagaglio, la scostò dalla porta e uscì rapidamente.

Oltrepassò con l'auto la cancellata del villaggio e, quando fu abbastanza lontano, si fermò per chiamare Victoria.

- Victoria, sei sola? -Sì.

- Hai parlato con Ramon?

- Sì, sa tutto.

- L'ha presa molto male?

- Malissimo. È ripartito per il cantiere.

- Anch'io ho parlato con Paula.

- Com'è andata?

- Lo sapeva già. Susy ci ha visti mentre ci baciavamo la sera di Natale e gliel'ha raccontato. Non so da quanto tempo lo sappia.

- Dio mio, che disastro!

- Non è un disastro. Tutto rientra perfettamente nelle previsioni. Ascolta, passerò il fine settimana a San Miguel. Prenderò una camera in albergo. Se sei sola, perché non mi raggiungi?

- Preferirei non uscire dal villaggio. So che Ramon tornerà, lo conosco. Vorrà parlare.

- Possiamo almeno prendere un caffè insieme?

- Sì, verrò in piazza fra un paio d'ore. Ci vedremo lì.

- Victoria, aspetta un momento. Stai bene?

- Sto bene.

- Sei sempre convinta della tua decisione?

- Sono convinta, non preoccuparti.

 

Manuela spalmava di burro le fette di pane tostato e le passava meccanicamente a suo marito.

- Basta così, non ne voglio più.

- Scusa, ero distratta; la cosa mi turba abbastanza.

- Non durerà per molto.

- Non durerà per molto? Come si vede che non è la tua libertà a essere limitata!

- È un'emergenza temporanea. Temono dei sequestri, ma questo non significa che l'allarme durerà a lungo.

- Sì, certo, i sequestratori telefonano alla polizia per dire: «Attenzione, ci stiamo preparando a sequestrare qualcuno». E quando gli passa, tornano ad avvisare: «Signori, state tranquilli, il pericolo è cessato».

- Avranno ricevuto delle informazioni. Ci sarà stata una soffiata...

- Sì, il soffio divino! No, guarda, te lo dico io com'è andata. Il commissario mi ha vista girare per i quartieri poveri e non vuole che gli complichi la vita, tutto qui.

- Non so perché tu te la prenda tanto. E non capisco che cosa tu vada a fare da quelle parti. Puoi tranquillamente muoverti nel centro di San Miguel come hai fatto finora. Lì nessuno limita la tua libertà.

- Adolfo, per fare la carità è indispensabile vedere con i propri occhi le condizioni di quella gente. E poi di solito mi accompagna la cooperante di una ONG spagnola, sai, la ragazza che abbiamo avuto a cena qui da noi. E stata lei a indicarmi dove andare.

- Bè, che ti indichi quali sono le necessità da soddisfare e chiuso il discorso.

- Io non me ne starò buona come una chioccia che non esce mai dal suo pollaio solo perché me lo ordina un commissario. Ti prego di parlargli e di chiedergli che i suoi uomini mi lascino in pace. A te darà ascolto.

- Non ci penso proprio. Che figura farei, se mai ti sequestrassero? Per una volta, Manuela, accetta l'autorità di qualcuno.

Lei s'incupì. Fini il suo caffè in silenzio e si alzò da tavola. Prima di uscire dalla cucina disse in tono offeso: - Se mi sequestrassero, ti prego di non pagare il riscatto; in fondo sarebbe la soluzione migliore per tutti. Dubito che qualcuno sentirebbe la mia mancanza. Adolfo restò solo, con una fetta di pane in mano. La gettò sul piatto e si accese una sigaretta, la prima della giornata. Fumare qualche sigaretta al giorno era il suo unico vizio. Si grattò la testa, piuttosto calva, e si sentì pervadere da una profonda ondata di malumore. Ci mancava solo questa. Passava tutta la settimana al cantiere, a risolvere problemi a non finire, e neppure quando rientrava a casa riusciva a trovare un po’ di pace. Costruire una diga in mezzo a una foresta è dannatamente complicato. Senza supporti esterni occorre contare sulle proprie risorse per creare l'infrastruttura. Tutto doveva materializzarsi dal nulla: l'officina per la riparazione dei macchinari, l'infermeria, il magazzino e la cucina... Ebbene, qualsiasi contrattempo, oltre alle difficoltà tecniche inerenti alla costruzione, ricadeva sempre sulle sue spalle. Ma non bastava. Anche se avesse dovuto costruirla da solo quella diga, con le proprie mani, nemmeno allora sua moglie avrebbe avuto pietà di lui. La minestra non ti va giù? Ebbene, eccotene subito due piatti! Problemi sul lavoro e problemi a casa. Certe volte Manuela riusciva a essere la donna più bisbetica e prepotente di questa terra. Certo, non aveva mai guardato un'altra donna in vita sua ed era stato così perché sua moglie gli era sempre sembrata la migliore. Aveva sempre assolto i suoi compiti in modo che lui non dovesse mai occuparsi di nulla. Quanto all'educazione dei figli... impeccabile! Nulla da ridire. Se fosse stato lui a doverli tirare su, ne avrebbe fatto dei delinquenti di strada. Quand'erano piccoli non era mai riuscito a sopportare di stare con loro per più di un'ora di seguito. Tutto questo era disposto a riconoscerlo e a sottoscriverlo davanti a un notaio e persino a un giudice; ma da quando Manuela non aveva più gravosi obblighi familiari sulle spalle, sembrava sempre pronta a organizzare la vita altrui. O forse solo adesso il suo carattere si rivelava nella sua vera essenza: era una donna impicciona e dispotica, incline a comandare e incapace di sottostare alle regole. Ma ormai era troppo tardi per lamentarsi. Decise di andare a cercarla, di farle passare l'arrabbiatura. Detestava vederla in collera, ma soprattutto detestava passare un fine settimana in un'atmosfera carica di tensione. Generalmente bastava chiacchierare con lei di qualche sciocchezza per dissipare le nubi di tempesta. Avrebbe fatto così. In ogni caso, non aveva la minima intenzione di chiedere al commissario un permesso speciale per sua moglie. Lei non aveva nessun bisogno di aggirarsi per i quartieri degradati di San Miguel. Inoltre, avrebbe ordinato a Dario di esporre in tutto il villaggio cartelli ben visibili che avvertissero del rischio di sequestri. Era necessario che le residenti moltiplicassero le cautele quando uscivano. Gli si rizzavano i capelli in testa al solo pensiero che qualcuno potesse essere sequestrato. Una bella complicazione! Niente sarebbe stato peggio.

 

Alla fine Henry giocò a tennis con uno dei meccanici. Pensava che l'esercizio fisico e la concentrazione nel gioco sarebbero bastati a tranquillizzarlo, ma si sbagliava. Nello spogliatoio, dopo la doccia, mentre si asciugava la pelle abbronzata dal sole del cantiere, ricominciò a pensare all'indiscrezione commessa da Susy. Come reagire? Se l'avesse rimproverata, avrebbe rischiato di scatenare un dramma di imprevedibile portata. La soluzione più comoda era tacere, ma questa volta il fatto gli sembrava talmente grave che lasciar correre senza dirle quel che pensava lo indispettiva. Era terribile porsi problemi simili riguardo alla donna che avrebbe dovuto essere la sua compagna di vita, la sua interlocutrice più intima. Come illudersi di poter trovare conforto in sua moglie? Erano rare le occasioni in cui riusciva a confidarle le sue preoccupazioni, i suoi pensieri o le sue esperienze profonde. Temeva sempre di agitarla, di ferirla in qualche maniera. Quel suo modo di reagire non era affatto generoso, celava un sostrato egoista. Ogni volta che Susy era preoccupata, il suo stato d'animo poteva degenerare in un'ansia continua. A quel punto lo chiamava al telefono ogni cinque minuti o si metteva in testa che lui le nascondesse cose orribili. Quando arrivò a casa, la trovò in giardino. Distesa su una sedia a sdraio, ascoltava musica con gli auricolari e leggeva un libro. Gli sorrise allegramente.

- Ciao, caro. Guarda, non ci crederai, ma riesco a fare cinque cose insieme!

- Cinque?

- Sì, guarda: leggo, ascolto un disco, prendo il sole, ho un arrosto che cuoce nel forno e, contemporaneamente, mi sto riposando.

- Non so proprio come tu riesca a riposare con tutte queste attività.

- Forse non l'hai ancora capito, ma sono una donna dallo spirito pratico. Senti, perché non prepari un aperitivo? Con un bicchiere in mano, credo proprio che riuscirei a fare sei cose insieme.

Henry entrò in cucina e versò vermouth, gin e ghiaccio tritato in uno shaker. Poi prese due bicchieri e ritornò dalla moglie. Servì i cocktail, si sedette e cominciò a bere in silenzio.

- Perché sei così silenzioso? Ramon ti ha battuto o sei solo stanco?

- Ramon non è potuto venire. Ho giocato con Marcos e ho vinto. Certo, Ramon mi dà più filo da torcere.

- Perché non è venuto?

Lui restò in silenzio un istante; poi la fissò.

- Susy, tu hai riferito a Paula quello che hai visto la sera di Natale, vero?

- Bè... forse le ho accennato qualcosa.

- Forse le hai accennato qualcosa? Come si può «accennare qualcosa» a proposito di un argomento simile? Ti rendi conto della responsabilità che ti sei presa?

- Certo che me ne rendo conto! Per questo gliel'ho detto. Lei è una mia amica.

- Senti, Paula non è un'amichetta di scuola con cui fare comunella e raccontarsi piccoli segreti. E una donna adulta con un matrimonio in pezzi.

- Non mi parlare con questo tono! Non sono una stupida! So chi è Paula, una donna adulta con il marito che le fa le corna sotto il naso. Se il loro matrimonio è in pericolo, Santiago avrebbe potuto essere più discreto.

- Questi non sono affari tuoi! Oltretutto avresti dovuto pensare al fatto che Paula è molto aggressiva, lo sanno tutti.

- Esatto, è aggressiva come può esserlo un cane maleducato, non è così? Le mogli non devono essere aggressive, devono solo comportarsi bene e aspettare a casa il proprio maritino. Proprio come faccio io, vero Henry?

- Nessun cane è nevrastenico quanto te.

In condizioni normali, Susy sarebbe scoppiata in lacrime dopo una risposta simile; ma ora tutto era cambiato. Per la prima volta si sentiva forte, sicura, decisa a volgere quel battibecco a suo favore.

- Hai ragione. Infatti non sono un cane. Anch'io sono una donna adulta capace di fare cose che un cane non farebbe mai.

- Mi stai minacciando?

- No, assolutamente. Non hai motivo di sentirti minacciato dalle cose che faccio. Non sei il mio padrone.

- Basta Susy, stiamo farneticando! Questa discussione non porta da nessuna parte.

- Ti ricordo che l'hai cominciata tu, e ne sono contenta, perché mi stai facendo capire un sacco di cose.

Si alzò e scomparve dentro casa. Henry rimase in terrazza. Il timore di essere stato troppo brusco lo faceva sentire in colpa. Pochi minuti dopo lei tornò; si era vestita.

- Ciao, io vado.

- Dove?

- A fare un giro. Ho bisogno di distrarmi, sono nervosa.

- Susy... ti chiedo scusa se ti ho offesa.

- Non preoccuparti, fa lo stesso.

- No, non fa lo stesso. Ti dico che mi dispiace.

- D'accordo, dispiace anche a me. Ci vediamo dopo, ciao.

- Vuoi che ti accompagni?

- No, grazie. Ho solo bisogno di un po’ di silenzio. Henry restò sorpreso da quel nuovo atteggiamento della moglie. Cosa stava succedendo? Perché all'improvviso non reagiva più con la sua caratteristica emotività? Se almeno quella spiacevole vicenda fosse servita a farla maturare, sarebbe stata benvenuta. Forse le aveva parlato troppo duramente. Conoscendola, avrebbe dovuto saperlo che era inutile infuriarsi. In ogni caso, per quanto si sforzasse di pensare il contrario, l'indiscrezione di Susy aveva creato un mucchio di difficoltà che sarebbe stato meglio evitare.

 

Si strinsero in un lungo abbraccio. Poi Victoria gli sorrise debolmente. Santiago la trovò pallida e preoccupata.

- Il dado è tratto - le disse, prendendole il mento e guardandola negli occhi. - Non sei pentita di fuggire con un tipo come me?

- Voglio stare con te per sempre.

- E un desiderio facile da esaudire, perché non intendo lasciarti neanche un momento.

- Credevo che non avrei mai avuto il coraggio di parlare con Ramon e invece, come vedi, l'ho fatto, ed è stato facile. Ha avuto una reazione molto violenta.

- Nessuno può controllare la propria reazione a una notizia del genere.

- Ma lui è un uomo talmente tranquillo.

- Gli passerà.

- No, non gli passerà; è come se l'avessi pugnalato alle spalle.

- Gli hai solo detto la verità, e la verità è che non lo ami più. Non potevi nasconderglielo oltre. Il motivo per cui un marito e una moglie stanno insieme dovrebbe essere l'amore.

- Ma esiste anche la lealtà.

- Mentire non è leale.

- Preferisco pensare che dovevo affrontare questa prova, e ora l'ho affrontata. Com'è andata con Paula?

- Tutto come da copione. Continuerà a fare quel che ha fatto finora: bere e torturarsi. Solo che adesso le mancherà lo spettatore principale del dramma.

- Non hai paura che decida di fare qualcosa di... eccessivo?

- Come uccidersi, per esempio? Neanche per sogno! Si troverà qualcun altro per inscenare i suoi spettacoli distruttivi. Ha un grande potere di seduzione. E poi quel che farà non mi riguarda più.

- È tutto così difficile!

- No, non è difficile. Dì pure che è doloroso, o spiacevole, o traumatico, ma non difficile. Da quando ci siamo conosciuti abbiamo proceduto sempre in linea retta e continueremo così fino alla fine. Ora bisogna solo avere un po’ di coraggio; ma poi tutto andrà a gonfie vele.

- Parlare con te è sempre rassicurante, ma poi, quando rimango sola...

- Andrà tutto bene. Non può essere altrimenti, perché Dio è con noi! Non te ne rendi conto?

Victoria scoppiò a ridere. Lui sorrise, sollevato nel vederla serena almeno per un istante.

- Bene, meno male che riesci ancora a ridere! Non possiamo vivere la nostra storia come una tragedia. Soprattutto perché le tragedie finiscono male.

- Perdonami, so di non esserti di grande aiuto, ma vedrai: quando finirà questa... prima fase, cambierò. Sarò sempre felice.

- Provvederò affinché tu lo sia. Ora però andiamo a prendere il caffè che mi avevi promesso. Ho voglia di passeggiare con te senza nascondermi.

- Sarà una cosa breve. Sono sicura che Ramon tornerà a casa presto.

- D'accordo, ma questa sarà una delle ultime volte che ci separiamo.

- Te lo prometto.

 

Stava leggendo tranquillamente il giornale quando squillò il telefono. Pensò che fosse uno dei suoi figli dalla Spagna, e invece no, era Santiago.

- Ho urgente bisogno di parlarti, Adolfo.

- Non c'è problema, sono a casa. Perché non passi per un aperitivo con Paula?

- Se per te non è un problema, vorrei che ci vedessimo a quattr'occhi.

- Ti va bene al club?

- Adolfo, so che è quasi ora di cena, ma... ecco, mi devi scusare. Mi trovo a San Miguel e preferirei che tu mi raggiungessi qui. Sarà questione di mezz'ora al massimo.

- Se lo ritieni proprio necessario... E successo qualcosa in cantiere?

- No, non si tratta di questo, stà tranquillo. Ti aspetto a uno dei bar sulla piazza.

- Arrivo subito.

Adolfo riattaccò e andò in cucina, dove Manuela stava dando gli ultimi tocchi a una bella insalata.

- Devo uscire un momento.

- Dove vai?

- Santiago vuole vedermi, lo raggiungo a San Miguel.

- È successo qualcosa?

- Non credo; suppongo ci siano delle divergenze sul lavoro e che voglia espormi il suo punto di vista con riservatezza, dove non possano vederci.

- E ti costringe ad andare a San Miguel all'ora di cena! Non mi sembra giusto, Adolfo, sinceramente. Si abituano ad averti lì tutta la settimana e poi credono tu sia a loro disposizione anche nei giorni di riposo.

- Su, tesoro, è un attimo. Torno subito, mi ha assicurato che si tratta di una cosa veloce.

 

La piazza aveva l'aria sonnolenta del sabato sera. Pochi avventori, per lo più turisti, sedevano ai tavolini all'aperto. Gli uomini del posto formavano capannelli in piedi. Adolfo scorse Santiago che gli faceva un cenno con la mano. Gli si avvicinò, si salutarono.

- Cosa succede, ragazzo? Mi fai preoccupare.

- Accomodati, Adolfo, ti ordino qualcosa? Vedrai, non ti tratterrò a lungo. Ti ho già dato una bella seccatura costringendoti a venire fin qui.

Chiamarono il cameriere, che servì subito un bel boccale di birra gelata. Adolfo cercò di non dare a vedere la sua curiosità. Assaporò qualche sorso di birra e soltanto dopo domandò: - Dimmi, allora.

- Adolfo, me ne vado dal cantiere entro un paio di settimane.

- Ma che diavolo dici? Se sei appena arrivato.

- Lo so, e ti assicuro che farei di tutto per non andarmene, se non fosse per una questione di forza maggiore.

- Ci sono state difficoltà con qualcuno, qualche divergenza?

- No, in cantiere c'è una bella atmosfera e il lavoro è sempre stato interessante. Con i colleghi mi trovo bene e... tu sei un ottimo capo, ora posso dirtelo senza passare per un adulatore.

- Quindi?

- E un problema di carattere personale. E successo che... insomma, è successo che io e Victoria, la moglie di Ramon, ci siamo innamorati.

- Accidenti! - esclamò Adolfo sottovoce. Poi tacque. Sconcertato, bevve un sorso di birra senza avere il coraggio di guardare in faccia il suo interlocutore. Alla fine, alzò gli occhi. - Ne sei sicuro?

Santiago non riuscì a non ridere.

- Sicuro di cosa? Di essere innamorato?

- Ma no, certo, che stupidaggine! Non è questa la domanda. Bè, in realtà non c'è proprio nessuna domanda. Solo che, ragazzo mio, è davvero un bel casino, no?

- Un casino enorme. Victoria ha già parlato con Ramon e io con mia moglie. Ce ne andiamo nel giro di due settimane. Probabilmente lavorerò per un'impresa di Barcellona. Ma, con o senza lavoro, dobbiamo andarcene. Lo capisci, vero?

- Certo che lo capisco! Anzi, viste le circostanze, sarebbe meglio che tu non mettessi più piede in cantiere.

- Bè, questo no. Non c'è nessuna ragione per cui io debba nascondermi come una talpa. Dovrò pur tornare in cantiere, salutare le persone con cui ho collaborato, continuare a darmi da fare in questi ultimi quindici giorni.

- D'accordo, ma lavorare al fianco di Ramon...

- E qui che intervieni tu. L'ideale sarebbe che ci assegnassi a due aree diverse, in modo da tenerci lontani.

- Sì, forse si può fare, insomma... cercherò di farlo. Com'è la situazione ora?

- Non lo so di preciso, sai come vanno queste cose.

- A dir la verità non ho la minima idea di come vadano queste cose. Sono sposato con Manuela da più di trent'anni e se un bel giorno lei venisse a dirmi che se ne va con un altro... non so come reagirei, sinceramente.

- Io non voglio evitare Ramon. Anzi, ho intenzione di parlargli; immagino sia necessario, anche se col cuore in mano, ammetto che non sono molto sicuro di quel che devo fare.

- Non mi sorprende. Cosa puoi dirgli? «Ehi, amico, mi spiace tanto, ma mi sono innamorato di tua moglie»? E una situazione molto imbarazzante.

- Immagino che la cosa andrà da sé. Comunque, la nostra è una decisione definitiva e non ce ne pentiremo. Io ora non potrei più vivere senza quella donna. Mi capisci, vero?

- L'amore fa di queste cose, certo. Ma il punto è, Santiago, che la vostra storia verrà alla luce. Non sarà facile tenere tutto segreto.

- L'ho già messo in conto. Non importa. Entrambi restarono a guardarsi senza sapere cosa aggiungere.

Erano imbarazzati. Adolfo si strinse nelle spalle. Si scambiarono una forte stretta di mano. - Santiago, ci tengo a farti sapere che mi dispiace perderti. Ti ho sempre considerato un uomo prezioso e andiamo molto d'accordo. Prometto di aiutarti per quanto mi è possibile, e ti auguro buona fortuna, sinceramente.

Si scambiarono un abbraccio breve ma affettuoso. Poi, senza osare guardarsi in faccia, ognuno prese la sua strada.

Mentre guidava verso il villaggio, Adolfo non riusciva a riaversi dalla sorpresa. Bel guaio gli si presentava adesso! C'era da chiedersi come sarebbe potuto uscire indenne da una simile missione diplomatica. Perché era ovvio che, nel suo ruolo di direttore del cantiere, quella faccenda lo riguardava più di quanto sembrasse. Cercò di calmarsi; in fin dei conti i suoi collaboratori erano tutte persone civili e non prevedeva scoppi di violenza. Oltretutto, Ramon e Santiago erano più giovani di lui, appartenevano a una generazione abituata a costumi sessuali piuttosto permissivi. Non credeva che potessero prendersi a coltellate o roba del genere. Erano uomini tranquilli... Non sarebbe successo nulla; a parte qualche logico disagio se si fossero trovati entrambi nella stessa stanza. Il suo compito era farli incontrare il meno possibile. Questo tipo di cose succedeva e bisognava sforzarsi di capirle. Restò un attimo assorto. Lui l'avrebbe capito? Avrebbe capito se Manuela si fosse innamorata di un altro? Non ne era così sicuro, a dire il vero, anche se un'ipotesi del genere era piuttosto improbabile. Ma se fosse stato il contrario? Se fosse stato lui a perdere la testa per un'altra donna? Quest'idea gli parve già meno assurda. Non aveva mai pensato di essere infedele a sua moglie; tanto meno gli si era presentata l'occasione, semplicemente perché non l'aveva cercata. Il lavoro aveva riempito interamente il suo tempo, e ora, alla sua età... Certo, non si sentiva né così vecchio né così antiquato da non poterlo immaginare. Se non aveva storie era perché non intendeva muovere neanche un dito per averne. Sarebbe stato diverso se una donna si fosse innamorata di lui. In quel caso, e se fosse giunto a provare lo stesso sentimento, forse... Ma gli sarebbe mancato il coraggio di fuggire insieme a lei; tanto più trovandosi al villaggio, sotto gli occhi di tutti. No, di sicuro no. Era stato educato in un certo modo e non sarebbe cambiato adesso. Bisognava ammettere che Santiago aveva coraggio o, per dirla in modo spiccio, due palle così. Le aveva senza dubbio, visto che osava sfidare le convenzioni sociali, rischiava di restare senza lavoro e dimostrava di badare ben poco a quel che avrebbero detto gli altri. Il suo comportamento, in fin dei conti, era da ammirare, più che da criticare. Due palle così, sissignore, quella era l'espressione giusta. Doveva essere un sentimento molto forte quello che provava. All'improvviso si sentì quasi orgoglioso di essere stato informato per primo di quella storia, e il solo fatto di essere per così dire complice degli amanti lo riempì di piacere. No, lui non era un vecchio bigotto, non avrebbe messo in difficoltà quei ragazzi. Il suo ruolo di capo non lo investiva di autorità morale su chi lavorava per lui. Ognuno era libero di agire secondo coscienza. Avrebbe fatto il possibile per aiutarli, benché non potesse dichiarare loro pubblicamente il suo appoggio incondizionato. Quanto a Victoria, chi l'avrebbe mai detto! Una ragazza così discreta, così poco appariscente sotto ogni punto di vista. Come avrebbe fatto a raccontarlo ai figli? Di una cosa era assolutamente convinto, Manuela non ne sarebbe stata capace. Sua moglie non avrebbe mai lasciato i figli per andarsene con un altro. Una prospettiva del genere sarebbe bastata a proteggerla da qualsiasi tentazione di infedeltà. A pensarci bene, non era un'idea così confortante. E se davvero in passato Manuela si fosse innamorata di un altro e avesse rinunciato solo per i figli? Lui non l'avrebbe mai saputo, ovvio. Ma che idee! Che sciocchezze gli saltavano in mente? Arrovellandosi così avrebbe finito per confondersi, mentre in quel momento era indispensabile essere lucidi.

Avrebbe raccontato tutto a Manuela, una volta tornato a casa? Sì, glielo avrebbe raccontato, ma non quella sera. Per ora voleva essere il solo a condividere il segreto con gli amanti. Avrebbe avuto la sensazione di fare qualcosa di piacevolmente proibito, come se fosse lui stesso sul punto di prendere il volo.

 

Proprio come si era aspettata, Ramon tornò a casa. Erano le sette di domenica mattina quando sentì la porta aprirsi e poi richiudersi. Ramon entrò in camera, dove lei era distesa sul letto, completamente vestita.

- Non hai dormito? - le chiese.

- Pochissimo.

- Vado a preparare il caffè. Se ti va, vieni a fare colazione, parliamo.

- Vengo subito.

Si lavò il viso con abbondante acqua. Avrebbe voluto spogliarsi e mettersi sotto la doccia, ma non le sembrava il caso di farlo aspettare. Si guardò allo specchio e non si riconobbe. La sorprese il suo sguardo, così deciso da imporsi sui segni della stanchezza. Nella luce della cucina si accorse che anche Ramon era pallido e aveva le occhiaie. Lo guardò preparare la colazione e provò una tristezza infinita. Perché, perché era necessario farlo soffrire? Suo marito mise sulla tavola tazze e piattini e si sedette di fronte a lei.

- Bello forte, come sempre, vero?

- Sì - mormorò Victoria temendo di scoppiare a piangere.

Lui cominciò a parlare con vivacità inaspettata.

- Bene, cara, in primo luogo, credo di doverti delle scuse. La mia reazione di ieri e quel modo di andarmene sono stati... inaccettabili. Come potrei negarlo?

Lei sperò ardentemente che la smettesse di usare quel tono conciliante, così impostato. Desiderava che tutto finisse al più presto. Si immaginò insieme a Santiago, molto lontano da lì. Ramon continuò: - Sono rimasto a pensare tutta la notte, e alla fine, Victoria, credo tu abbia ragione. Per molto tempo ho sorvolato sulla nostra realtà, senza rendermi conto che è proprio questa realtà la sola cosa che conta. Mi sono lasciato prendere dal lavoro, dalle abitudini, e so di non essere precisamente un uomo brillante, originale o entusiasta...

Victoria cercò debolmente di interromperlo.

- Ramon, non dire così, non si tratta di...

- No, lasciami finire. E verissimo che sono un imbecille, perché usare altri termini se questo mi descrive perfettamente? A volte non vedo la necessità di esprimermi, di parlarti e di dirti che... bè, che va tutto bene, che ti amo con tutto il cuore. Lo so, non apro mai bocca, e invece bisogna farlo, bisogna darsi da fare se si vuole che la convivenza si rinnovi, continui a essere piacevole, stimolante.

Lei non riuscì più a trattenersi, le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance, in silenzio. - E poi, ultimamente, le cose sono peggiorate. I lavori per la costruzione della diga si sono rivelati difficili, impegnativi. Per di più viviamo separati cinque giorni la settimana e continuo a pensare a quei maledetti problemi di lavoro perfino quando sono qui con te. E questo paese... così diverso, così ostile per noi spagnoli... Guarda, sai cos'ho pensato? Che vadano pure al diavolo il cantiere e tutto il resto. Parlerò con Adolfo e gli dirò che ce ne torniamo in Spagna. Il mio posto all'impresa è sicuro. In realtà, mi avevano detto che se mi fossi stancato di stare qui sarei potuto tornare. Bene, adesso mi sono stancato. All'improvviso tacque, la guardò.

- Perché piangi, Victoria?

Lei scuoteva la testa, l'angoscia le impediva di pronunciare una parola.

- Perché piangi? Rispondimi.

- Io me ne vado, Ramon, me ne vado - disse, a voce bassissima.

Lui si alzò, le andò vicino, le prese la mano.

- Victoria, cosa ci fai tu con uno sconosciuto? Tu sei la mia bambina, non capisci? La mia bambina! Su, asciugati gli occhi e facciamo dei progetti per il nostro futuro. D'accordo?

Lei ebbe di colpo un impeto di rabbia. Ma non si rendeva conto? Non capiva che era inutile darle una pacca amichevole sulla spalla e prometterle che tutto sarebbe ricominciato? Non la prendeva sul serio? Non riusciva ad avvertire la grandezza di quel che sentiva per un altro uomo? Si staccò bruscamente da lui e gridò: -No!

Ramon fece due passi indietro, la guardò con freddezza e disse: - Molto bene, vattene pure, ma io chiamo immediatamente i ragazzi per dirgli che la loro cara mamma se ne va con un altro. Addio.

Poi sparì a tutta velocità. Un'enorme disperazione la pervase. Cosa doveva fare? Correre al telefono nel tentativo di arrivare per prima? No, restò seduta, a piangere sconsolata. Era tutto lì quel che Ramon aveva da dirle? Quella era la sua analisi della situazione? E poi, un voltafaccia così brusco! Era chiaro che non ci credeva neanche lui a un riavvicinamento. Cominciò ad asciugarsi le lacrime. Era impazzito e, oltretutto, non sarebbe mai riuscito a capire il perché del fallimento del loro matrimonio. Si soffiò il naso. Era sicura che avrebbe messo in atto la sua minaccia di chiamare i ragazzi. Pazienza, quando fosse venuto il momento, avrebbe dato loro la sua versione dei fatti. All'improvviso, la compassione che provava nei confronti del marito era scomparsa. Si rese conto che, da quell'istante, il loro passato in comune e i bei momenti vissuti insieme avrebbero avuto sempre meno peso. Capì che, in breve, sarebbero diventati veri e propri nemici.

 

Quel lunedì Adolfo aveva i nervi a fior di pelle. In genere le prime ore del mattino erano dedicate a una riunione in cui si pianificava tutto il lavoro della settimana. Decise di cancellarla. Poi si domandò se avesse fatto bene. Forse l'andamento strettamente codificato della riunione, la presenza dei colleghi e gli argomenti lavorativi ben noti avrebbero facilitato il primo incontro fra Ramon e Santiago. Quel difficile momento poteva essere rinviato, ma prima o poi il problema si sarebbe ripresentato. Era meglio scegliere un'occasione propizia o lasciare tutto al caso? Lavarsene le mani e permettere che risolvessero la cosa per conto loro gli avrebbe risparmiato una situazione imbarazzante. Perché doveva sobbarcarsi tutto lui? In fondo non era tenuto a occuparsi dei risvolti psicologici della faccenda, ma solo a favorire una certa distanza fra i due uomini all'interno del cantiere.

L'annullamento della riunione senza preavviso né spiegazioni sorprese tutti tranne Henry. Lui intuì subito che il capo doveva essere stato informato della faccenda, e non ebbe più dubbi quando seppe che Santiago era stato assegnato alla zona nord e Ramon alla zona sud del cantiere. Non era quella l'organizzazione abituale.

Anche Ramon lo capì. Bene, così Adolfo era stato avvisato e aveva deciso di non dare adito a scandali. Un atteggiamento conservatore e prudente, tipico del loro capo. Presto l'avrebbero saputo tutti. Sulle prime era rabbrividito al pensiero dei possibili pettegolezzi, ma ora la cosa gli era completamente indifferente. La vita al cantiere e al villaggio sarebbe stata rianimata da quella novità. Avrebbe addirittura meritato una gratifica per il contributo al morale dei residenti. Di certo non toccava a lui nascondersi come se la colpa fosse sua. Sarebbe rimasto al suo posto con dignità, non si sarebbe rintanato in un angolo. Erano Victoria e Santiago a doversi vergognare. Avevano tanta fretta di innamorarsi da non riuscire ad aspettare la fine dei lavori? Sorrise amaramente. Victoria, la sua casta sposa, si era presa gioco di lui quando meno se lo aspettava. E per di più cercava di giustificare il tradimento con l'ignobile scusa che il loro rapporto di coppia era ormai morto. Come se il matrimonio dovesse essere una festa continua, un valzer, un film romantico dei tempi d'oro di Hollywood. Non sarebbe riuscita a intrappolarlo con simili argomenti. Lui sapeva di essere stato un buon marito. L'aveva amata e rispettata tutti i giorni della loro vita insieme. Che andasse a raccontarla a un altro la storia dell'amore finito. Era solo una questione di sesso. E se questo l'aveva sorpreso, lo sorprendeva ancora di più che il prescelto fosse Santiago. Che cosa aveva di tanto speciale? Era evidente che l'aveva perseguitata fino a sedurla. Doveva averla convinta con i soliti luoghi comuni sulla passione irrefrenabile, sulla forza dell'amore maturo... le donne sono particolarmente sensibili a questo genere di sciocchezze. Perfino Victoria, che gli era sempre parsa indifferente alle chiacchiere, più equilibrata e avveduta di molte altre, alla fine si era lasciata abbindolare. Santiago, l'impassibile, si era rivelato un mascalzone. Certo, con la moglie che si ritrovava non aveva nulla da perdere. Victoria, per lui, doveva essere stato come un raggio di sole nella tempesta: una donna serena, riflessiva, perfettamente adattata alla vita, invece dell'ubriacona fuori di testa che aveva in casa, capace solo di metterlo sistematicamente in imbarazzo. Il loro matrimonio era senz'altro un inferno, perché il comportamento di Paula non risaliva certo all'altro ieri, ma doveva essere il risultato di una degenerazione lenta e progressiva. Era addirittura incomprensibile che fossero venuti in Messico insieme. Nel bel mezzo di una crisi che doveva aver raggiunto il limite della tollerabilità, Santiago si era visto passare davanti una colomba bianca. Non una stupida e giovane colombella a cui insegnare a vivere, ma una donna fatta, con le sue stesse abitudini, il suo stesso livello culturale e sociale. Comodo. E così il mascalzone si era innamorato in modo ben poco casuale e le aveva sussurrato tante belle parole. Quel che lo stupiva, quel che davvero non riusciva a comprendere, era che sua moglie si fosse lasciata trascinare in una trappola così palese. Non lo vedeva come stavano le cose? Perché, certo, chissà com'era Santiago in privato, non è che una donna si trasforma in alcolista così su due piedi. Chissà cosa aveva dovuto sopportare Paula accanto a suo marito! Forse infedeltà di ogni genere, disattenzioni, dimostrazioni di disprezzo. Il tipico uomo gelido e sempre sicuro di sé che piace tanto alle donne. Victoria se ne sarebbe presto accorta, nel giro di tre mesi, sei mesi al massimo. E a quel punto se ne sarebbe pentita, perché Santiago non avrebbe perso niente, né un matrimonio stabile né figli, mentre Victoria sì, Victoria avrebbe perso tutto. Dubitava che i ragazzi potessero capire quella decisione, dubitava perfino che le rivolgessero ancora la parola. Non li aveva chiamati. Non sapeva se lasciare che fosse lei ad affrontare la cosa, a dir loro freddamente al telefono che pensava di abbandonare la famiglia. Ma quando avevano deciso di andarsene, quei due? Subito, probabilmente. Non se l'erano sentita di sopportare troppo a lungo quella situazione ambigua. Oltretutto, così separati, non potevano andare a letto insieme. Dove si erano incontrati finora, e da quanto durava quella storia? Da quando avevano rapporti? Immaginò sua moglie nuda accanto a Santiago e non lo poté sopportare. Doveva cancellare subito quell'immagine, all'istante, non raffigurarsela mai più. Era intollerabile, tremenda, troppo dolorosa. Abbandonò bruscamente la baracca in cui lavorava e andò in cerca di Adolfo. Lo trovò nel suo ufficio con un mucchio di carte sulla scrivania. Entrò senza bussare, senza salutare.

- Adolfo, a quanto vedo sei già al corrente della novità. Quindi non c'è nessun bisogno di fingere. Il tono era così aggressivo che Adolfo si spaventò. Del resto, quel momento era inevitabile, doveva affrontarlo. Si sforzò di parlargli con calma.

- Accomodati, Ramon, per favore.

- Non ce n'è bisogno. Dimmi come l'hai saputo.

- Me ne ha parlato Santiago. Lascerà il cantiere entro un paio di settimane.

- Accidenti, sei più informato di me! Ma certo, il marito è sempre l'ultimo a sapere.

- Non lo sa nessun altro.

- Bè che lo scoprano pure, che lo scoprano anche loro come quel gran figlio di puttana ha sedotto la moglie di un collega.

- Ramon, ti prego, siediti e calmati un po'.

Lui si sedette sbuffando. Adolfo non ricordava di averlo mai visto così alterato.

- Lo sai che razza di moglie è la sua, una specie di ubriacona cronica che non gli dà un attimo di tregua. La mia gli sarà parsa migliore. Ecco come stanno le cose.

- Ascolta, Ramon, è un boccone amaro da mandar giù, nessuno lo mette in dubbio. E qualsiasi cosa io ti dica non ti aiuterà. Ma vorrei che tenessi presente una cosa: qui siamo tutte persone civili. Quindi, affinché tu non debba pentirti di un gesto impulsivo o di una parola di troppo, ti consiglio di mantenere l'autocontrollo.

- Non ti preoccupare, non macchierò la reputazione della nostra magnifica impresa.

- Non lo dico per questo, Ramon, non me ne frega un accidenti dell'impresa in questo frangente. Ma non voglio che tu reagisca, a fatti o a parole, mentre sei così addolorato. La cosa più ragionevole è che tu cerchi di ritrovare la calma, di affrontare tutto questo con la maggiore freddezza possibile. Ti assicuro che capisco molto bene come ti senti.

- Ah no, questo no, è l'ultima delle banalità che mi sarei aspettato da te. Manuela ha forse intenzione di abbandonarti? Ti ha mai lasciato supporre di voler fare una cosa del genere? No, vero? Hai mai dovuto comparire davanti ai tuoi colleghi come un idiota a cui fregano la moglie sotto il naso? Bè, allora non venire a dirmi che sai come mi sento, perché non è vero. Tu non sai cosa significhi sentirsi una merda, Adolfo, ed è così che mi sento.

Si alzò bruscamente e uscì. Adolfo non cercò di trattenerlo, sarebbe stato inutile. Sospirò e si passò le mani sul viso in un gesto desolato. Gli uomini tranquilli sono così, pensò, tacciono, tacciono e alla fine la tensione accumulata li fa esplodere ancora più violentemente degli altri. Nessuno è immune dalla tensione, nessuno. Siamo più simili di quanto crediamo. Siamo tutti uguali. Non era vero che lui non immaginava come dovesse sentirsi. Era assolutamente consapevole di quel che stava passando. Siamo tutti uguali, uno svedese e un italiano, un cinese e un senegalese. Un operaio e un ingegnere reagiscono allo stesso modo. E chiaro che la formazione culturale dell'ingegnere alla fine salta fuori e modera le reazioni. Nel caso dell'operaio è il buon senso, in genere, a mitigare la forza della tempesta interiore. Fra persone psichicamente normali non si arriva mai al fatto di sangue. E lui sperava che il sangue restasse ben lontano in quell'occasione. Guardò i fogli che aveva davanti a sé, pieni di calcoli, le planimetrie, il computer acceso, il salvaschermo con i pesciolini. Per qualche giorno lavorare sarebbe stato difficile. Sperava che il cantiere non ne risentisse. Era vero che gli importava ben poco dell'impresa in quel frangente, ma non poteva permettersi di ricevere lamentele dalla Spagna una volta spedito il rendiconto mensile.

 

Cavoli! Gli ingegneri erano tutti lì, mancava solo don Ramon! E pensare che al lunedì non si facevano mai vedere al Cielito. Lui come al solito se ne sarebbe fregato, in fondo non era in orario di lavoro. Li salutò alzando il boccale di birra. Per fortuna andarono a sedersi a un tavolo e nessuno si avvicinò al bancone per fare il simpatico con lui. Perfetto, poteva continuare a parlare con Rosita senza preoccuparsi della loro presenza. Ma, con sua grande sorpresa, un'ora dopo entrò anche Ramon, il marito di Victoria, che venne a sedersi proprio sullo sgabello accanto al suo. Si augurò che volesse solo ordinare da bere per poi raggiungere i colleghi, ma non andò così. Ordinò una tequila e rimase lì, come se intendesse gustarsela in santa pace. Rosita si allontanò.

- Ehi, Dario, come va la vita?

- Bè, come può vedere, mi concedo qualche scappatella di tanto in tanto.

- È la cosa migliore, ragazzo.

O stava impazzendo o l'ingegnere era un po’ alticcio. La cosa lo stupì, fra tutti era lui quello che beveva meno, ma poi pensò che esiste sempre una prima volta, o almeno un'eccezione. Snocciolò qualche luogo comune come in una normale chiacchierata.

- Non c'è niente da fare, ingegnere, divertirsi è fondamentale, almeno finché si è scapoli.

- E poi ti comporterai bene?

- Certamente. Questa la prendo come una specie di vacanza prematrimoniale. Perché io non sono mai stato un tipo da bagordi, mi creda. In Spagna mi concedevo al massimo una birra con gli amici il venerdì sera. Deve essere questo paese a far ribollire il sangue. Ramon stava in silenzio, a fissare il bicchiere come se fosse una sfera di cristallo in grado di rivelargli il futuro. Poi si alzò e andò verso il tavolo dei colleghi. Arrivato lì, si piantò di fronte a Santiago e lo guardò senza parlare. Santiago si alzò in piedi e, all'istante, senza un grido, o una parola, ricevette un tremendo cazzotto in faccia che per poco non lo fece cadere a terra. Tutti trasalirono e gli avventori sparsi nella sala si voltarono a guardare. Dario, paralizzato, restò immobile al bancone, gli occhi spalancati e inespressivi come orologi. Da lì vide Adolfo e Henry alzarsi immediatamente per fermare l'aggressore, che però non pareva voler sferrare un nuovo colpo. Santiago si pulì la bocca con la mano e gli si rivolse in tono tranquillo: - Per favore, Ramon. Parliamone.

Questo ebbe il potere di mandare di nuovo in bestia il rivale, che cercò di avventarsi su di lui, trattenuto da Henry e Adolfo. Adolfo si voltò affannato verso Dario e gli fece segno di accorrere. Il giovane si avvicinò, ma Ramon era meno combattivo, ora, e non fu necessaria una terza persona per tenerlo fermo. Allora il capo, sforzandosi di usare un tono di voce autoritario senza farsi sentire troppo nel resto del locale, ordinò: - Signori, basta così. Non voglio vedere un gesto di più. La cosa finisce qui. E se dovrete parlare lo farete un'altra volta e in un altro posto. Ora ce ne andiamo.

Lui e Henry si diressero verso l'uscita con Ramon, che non opponeva più alcuna resistenza. Dalla porta, Adolfo disse a Santiago: - Tu resta qui. Non rientrare al cantiere prima di un'ora.

Lui annuì, tirò su una delle sedie cadute durante la colluttazione e si rivolse a Dario, che se ne stava sbalordito a guardarlo: - Ti spiacerebbe andarmi a prendere una birra? Anzi, portane due e siediti un attimo con me.

Il labbro gli sanguinava. Dario glielo fece notare con un cenno. Gli avventori messicani che avevano interrotto le loro attività per osservare quel che succedeva, ripresero a giocare a carte come se niente fosse. Dario andò al bancone. Nel servirgli le due birre, Rosita gli chiese sussurrando: - Cos'è stato, amore mio?

- Niente - replicò lui, - un malinteso fra spagnoli.

- Mio Dio, solo un malinteso? Allora cosa fate quando litigate? E poi dicono di noi messicani che siamo violenti!

 

Henry e Adolfo lasciarono Ramon nella sua stanza. Lo aiutarono a stendersi sul letto. Probabilmente si fingeva più ubriaco di quanto non fosse perché si vergognava. Uscirono e respirarono l'aria fresca della notte. Adolfo si asciugò il volto con un fazzoletto.

- Maledizione! - esclamò a bassa voce.

Poi sentì di dover spiegare all'americano quel che stava succedendo.

- Sai, è una storia complicata e...

- Lascia stare, so tutto.

- Lo sai già?

- Susy li ha visti baciarsi qualche tempo fa.

- Naturale, come diavolo si fa a non farsi scoprire in un posto come questo?

- A quanto pare, non avevano intenzione di mantenere il segreto per molto tempo.

- Sì, lo so.

- Ma avrebbero potuto risparmiarsi tante complicazioni. Adolfo guardò Henry e fece un cenno vago con la testa. Restò in silenzio mentre pensava: «Sarà perché è americano o perché è ancora giovane, ma sembra convinto che l'amore si possa evitare a comando».

 

I sospetti di Manuela furono confermati. Della sua disponibilità ad aiutare il prossimo, l'unica cosa che sembrava interessare la cooperante della ONG era la sua capacità di raccogliere fondi. Tutto il resto: lavoro, organizzazione o idee, fu disprezzato, neanche contemplato da quella donna di ferro. Per di più si sentì dire che le iniziative dei volontari dilettanti venivano scoraggiate sul nascere, perché in genere chi non era del mestiere rischiava di creare complicazioni. Quella risposta così brusca la spiazzò, anche se aveva già intuito come andassero le cose. Alla fine, con sommo dispiacere, fu costretta a dichiarare che indire una semplice colletta fra le famiglie del villaggio non era il massimo delle sue aspirazioni. Cosa c'era di bello in un'iniziativa del genere? Lei voleva che la gente sentisse di dare il proprio contributo al paese ospitante. Ma raccogliere piccole somme non era un impegno concreto. Inoltre non poteva costringere le famiglie a mettere mano al portafogli senza un buon motivo. Molti dei residenti stavano risparmiando, per questo avevano accettato quel lavoro all'estero, per guadagnare meglio che in Spagna. Non tutti erano dirigenti. Chiedere loro del denaro, sia pure per ottimi motivi, le pareva un affronto. Alcuni avrebbero contribuito solo perché era lei la promotrice dell'idea. No, avrebbe fatto di testa sua, avrebbe organizzato una grande festa di beneficenza con biglietto d'ingresso. E sarebbero state coinvolte nell'evento anche le istituzioni, che avrebbero senz'altro patrocinato l'iniziativa. Il console spagnolo a Oaxaca, l'impresa costruttrice, la banca locale con cui lavoravano... La cooperante rifletté su questa possibilità. Poi prese carta e penna e si mise a fare conti sotto i suoi occhi.

- Può darsi che funzioni - concluse. - Se riusciamo a raggiungere questa cifra, la festa potrebbe avere un senso.

- Bisognerà organizzare tutto per bene, scovare invitati fin sotto le pietre. Credo che facendo le cose con un po’ di intelligenza... Devo parlare con le altre signore del villaggio. Faremo un brainstorming e vedremo cosa ne viene fuori.

- D'accordo, Manuela, ma ora devo andare. Chiamami quando i conti cominceranno a tornare.

Non l'aveva nemmeno ringraziata. La osservò mentre la accompagnava alla porta. Aveva un aspetto decisamente mascolino. Almeno le suore missionarie erano molto più graziose con la veste lunga e il velo verginale. Ma tutta questa gente delle ONG... Probabilmente anche questo era un segno dei tempi. Sospirò e andò a prepararsi un tè. Si sentiva stanca. Stava perdendo la sua eterna vitalità? Doveva ammettere che non era più giovane e che, malgrado la sua fibra forte, un impegno di quella portata la faceva dubitare delle sue capacità di resistenza. Non le era mai successo prima, quando affrontava le fatiche di Ercole senza battere ciglio. Ma ora il suo slancio stava scemando e si vedeva obbligata a compiere veri e propri atti di volontà. E, alla fine, per cosa? Nessuno sembrava apprezzare le sue premure. I figli le telefonavano di rado e la gente del villaggio aveva finito per considerare normali tutte le incombenze che lei si accollava con zelo. Perfino Adolfo si era abituato a vederla come un motore che non aveva alcun motivo per smettere di funzionare. Ma anche le macchine a un certo punto si logorano, hanno bisogno di benzina, che diamine! di una lubrificazione periodica e di una pulizia generale. Da lei invece si pretendeva che desse tutta se stessa e non si perdesse d'animo in nessuna occasione. Eppure, cosa avrebbe dovuto fare, restarsene in un angolo a lamentarsi? Neanche per sogno! Questo mai! Aveva conosciuto troppe donne che piagnucolavano a destra e a manca e si lagnavano di tutto. Una cosa doveva rimanere ben chiara: lei era sempre stata coerente con se stessa. Per tutta la vita aveva creduto di adempiere in modo eccellente ai suoi doveri, e la soddisfazione che ne aveva tratto era bastata a tenerla in piedi fino ad allora. Non c'era motivo perché le cose cambiassero. Certo, un po’ di riconoscenza non le avrebbe fatto male... ma se nessuno era disposto a dargliela, sarebbe andata avanti da sola. Sospirò e finì l'ultimo sorso di tè. Bene, avrebbe cominciato col parlare a Dario della riunione delle mogli. Aveva bisogno di lui per i dettagli logistici. Avrebbe cercato di presentargli le cose come se le sue opinioni fossero cruciali per il progetto. Non sapeva come fare per smuovere quel ragazzo. Era un tipico esemplare della sua generazione, uno di quei giovani che si trascinano come se avessero sempre delle pietre nelle tasche. Se lei si fosse permessa quella passività, dove sarebbe stata in quel momento? Forse proprio lì dov'era? Preferiva pensare di no.

 

Fin da quando la vide entrare nel suo ufficio, Dario ebbe l'impressione di irrealtà di chi riceve la visita di un extraterrestre, e non riuscì a liberarsi da quell'idea per tutto il discorso che lei gli fece sulla necessità di solidarizzare con i contadini del posto, di cui era assolutamente necessario alleviare i disagi. Ma il suo stupore raggiunse il culmine quando sentì parlare di brainstorming.

- E che cos'è un brainstorming, donna Manuela?

- È una specie di riunione in cui ognuno espone tutto quel che gli viene in mente su un progetto. In inglese significa «tempesta di cervelli». Rende l'idea no?

- Allora non so se una tempesta sia la cosa più indicata, date le circostanze.

- Già, per smuovere te ci vorrebbe un uragano o un tifone. Ma ti prego di tener presente che il problema è della massima importanza e che lo prendo come un impegno molto personale. D'accordo?

- Sì, donna Manuela, come vuole lei.

- Convoca tutte le mogli dei quadri medi, oltre a quelle degli ingegneri. Per domani alle cinque del pomeriggio. Dì a Pancho di preparare delle bibite e qualcosa di caldo nella sala del club. Ah, e anche panini e snack!

Quella donna non ci stava più con la testa. Con tutto quel che bolliva in pentola, la prima cosa che le veniva in mente era organizzare festicciole di beneficenza. Anche se era probabile che non sapesse ancora nulla. Peggio per lei. Se voleva una tempesta, l'avrebbe avuta. Eccome se l'avrebbe avuta! E con tuoni e fulmini, per di più.

 

Santiago le telefonava tutti i giorni. La rincuorava, le diceva che tutto andava bene. Ma era davvero tutto così perfetto? Ormai sarebbero partiti senza che lui avesse la sicurezza di un lavoro, ma questo non aveva troppa importanza, presto ne avrebbe trovato uno. Le cose non sono mai del tutto a posto prima di un grande cambiamento. L'importante è prendere la decisione, poi i dettagli a poco a poco si sistemano. Stava facendo il possibile per lasciare tutta la documentazione del cantiere in perfetto ordine, in modo che il suo successore non avesse problemi. Un paio di volte aveva cercato di parlare con Ramon, ma lui lo aveva apertamente evitato. Non sapeva con esattezza cosa dirgli, ma avrebbe formulato qualche richiesta di scuse, certo non una spiegazione. Per fortuna, non era più capitato che Ramon avesse accessi di violenza. A Victoria non aveva detto nulla dell'incidente. Al telefono cercava solo di confortarla, di far sì che trascorresse nel miglior modo quegli strani giorni di transizione. Ma Victoria era triste. Aveva comunicato la notizia ai figli e lo strazio di quel momento aveva finito per deprimerla. In realtà lui non si sentiva tranquillo. Temeva che lei non fosse abbastanza forte per superare le difficoltà e ci ripensasse. Il suo timore era tale che aveva già comprato i biglietti per la Spagna, con la speranza di rafforzare l'irreversibilità dei loro progetti. Lei ora si rifiutava di incontrarlo nella stanza che avevano preso in affitto. Era assurdo che proprio adesso, quando tutti sapevano di loro due, avesse deciso di restare fedele al marito abbandonato. Lui aveva assolutamente bisogno di stare con lei, e per quella sera riuscì a strapparle un appuntamento a San Miguel. Non appena la vide, si tranquillizzò. Era splendida. Com'era possibile che la sua bellezza non l'avesse colpito fin dal primo momento? Si era innamorato di lei senza badare minimamente all'aspetto fisico. Aveva le occhiaie ed era dimagrita, ma la sua bella bocca si aprì in un magnifico sorriso. Si abbracciarono con più intensità che mai. Dall'emozione, non riuscivano quasi a parlare.

- Stai bene? - le domandò lui stupidamente.

- Voglio che ce ne andiamo presto.

- Tutto va per il meglio. Al lavoro sto sistemando le ultime cose. È questione di pochi giorni. Hai già chiarito con Ramon?

- Non è più tornato a casa e non mi ha chiamata. Immagino che non voglia vedermi. Forse ritiene che non sia ancora il momento di discutere questioni di tipo legale.

- Prima o poi ne discuterete, se non ora, più avanti. Il problema di Paula, invece, è urgente. Dovrà lasciare il villaggio, visto che è qui solo in qualità di moglie.

- Chissà come mi odia!

- Non pensarci. Victoria, io voglio fare l'amore con te. Andiamo nella nostra stanza, anche solo per un attimo.

- Ho paura.

- Non c'è più nulla da temere. Ho bisogno di stare con te, di averti.

- Va bene.

Andarono nella loro stanza in affitto. Era tutto come sempre, con le galline che becchettavano nel cortile e i rumori della casa che giungevano attutiti. Fecero l'amore cercando conforto l'uno nell'altra, trasmettendosi forza. Poi restarono distesi a riposare, abbracciati.

- Spiegami di cosa hai paura.

- Non lo so. Il peggio è passato, ma a volte mi sveglio in piena notte e penso che non sia vero.

- E ti angoscia accorgerti che invece lo è? Victoria sorrise tristemente. Lo baciò sulla bocca. Santiago le sussurrò: - Sai cosa c'è nella tasca di quei pantaloni buttati lì? I nostri biglietti aerei.

- Davvero?

- Li porto sempre con me. Vuoi vederli?

- Perché?

- Per convincerti che è tutto vero.

- So già che è tutto vero.

- Ora sono io ad aver paura. Ho paura di perderti all'ultimo momento.

Lei si alzò. Lo guardò negli occhi.

- Io partirò con te, Santiago, e se tu lo vuoi, passerò il resto della mia vita al tuo fianco. Nessuno può cambiare niente, ormai, hai capito? Nessuno.

Santiago sentì quasi fisicamente che ogni tormento lo abbandonava e fu invaso da una calma così perfetta che ebbe solo voglia di dormire.

 

Dario suonò tre volte alla porta. Solo alla terza Victoria gli aprì. Aveva tardato un attimo, pensando che si trattasse di Ramon. Il ragazzo la guardò, senza badare alla sua espressione spaventata.

- Mi scusi se la disturbo, ma ho provato a telefonarle e lei non rispondeva, e dato che ultimamente non la vedo mai...

- Mi dispiace, Dario, probabilmente ero distratta.

- Volevo solo consegnarle questo foglio. E l'invito a una riunione per tutte le signore.

- Per quale motivo?

- Lo trova scritto lì. E per una campagna di solidarietà o di beneficenza; donna Manuela le darà tutte le informazioni. Pensa di poter venire?

- Sì, penso di sì. Grazie, Dario.

Richiuse la porta e andò in cucina. Doveva ammetterlo, da qualche giorno viveva come in esilio. Aveva rifiutato tutti gli inviti di Manuela per andare a giocare a tennis e rispondeva al telefono solo se suonava nel modo concordato con Santiago. A stento usciva di casa, perché temeva di incontrare Paula. Posò l'invito sul tavolo e sospirò preoccupata. Non doveva vergognarsi fino a quel punto, era un atteggiamento privo di dignità. Ma il timore di una situazione imbarazzante la tratteneva fra le sue quattro mura. In realtà, si aspettava una visita di Paula e aveva perfino previsto una strategia per rispondere alle sue recriminazioni o placare le sue ire. Ma Paula non si era fatta viva. Per questo preferiva trincerarsi e aspettare il momento della partenza. Era proprio quel che Santiago aveva cercato di evitare, ma qualsiasi prospettiva di pacificazione si scontrava con la logica. Cosa poteva fare, aprire un dialogo civile? E con quali argomenti, con quale tono? Da donna a donna? Da amante a moglie? Avrebbe dovuto chiederle perdono? Qualunque discorso sarebbe degenerato nel melodramma, che a sua volta avrebbe rischiato di scadere nella violenza o nell'assurdo. In realtà non poteva fare altro che tener duro, proprio come stava facendo adesso, e solo nel caso fosse stata Paula a voler parlare, avrebbe deciso come rispondere. Se le avesse scaricato addosso una valanga di insulti, avrebbe dovuto sopportare. Non le venivano in mente alternative. Lesse l'invito. Mio Dio, una nuova festicciola di Manuela, questa volta a scopo benefico! Non sapeva ancora nulla della loro storia, altrimenti il buon senso le avrebbe sconsigliato di organizzare altre serate al villaggio, almeno per un po'. Ecco, forse in quell'occasione Paula l'avrebbe avvicinata per farle sapere quel che pensava. Impossibile sottrarsi. Evitare quell'incontro significava davvero nascondersi, e non poteva permetterselo. Si era innamorata di un uomo sposato, questo era il suo delitto. Più di nome che di fatto, visto che Paula dimostrava da tempo di non amare suo marito. Erano tutti adulti, e ognuno doveva assumersi le sue responsabilità. Le conseguenze dolorose o oltraggiose di quell'amore erano un problema suo. Sarebbe andata alla riunione, per rispetto nei confronti di se stessa. Doveva solo essere serena e andare incontro agli eventi. Lei non avrebbe fatto niente per cambiarli. Non aveva mai creduto che il destino fosse già scritto, eppure cominciava a pensarla così. La faceva sentire meglio, libera da terribili colpe, libera di essere felice.

 

Nella grande sala del club erano stati disposti due lunghi tavoli perfettamente apparecchiati per un tè. Il cuoco aveva dato il meglio di sé sfornando pasticceria secca e plum-cake. A coronamento del sontuoso buffet troneggiava un'enorme Sachertorte. Manuela amava l'abbondanza. Secondo lei, nessuno può sedersi a pensare senza il conforto di delizie che aiutino ad apprezzare la vita. Eppure voleva che quell'occasione fosse vista come un incontro di lavoro; quindi, una volta portate via tazze e piattini, le signore sarebbero state invitate a riflettere. Dario, con un taccuino in mano, era il solo uomo presente. Questo avrebbe dato alla riunione un carattere formale. Lui avrebbe preso appunti sugli interventi, e Manuela avrebbe creato l'atmosfera giusta leggendo un paio di pagine, scritte di suo pugno, sulle difficili condizioni di vita dei contadini e la necessità di essere solidali con la popolazione del paese ospitante. Si sentiva felice, motivata, leggera, come se finalmente avesse la prova di quel che le avevano tanto ripetuto le suore a scuola: aiutare i bisognosi procura una grande gioia interiore. Bene, la cosa funzionava, era ben decisa a fare di tutto per dare il suo piccolo contributo, anche se i progetti definiti in quella riunione avessero comportato per lei un'enorme mole di lavoro.

A poco a poco le signore arrivarono e il tè venne servito. Terminato il rinfresco, e prima che le invitate si perdessero in chiacchiere, Manuela le invitò a sedersi in cerchio e chiese silenzio per il suo breve discorso introduttivo. Victoria decise di prestare la massima attenzione alla lettura, per evitare lo sguardo di Paula, che non le staccava gli occhi di dosso. Dopo le prime frasi d'attacco, Paula alzò un dito.

- Scusa, Manuela, vorrei fare una domanda. Non hai previsto che ci venga servito qualcosa da bere? L'oratrice restò in silenzio. Cercò di sorridere.

- No, Paula, non verrà servito nient'altro; ma appena la riunione sarà finita, il bar sarà aperto, come sempre.

- Protesto vivamente! E impensabile che possiamo sentirci solidali con chicchessia senza prima aver lubrificato la nostra anima con gli elisir che favoriscono l'amore universale. Per fare beneficenza occorre essere euforici. Io, appena mi accorgo che un mio simile vive in ristrettezze, ho subito bisogno di una dose d'alcol per ricomporre la mia sensibilità. Solo così riesco a sopportare la sofferenza altrui.

Un pesante silenzio si diffuse nella sala. Manuela era decisa a essere diplomatica e paziente, ma in quel momento le sue buone intenzioni l'abbandonarono. Un intenso rossore le salì alle guance e fu investita da una collera difficile da contenere. Si tolse gli occhiali con gesto energico.

- Paula, perdonami, ma mi sembra che tu non abbia nessun diritto di monopolizzare questa riunione. Abbiamo tutte le nostre cose da fare, alcune hanno lasciato i bambini a casa per venire qui. Quindi prima finiamo, meglio è. Tu potrai bere quello che vuoi e noi torneremo alle nostre faccende.

Fece per riprendere la lettura, ma Paula la interruppe di nuovo: - Certo, mi ero dimenticata che mi trovo fra donne di buon cuore! Votate alla famiglia e ai doveri quotidiani... disposte a fermarsi lungo il loro cammino solo quando la carità le reclama. Spero sappiate perdonare la mia goffaggine.

Si udirono schiocchi di lingua e mormorii di disapprovazione. Manuela disse seccamente: - E sufficiente, Paula. Ora smettila una volta per tutte.

- Vi preoccupa la povertà di questa gente, care compagne? Cosa avete intenzione di fare per combatterla? Organizzare un ballo delle debuttanti, uno spettacolo di teatro amatoriale? Ah, siete proprio dei tesori, così educate e così ipocrite, proprio delle grandi attrici! Chiedetelo a Victoria se non è una grande attrice. Lei potrebbe essere la protagonista dello spettacolo. Ha saputo starsene lì buona buona mentre rubava il marito a un'altra sotto gli occhi di tutti. Un comportamento davvero etico e solidale, mie care signore! Victoria si alzò in piedi. Era pallida. Fece per andarsene ma Paula la fermò, alzandosi a sua volta: - Non c'è bisogno che tu te ne vada, non prenderti tanto disturbo. Rimani pure, stare fra ipocriti fa proprio al caso tuo. Me ne vado io, che sono di troppo in quest'assemblea.

Uscì a lunghe falcate impetuose. Susy la rincorse. Le signore rimaste in sala, attonite, non riuscivano a riaversi da quella scena. Manuela, immobile, con i fogli del discorso in una mano e gli occhiali nell'altra, non sapeva più che fare. Anche Victoria, in silenzio, abbandonò il cerchio. Non si udì un bisbiglio, solo silenzio costernato. Alla fine Manuela, mettendo da parte il tono da «presidentessa», disse con voce leggermente tremula: - Amiche, non so cosa dire. Abbiamo vissuto un momento di grande tensione. Credo sia preferibile rinviare l'incontro a quando saremo tutte meno turbate. Quell'intervento sembrò restituire la parola a tutte quante e per la prima volta si udirono sussurri e commenti sottovoce. Manuela si asciugò una goccia di sudore, ripiegò accuratamente i fogli del discorso preparato con tanta cura e pensò con dispetto: tempesta di cervelli! Aveva scelto un brutto momento per convocare quella sfortunata riunione!

 

Bel casino! C'era da aspettarselo, quella maledetta storia era una vera bomba, che poteva esplodere da un momento all'altro. Ed era esplosa proprio nel momento più spettacolare, davanti alla banda delle mogli al gran completo, presieduta da donna Manuela. Dopo l'esplosione, Dario pensò subito alle conseguenze che avrebbe potuto avere per lui quello scandalo. Prima l'aggressione al Cielito e ora questa piazzata. Ormai era venuto tutto alla luce del sole, peggio che in una telenovela. Cosa gli sarebbe capitato? Il suo ruolo di complice della coppia clandestina non era cosa da poco. Per ora si erano scatenati i tuoni più fragorosi, ma poi sarebbero saltati fuori i particolari della vicenda e gli sarebbe stata gettata addosso la responsabilità di quegli incontri, oltre a quella di aver coperto tutta la storia. Per fortuna, don Ramon non sembrava troppo pericoloso, visto che aveva già affrontato il rivale con un pugno. Non si sarebbe certo rifatto su di lui. Ma dall'ira della moglie tradita non l'avrebbe salvato neanche Gesù Cristo. Che furia! Quella donna gli aveva sempre fatto paura, era assolutamente imprevedibile e se ne sbatteva di quel che pensavano gli altri. Sì, di sicuro gli avrebbe fatto una scenata memorabile e, proprio com'era successo durante l'assemblea, avrebbe cercato un'occasione pubblica per attaccarlo. Gli avrebbe dato del ruffiano davanti a tutti? No, troppo poco. Probabilmente, approfittando di una sbronza, sarebbe andata ben oltre. Forse l'avrebbe preso a schiaffi. Ma non era da escludere che venisse a cercarlo per interrogarlo in privato. Dov'era la stanza degli incontri segreti? Da quanto tempo gli amanti vi si recavano? I coniugi abbandonati hanno il brutto vizio di rimuginare sulla disgrazia, vogliono conoscere tutti i particolari del tradimento come se ne provassero piacere. L'aveva visto nei film e letto nei libri, perfino alcuni suoi amici lasciati dalla ragazza si erano tormentati a quel modo e non la smettevano di fare domande. Ormai era finito in una trappola dalla quale non sarebbe uscito facilmente. Di qualunque cosa lo accusassero, non avrebbe potuto difendersi, solo tacere e lasciar dire, resistere alla bufera e stare a vedere cosa sarebbe successo. Che modo stupido di mettersi nei guai! Perché di certo quella faccenda gli sarebbe costata cara; era impossibile che tutto si fermasse lì. Era probabile che donna Manuela, saputo del suo ruolo nell'adulterio, insistesse col marito per fargli prendere dei provvedimenti, e i provvedimenti non potevano essere altro che rispedirlo in Spagna o, ancora peggio, farlo cacciare dall'impresa per immoralità. Avrebbero trovato una scusa adatta per giustificare il licenziamento: intromissione nella vita personale dei dirigenti o qualcosa del genere. Non erano paranoie sue, frutto della paura o dell'ansia, ma eventualità assai prossime a concretizzarsi. Si domandava cosa dovesse fare: restare ad aspettare che si scatenasse la tempesta? O anticipare gli eventi e prendere le redini della situazione? Prendere le redini voleva dire andarsene, chiedere la liquidazione e tornare in Spagna. E la sola ipotesi era disastrosa, non avrebbe incassato la buonuscita, e quel che aveva messo da parte non sarebbe bastato per pagare l'appartamento di Yolanda né nulla di lontanamente paragonabile. Come avrebbe potuto presentarsi davanti a lei senza soldi e in più senza lavoro? Imprecò fra sé a non finire. Alla faccia di quelli che non credevano nella sfortuna. Certo che la sfortuna esisteva, lui ne aveva una perfetta dimostrazione. Alla fine, cosa aveva fatto di male? Niente, aveva solo cercato di essere gentile e di accontentare tutti. Questo era stato il suo errore, non aver mai opposto un rifiuto a chiunque si credesse in diritto di pretendere favori. In fondo, era colpa delle donne. Si era sempre piegato a tutti i progetti di sua madre. Poi si era assoggettato ai capricci delle mogli dei suoi capi, e questo era già il colmo. Ma perfino la sua fidanzata aveva pianificato il suo futuro senza aspettare un parere. All'origine delle sue disgrazie comparivano sempre le donne, le stramaledette donne. Le loro smanie di potere, i loro capricci, il loro gusto per le apparenze, la loro voglia di rompere i coglioni erano senza freni. Si passò le mani sulla faccia. A cosa potevano servire quei pensieri disperati? Niente poteva essergli d'aiuto. Decise di concedersi un po’ di respiro nel solo posto dove sembravano accettarlo così com'era. Oltretutto, non era una cattiva idea tenersi in disparte in attesa che si placassero gli animi. Uscì dall'ufficio con circospezione, e quando fu sicuro che nei giardini non ci fosse nessuno, saltò in macchina e si diresse verso El Cielito.

 

Chiusa in casa, Victoria si sentiva come un animale in gabbia. Era sempre più agitata e non sapeva come combattere l'ansia. Il primo impulso fu telefonare a Santiago, raccontargli quel che era successo alla riunione e chiedergli di partire immediatamente. L'idea di Santiago, che bisognasse aspettare e lasciar succedere quel che doveva succedere, stava producendo risultati nefasti. Per colpa di quell'assurda attesa le era già toccato subire una scenata in pubblico. Cosa avrebbe ancora dovuto sopportare prima che lui capisse che era meglio andarsene quanto prima? Non era disposta a farsi maltrattare così. Che avesse rubato il marito a un'altra era una storia da romanzo d'appendice, offensiva, falsa, inaccettabile. Non si affrontavano le cose a quel modo fra persone educate. Si era forse intromessa in una coppia felice seducendo un marito ingenuo con le sue arti da maliarda? Che montagna di sciocchezze! Eppure, cosa poteva fare, pubblicare un bando per spiegare a tutti le circostanze del loro innamoramento? Che andassero al diavolo! Partire quella sera stessa, ecco la soluzione.

Sollevò il ricevitore, ma si trattenne. Non poteva chiamare Santiago in quello stato d'animo. Prima doveva calmarsi, placare il fuoco che la divorava. Si mise a piangere. Una situazione simile era troppo per lei, non era in grado di reggerla, di arrivare fino in fondo. Doveva ammettere che tutto era successo a una velocità vertiginosa: l'amore, la decisione di fuggire assieme, le rispettive spiegazioni a Paula e Ramon... In fondo si trattava solo di mantenere la calma, andava tutto bene, più in fretta di così era quasi impossibile. Santiago aveva ragione, non potevano sparire nel nulla, si stavano lasciando alle spalle tutta una vita e nulla si improvvisa su due piedi. Bisognava lasciare che succedesse quel che doveva succedere, e ora stava succedendo. Il mondo è fatto così. Se si era aspettata di ricevere comprensione e pacche sulle spalle, si era sbagliata. La buona educazione si dilegua non appena entrano in gioco i sentimenti viscerali. Ma lei non si sarebbe lasciata vincere dalla paura di essere rifiutata o criticata. Aveva sempre avuto il suo equilibrio e non si sarebbe mai perdonata di perderlo proprio quando più ne aveva bisogno. Accantonò l'idea di fare una telefonata che avrebbe solo arrecato ansia all'uomo che amava.

 

Susy ci mise un po’ a raggiungerla. Non immaginava che Paula avesse una falcata così potente e rapida. Aveva preso la strada per San Miguel. Finalmente la affiancò, senza fiato. - Paula, non correre tanto.

- Cosa diavolo ci fai qui?

- Anch'io me ne sono andata dalla riunione. Ti sono venuta dietro. Lascia che ti accompagni, per favore. E meglio che tu non stia da sola, adesso.

- Perché? Cosa pensi che voglia fare? Suicidarmi? Comprare una pistola per sparare a uno di quei due? Tu ti confondi, mia cara yankee, questo non è un corrìdo1 messicano. Io sto benissimo. Ho fatto quella piazzata solo perché mi andava, e adesso l'unica cosa che voglio è essere lasciata in pace. Non hai nessun bisogno di trasformarti in coprotagonista di tutti i film.

- Scusa, pensavo ti avrebbe fatto bene un po’ di compagnia. Me ne vado subito.

Fece per andarsene, ma dopo tre passi Paula la chiamò indietro.

- Susy, dove vai? Ti ho forse detto di andartene? Te l'ho detto?

- Non sono il tuo cane. Sono stufa di essere trattata così.

- Torna qui, per favore.

- Se vuoi che torni, chiedimelo come si deve e scusati.

- Susy, te lo sto chiedendo. Questo è un brutto momento per me e la tua presenza mi farà bene. Di tutta la combriccola sei l'unica che sopporto. Vieni a bere qualcosa.

- E le scuse?

- Scusami.

- Va bene, d'accordo.

- Sei l'unica persona con cui posso parlare. Come vedi, sono completamente sola.

- Anch'io sono sola.

- Tu hai tuo marito.

- Non sono più quella che lui crede. Sono cambiata. A Paula venne di nuovo una gran voglia di cacciarla via. Se quel che voleva Susy era trasformare la serata in una seduta di autocoscienza matrimoniale, dubitava di poterla reggere. Non aveva ancora deciso cosa fare né dove andare, ma non aveva intenzione di creare un duo di mogli infelici che si asciugano le lacrime a vicenda. Le piaceva bere in compagnia e Susy era sempre al suo fianco. Ma perché quella ragazza le stava addosso da quando era arrivata? Di certo pensava che l'esperienza di una donna matura potesse esserle utile. E lo era. «Andiamo, Susy» pensò, «vieni con me, ti regalerò centinaia di esperienze uniche, determinanti. Proprio il genere di esperienze dalle quali si esce rafforzati come esseri umani, ma soprattutto come animali. Sì, Susy, la vita non è diversa da come dicono. Guarda me. Chi semina vento raccoglie tempesta. E io l'ho raccolta. Senza Santiago le cose non andranno diversamente. Erano anni che non vivevo con lui. Ma è ovvio che non vivevo da sola. Ora sì che sarò sola». Non aveva ancora riflettuto sulle questioni pratiche. Cosa avrebbe fatto della casa? Come sarebbe riuscita a mantenersi con un lavoro da traduttrice che ormai languiva? Dio mio, detestava doversi preoccupare di queste cose, questa sì che era un'umiliazione! Si girò verso la sua compagna, che camminava in silenzio accanto a lei, e le rivolse un sorriso fisso, da automa.

- Sai cosa credo, amica mia? Bè, credo che d'ora in poi le cose si metteranno molto meglio per me. Abbandonerò le traduzioni di quel russo fuori di testa; che lo traducano i suoi tirapiedi. Mi dedicherò alla creazione pura: romanzi meravigliosi, racconti brevi pieni d'ispirazione. E persino poesie! La mia vita tornerà ad avere un senso.

- E sono sicura che troverai anche un nuovo amore.

- Esatto! E se lo troverò, invece di portarlo all'ufficio oggetti smarriti, lo terrò per me, a mio completo uso e consumo.

Susy rise, divertita, e la guardò con ammirazione.

- Sei incredibile, Paula, non perdi mai il senso dell'umorismo, quel tuo umorismo così caustico e terribile!

- Ma perché dovrei essere triste? Ho perso un marito già fuori uso. Non mi sembra una gran tragedia.

- Quel che non capirò mai è perché non l'hai lasciato tu per prima.

- Vedi, credo di avere un concetto della vita profondamente ecologico. Se avessi lasciato Santiago quand'era tempo e ora, avrei corso il rischio che nessuno se ne servisse al posto mio. Come potevo permettere che tanto buon materiale rimanesse inutilizzato? Adesso, invece, posso essere sicura che sarà riciclato a dovere. Susy rideva come una pazza, sempre più esaltata e felice. Ormai erano quasi arrivate al solito bar. Paula si fermò davanti alla porta. Quando Susy si rese conto di dov'erano, mise il broncio.

- Pensi davvero che sia il caso di sbronzarsi?

- Io ho intenzione di bere, Susy; quindi tu hai due possibilità: o entri e bevi con me, o te ne vai. Cerca di capire, mia gentile compagna, che quel che è o non è il caso di fare oggi dipende esclusivamente da me. Semplice, no?

- Mi fermo con te.

- E sia ben chiaro che è una scelta tua, io non ti ho chiesto di farmi compagnia.

- Lo so, lo so, non essere così dura.

L'interno del bar era immerso nella solita penombra. Il padrone e cinque o sei avventori che giocavano a carte le guardarono di sbieco. Paula ordinò mezzo litro di tequila e si sedettero al tavolo più appartato.

- Brindiamo alla mia nuova vita, Susy. Allo splendido futuro che mi attende.

- Al tuo futuro!

Paula vuotò il bicchierino in un sorso. Guardò la sua compagna e tornò a riempirlo. Susy si decise a parlare.

- C'è una cosa che non capisco, Paula. Ti arrabbi se te lo chiedo?

- Forza, oggi è il tuo giorno fortunato.

- Perché hai detto quelle cose a Victoria davanti a tutti?

- Per vari motivi. In primo luogo, perché detesto l'ipocrisia. Poi, per puro gusto del teatro, non puoi negare che è stato uno spettacolo. E infine, perché tutti devono soffrire un po’ per ottenere quello che desiderano, e lei l'ha avuto troppo facilmente.

- Come fai a saperlo?

- Mi sembra chiaro che mio marito le ha dichiarato il suo amore senza neanche conoscerla. Dubito che ci abbia pensato su due volte. In realtà, l'unica cosa che voleva era liberarsi di me, ma è troppo vigliacco per andarsene da solo.

- Sei stata così pesante per lui?

- Per lui e per qualsiasi altro. Sono piombo puro.

- A me non sembra. Credo che tu sia una donna speciale e che solo un uomo altrettanto speciale possa capirti.

- A voi americani piace tanto questa storia dell'essere speciali. Essere speciali e diversi dagli altri.

- Sei davvero sicura di quel che farai della tua vita, Paula?

Paula si scolò la sua terza tequila e restò a guardare la compagna con un sorrisetto enigmatico. Era il momento di mandarla al diavolo, di aggredirla e farla piangere? No, no, calma, stava facendo il suo ingresso nel locale un personaggio che avrebbe cambiato il corso della serata. La guida messicana era lì, sempre al momento giusto, sempre come caduta dal cielo, figlio di puttana di un cane bastardo che sapeva come fare la felicità delle signore. Lo salutò con un cenno e lui ricambiò, per poi fermarsi al bancone.

- L'hai visto? E sempre qui. Secondo me lo avvertono ogni volta che ci vedono comparire. Gli interessiamo, Susy, gli piacciamo. E tu stai lì a farmi domande sul futuro. Eccolo il nostro futuro, il futuro giusto per due come noi: gli uomini cadono ai nostri piedi senza che neanche ce ne accorgiamo. Adesso lo invito al nostro tavolo. Ti va?

- Bè, forse c'è da divertirsi.

- Non dire altro.

Paula si alzò e andò dal messicano.

- Ci domandavamo se volessi bere un bicchiere in nostra compagnia. Sempre che tu non abbia niente di meglio da fare...

- Molto volentieri, signore, sarà un piacere. Quello sguardo sardonico continuava a brillare nei suoi occhi diabolici. Perfetto, pensò Paula, il toro da monta si dimostrava cortese e cavalleresco. Un bel giorno le generazioni future si sarebbero vantate di averlo conosciuto, manco fosse Pancho Villa. E tutto grazie a loro, piccole rappresentanti del destino.

Il messicano tolse il cappello e prese posto.

- Vedo che questo posto vi piace.

- Siamo venute per festeggiare un avvenimento molto importante della mia vita.

La guida non fece domande. Si limitò a sorridere.