22.
Un sogno
Sogno sempre acqua, pesci, balene. Soprattutto balene.
Una volta però ho fatto un sogno così vivo che mi sembrava vero, e la mattina l’ho scritto. Era sicuramente successo, da qualche parte.
Mi trovavo in collina, appena dopo il tramonto. Era una collina brulla, non c’erano alberi ma solo cespugli, moltissimi cespugli. Il cielo era arancio. Dovevo scappare da qualcosa, non so cosa, e avevo in braccio due neonati. Pesavano molto, non riuscivo a correre con tutti e due in braccio. Allora pensavo: ne nascondo uno dietro a un cespuglio e porto in salvo l’altro, poi torno. Però quando tornavo non trovavo quello che avevo lasciato. Cercavo disperatamente finché non lo trovavo. Allora lo prendevo, e tornavo dove avevo lasciato il primo. Ma non lo trovavo più dove lo avevo lasciato, dietro un altro cespuglio, a valle. Così col secondo in braccio mi mettevo a cercare il primo, ma era pesante e dovevo lasciarlo. Finalmente trovavo il primo, grande sollievo, felicità, ma subito panico per aver lasciato il secondo. Tornavo a cercarlo, lasciando l’altro. Non lo trovavo. Ne perdevo sempre uno. Non so quante volte. Sempre, continuamente.
Ho pensato, mentre scrivevo il sogno per fare pace con lui, che quando ho saputo di essere incinta di due bambini facevo molta fatica a immaginarli insieme, a parlarci insieme. Quando si parla, si parla sempre a una persona alla volta. A parte i comizi, certo, ma lì si è di fronte a una moltitudine di sconosciuti. Quando ci si rivolge a chi si ama, intendo, è sempre uno. È difficilissimo immaginare di dire ti amo a due. Insieme. Facevo molta fatica, quando ero incinta, a dire a due persone insieme: vi amo. È strano. È difficile. È davvero insolito. Rivolgersi a due, a volte, è troppo. Non ti senti capace. Non ti senti all’altezza. Non sai a chi chiedere aiuto.