Bijou arrivò a un muro di pietra molto basso e si fermò a guardare il fiume. Si sporse, affascinata dalle luci che si riflettevano nell'acqua.
Poi udì la più - straordinaria delle voci che le parlava all'orecchio, una voce che la incantò immediatamente. Le diceva: "Ti prego, non muoverti, non ti farò male, ma resta dove sei." La voce era così profonda, ricca, raffinata, che Bijou obbedì e si limitò a girare la testa. Si trovò accanto un uomo alto, bello, ben vestito, in piedi dietro di lei. Sorrideva nella luce tenue, con un'espressione amichevole, disarmante, galante. Poi anche lui si sporse sul muretto e le disse: "Trovarti qui in questo modo è stata l'ossessione della mia vita. Non sai come sei bella con i seni schiacciati contro il muretto e il vestito che si rialza dietro. Come sono belle le tue gambe." "Ma dovresti avere un sacco di amiche,¯ rispose Bijou sorridendo. "Nessuna che abbia mai desiderato come desidero te. Solo non muoverti, ti prego."
Bijou era incuriosita. La voce dello sconosciuto l'affascinava e la teneva come in trance al suo fianco. Sentì la sua mano che le toccava gentilmente la gamba e si infilava sotto il vestito. Accarezzandola, le disse: "Un giorno ho guardato due cani che giocavano. Uno dei due era alle prese con un osso che aveva trovato, e l'altro approfittò della situazione per fare il suo approccio da dietro. Avevo quattordici anni e guardandoli provai una violenta eccitazione. Era la prima scena sessuale alla quale mi fosse dato di assistere e con essa scoprii anche il mio primo turbamento sessuale. Da allora, solo una donna che si sporge come te adesso riesce a suscitare il mio desiderio." La sua mano continuava ad accarezzarla, mentre lui si stringeva più addosso, e, vedendola arrendevole, cominciava a muoversi dietro a lei come a coprirla col suo corpo. Bijou ebbe improvvisamente paura e cercò di sottrarsi al suo abbraccio. Ma l'uomo era forte e Bijou era già sotto di lui, e non gli restava che piegarle ancor di più il corpo. Le spinse testa e spalle contro il muretto e le sollevò la gonna. Bijou non aveva biancheria intima, e l'uomo rimase senza fiato. Incominciò a sussurrarle parole di desiderio per blandirla, ma nello stesso tempo se la teneva sotto, completamente in sua balia. Bijou lo sentiva contro la sua schiena, ma non stava cercando di prenderla, le si schiacciava addosso più stretto che poteva. Sentì la forza delle sue gambe, poi la voce che l'avvolgeva, ma nient'altro. Poi si sentì addosso qualcosa di morbido e caldo, qualcosa che non la penetrava. E in un attimo fu coperta di sperma tiepido. L'uomo l'abbandonò e scappò via. Leila portò Bijou a cavalcare al Bois. Leila era molto bella sul cavallo, snella, mascolina e altera.
Bijou appariva più opulenta, ma meno composta in sella. Cavalcare al Bois fu una bella esperienza. Passarono accanto a gente elegante, poi trottarono per lunghi tratti lungo sentieri isolati in mezzo agli alberi. Di quando in quando arrivavano a un caffè, dove ci si poteva riposare e mangiare qualcosa. Era primavera. Bijou aveva preso molte lezioni di equitazione ed ora usciva da sola per la prima volta.
Cavalcarono lentamente, chiacchierando tutto il tempo. Poi Leila si lanciò al galoppo e Bijou la seguì. Dopo aver galoppato per un po', rallentarono di nuovo con i visi arrossati. Bijou sentiva una piacevole irritazione tra le gambe e un certo calore su per le natiche. Si chiese se Leila provasse la stessa sensazione. Dopo un'altra mezz'ora di cavalcate, là sua eccitazione crebbe ancor più. Aveva gli occhi brillanti, le labbra umide. Leila la guardò con ammirazione. "Cavalcare ti dona," le disse. La sua mano reggeva un frustino con sicurezza regale, i guanti aderivano perfettamente alle lunghe dita, portava una camicia maschile con gemelli ai polsini. Il suo completo da cavallerizza sottolineava la snellezza della vita, dei seni, delle natiche. Bijou riempiva i vestiti con maggiore abbondanza. i seni erano alti e puntati provocantemente all'ins—. I lunghi capelli erano sciolti al vento. E che calore su per le natiche e in mezzo alle gambe! Era come esser state strofinate con alcool, o con vino, e leggermente sculacciate da una massaggiatrice esperta. Ogni volta che si sollevava e ricadeva sulla sella, Bijou sentiva un formicolio delizioso. A Leila piaceva cavalcarle dietro e contemplare la sua figura che si muoveva sul cavallo. Bijou, non ancora esperta, si sporgeva in avanti sulla sella e mostrava le natiche, rotonde e tese nei pantaloni da cavallerizza, e le gambe ben fatte. I cavalli erano accaldati e cominciavano a schiumare. Emanavano un odore molto forte che passava nei vestiti delle donne. Il corpo di Leila sembrava farsi sempre più leggero. Teneva la frusta nervosamente.
Galopparono di nuovo, fianco a fianco ora, con le bocche semiaperte e il vento sul viso. Mentre le sue gambe stringevano i fianchi del cavallo, Bijou si ricordò di come una volta avesse cavalcato sullo stomaco del Basco. Poi si era alzata, coi piedi sul suo torace e i genitali dritti sulla linea della sua visione, e lui l'aveva tenuta in questa posizione per la gioia degli occhi. Un'altra volta, il Basco si era messo ginocchioni sul pavimento e lei aveva cavalcato sulla sua schiena, cercando di fargli male con la pressione delle ginocchia nei fianchi.
Ridendo nervosamente, lui l'aveva spronata a continuare. Bijou aveva le ginocchia forti come quelle di un uomo che cavalca e il Basco era stato preso da un'eccitazione tale che era andato in giro carponi per tutta la stanza, con il pene come una lancia in resta. Di quando in quando il cavallo di Leila alzava la coda, nella velocità del galoppo, e si frustava il corpo vigorosamente, facendo brillare nel sole il suo crine lucido. Raggiunta la parte più fitta della foresta, le due donne si fermarono e smontarono. Condussero i cavalli per le briglie in un angolo coperto di erba e si sedettero a riposare. Fumarono, e Leila aveva ancora in mano il suo frustino. Bijou disse: "Mi bruciano le natiche per la cavalcata." "Fa' vedere," disse Leila. "Forse, visto che era la prima volta, non avremmo dovuto cavalcare così a lungo. Fammi vedere in che stato sei.¯ Bijou slacciò lentamente la cintura, sbottonò i pantaloni, li abbassò un po', e si girò perché Leila potesse guardare. Leila la fece mettere in ginocchio e disse: "Fammi vedere." Finì di tirar giù i pantaloni per scoprire del tutto le natiche. Toccò Bijou. "Ti fa male?"
le chiese. "No, non fa male, è solo caldo, come se me l'avessero tostato." La mano di Leila si posò sulle natiche rotonde: "Povere care!"
disse. "Ti fa male qui?" La sua mano si spinse più giù nei pantaloni, più a fondo tra le gambe. "Lì è caldo e brucia," disse Bijou. "Togli i pantaloni, così si raffredderà," disse Leila, tirandoglieli giù ancora un po' e tenendo Bijou in ginocchio, col sedere all'aria. "Che bella pelle hai, Bijou. La luce la fa risplendere tutta. Lascia che l'aria ti rinfreschi." E continuò ad accarezzare la pelle di Bijou tra le gambe come avrebbe fatto con un micino. Ogni volta che i pantaloni
minacciavano di coprire tutto un'altra volta, li ricacciava giù, togliendoli di mezzo. "Brucia ancora," disse Bijou senza muoversi. "Se continua a bruciare," disse Leila, "dovremo provare qualche altro rimedio." "Fammi quello che vuoi," le disse Bijou. Leila alzò il frustino e lo fece cadere, non troppo forte la prima volta. Bijou disse: "Questo mi scalda ancor di più." "Ma io ti voglio più calda, Bijou. Ti voglio bollente lì giù. Il più calda possibile." Bijou non si mosse.
Leila usò di nuovo il frustino, questa volta lasciandole un segno rosso.
Bijou disse: "E' così caldo, Leila." "Voglio che tu bruci laggiù," disse Leila, "finché non potrai bruciare di più, finché non riuscirai più a sopportarlo. E allora li avrai i miei baci." Colpì di nuovo, e Bijou non si mosse. Colpì un po' più forte. "E' così caldo lì, Leila, bacialo,"
disse Bijou. Leila si piegò su di lei e le diede un lungo bacio là dove le natiche si aprivano nella valle delle parti sessuali. Poi colpì ancora. E poi ancora. Bijou contrasse le natiche come se le facessero male. Ma sentiva solo un piacere bruciante. "Colpisci forte" disse a Leila. Leila obbedì. Poi le disse: "Vuoi farlo anche tu a me?" "Sì,"
disse Bijou alzandosi, senza però tirarsi su i pantaloni. Si sedette sul muschio fresco, prese Leila sulle ginocchia, le sbottonò i pantaloni e cominciò a frustarla, dapprima delicatamente, poi più forte, finché Leila incominciò a contrarsi e ad aprirsi a ogni colpo. Ora aveva le natiche rosse e brucianti. "Togliamoci i vestiti e saliamo sul cavallo insieme," disse a Bijou. Si tolsero i vestiti e montarono tutte e due su uno dei cavalli. La sella era calda. Ci stavano appena, appiccicate l'una all'altra. Leila, da dietro, mise le braccia intorno ai seni di Bijou e le baciò le spalle. Cavalcarono un po' in questa posizione, con i genitali che strusciavano contro la sella a ogni movimento del cavallo. Leila mordeva la spalla di Bijou e questa si girava ogni tanto a morderle il capezzolo. Poi tornarono al loro letto di muschio e si rimisero i vestiti. Prima che Bijou finisse di tirarsi su i pantaloni, Leila la fermò per baciarle la clitoride; ma Bijou sentiva soprattutto le sue natiche brucianti e pregò Leila di porre fine a quella irritazione. Leila le accarezzò le natiche, poi usò di nuovo il frustino questa volta più forte, e Bijou si contrasse sotto i colpi. Leila le tenne aperte le natiche con una mano, in modo che il frustino si abbattesse nel mezzo, sull'apertura sensibile, e Bijou si mise a gridare. Leila continuò a colpirla, finché Bijou non fu presa dalle convulsioni. Allora Bijou si girò e incominciò a dare dei forti colpi a Leila, furiosa per essere così eccitata e pure insoddisfatta, bruciante e incapace di far cessare quella sensazione. Ad ogni colpo che assestava, si sentiva palpitare tra le gambe, come se stesse prendendo Leila, come se la stesse penetrando. Dopo che si furono frustate fino a esser rosse e smaniose, si gettarono l'una sull'altra con mani e lingue finché non raggiunsero il fulgore pieno del loro piacere. Avevano programmato di uscire tutti insieme per un picnic: Elena, il suo amante Pierre, Bijou e il Basco, Leila e l'Africano. Si diressero verso una zona fuori Parigi. Mangiarono a un ristorante sulla Senna; poi, lasciate le macchine all'ombra, si incamminarono a piedi nella foresta.
All'inizio camminarono in gruppo, poi Elena rimase indietro con l'Africano. Di punto in bianco essa decise di arrampicarsi su un albero.
L'Africano rise di lei, pensando che non ci sarebbe riuscita. Ma Elena sapeva come fare. Con molta destrezza, appoggiò un piede sul primo ramo basso, e incominciò a salire. L'Africano rimase ai piedi dell'albero a guardarla. Guardando in su poteva vederla sotto la gonna. Elena aveva biancheria rosa conchiglia, aderente e corta che lasciava intravedere buona parte delle gambe e delle cosce mentre si arrampicava. L'Africano rimase in piedi accanto all'albero e, tra una battuta e una risata incominciò ad avere un'erezione. Elena era seduta piuttosto in alto, e l'Africano non poteva raggiungerla perché era troppo pesante e grosso per appoggiarsi al primo ramo. Non gli restava che star seduto lì a guardarla, mentre la sua erezione diventava più forte. Le chiese: "Che regalo mi fai oggi?" "Questo," disse Elena, facendo cadere qualche castagna. Sedette su un ramo e fece dondolare le gambe. In quella tornarono Bijou e il Basco a cercarla. Bijou, un po' ingelosita nel vedere i due uomini che guardavano in su verso Elena, si gettò sull'erba dicendo: "Mi è entrato qualcosa nei vestiti. Ho paura." I due uomini le si avvicinarono. Prima indicò la schiena, e il Basco le infilò una mano nel vestito. Poi disse che lo sentiva sul davanti, e l'Africano a sua volta le infilò una mano sotto il vestito e incominciò a cercare sotto il seno. All'improvviso Bijou sentì che c'era veramente qualcosa che le si muoveva sul ventre e questa volta incominciò a dimenarsi e a rotolare sull'erba. I due uomini cercarono di aiutarla. Le sollevarono la gonna e incominciarono la ricerca. Indossava della biancheria di seta che la copriva completamente. Sganciò le mutandine su un lato per il Basco, che, agli occhi di tutti, aveva più diritto degli altri di frugarla nelle sue parti intime. Questo eccitò l'Africano che la rigirò piuttosto bruscamente e prese a menar colpi sul suo corpo dicendo: "Qualunque cosa sia, questo trattamento la ucciderà." Anche il Basco tastava Bijou dappertutto. "Ti toccherà spogliarti," le disse alla fine. "Non c’è altro da fare." La aiutarono entrambi a svestirsi, mentre rimaneva sdraiata sull'erba. Elena li osservava dall'albero, sentendosi invadere da un calore formicolante e augurandosi che facessero altrettanto a lei.
Bijou, una volta svestita, incominciò a frugarsi tra le gambe, tra i peli pubici, e, non trovando niente, incominciò a rimettersi la biancheria. Ma l'Africano non voleva vederla completamente vestita, per cui raccolse un piccolo insetto innocuo e glielo mise sul corpo.
Vedendolo muoversi sulle sue gambe, Bijou incominciò a rotolarsi per cercare di scuoterselo di dosso, perché non voleva toccarlo con le mani.
"Tiralo via, tiralo via!" gridava, rotolando il suo bel corpo sull'erba e offrendo alla vista tutti i punti su cui camminasse l'insetto. Ma né l'uno né l'altro voleva soccorrerla. Il Basco prese un rametto e incominciò a dar colpi all'insetto. L'Africano prese un altro ramo. I colpi non erano dolorosi, le facevano solo un po' di solletico.
L'Africano si ricordò allora di Elena e tornò verso l'albero. "Scendi,"
Le disse, "ti aiuterò io. Puoi mettermi un piede sulla spalla." "No che non scendo," disse Elena. L'Africano la pregò ed essa incominciò a scendere e, quando stava toccando i rami più bassi, l'Africano le prese una gamba e se la tirò sulla spalla. Allora Elena scivolò e cadde con l'altra gamba intorno al collo dell'uomo, col pube sulla sua faccia.
L'Africano inalò l'odore in estasi e la resse nella forte presa delle sue braccia. Attraverso il vestito poteva annusarle il sesso, sentirglielo, così la tenne ferma lì, e la morse attraverso i vestiti reggendole le gambe. Elena lottò per sfuggirgli, scalciando e colpendolo sulla schiena. In quella apparve il suo amante, furioso, coi capelli ritti in testa nel vederla in quella posizione. Invano Elena cercò di spiegargli che l'Africano l'aveva presa perché era scivolata scendendo dall'albero. Pierre rimase arrabbiato, col desiderio di vendicarsi.
Quando vide la coppia sull'erba, cercò di unirsi a loro, ma il Basco non avrebbe permesso a nessuno di toccare Bijou e, ignorando Pierre, continuò a colpirla con dei ramoscelli. In quella usci dalla boscaglia un grosso cane e puntò dritto verso la donna. Incominciò ad annusarla con evidente piacere. Bijou gridò e cercò di divincolarsi per alzarsi.
Ma il cagnone enorme le si era piantato sopra e cercava di ficcarle il naso tra le gambe. Allora il Basco, con un'espressione crudele negli occhi, fece un cenno all'amante di Elena. Pierre capì al volo. Insieme bloccarono le braccia e le gambe di Bijou e lasciarono che il cane la annusasse a suo piacimento. La bestia incominciò a leccare con delizia la sottoveste di satin, esattamente nel punto in cui anche a un uomo sarebbe piaciuto leccare. Il Basco tolse la biancheria intima a Bijou e lasciò che il cane continuasse a leccarla con cura. La sua lingua era ruvida, molto più ruvida di quella di un uomo, ed era lunga e forte.
Leccò e rileccò con gran vigore, e tutti e tre gli uomini rimasero a guardare. Anche Elena e Leila parteciparono alla scena, con la sensazione di essere leccate a loro volta dal cane. E questo le rendeva inquiete. Ormai guardavano tutti, chiedendosi se Bijou provava piacere.
Sulle prime Bijou era terrorizzata e cercò in tutti i modi di Liberarsi.
Poi si stancò di muoversi inutilmente, facendosi male ai polsi e alle caviglie, che i due uomini le tenevano con tanta forza. Il cane era bello, con una grande testa arruffata e la lingua pulita. Il sole illuminava i peli pubici di Bijou, facendoli brillare come broccato. Il suo sesso era lucido e bagnato, ma nessuno avrebbe potuto dire se era per la lingua del cane o per il piacere. Quando la resistenza di Bijou incominciò a scemare, il Basco si ingelosì e allontanò il cane con un calcio, liberando la donna. E venne il giorno in cui il Basco si stancò di Bijou e la abbandonò. Bijou era talmente abituata alle sue fantasie e ai suoi giochi crudeli, in particolare alla sua mania di ridurla all'impotenza mentre le venivan fatte le cose più strane, che per mesi non riuscì a godersi la riconquistata libertà né ad avere alcun rapporto con altri uomini. E non riusciva neppure ad amare le donne. Provò a posare ma non le piaceva più mostrare il suo corpo, o essere guardata e desiderata dagli studenti. Vagabondava da sola tutto il giorno, ancora una volta a battere le strade. Il Basco, dal canto suo, ricominciò a inseguire la sua antica ossessione. Nato in una famiglia agiata, aveva diciassette anni quando i suoi assunsero una governante francese per la sorella più piccola. Questa donna era piccola, paffuta, e sempre vestita con civetteria. Portava degli stivaletti di pelle e calze nere trasparenti. Aveva piedi piccoli, molto arcuati e affusolati. Il Basco era un bel ragazzo, e la governante francese lo notò. Insieme alla sorella più piccola, i due facevano lunghe passeggiate. Sotto gli occhi della bambina, poteva succedere ben poco tra di loro, se si eccettuano lunghe occhiate penetranti. La governante aveva un piccolo neo all'angolo della bocca. Il Basco ne era affascinato, e un giorno le fece un complimento in proposito. La donna gli rispose: "Ne ho un altro, in un posto che non immagineresti mai. E che non vedrai mai." Il ragazzo si chiese dove potesse essere l'altro neo. Provò a immaginarsi la governante francese nuda. Dov'era il neo? Fino allora aveva visto donne nude solo in fotografia. Aveva anche una cartolina che rappresentava una ballerina con un corto gonnellino di piume. Se ci soffiava sopra, le piume si sollevavano e la donna mostrava le sue nudità. Una delle gambe era sollevata in aria, in una posa di danza classica, e il Basco poteva vedere com'era fatta una donna. Quel giorno, appena arrivato a casa, prese la cartolina e ci soffiò sopra. Immaginò di vedere il corpo della governante, i suoi seni generosi e pieni. Poi, con una matita, disegnò un piccolo neo tra le gambe della ballerina. A quel punto era eccitato a dovere e voleva vedere la governante nuda, a tutti i costi. Ma bisognava essere molto cauti per via della famiglia numerosa del Basco. C'era sempre qualcuno per le scale, qualcuno in ogni stanza. Il giorno dopo, durante la passeggiata, la governante gli diede un suo fazzoletto. Il ragazzo, annusandolo, poteva sentire l'odore di lei. La donna l'aveva infatti tenuto in mano in una giornata calda e la stoffa aveva trattenuto un po' del suo sudore. L'odore era così forte e lo turbò tanto, che per la seconda volta il ragazzo seppe cos'era sentire un tumulto tra le gambe. Si accorse di avere un'erezione, cosa che fino allora gli era successa solo durante il sonno. Il giorno dopo, la governante gli diede una cosa avvolta nella carta. Lui se la infilò in tasca e dopo la passeggiata andò dritto in camera sua, dove aprì il pacchettino. Conteneva un paio di mutandine color carne, con il bordo di pizzo. Erano state indossate, e avevano anch'esse l'odore del corpo di lei. Il ragazzo vi affondò il viso e sperimentò il più inebriante dei piaceri. Immaginò di essere lui a toglierle le mutandine dal corpo e la sensazione fu così intensa che ebbe un'erezione. Allora incominciò a masturbarsi, continuando a baciare le mutandine. Poi se le strusciò sul pene. Il tocco della seta lo mandò in estasi. Gli sembrava di toccare la carne di lei, forse proprio il posto dove immaginava avesse il piccolo neo. All'improvviso eiaculò, per la prima volta, con uno spasimo di gioia che lo fece rotolare sul letto. Il giorno dopo la governante gli diede un altro pacchettino. Questa volta conteneva un reggiseno. Il Basco ripet‚ la cerimonia e si chiese cos'altro gli avrebbe dato che potesse suscitare in lui un piacere simile. E la volta dopo il pacchetto era molto più grande. La sorellina ne fu molto incuriosita. "Sono solo libri," disse la governante. "Niente che possa interessarti." Il Basco corse nella sua stanza e scoprì che la donna gli aveva dato un bustino nero, orlato di pizzo, che aveva l'impronta del suo corpo. Il pizzo era consumato per essere stato tirato tante volte. Il Basco si eccitò di nuovo. Questa volta si spogliò e si mise addosso il bustino, tirò i lacci come aveva visto fare a sua madre. Il corsetto lo stringeva e gli faceva male, ma era un dolore che gli dava piacere. Immaginò che la governante lo stringesse tra le braccia fino a farlo soffocare. Mentre allentava i lacci, immaginò di liberare il corpo di lei per poterla vedere nuda. Fu preso di nuovo da un'eccitazione febbrile, tormentato da ogni tipo di fantasia: la vita della governante, i suoi fianchi, le sue cosce. Di notte nascondeva tutti gli indumenti di lei nel suo letto e ci si addormentava sopra, affondandovi il sesso, come se fosse nel corpo di lei. La sognava e la punta del suo pene era perennemente bagnata. Al mattino aveva gli occhi cerchiati. La donna gli diede un paio delle sue calze. Poi gli diede un paio dei suoi stivaletti di vernice, che lui mise sul suo letto. Ora era sdraiato tra tutte le cose di lei, e cercava disperatamente di evocarne la presenza, morendo dalla voglia di lei. Gli stivaletti erano così vivi. Gli davano l'illusione che lei fosse entrata nella stanza e stesse camminando sul letto. Se li mise in equilibrio sulle gambe per guardarli meglio. così sembrava che la donna stesse per camminargli sul corpo con i suoi piedini affusolati, e stesse per schiacciarlo. A questo pensiero si eccitò e incominciò a tremare. Se li avvicinò ancor di più al corpo, poi ne mise uno tanto vicino da toccargli la punta del pene. Questo lo eccitò talmente, che eiaculò proprio sulla pelle lucida dello stivale. Ma questa era diventata una forma di tortura. Incominciò a scrivere delle lettere alla governante.
pregandola di andarlo a trovare di notte nella sua stanza. Lei lesse le lettere con piacere, in sua presenza, con gli occhi scuri che le brillavano, ma non voleva rischiare di perdere il posto. Poi un giorno venne richiamata a casa dalla malattia del padre. Il ragazzo non la vide più, e gli rimase un desiderio divorante di lei, insieme ai suoi vestiti che non gli davano pace. Un giorno egli fece un pacchetto con tutti quegli indumenti e andò in una casa di tolleranza. Trovò una donna che era fisicamente simile alla governante. La fece vestire con i suoi indumenti. La guardò mentre si allacciava il corsetto che le solleva va i seni e le faceva sporgere il sedere; la guardò mettersi il reggiseno e infilarsi le mutandine. Poi le chiese di mettersi le calze e gli stivaletti. Si eccitò terribilmente. Si strusciò contro la donna, poi si allungò ai suoi piedi e la pregò di toccarlo con la punta dello stivale.
La donna gli toccò prima il petto, poi il ventre, poi la punta del pene.
Questo lo riempì di passione ed egli immaginò che fosse la governante a toccarlo. Baciò gli indumenti tanto cari e cercò di possedere la ragazza, ma appena questa aprì le gambe il suo desiderio morì, perché, dov'era il piccolo neo?
PIERRE.
Da ragazzo, un mattino molto presto, Pierre se ne andò a zonzo lungo l'argine del fiume. Dopo un po' che passeggiava, si fermò vedendo un uomo che cercava di recuperare un corpo nudo dall'acqua e di tirarlo sul pontile di una delle chiatte. Il corpo era impigliato nella catena dell'àncora. Pierre corse ad aiutare l'uomo e insieme riuscirono a tirare il corpo sul pontile. Allora l'uomo disse a Pierre: Aspetta qui, intanto che vado a chiamare la polizia,¯ e corse via. Il sole stava incominciando a far capolino e soffondeva sul corpo nudo una luce rosata. Pierre vide che non solo si trattava di una donna, ma di una donna molto bella. I lunghi capelli le cadevano sulle spalle e sui seni rotondi e pieni. La pelle liscia e dorata brillava. Pierre non aveva mai visto un corpo più bello, schiarito e purificato dall'acqua, con i bei contorni morbidi in evidenza. La guardò affascinato. Il sole la stava asciugando. Pierre la toccò. Era ancora calda e probabilmente era morta da pochissimo tempo. Provò a sentirle il cuore. Non batteva. Il suo seno sembrò attaccarglisi alla mano. Pierre tremò, poi si piegò e baciò il seno. Era elastico e morbido sotto le sue labbra, come un seno vivo.
All'improvviso lo invase un violento desiderio sessuale. Continuò a baciare la donna, le aprì le labbra e, mentre lo faceva, dalla bocca uscì un po' d'acqua, come fosse la saliva stessa della donna. Pierre ebbe la sensazione che, se l'avesse baciata abbastanza a lungo, la donna sarebbe tornata in vita. Il calore delle sue labbra si trasmise a quelle di lei, Le baciò la bocca, i capezzoli, il collo, il ventre, infine le sue labbra scesero versa i peli pubici bagnati e ricciuti. Era come baciarla sott'acqua, La donna era sdraiata, con le gambe leggermente aperte, e le braccia lungo i fianchi. Il sole trasformava in oro la sua pelle, i capelli bagnati sembravano alghe marine. Come gli piaceva quel corpo abbandonato, nudo e indifeso. Come gli piacevano quegli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. Il suo corpo aveva il sapore della rugiada, dei fiori bagnati, delle foglie umide, dell'erba di primo mattino. La pelle era come seta sotto le sue dita. Amava la sua passività e il suo silenzio. Si sentì teso, bruciante. Infine si lasciò cadere su di lei, e mentre la penetrava sentì scorrerle dell'acqua tra le gambe, come se stesse possedendo una naiade. I suoi movimenti facevano ondeggiare il corpo di lei. Continuò a gettarsi dentro il suo corpo, aspettando da un momento all'altro di sentirla reagire, ma il corpo di lei si muoveva semplicemente secondo il suo ritmo. Poi incominciò a temere che tornasse l'uomo con la polizia. Cercò di affrettarsi e di soddisfare il suo desiderio, ma non ci riuscì. Non ci aveva mai messo tanto. La freschezza e l'umidità del grembo, la passività di lei, il suo piacere così prolungato, eppure non riusciva a venire. Si mosse disperatamente, per liberarsi del suo tormento, per iniettare il suo liquido caldo in quel corpo freddo. Oh, come avrebbe voluto venire in quel momento, mentre le baciava il seno! Freneticamente spinse il sesso dentro di lei, ma ancora non riuscì a venire. L'uomo e la polizia l'avrebbero trovato lì sdraiato sul corpo della donna morta.
Alla fine le prese il corpo per la vita, sollevandolo contro il suo pene e spingendo violentemente dentro di lei. udì delle grida tutt'intorno, e in quel momento sentì che esplodeva dentro di lei. Si ritrasse, lasciò cadere il corpo e fuggì. Quella donna lo ossessionò per giorni e giorni.
Non riusciva a fare una doccia senza ricordare la sensazione di quella pelle bagnata e di quel corpo che brillava nell'alba. Mai più avrebbe visto un corpo così bello. Non riusciva ad ascoltare la pioggia senza rivedere l'acqua che le usciva di tra le gambe e dalla bocca, senza ricordare quanto era morbida e liscia. Sentì che doveva andarsene dalla città. Dopo qualche giorno si ritrovò in un villaggio di pescatori e gli capitò di vedere degli studi per artisti, costruiti in economia. Ne affittò uno e attraverso le pareti sentiva tutto quello che succedeva all'esterno. In mezzo alla fila di appartamenti, accanto a quello di Pierre, c'era un gabinetto comune. Una volta, mentre era sdraiato a letto cercando di dormire, vide all'improvviso una debole striscia di luce tra le assi della parete. Guardò attraverso la fessura e vide, davanti al water, con una mano appoggiata alla parete, un ragazzo di circa quindici anni. Aveva i pantaloni a mezz'asta e si era aperto la camicia e con la testa ricciuta piegata da un lato se ne stava a osservare le sue fatiche. Con la mano destra si toccava pensosamente il suo giovane sesso. Di quando in quando lo premeva con forza e veniva scosso dai tremiti. In quella luce fioca, con i capelli ricciuti e il giovane corpo pallido, sembrava quasi un angelo, a parte il fatto che si reggeva il sesso con la mano destra. Staccò l'altra mano dalla parete alla quale l'aveva appoggiata e la strinse intorno alle palle, continuando ad agitare, premere e strizzare il pene. Ma non gli veniva molto duro. Provava piacere, ma non riusciva a raggiungere l'orgasmo.
Era deluso. Aveva provato di tutto, e ora reggeva il suo pene floscio con aria pensosa. Lo soppesò, lo guardò interdetto, e infine lo rimise nei pantaloni, si abbottonò la camicia e se ne andò. A questo punto, Pierre era sveglio come un'allodola. Il ricordo della donna affogata lo tormentava di nuovo, mescolato ora all'immagine del ragazzo che si trastullava da solo. Era lì sdraiato a rivoltarsi nel letto, quando dal gabinetto filtrò nuovamente una luce. Pierre non pot‚ fare a meno di spiare. Seduta sulla tazza c'era una donna di circa cinquant'anni, enorme, solida, con una faccia pesante, occhi e labbra ingordi. Era seduta lì solo da un momento, quando qualcuno cercò di aprire la porta.
Invece di mandar via il nuovo venuto, la donna gli aprì. Ed ecco comparire il ragazzo di poco prima, sconcertato dal fatto che la porta si fosse aperta. La tardona non si mosse dal comodo sedile, ma lo fece entrare con un sorriso e chiuse la porta. "Ma che bel ragazzo!" gli disse. "Avrai senz'altro un'amichetta, vero? Avrai senz'altro già sperimentato qualche piccolo piacere con le donne, o no?" "No," disse il ragazzo timidamente. La donna gli parlava senza alcun imbarazzo, come se si fossero incontrati per la strada. Il ragazzo era stato colto di sorpresa e restava imbambolato a guardarla. Tutto quel che riusciva a vedere era la sua bocca sorridente dalle labbra piene e gli occhi insinuanti. "Davvero non hai mai provato piacere? Ragazzo mio, non puoi dirmi questo." "Mai," disse il ragazzo. "Non sai come si fa?" gli chiese la donna. "Non te l'hanno detto i tuoi compagni di scuola?" "Sì,"
rispose il ragazzo, "ho anche visto come fanno, lo fanno con la mano destra. Ci ho provato, ma non è successo niente." La donna rise. "Ma c’è un altro modo. Non l'hai mai imparato l'altro modo, davvero? Nessuno ti ha mai detto niente? Vorresti dire che sai farlo solo con le tue mani?
Diamine, ma c’è un altro modo, che funziona sempre." Il ragazzo la guardò con sospetto Ma il sorriso della donna era aperto, generoso, rassicurante. Le carezze di prima dovevano aver lasciato in lui un certo turbamento, perché si avvicinò alla donna. ®Qual è il modo che conosci tu?" le chiese con curiosità. La donna rise. ®Vuoi proprio saperlo, eh?
E cosa succede se ti piace? Se ti piace davvero, mi prometti di venire ancora a trovarmi?" ®Lo prometto," disse il ragazzo. ®Bene, allora montami sulle ginocchia, così, inginocchiati sopra di me, non aver paura. Ecco." Il ventre del ragazzo era allo stesso livello della grande bocca della donna. Questa gli slacciò con destrezza i pantaloni ed estrasse il piccolo pene. Il ragazzo la guardò sbalordito prendergli il pene in bocca. Poi, mentre la lingua incominciava a lavorare e il pene a crescere, il ragazzo fu sopraffatto da un piacere tale che ricadde sulla spalla della donna e lasciò che gli prendesse in bocca tutto il pene fino a toccargli i peli pubici. Quel che provava era molto più stimolante delle sue manipolazioni precedenti. Pierre ora non vedeva altro che la grossa bocca dalle labbra piene al lavoro sul pene delicato: di quando in quando lo lasciava uscire per metà dalla caverna, poi lo ingoiava tutto, finché non si vedeva altro che il pelo pubico alla base. La tardona era ingorda ma paziente. Il ragazzo era esausto per il piacere, quasi privo di sensi, e la faccia della donna si stava imporporando. Ma ancora succhiò e leccò, finché il ragazzo incominciò a tremare. La donna dovette cingerlo con tutte e due le braccia, altrimenti avrebbe potuto uscirle di bocca per i tremiti. Il ragazzo incominciò a emettere dei gemiti come un uccello in amore, e la donna si impegnò con rinnovato vigore, e allora successe. Il ragazzo, per lo sfinimento, quasi le si addormentò sopra la spalla, e lei dovette staccarlo da sé gentilmente, con le sue manone. Il ragazzo le lanciò un sorriso pallido e scappò via. Sdraiato sul letto, Pierre si ricordò di una donna di cinqauant'anni, un'amica di sua madre, che aveva conosciuto quando lui ne aveva solo diciassette. Era eccentrica e ostinata e continuava a vestirsi secondo la moda di dieci anni prima, vale a dire indossando un numero imprecisato di sottovesti, bustini stretti, mutandoni lunghi tutti pizzi, e vestiti con la gonna arricciata e ampie scollature nelle quali Pierre poteva intravedere l'avvallamento tra i seni, una linea scura e indistinta che svaniva tra pizzi e trine. Era una bella donna, con una folta capigliatura rossa e una delicata peluria sulla pelle. Le orecchie erano piccole e delicate, le mani paffute. La bocca era particolarmente attraente: naturalmente rossa, piena e grande, con piccoli denti regolari, che metteva sempre in mostra, pronti a mordere qualcosa. Una volta venne a trovare sua madre in una giornata molto piovosa, mentre i servitori erano fuori. Scrollò l'ombrellino delicato, si tolse l'ampio cappello, e sciolse il velo. Mentre se ne stava ancora in piedi, col vestito nero tutto zuppo, incominciò a starnutire. La madre di Pierre era a letto con l'influenza, e gridò all'amica dalla camera: "Cara, togliti pure i vestiti se sono bagnati, e Pierre te li farà asciugare davanti al fuoco. C’è un paravento in salotto. Ti puoi svestire lì e Pierre ti darà uno dei miei kimono."
Pierre si diede da fare di buona lena. Prese uno dei kimono della madre e aprì il paravento. Nel caminetto in salotto scoppiettava un bel fuoco.
La stanza era calda e profumava di narcisi, che riempivano ogni vaso, di legna da ardere, e del profumo di sandalo dell'ospite. Da dietro il paravento la donna porse il vestito a Pierre. Era ancora bagnato e aveva il profumo del suo corpo. Pierre lo tenne tra le braccia e lo annusò, inebriato, prima di deporlo su una sedia davanti al fuoco. Poi la donna gli porse una sottogonna grande e ricca, con l'orlo fradicio e sporco di fango. Pierre l'annusò con piacere prima di mettere anche questa davanti al fuoco. Nel frattempo la donna parlava e sorrideva, rideva senza preoccupazione, inconsapevole dell'eccitazione del ragazzo. Gli lanciò un'altra sottoveste, più leggera, calda e muschiosa. Poi, con una risatina timida, gli gettò le sue mutande lunghe, orlate di pizzo.
Improvvisamente Pierre si rese conto che non erano bagnate, e che gliele aveva tirate solo perché lo voleva, e che ora la donna era quasi nuda dietro il paravento e sapeva che lui era consapevole del suo corpo.
Quando lei lo guardò da sopra il paravento, Pierre vide le sue spalle rotonde e piene, morbide e lucide, come cuscini. La donna rise e gli gridò: "Dammi il kimono adesso." ®Non sono bagnate le sue calze?" le chiese Pierre. ®Sì, eccome. Me le sto togliendo," e si piegò. Pierre l'immaginò mentre si slacciava le giarrettiere e arrotolava le calze. Si chiese com'erano le sue gambe e i suoi piedi. Non riuscì più a trattenersi e diede un colpo al paravento. Lo schermo cadde davanti alla donna e la rivelò nella posa che Pierre si era aspettato. Era piegata e stava arrotolando le calze nere. Tutto il suo corpo aveva il colore dorato e l'incarnato delicato del suo viso. La vita era lunga, i seni grandi, ma sodi. La donna non si lasciò turbare dalla caduta del paravento. Disse: "Guarda cos'ho combinato togliendomi le calze. Passami il kimono." Pierre si avvicinò, guardandola, la prima donna nuda che avesse mai visto, tanto simile ai quadri che aveva esaminato al museo.
Lei sorrise. Poi si coprì come se niente fosse e si avvicinò al fuoco, allungando le mani verso la fonte di calore. Pierre era del tutto snervato. Il suo corpo bruciava e tuttavia non sapevà bene cosa fare.
La donna non badava troppo a stringersi il kimono addosso, occupata com'era a scaldarsi. Pierre sedette ai suoi piedi e la guardò sorridente, a viso aperto. Gli occhi di lei sembravano invitarlo. Egli le si avvicinò,- sempre in ginocchio. Improvvisamente lei si aprì il kimono, gli prese la testa tra le mani e gliela appoggiò al pube perché potesse toccarlo con la bocca. I riccioli del pelo pubico toccarono le labbra di Pierre facendolo impazzire. In quel preciso momento, la voce di sua madre chiamò dalla lontana camera da letto: "Pierre, Pierre!" Il ragazzo si alzò in piedi, e l'amica della madre richiuse il kimono. E
rimasero entrambi tremanti, brucianti, insoddisfatti. L'amica andò nella stanza della madre, si sedette ai piedi del letto, e chiacchierò con lei. Pierre si sedette con loro, aspettando nervosamente il momento in cui la donna si sarebbe rivestita. Il pomeriggio gli parve
interminabile. Poi, finalmente, la donna si alzò e disse che doveva vestirsi. La madre di Pierre lo trattenne, gli chiese qualcosa da bere, poi volle che abbassasse le tende, lo tenne occupato finché l'amica non fu vestita. Aveva dunque indovinato quel che avrebbe potuto succedere in salotto? A Pierre non rimase altro che quel tocco dei peli e della pelle rosea sulle labbra. Quando l'amica se ne fu andata, sua madre gli parlò nella semioscurità della stanza. "Povera Mary Ann, gli disse. "Sai, le è successa una cosa terribile quando era giovane. Fu quando i prussiani invasero l'Alsazia Lorena. Fu violentata dai soldati, e ora non permetterebbe mai a un uomo di avvicinarsi." L'immagine di Mary Ann violentata lo infiammò. A malapena riuscì a nascondere il suo turbamento. Mary Ann si era fidata della sua giovinezza e della sua innocenza. Con lui aveva smesso di aver paura degli uomini. Per lei Pierre era come un bambino. Per questo aveva permesso al suo viso giovane e tenero di posarsi tra le sue gambe. Quella notte Pierre sognò i soldati che le strappavano i vestiti, le aprivano le gambe, e si svegliò desiderandola febbrilmente. Come avrebbe potuto vederla? Gli avrebbe mai permesso di fare qualcosa di più che baciarle dolcemente il sesso come aveva già fatto? Era dunque chiusa per sempre? Le scrisse una lettera. La risposta lo sconcertò. Gli chiedeva di andare a trovarla.
Con indosso una vestaglia morbida, ella lo accolse in una stanza illuminata debolmente. Il primo movimento di Pierre fu di inginocchiarsi davanti a lei. La donna sorrise indulgente: "Come sei gentile," gli disse. Poi gli indicò un grande divano in un angolo sul quale si sdraiò.
Pierre le si adagiò accanto, sentendosi timido e incapace di muoversi.
Poi sentì la mano di lei infilarsi con destrezza al di sotto della sua cintura e scivolare nei pantaloni, sgusciare più giù, vicino al ventre, eccitando ogni molecola di carne che toccava nella sua discesa dolce.
Poi la mano si fermò sui peli pubici, giocherellò, si mosse intorno al pene, senza toccarlo, ma facendolo drizzare. Pierre pensò che se gli avesse toccato il pene sarebbe morto di piacere. La sua bocca si aprì per l'emozione. La mano di lei continuò a muoversi lentamente, lentamente, intorno al pelo pubico. Un dito cercò il solco sottile tra i peli e il sesso, dove la pelle era liscia, frugò ogni parte sensibile del ragazzo, scivolò sotto il pene, toccò le palle. Infine la mano si chiuse intorno al pene fremente. E fu un piacere così intenso che egli gemette. Anche la sua mano si mise all'opera, frugando alla rinfusa tra i vestiti di lei, anche lui voleva toccare il centro delle sue sensazioni. Anche lui voleva sgusciare nei suoi posti segreti, entrare in essi. Annaspò alla cieca tra i suoi vestiti, e trovò un'apertura. Le toccò i peli pubici e il solco tra le gambe e il monte di Venere, sentì la carne di lei, la sentì umida, e vi immerse il dito. Poi, in un parossismo di piacere, cercò di forzare il pene entro di lei. E vide tutti i soldati che caricavano nel suo utero. Gli andò il sangue alla testa, ma la donna lo allontanò bruscamente e non gli permise di prenderla. Gli sussurrò all'orecchio: "Solo con le mani," e gli si aprì, continuando ad accarezzarlo nei pantaloni. Quando Pierre si girò di nuovo per spingerle contro il suo sesso impazzito, lei lo allontanò, questa volta con rabbia. La mano di lei lo eccitava e Pierre non riusciva a giacere immobile. "Ti farò venire così." gli disse.
"Goditela." Pierre si sdraiò tranquillo a godersi le carezze. Ma, appena chiuse gli occhi, vide i soldati piegati sul corpo nudo di lei, vide le sue gambe aperte con la forza, l'apertura gocciolante per gli attacchi, quel che provava era simile al desiderio furioso e ansimante dei soldati. Mary Ann si chiuse all'improvviso la vestaglia e si alzò. Era diventata gelida. Lo mandò via e non gli permise più di rivederla. A quarant'anni Pierre era ancora un uomo molto bello, il suo successo con le donne, e il lungo legame, ora finito, con Elena, aveva dato ai locali materia per i loro pettegolezzi, nel paesino di campagna nel quale si era stabilito. Ora Pierre era sposato con una donna molto delicata e affascinante, ma due anni dopo il loro matrimonio la sua salute si era deteriorata facendone quasi un'invalida. Pierre l'aveva amata con ardore e la passione all'inizio sembrava farla rinascere, ma piano piano era divenuta un pericolo per il suo cuore debole. Alla fine il dottore le aveva sconsigliato qualsiasi amplesso, e la povera Sylvia era entrata in un lungo periodo di castità. E anche Pierre fu privato all'improvviso della sua vita sessuale. A Sylvia, naturalmente, fu proibito di avere figli per cui alla fine lei e Pierre decisero di adottare due bambini dell'orfanotrofio del paese. Fu un grande giorno per Sylvia, che si vestì lussuosamente per l'occasione. Fu un grande giorno anche per l'orfanotrofio perché tutti i bambini sapevano che Pierre e sua moglie avevano una casa bellissima in una grande proprietà terriera, e avevano la fama d'essere gentili. Fu Sylvia a scegliere i bambini: John, un delicato ragazzo biondo) e Martha, una ragazza vivace e scura, entrambi quasi sedicenni. All'orfanotrofio i due erano stati inseparabili, come fratello e sorella. Furono condotti nella bella casa grande e a ciascuno venne assegnata una stanza che dava sul parco. Pierre e Sylvia li circondarono di ogni tenerezza e li guidarono con amore. Inoltre John vegliava sempre su Martha. A volte Pierre invidiava la loro giovinezza che li legava. A John piaceva giocare alla lotta libera con Martha e per un lungo periodo la ragazza fu più forte di lui. Ma un giorno, mentre Pierre li osservava, fu John che riuscì a inchiodare al suolo Martha e a sedersi su di lei con un grido di trionfo. Pierre notò che la vittoria del compagno, che coronava un accalorato corpo a corpo, non dispiaceva a Martha. Ecco che emerge la donna in lei, pensò Pierre. Vuole che sia l'uomo a essere più forte. Ma, se la donna incominciava a far la sua timida comparsa nella ragazza, non per questo essa otteneva un trattamento galante da John. Egli sembrava deciso a trattarla solo come una compagna di giochi, addirittura come un ragazzo. Non le faceva mai un complimento, non notava mai i suoi abiti o le sue civetterie. Anzi, quando Martha tendeva a essere tenera, lui esagerava nell'esser duro e nel richiamare l'attenzione sui suoi difetti. La trattava senza sentimentalismi e la povera Martha era perplessa e umiliata, ma si rifiutava di lasciarlo capire. Pierre era il solo a rendersi conto di questa femminilità ferita. Pierre si sentiva solo in quella grande proprietà. Si occupava della fattoria annessa alla tenuta e di altre proprietà che Sylvia possedeva in campagna, ma non gli bastava. Non aveva un compagno. John dominava Martha così totalmente, che la ragazza non prestava nessuna attenzione al padre adottivo. Nello stesso tempo però, con l'occhio della persona più matura, Pierre vedeva benissimo che Martha aveva bisogno di un altro tipo di rapporto. Un giorno, trovando Martha che piangeva da sola nel parco, si azzardò a dirle: "Che succede, Martha? Puoi sempre confidare a un padre quel che non puoi confidare a un compagno di giochi."
Martha lo guardò, rendendosi conto per la prima volta della sua dolcezza e della sua comprensione. Gli confessò che John le aveva detto che era brutta, goffa e troppo animalesca. "Com’è stupido," disse Pierre. "Non è assolutamente vero. Lo dice perché lui è effeminato e non può apprezzare il tuo tipo di bellezza vigorosa e sana. E' proprio una femminuccia, e tu sei meravigliosamente forte e bella in un modo che lui non può capire." Martha lo guardò con gratitudine. Da quel giorno, Pierre la salutò ogni mattina con una frase gentile: "Quell'azzurro ti sta benissimo," o: "Hai una pettinatura deliziosa." Le faceva delle piccole sorprese, regalandole profumi, sciarpe, e altre piccole frivolezze.
Sylvia ormai non lasciava più la camera da letto, e solo qualche volta, in giornate di sole molto calde; si metteva su una poltrona in giardino.
John era assorto nei suoi studi scientifici e aveva incominciato a prestare meno attenzione a Martha. Pierre aveva una macchina che usava per tutte le commissioni della fattoria, che aveva sempre sbrigato da solo, ma ora incominciò a prendere con sé Martha. La ragazza aveva diciassette anni, un corpo splendidamente modellato dalla vita sana, la pelle chiara e capelli neri e lucidi. I suoi occhi erano focosi e ardenti e indugiavano a lungo sul corpo snello di John. troppo spesso, pensò Pierre osservandola. Ovviamente la ragazza era innamorata di John, ma questi non ci faceva caso. Pierre provò una fitta di gelosia. Si guardò nello specchio, paragonandosi a John. Il paragone era piuttosto a suo favore, perché anche se John era un bel ragazzo, c'era qualcosa di freddo nel suo aspetto, mentre gli occhi verdi di Pierre erano ancora irresistibili per le donne, e il suo corpo emanava calore e fascino.
Incominciò a corteggiare sottilmente Martha, facendole complimenti e circondandola di attenzioni, divenendo il suo confidente per ogni problema, fino al punto che la ragazza gli confessò la sua attrazione per John, aggiungendo subito: "E' assolutamente disumano." Un giorno John la insultò apertamente in presenza di Pierre. Martha aveva corso e ballato e aveva un'aria esuberante e viva. Improvvisamente John l'aveva guardata e le aveva detto con tono di rimprovero: "Sei proprio un animale. Non sublimerai mai le tue energie." Sublimazione! Dunque era questo che voleva. Voleva trascinare Martha nel suo mondo di studi e teorie e ricerche, per uccidere la fiamma che era in lei. Martha lo guardò con rabbia. La natura stava lavorando a favore dell'umanità di Pierre. L'estate rese languida Martha. L'estate la scoprì. Indossando meno indumenti, la ragazza diveniva sempre più consapevole del suo corpo. La brezza sembrava toccarle la pelle come una mano. Di notte si rigirava nel letto in preda a un'inquietudine che non riusciva a spiegarsi. I capelli sciolti le davano la sensazione che qualcuno glieli avesse sparsi intorno al collo e li accarezzasse. Pierre non ci mise molto a capire cosa le stava succedendo. Non fece nessuna avance, si limitò a posarle la mano sul braccio fresco e nudo, quando usciva'dalla macchina-oppure quando lei si lamentava dell'indifferenza di John, ad accarezzarle i capelli. Ma i suoi occhi la divoravano e conoscevano ogni pezzettino del suo corpo, ogni forma che poteva essere intuita sotto il vestito. Sapeva com'era morbida la peluria sulla sua pelle, com'erano lisce le sue gambe senza peli, com'erano sodi i suoi seni giovani. I suoi capelli, folti e spettinati, gli sfioravano spesso il viso quando si piegava su di lui a studiare i resoconti della fattoria. L'alito di lei si confondeva spesso col suo. Una volta Pierre le mise una mano intorno alla vita, paternamente. Ella non si ritrasse. In qualche modo, questo gesto rispondeva a un suo bisogno profondo di calore. Martha pensò che si stava abbandonando a un calore paterno e avvolgente, e a poco a poco fu lei a cercare la sua vicinanza quando erano insieme, fu lei a volere il braccio di Pierre intorno alle spalle quando andavano in giro in macchina, fu lei a posargli la testa sulla spalla quando rincasavano il pomeriggio tardi. Da questi giri di controllo tornavano sempre con un bagliore segreto di comprensione negli occhi; John lo notava e si incupiva ancor di più. Ma ormai Martha era in ribellione aperta contro di lui e alla sua riservatezza e severità opponeva sempre più la volontà di far trionfare il fuoco che aveva dentro, il suo amore per la vita e per il movimento. E si immergeva con entusiasmo nella sua amicizia con Pierre. A circa un'ora di macchina, c'era una fattoria abbandonata che un tempo avevano affittato. Ormai era in disuso e Pierre aveva deciso che voleva restaurarla per il giorno in cui John si fosse sposato. Prima di chiamare gli operai, Pierre e Martha andarono insieme a darle un'occhiata per vedere che lavori bisognava fare. Era una grande casa a un piano. Una massa d'edera l'aveva avvolta quasi completamente, coprendo le finestre con tende naturali e ombreggiando l'interno. Pierre e Martha aprirono una finestra e trovarono molta polvere, i mobili ammuffiti, e alcune stanze rovinate per la pioggia che era entrata. Ma una stanza era quasi intatta. Era la camera padronale. Un grande letto austero, molti arazzi, specchi, e un tappeto consunto, le conferivano, nella semioscurità, una cert'aria di grandezza. Sopra il letto era stata gettata una pesante coperta di velluto. Pierre, guardandosi intorno con l'occhio dell'architetto, sedette sulla sponda del letto. Martha rimase in piedi accanto a lui. Il caldo dell'estate entrava nella stanza a ondate, rimescolandogli il sangue. Martha sentì di nuovo la mano invisibile che l'accarezzava e non le sembrò affatto strano che una mano vera scivolasse all'improvviso tra i suoi vestiti, con la stessa gentilezza e la stessa dolcezza della brezza estiva, e le toccasse la pelle. Le sembrò naturale e piacevole, e chiuse gli occhi. Pierre l'avvicinò a sé e la fece sdraiare sul letto. Martha continuò a tenere gli occhi chiusi e tutto le parve solo la continuazione di un sogno.
Sola nel suo letto, in molte notti d'estate, ella aveva atteso questa mano, che ora le faceva quel che si era aspettata. Si insinuava dolcemente nei suoi vestiti, liberandola da essi come fossero stati una buccia leggera da togliere, per far emergere la pelle vera e calda. La mano la percorreva tutta, toccando posti in cui non avrebbe neppur sospettato che sarebbe andata, in posti segreti che ora palpitavano.
Poi, all'improvviso, aprì gli occhi e vide il viso di Pierre chino sul suo, pronto a baciarla. Si tirò su a sedere bruscamente. A occhi chiusi, aveva immaginato che fosse John a frugarla a quel modo, ma quando vide il viso di Pierre, ne rimase delusa e gli sfuggi. Tornarono a casa silenziosi, ma non arrabbiati. Martha era come drogata. Non riusciva a liberarsi dalla sensazione della mano di Pierre sulla sua pelle. Pierre era dolce e sembrava capire la sua resistenza. Trovarono John gelido, cupo. Martha non riuscì a dormire. Ogni volta che si assopiva sentiva di nuovo la mano, ne aspettava i movimenti, la sentiva salire su per le gambe, fino al posto segreto dove aveva sentito un fremito, l'attesa di un nonsoché. Si alzò e andò alla finestra. Il suo corpo era in tumulto, voleva che quella mano la toccasse ancora. Era peggio della fame e della sete, questo desiderio della carne. Il giorno dopo si alzò, pallida e decisa. Appena finita la colazione, si rivolse a Pierre e gli disse: "Non dobbiamo dare un'occhiata alla fattoria oggi?" Pierre assentì e uscirono in macchina. Fu un sollievo. Il vento le soffiava sul viso ed era libera ora. Osservò la mano destra di Pierre sul volante della macchina, una bella mano, giovane, agile e tenera. Si
piegò-all'improvviso e posò le labbra su di essa. Pierre le sorrise con tanta gratitudine e gioia che il cuore le balzò in petto. Insieme si incamminarono nel giardino incolto, su per il sentiero coperto di muschio, e dentro alla stanza verde e scura con le sue tende di edera.
Andarono dritti verso il letto e fu Martha a sdraiarsi per prima. "Le tue mani," mormorò lei, "oh, Pierre, le tue mani. Le ho sentite tutta la notte." Con quale delicatezza, con quale dolcezza, le sue mani incominciarono a frugare il corpo di lei, come se stessero cercando il posto in cui si erano addensate tutte le sensazioni, senza sapere se era intorno al seno, o sotto, lungo i fianchi o nella valle tra i fianchi.
Pierre attese che il corpo di lei reagisse e percepì, da un tremore lievissimo, che la sua mano aveva toccato il posto che lei voleva fosse toccato. I vestiti, le lenzuola, le camicie da notte, l'acqua del bagno, il calore, tutto aveva cospirato a sensibilizzare la sua pelle, finché questa mano aveva realizzato le carezze che tutte queste cose le avevano dato, aggiungendo il calore e il potere di penetrare dappertutto, nei posti segreti. Ma, appena Pierre si piegò su di lei, avvicinandosi troppo al suo viso per darle un bacio, l'immagine di John si intromise.
Martha chiuse gli occhi e Pierre sentì che anche il suo corpo si chiudeva a lui. Così, saggiamente, non spinse più in là le sue carezze.
Quel giorno, quando tornarono a casa, Martha era in preda a una specie di ubriachezza che la rendeva irrequieta. La casa era disposta in modo che gli appartamenti di Sylvia e Pierre comunicassero con la stanza di Martha, che, a sua volta, era adiacente al bagno usato da John. Quando i ragazzi erano più piccoli, tutte le porte venivano lasciate aperte, ma ora la moglie di Pierre preferiva chiudere la porta della sua camera e anche quella tra Pierre e Martha era chiusa. Quel giorno Martha fece un bagno. Allungata tranquillamente nell'acqua, poteva sentire i movimenti di John nella stanza accanto. Il suo corpo era ancora febbricitante per le carezze di Pierre, ma Martha continuava a desiderare John. Voleva fare ancora un tentativo per risvegliare il desiderio di John, voleva sfidarlo apertamente, così avrebbe saputo se c'era qualche speranza che lui l'amasse. Finito il bagno, si avvolse in un lungo kimono bianco lasciando sciolti i folti capelli neri. Invece di tornare nella sua stanza, entrò in quella di John. Egli rimase sconcertato nel vederla, e Martha gli spiegò la sua presenza dicendo: "Sono terribilmente inquieta, John. Ho bisogno del tuo consiglio. Presto lascerò questa casa." "Vuoi partire?" ®Sì"," disse Martha. ®E' ora che me ne vada. Devo imparare a essere indipendente. Voglio andare a Parigi.". "Ma c’è tanto bisogno di te qui!" "Bisogno di me?" "Sei la compagna di mio padre," le disse aspramente. Era dunque geloso? Martha aspettò senza fiato che lui aggiungesse qualcosa, poi continuò: "Ormai è ora che incominci a conoscere qualcuno se voglio sposarmi. Non posso essere un peso per sempre." "Sposarti?" E allora, per la prima volta, egli vide Martha come una; donna. L'aveva sempre considerata una bambina, ma ora quel che vedeva era un corpo voluttuoso, pienamente rivelato dal kimono, dei capelli umidi, un viso acceso, una bocca morbida. Ella attese. La speranza era così forte in lei, che lasciò andare le braccia lungo i fianchi e il kimono si aprì rivelando il suo corpo completamente nudo.
Allora John vide che lei lo voleva, che gli si stava offrendo, ma invece di eccitarsi, si ritrasse. "Martha, oh Martha," disse, "che animale sei!
Sei proprio la figlia di una puttana. Sì, lo dicevano tutti
all'orfanotrofio, che eri la figlia di una puttana." Martha si fece rossa in viso e gli disse: "E tu allora, tu sei un impotente, un monaco, sei come una donna, non sei un uomo, Tuo padre è un uomo." E si precipitò fuori dalla stanza. Ora l'immagine di John cessò di tormentarla e Martha volle cancellarla dal suo corpo e dal suo sangue. E
fu lei che quella notte attese che tutti fossero addormentati per aprire la porta della stanza di Pierre, e fu lei che andò nel suo letto, offrendogli in silenzio il suo corpo ora fresco e abbandonato. Pierre capì che era libera da John, che ora era sua, dal modo in cui venne nel suo letto. Che gioia sentire quel corpo giovane e morbido scivolare verso il suo. Nelle notti d'estate dormiva nudo. Anche Martha aveva lasciato cadere il kimono ed era nuda. Il desiderio di Pierre esplose immediatamente, ed ella ne sentì la durezza contro il ventre. Le sue sensazioni diffuse ora erano concentrate in una sola parte del suo corpo. Ella si sorprese a fare gesti che non aveva mai imparato, si trovò con la mano stretta intorno al pene di lui, si sorprese a incollare il suo corpo all'altro, a offrire la bocca ai molti baci diversi che Pierre sapeva dare. Si diede in UN delirio, e Pierre fu incitato alle più grandi imprese. Ogni notte fu un'orgia. Il corpo di lei divenne docile e sapiente. Il loro legame era così forte che divenne difficile per entrambi dissimularlo durante il giorno. Quando lei lo guardava, era come se la toccasse tra le gambe. A volte, nel salone vuoto, si abbracciavano. Lui la spingeva contro la parete. Nell'entrata, c'era un grande ripostiglio scuro pieno di cappotti e di scarpe da neve.
D'estate non ci entrava nessuno. Martha si nascondeva lì, e Pierre entrava. Sdraiati sui cappotti, nello spazio ristretto, racchiuso, segreto, si abbandonavano. Pierre era stato privato di una vita sessuale per anni, e Martha era fatta proprio per questo e si risvegliava alla vita solo in questi momenti. Lo riceveva sempre con la bocca aperta e già bagnata tra le gambe. Il desiderio di lui si risvegliava prima ancora di vederla, al solo pensiero di lei che lo aspettava nel ripostiglio scuro. Si comportavano come due animali in lotta, pronti a divorarsi a vicenda. Se vinceva il corpo di lui e riusciva a inchiodarla sotto di sé, allora la prendeva con una forza tale, che pareva che la pugnalasse col suo sesso, incessantemente, finché lei non si accasciava esausta. Erano in un'armonia meravigliosa e la loro eccitazione cresceva all'unisono. Martha gli si arrampicava addosso come un animale agile. Si strofinava contro il suo pene eretto, contro i suoi peli pubici, con una frenesia tale da farlo ansimare. Questo ripostiglio scuro diventò una tana. A volte andavano in macchina alla fattoria abbandonata e vi passavano il pomeriggio. Erano così saturi d'amore, che bastava che Pierre baciasse Martha sulle palpebre perché lei sentisse un tremito tra le gambe. I loro corpi erano carichi di desiderio che non riuscivano a esaurire. John sembrava un'ombra pallida. Non si accorsero che li osservava. Il cambiamento in Pierre era evidente. Aveva un viso luminoso, gli occhi ardenti, e il corpo era diventato più giovane. E il cambiamento di lei! Il suo corpo emanava voluttà. Ogni suo movimento era sensuale - quando serviva il caffè, o prendeva un libro, mentre giocava a scacchi, o suonava il piano, faceva tutto carezzevolmente. Il suo corpo si fece più pieno e i seni più sodi sotto le vesti. John non riusciva a star seduto in mezzo a loro. Anche quando non si guardavano e non si parlavano, poteva intuire la corrente molto forte tra loro. Un giorno in cui erano andati in macchina alla fattoria abbandonata, John, invece di continuare i suoi studi, fu preso da un'ondata di pigrizia e dal desiderio di essere fuori all'aperto. Allora montò sulla bicicletta e incominciò ad andare a zonzo senza pensare a loro, ma forse ricordando inconsciamente che all'orfanotrofio si mormorava che Martha era stata abbandonata da una famosa prostituta. Gli sembrava di aver sempre amato Martha e di averla temuta al tempo stesso. Sentiva che era un animale, che riusciva ad apprezzare la gente come apprezzava il cibo, che il suo punto di vista sulla gente era diametralmente opposto al suo. Era solita dire: "Quell'uomo è bello," o "quella donna è affascinante." Lui invece preferiva dire "Quell'uomo è interessante," o "quella donna ha personalità.' Persino da bambina Martha aveva espresso sensualità.
quando lottava con lui, quando lo accarezzava. Le piaceva giocare a nascondino, e se lui non riusciva a trovarla lasciava il suo
nascondiglio, in modo che lui potesse prenderla, afferrandola per il vestito. Una volta, giocando insieme, avevano costruito una tenda e si erano ritrovati tutti aggrovigliati, molto vicini l'uno all'altra. E
allora aveva visto il viso di Martha che aveva chiuso gli occhi per godersi il calore dei loro corpi vicini, e aveva provato una paura tremenda. Perché proprio paura? Per tutta la vita era stato ossessionato dalla sua paura della sessualità. Non riusciva a spiegarsela. Eppure c'era. Era persino andato a pensare di farsi monaco. Ora, senza pensare alla sua destinazione, era arrivato alla vecchia fattoria. Era da molto tempo che non le dava un'occhiata. Camminò silenziosamente sul muschio e sull'erba cresciuta disordinatamente. Poi, per curiosità entrò nella casa. incominciò a esplorarla. E così arrivò silenziosamente alla stanza in cui c'erano Pierre e Martha. La porta era aperta, ed egli di fermò, paralizzato da quel che vide. Era come se la sua grande paura si fosse materializzata. Pierre era sdraiato sul dorso, con gli occhi semichiusi, e Martha, completamente nuda, si dimenava come un demone, montando su di lui in un desiderio parossistico del suo corpo. John rimase lì in piedi, paralizzato dal trauma della scena, e tuttavia la assorbì tutta. Martha, liscia, voluttuosa, non solo stava baciando il sesso di Pierre, ma era accosciata sulla bocca di lui, poi si avvinghiava al corpo di Pierre e strusciava i seni contro il petto di lui, e Pierre rimaneva sdraiato, incantato, ipnotizzato dalle sue carezze. Dopo un momento John corse fuori senza essere udito. Aveva assistito al peggiore dei vizi infernali e aveva trovato. conferma al suo timore che fosse Martha l'essere erotico, mentre pensava che il padre adottivo stesse semplicemente piegandosi alla passione di lei. Più si sforzava di cancellare quella scena dalla mente, più essa permeava il suo intero essere, precisa, indelebile, ossessionante. Quando tornarono, li guardò in viso e fu sconcertato nel constatare come la gente, nella sua quotidianità, poteva apparire diversa da quando faceva l'amore. I cambiamenti erano osceni.
Il viso di Martha ora sembrava chiuso, mentre prima aveva gridato il suo piacere con gli occhi, i capelli, la bocca, la lingua. E Pierre, il serio Pierre, solo poco fa non era stato un padre, ma un corpo ancor giovane allungato su un letto, abbandonato alla lussuria furiosa di una donna scatenata. John sentì che non sarebbe riuscito a rimanere in quella casa senza tradire la sua scoperta con la madre malata, con tutti quanti. Quando dichiarò che intendeva partire per arruolarsi
nell'esercito, Martha gli lanciò uno sguardo penetrante di sorpresa.
Fino a quel momento aveva pensato che John fosse semplicemente un puritano. Ma era anche convinta che lui l'amasse e che prima o poi si sarebbe arreso al suo amore. Li voleva entrambi. Pierre era l'amante che le donne sognano. John avrebbe potuto educarlo, anche contro la sua natura. E ora se ne sarebbe andato. Rimaneva qualcosa in sospeso tra loro, come se il calore sprigionato dai loro giochi insieme fosse stato interrotto con l'intento di recuperarlo nelle loro vite adulte. Quella notte cercò di nuovo di conquistarselo. Andò nella sua stanza ed egli la ricevette con una tale ripugnanza che dovette chiedergli una
spiegazione, lo spinse a confessare e allora John spiattellò la scena alla quale aveva assistito. Non riusciva a credere che Martha amasse Pierre, pensava che trionfasse solo l'animale in lei. E, vedendo la sua reazione, Martha capì che ora non sarebbe più riuscita a possederlo.
Allora si fermò sulla porta e gli disse: "John, tu sei convinto che io sia un animale, ma io posso dimostrarti facilmente che non lo sono. Ti ho detto che ti amo, e te lo dimostrerò. Non solo romperò con Pierre, ma verrò ogni notte da te e starò `con te, e dormiremo insieme come bambini, e ti dimostrerò quanto posso esser casta, libera dal desiderio." John spalancò gli occhi. Era molto tentato. Il pensiero di Martha e suo padre che facevano l'amore gli riusciva intollerabile. E se lo spiegava sul piano morale. Non ammetteva di essere geloso. Non si accorgeva di quanto gli sarebbe piaciuto essere al posto di Pierre, con tutta la sua esperienza in fatto di donne Non si chiese perché ripudiava l'amore di Martha. Ma perché era così lontano dai desideri naturali di altri uomini e donne? Acconsentì all'offerta di Martha. Accortamente, Martha non ruppe con Pierre in modo da allarmarlo, ma si limitò a dirgli che temeva che John avesse dei sospetti e che voleva togliergli ogni dubbio prima che partisse per arruolarsi. Aspettando la visita di Martha la notte successiva, John cercò di ricordarsi tutto quel che poteva sulle sue sensazioni sessuali. Le sue prime impressioni erano legate a Martha: lui e Martha all'orfanotrofio, che si proteggevano a vicenda, inseparabili. Allora il suo amore per lei era ardente e spontaneo. Era una delizia per lui toccarla. Poi un giorno, quando Martha aveva undici anni, venne a trovarla una donna. John la vide di fuggita, mentre aspettava in parlatorio. Non aveva mai visto nessuna come lei. Indossava vestiti aderenti che sottolineavano la sua figura piena e voluttuosa.
Aveva capelli rosso oro, ondulati, e le labbra erano dipinte così pesantemente che affascinarono il ragazzo. Egli la guardò, poi la vide incontrare Marta e abbracciarla. Fu allora che gli dissero che quella era la madre di Martha, che l'aveva abbandonata da piccola, poi l'aveva riconosciuta, ma non poteva tenerla con sé perché era la prostituta favorita della città. Da allora, quando il viso di Martha brillava di eccitazione, si imporporava, se le splendevano i capelli, se indossava un vestito aderente, se si abbandonava alla benché minima civetteria, John provava un grande imbarazzo, si arrabbiava. Gli sembrava di poter vedere in lei la madre, che il suo corpo fosse provocante, che fosse lussuriosa. La interrogava, voleva sapere cosa pensava, cosa sognava, i suoi desideri più segreti. Lei gli rispondeva ingenuamente. Ciò che amava di più al mondo era John. Il suo piacere più grande era essere toccata da lui. "Cosa provi allora?" le chiedeva John. "Contentezza, un piacere che non so spiegare." John era convinto che non solo da lui, ma da qualsiasi uomo Martha potesse trarre quei piaceri quasi innocenti. E
immaginava che la madre di Martha provasse lo stesso con tutti Li uomini che la toccavano. Poiché si era allontanato da Martha e l'aveva privata di tutto l'affetto di cui aveva bisogno, l'aveva persa. Ma questo ora lo capiva. Ora provava un gran piacere nel dominarla. Le avrebbe mostrato cos'era la castità, cosa poteva essere l'amore tra due esseri umani, senza sessualità. Martha arrivò a mezzanotte, senza far rumore.
Indossava una lunga camicia da notte bianca e sopra il suo kimono. I lunghi capelli neri e folti le ricadevano sulle spalle. Gli occhi le brillavano di una luce innaturale. Era tranquilla e dolce, come una sorella. La sua vivacità era controllata e sottomessa e in queste condizioni non spaventava John. Sembrava quasi un'altra Martha. Il letto era molto grande e basso. John spense la luce. Martha si infilò sotto le coperte e si sdraiò senza toccare John. Egli tremava. Tutto ciò gli ricordava l'orfanotrofio dove, per parlare con lei un po' più a lungo, scappava dal dormitorio dei ragazzi e andava a chiacchierare sotto la sua finestra. Martha allora indossava una camicia da notte bianca e aveva i capelli raccolti in due trecce. John le raccontò i suoi ricordi e le chiese se gli permetteva di farle le trecce anche ora. La voleva rivedere come una bambina. Martha acconsentì e, nel buio, le mani di John toccarono i suoi folti capelli e li intrecciarono. Poi entrambi finsero di addormentarsi. Ma John era tormentato dalle visioni. Vedeva Martha nuda, poi la madre di lei, nel vestito aderente che rivelava ogni curva, poi ancora Martha, accosciata come un animale sulla faccia di Pierre. Il sangue gli batteva nelle tempie, e avrebbe voluto allungare il braccio. Lo fece. Martha gli prese la mano e se la mise sul cuore, sul seno sinistro. Attraverso gli indumenti, egli sentiva il suo cuore battere. E in questo modo, finalmente si addormentarono. Al mattino si svegliarono insieme. John si accorse che si era avvicinato a Martha e aveva dormito con il corpo contro il suo. Si svegliò desiderandola, sentendo il suo calore. Furioso, saltò giù dal letto e finse di doversi vestire in fretta. E così passò la prima notte. Martha continuò a essere gentile e sottomessa. John era tormentato dal desiderio. Ma il suo orgoglio e la sua paura erano più grandi. Ora sapeva di cosa aveva paura. Temeva di essere impotente. Temeva che suo padre, noto Don Giovanni, fosse più potente e più esperto. Temeva di essere goffo.
Temeva che, una volta che avesse eccitato i fuochi vulcanici di Martha, non sarebbe riuscito a soddisfarli. Forse una donna meno focosa non l'avrebbe spaventato tanto. Si era intestardito tanto a controllare la sua natura e i suoi istinti, che forse c'era riuscito fin troppo bene. E
ora dubitava della sua potenza. Con intuito femminile, Martha doveva aver indovinato tutto questo. Ogni notte arrivava più quieta, più gentile, più umile. Si addormentavano insieme, innocentemente. Martha non tradiva il calore che sentiva tra le gambe quando lui le stava accanto. Dormiva davvero. Lui a volte rimaneva sveglio, ossessionato dalle visioni sensuali del corpo nudo di lei. Nel cuore della notte si svegliava, una o due volte, le si avvicinava e l'accarezzava col fiato mozzo. Il corpo di lei nel sonno era abbandonato e caldo. Egli sì azzardò a sollevarle la camicia da notte, tirandola sopra i seni, e a farle scorrere la mano sul corpo per sentirne i contorni. Lei non si svegliò e questo gli diede coraggio. Non fece altro che accarezzarla, sentendo dolcemente le curve del suo corpo percorrendone con cura ogni tratto, finché seppe dove la pelle diventava più morbida, dove la carne era più piena, dov'erano le valli, dove iniziavano i peli pubici. Quello che ignorava era che Martha era semisveglia e godeva le sue carezze, ma non si muoveva mai per paura di spaventarlo. Una volta si riscaldò tanto Sotto il tocco di quelle mani che la frugavano, che quasi raggiunse un orgasmo. E una volta Lui osò appoggiare il suo desiderio eretto contro le natiche di lei, ma nient'altro. Ogni notte egli osava un po' di più, sorpreso di non svegliarla. Il suo desiderio era costante, e Martha era sospesa in uno stato tale di febbre erotica che era meravigliata dalla sua capacità di dissimulazione. John si fece più audace. Aveva imparato a infilarle il sesso tra le gambe e a strusciarlo gentilmente, senza penetrarla. E allora il suo piacere fu così grande, che incominciò a capire tutti gli amanti del mondo. Stremato da tante notti di repressione, una notte John dimenticò le sue precauzioni e prese una Martha mezza addormentata come un ladro, e rimase sconcertato nell'udire i rumorini di piacere che le uscivano dalla gola a ogni suo colpo. Non si arruolò. E Martha continuò a soddisfare tutti e due i suoi amanti, Pierre durante il giorno e John di notte.
MANUEL.
Manuel aveva coltivato una forma di piacere del tutto particolare che aveva indotto la sua famiglia a ripudiarlo, ed egli viveva come un bohémien, a Montparnasse. Quando non era ossessionato dalle sue esigenze erotiche, era un astrologo, un cuoco straordinario, un grande conversatore e un eccellente compagno di caffè. Ma non una di queste occupazioni riusciva a distogliere la sua mente dalla sua ossessione.
Prima o poi Manuel doveva aprirsi i pantaloni e mettere in mostra il suo membro piuttosto straordinario. Più gente c'era, meglio era. Più il gruppo era raffinato, più grande era il piacere. Quando capitava tra pittori e modelle, aspettava finché erano tutti un po' brilli, e poi si denudava completamente. La sua faccia ascetica, i suoi occhi sognanti e poetici, il suo corpo snello e monacale erano così in disaccordo col suo comportamento, che tutti ne rimanevano sconcertati. Se la gente si allontanava da lui non provava alcun piacere, ma se lo guardavano anche solo per un minuto cadeva in trance, il suo viso diveniva estatico, e in un baleno si rotolava sul pavimento in preda all'orgasmo. Le donne tendevano a sfuggirlo. Doveva pregarle di rimanere e ricorreva a ogni espediente per convincerle. Si proponeva come modello e cercava lavoro negli atelier di donne. Ma le condizioni in cui finiva per trovarsi quando se ne stava lì in piedi sotto gli occhi delle studentesse inducevano gli uomini a gettarlo in strada. Quando veniva invitato a una festa, cercava innanzitutto di trascinare una delle donne in una stanza vuota o sulla terrazza. Poi si calava i pantaloni. Se la donna si mostrava interessata, cadeva in trance, altrimenti la rincorreva, sbandierando la sua erezione, e tornava tra gli altri, rimanendosene in piedi, con la speranza di suscitare una qualche curiosità. Non era un bello spettacolo, era assolutamente incongruo. Poiché il pene non sembrava appartenere a quella faccia e a quel corpo austeri, acquistava una prominenza anche maggiore, una sua, come dire, indipendenza.
Finalmente trovò la moglie di un povero agente letterario che stava morendo di fame e di superlavoro e raggiunse con lei questo accordo. Lui si sarebbe presentato la mattina e avrebbe fatto tutte le faccende domestiche per lei, lavato i piatti, spazzato l'appartamento, sbrigato le commissioni, a patto che, una volta finito, potesse esibirsi. A questo punto le richiedeva tutta la sua attenzione. Voleva che la donna lo osservasse mentre si slacciava la cintura, sbottonava i pantaloni, se li toglieva. Non portava biancheria intima. Poi estraeva il pene e lo teneva come uno che soppesi un oggetto di valore. La donna doveva stargli accanto e osservare ogni gesto. Doveva guardargli il pene come avrebbe guardato un cibo di suo gradimento. Quella donna sviluppò l'arte di soddisfarlo completamente. Si concentrava sul pene dicendo: "E' un pene bellissimo quello che ti ritrovi, il più grosso che ho visto a Montparnasse. E' così liscio e duro. E' bellissimo." Mentre diceva queste parole, Manuel continuava a sbatacchiarle il pene sotto il naso e gli veniva la saliva alle labbra. Lo ammirava lui stesso. Quando si chinavano entrambi a osservarlo, il suo piacere diveniva così intenso che chiudeva gli occhi e veniva preso da un tremito che lo scuoteva dalla testa ai piedi, mentre continuava a reggersi il pene e ad agitarlo sotto la faccia della donna. Poi il tremito si trasformava in un ondeggiamento e Manuel si accasciava sul pavimento e si arrotolava come una palla mentre veniva, a volte sulla sua stessa faccia. Spesso si metteva a qualche angolo di strada, nudo sotto il cappotto, e se passava una donna si apriva il cappotto e glielo agitava sotto gli occhi. Ma era pericoloso e la polizia puniva con una certa severità comportamenti del genere. Più sovente invece gli piaceva entrare nello scompartimento vuoto di un treno, sbottonarsi un paio di bottoni, e abbandonarsi sul sedile come se fosse ubriaco o addormentato, col pene che faceva capolino dalla patta. La gente saliva alle altre stazioni, e se era fortunato poteva capitare che gli si sedesse di fronte una donna e lo guardasse. Sembrava ubriaco e nessuno cercava di svegliarlo. A volte uno degli uomini lo scuoteva rabbioso e gli diceva di abbottonarsi. Le donne invece non protestavano. Se entrava una donna con delle bimbette in età scolare, allora era in paradiso. In questi casi aveva un'erezione e la situazione diventava così intollerabile che la donna e le sue bimbette finivano col lasciare lo scompartimento. Una volta Manuel trovò l'anima gemella in questa forma di piacere. Si era seduto in uno scompartimento, da solo, e fingeva di essere addormentato, quando entrò una donna che gli si sedette di fronte. Si trattava di una prostituta piuttosto matura, come ebbe modo di capire dagli occhi truccati pesantemente, dalla faccia incipriata, dalle occhiaie scure, dai capelli troppo arricciati, dalle scarpe consumate e dal vestito e cappello assai frivoli. La osservò con gli occhi semichiusi. La donna lanciò un'occhiata ai suoi pantaloni parzialmente aperti e pensò bene di sbirciare di nuovo. Poi si appoggiò allo schienale e a sua volta finse di addormentarsi; con le gambe aperte. Quando il treno partì, si sollevò completamente la gonna. Sotto era nuda. Spalancò le gambe e si mise in mostra continuando a guardare il pene di Manuel, che si stava rizzando e faceva capolino tra i pantaloni, per poi emergerne interamente. Sedevano uno di fronte all'altra, guardandosi. Manuel temeva che la donna si muovesse e cercasse di prendergli il pene, che non era affatto quel che voleva. E invece no, la donna era assuefatta allo stesso tipo di piacere passivo. Sapeva che lui le stava guardando il sesso, proprio sotto i peli arruffati e nerissimi, e infine entrambi aprirono gli occhi e si sorrisero. Manuel stava entrando nel suo stato estatico, ma ebbe il tempo di notare che anche la donna era in uno stato di piacere: un fluido brillante le era comparso sulla bocca della vulva. La donna incominciò a muoversi in modo quasi impercettibile avanti e indietro, come se si stesse cullando per dormire. Il corpo di lui incominciò a tremare di voluttà. Allora la donna si masturbò di fronte a lui, sorridendo. E Manuel sposò quella donna, che non cercò mai di possederlo come avrebbero fatto altre.
LINDA.
Linda era in piedi davanti allo specchio e si esaminava criticamente alla luce piena del giorno. Passati i trent'anni, incominciava a preoccuparsi dell'età, benché niente in lei tradisse un declino della bellezza. Era snella e d'aspetto giovanile. Poteva ingannare chiunque, ma non se stessa. Ai suoi occhi, la sua carne stava perdendo un po'
della sua fermezza, un po' di quello splendore marmoreo che tante volte aveva ammirato nello specchio. Non era meno amata. Al contrario era più amata che mai, perché ora attraeva tutti i giovani che intuivano che solo da una donna così avrebbero potuto imparare i segreti dell'amore, e non provavano alcuna attrazione per le ragazzine della loro età, riluttanti, innocenti, inesperte, e ancora controllate dalle famiglie.
Il marito di Linda, un bell'uomo sulla quarantina, l'aveva amata con il fervore di un innamorato per molti anni. Ora chiudeva un occhio sui suoi ammiratori giovani. Credeva che lei non li prendesse sul serio, che il suo interesse fosse da attribuire al suo infantilismo e al bisogno di riversare i suoi sentimenti protettivi su persone che stavano incominciando a vivere. Lui stesso era considerato un seduttore di donne di tutte le classi e caratteri. Linda ricordava che, la loro prima notte di nozze, Andr‚ era stato un amante in adorazione, che aveva idolatrato ogni parte del suo corpo separatamente, come se si fosse trattato di un'opera d'arte, toccandola con meraviglia, facendo commenti sulle sue orecchie, i suoi piedi, il suo collo, i suoi capelli, il suo naso, le sue guance, e le sue cosce, mentre le accarezzava. Le sue parole, la voce, il tocco, le avevano aperto la carne come un fiore che si spalanca al calore e alla luce. Le insegnò a essere uno strumento sessualmente perfetto, a vibrare sotto ogni forma di carezza. Una volta le insegnò a mettere a dormire il resto del corpo, per così dire, e a concentrare tutte le sensazioni erotiche sulla bocca. E allora, sdraiata. con il corpo quieto e languido, si sentì come in preda a una droga, mentre la bocca, le labbra, divenivano un altro organo sessuale. Andr‚ aveva una passione particolare per la bocca. Per strada, guardava le bocche delle donne. Per lui la bocca era rappresentativa del sesso. Labbra strette o sottili non promettevano una gran messe di voluttà. Una bocca piena prometteva un sesso aperto, generoso. Una bocca umida lo allettava. Una bocca che si apriva, con le labbra dischiuse, come pronte a un bacio, l'avrebbe seguita come un cane per la strada, finché non fosse riuscito a possedere la donna e a confermare la sua convinzione nei poteri rivelatori della bocca. La bocca di Linda lo aveva sedotto fin dal primo istante. Aveva un'espressione perversa, quasi dolorosa. C'era qualcosa nel modo in cui la muoveva, un dischiudersi appassionato delle labbra, che lasciava intuire una donna pronta a imperversare sull'amato come una tempesta. Quando vide Linda per la prima volta, fu catturato da questa bocca, trascinato dentro di lei, come se stesse già facendo l'amore. E
lo stesso avvenne nella loro prima notte di nozze. Era ossessionato dalla sua bocca. E quella bocca si gettò, baciandola fino a farla bruciare, fino a consumarne la lingua, a gonfiarne le labbra; dopo averle risvegliato completamente le labbra, fu così che la prese, inginocchiandosi sopra di lei, con i fianchi potenti contro i suoi seni.
Non la trattò mai come una moglie. Continuò a corteggiarla, coprendola di regali, di fiori, di nuovi piaceri. La portava a cena nei cabinets particuliers di Parigi, nei grandi ristoranti dove tutti i camerieri pensavano che fosse la sua amante. Sceglieva per lei i cibi e i vini più prelibati. La ubriacava di parole carezzevoli. Faceva l'amore con la sua bocca. Le faceva dire ciò che voleva. Poi le domandava: "E com’è che mi vuoi? Quale parte di te mi vuole questa notte?" A volte lei gli rispondeva: "Ti vuole la mia bocca, voglio sentirti in bocca, giù in fondo in fondo." Altre volte gli diceva: Sono bagnata in mezzo alle gambe." E si parlavano così al tavolo del ristorante, nelle piccole sale da pranzo private create apposta per gli amanti. Com'erano discreti i camerieri, che sapevano sempre quando non dovevano tornare! La musica arrivava da una fonte invisibile. C'era Il divano e, quando il pranzo era stato servito, Andr‚ stringeva tra le sue le ginocchia di Linda, dopo averle carpito mille baci, e la prendeva sul divano, con i vestiti addosso, come fanno gli amanti che non hanno il tempo di spogliarsi. La scortava all'opera e ai teatri noti per i loro palchi bui e faceva l'amore con lei mentre guardavano lo spettacolo. Faceva l'amore con lei sui taxi, su una chiatta ormeggiata di fronte a Notre Dame, che affittava cabine agli innamorati. Ovunque, salvo che a casa, nel letto matrimoniale. La portava in macchina in piccoli villaggi fuori mano e stava con lei in pensioncine romantiche. Prenotava una stanza per loro nelle lussuose case di malaffare che conosceva. E allora la trattava come una prostituta. La costringeva a sottomettersi ai suoi capricci, voleva essere frustato, le chiedeva di camminare ginocchioni e di non baciarlo, ma di passargli la lingua su tutto il corpo, come un animale.
Queste pratiche le avevano risvegliato la sensualità a un punto tale, da spaventarla. Temeva il giorno in cui Andr‚ non le sarebbe più bastato.
La sua sensualità era vigorosa, e lei lo sapeva, quella di lui era l'ultima scintilla di un uomo che si era consumato in una vita di eccessi e che ora le offriva il fiore di quella dissipazione. E venne il giorno in cui Andr‚ dovette lasciarla per più di una settimana, per andare a fare un viaggio. Linda era irrequieta e febbrile. Le telefonò un amico, un amico di Andr‚, il pittore di grido di Parigi, il favorito delle donne. Le disse: "Ti annoi da sola, Linda? Ti piacerebbe venire con noi a una festa molto speciale? Hai una maschera?" Linda sapeva benissimo cosa aveva in mente. Lei e Andr‚ avevano riso spesso delle feste di Jacques al Bois. Era la sua forma prediletta di divertimento: radunare gente della buona società nelle notti d'estate, mettersi una maschera, andare in macchina al Bois con bottiglie di champagne, trovare una radura nel bosco, e spassarsela. Linda era molto tentata. Non aveva mai partecipato a una di queste feste. Andr‚ non aveva voluto. Aveva detto scherzosamente che la faccenda delle maschere rischiava di confonderlo e che non voleva fare l'amore con la donna sbagliata. Linda accettò l'invito. Indossò uno dei suoi vestiti da sera, un abito di raso pesante che le aderiva al corpo come un guanto. non indossò biancheria intima o gioielli che potessero identificarla. Cambiò pettinatura, passò dall'acconciatura a paggetto che le incorniciava il viso allo stile Pompadour, che metteva in evidenza la forma del viso e del collo. Poi si mise la maschera nera, fissando l'elastico con le forcine nei capelli, per maggior sicurezza. All'ultimo momento decise di cambiare il colore dei capelli, se li fece lavare e tingere di nero, invece del suo biondo pallido. Poi li raccolse di nuovo sulla nuca e si trovò cambiata in modo sconcertante. Circa otto persone erano state invitate all'appuntamento nel grande studio del pittore alla moda. La stanza era illuminata debolmente per conservare l'anonimità degli ospiti. Quando ci furono tutti, si diressero verso le automobili in attesa. Gli. chauffeurs sapevano già dove andare: nella parte più fitta del bosco, dove c'era una bellissima radura coperta di muschio; E si sistemarono dopo aver congedato gli chauffeurs, e cominciarono a bere champagne. Si erano già scambiate molte carezze nelle automobili. Le maschere davano alla gente un senso di libertà che trasformava anche le persone più raffinate in animali affamati. Le mani correvano sotto i sontuosi abiti da sera a toccare quel che volevano toccare, le ginocchia si intrecciavano, i respiri divenivano affannosi. Linda era alle prese con due uomini. Il primo fece del suo meglio per eccitarla baciandola sulla bocca e sui seni, mentre il secondo, con più successo, le accarezzò le gambe sotto il vestito lungo, finché essa non rivelò con un tremito di essere eccitata. Allora l'uomo la portò via, nell'oscurità. L'altro protestò, ma era troppo ubriaco per competere. Linda venne allontanata dal gruppo e portata in un punto in cui gli alberi proiettavano ombre scure e si abbassavano fin sul muschio. Da poco lontano giungevano grida di resistenza, rantoli di piacere, gli strilli di una donna: "Dai, dai, non posso più aspettare, fammelo per piacere!" L'orgia era al suo culmine.
Le donne si accarezzavano a vicenda, due uomini si davano da fare con una donna, eccitandola fino al parossismo e interrompendosi per il gusto di godersi lo spettacolo di lei che, col vestito mezzo aperto, una spallina strappata, un seno scoperto, cercava di soddisfarsi
strusciandosi oscenamente contro di loro, pregandoli, sollevandosi il vestito. Linda era sconcertata dalla bestialità del suo aggressore. lei, che aveva conosciuto soltanto le carezze voluttuose del marito, si ritrovò catturata nella morsa di qualcosa di infinitamente più potente, un desiderio così violento che sembrava esasperante. Le mani dell'uomo la imprigionarono come artigli, poi le sollevarono il pube verso il pene, senza preoccuparsi se le rompeva le ossa. L'uomo la penetrò con colpi d'ariete, un corno vero e proprio che la trapassava, un assalto che non era doloroso, ma le faceva desiderare di rispondere con la stessa furia. Dopo che l'uomo si fu soddisfatto una volta, con un'impetuosità e una violenza che la sconvolsero, le sussurrò: "Ora voglio che ti soddisfi tu, completamente, mi senti? Come non hai mai fatto prima." E offrì il suo pene eretto come un amuleto primitivo di legno, glielo offrì perché lo usasse come voleva. La incitò a scatenargli addosso i suoi appetiti più violenti. Linda non si accorse neppure di mordergli la carne, mentre lui le ansimava nell'orecchio: "Dai, dai, vi conosco, voi donne, non vi permettete mai di prendere un uomo come vorreste." Dalle profondità del suo corpo, che non aveva mai conosciuto, si sprigionò una febbre selvaggia che non voleva
estinguersi, che non era mai sazia della bocca di lui, della sua lingua, del suo pene dentro di lei, una febbre che non si placava con un orgasmo. Linda sentì i denti di lui che le affondavano nella spalla, mentre lei lo mordeva sul collo, poi cadde riversa e perse i sensi.
Quando si svegliò, era sdraiata su un letto di ferro, in una stanzetta squallida. C'era un uomo addormentato accanto a lei. Era nuda, e anche l'uomo, ma mezzo coperto dalle lenzuola. Linda riconobbe il corpo che l'aveva strapazzata la notte prima nel Bois. Era il corpo di un atleta, grande, scuro, muscoloso. La testa era bella, forte, con capelli spettinati. Mentre lo guardava con ammirazione, l'uomo aprì gli occhi e sorrise. "Non potevo lasciarti tornare dagli altri. Avrei rischiato di non vederti più," le disse. "Come hai fatto a portarmi qui?" "Ti ho rubato." "E dove siamo adesso?" "In un albergo molto povero, dove abito io." "Allora non sei..." "No, non sono amico degli altri, se è quello che intendi. Sono solo un operaio. Una notte, tornando in bicicletta dal la voro, vidi uno dei vostri party. Mi spogliai e mi unii agli altri. Le donne avevano l'aria di apprezzarmi e non venni scoperto. Dopo aver fatto l'amore con loro, me la filai. Ieri sera, ripassando, ho udito le voci. Ho trovato te, mentre quell'uomo ti baciava, e ti ho rapita. E
adesso ti ho portata qui. Forse per te sarà un pasticcio, ma non potevo lasciarti andare. Tu sei una donna vera, le altre sono niente al confronto. Tu hai dell'uomo." "Devo andare," disse Linda. "Però devi promettermi che tornerai." Si mise a sedere sul letto e la guardò. La sua bellezza fisica gli conferiva una certa grandezza, e Linda si sentì vibrare alla sua vicinanza. Incominciò a baciarla e Linda si illanguidì di nuovo. Le gioie della notte precedente le percorrevano ancora il corpo. Linda lasciò che lui la possedesse ancora, quasi ad accertarsi di non aver sognato. No, non aveva sognato, quest'uomo, il cui pene le bruciava in tutto il corpo, che sapeva baciarla come se ogni bacio fosse l'ultimo, quest'uomo era reale. E così Linda tornò da lui. E la sua stanza divenne il luogo in cui si sentiva più viva. Ma dopo un anno lo perse. Si innamorò di un'altra donna e la sposò. Linda si era talmente abituata a lui, che ormai chiunque altro le sembrava troppo delicato, troppo raffinato, pallido e fiacco. Tra gli uomini che conosceva non ce n'era uno che avesse lo stesso ardore, la stessa forza selvaggia del suo perduto amore. Lo cercò senza posa, in piccoli bar, nei luoghi più sperduti di Parigi. Incontrò pugili del circo, atleti. Con ciascuno cercò di ritrovare gli stessi amplessi. Ma nessuno riuscì a eccitarla.
Quando Linda perse il suo operaio perché questi voleva una donna tutta sua, una donna da cui tornare la sera, una dona che si prendesse cura di lui, Linda si confidò col suo parrucchiere. Il parrucchiere parigino gioca un ruolo vitale nella vita della donna francese. Non solo le acconcia i capelli, cosa in cui la donna non è facile da accontentare, ma è anche arbitro di moda. E in materie amorose, è il suo miglior consigliere e confidente. Le due ore necessarie a lavare i capelli, ad arricciarli e ad asciugarli, sono più che sufficienti per le confidenze.
L'isolamento dei piccoli separ‚ protegge i segreti. Quando Linda arrivò per la prima volta a Parigi dalla cittadina del sud della Francia dove era nata, e incontrò il marito, aveva solo vent'anni. Era vestita male, era timida e innocente. Aveva capelli foltissimi che non sapeva come pettinare. Non usava trucco. Camminando per Rue Saint Honor‚ e ammirando le vetrine dei negozi, si rese perfettamente conto delle sue deficienze.
Capì cos'era l'eleganza parigina, la ricercatezza del dettaglio che faceva di ogni donna un'opera d'arte. L'intento era quello di esaltarne gli attributi fisici, e in larga misura ne erano artefici i sarti con la loro abilità. Quel che nessun altro paese era stato capace di imitare era la qualità erotica dei vestiti francesi, l'arte di lasciar esprimere al corpo tutto il suo fascino attraverso gli abiti. In Francia conoscono il valore erotico del pesante raso nero, che possiede la qualità luccicante di un corpo nudo e bagnato. Sanno come delineare i contorni del seno, come assecondare i movimenti del corpo con le pieghe degli abiti. Conoscono il mistero dei veli, del pizzo sulla pelle, della biancheria provocante, di uno spacco osé nel vestito. La linea di una scarpa, la morbidezza di un guanto, i piccoli particolari, conferiscono alla donna parigina un'eleganza e un'audacia che sorpassano di gran lunga il fascino di altre donne. Secoli di civetteria hanno prodotto una perfezione tutta speciale che non compete solo alle donne ricche, ma anche all'ultima delle commesse. E il parrucchiere è il sacerdote di questo culto della perfezione. E' lui il maestro delle donne che vengono dalla provincia. Egli rende raffinate le donne volgari, fa brillare quelle insignificanti; le fornisce tutte di una nuova personalità. Linda fu tanto fortunata da capitare nelle mani di Michel, il cui salone era vicino agli Champs Elysées. Michel era un uomo sulla quarantina, snello, elegante, e piuttosto effeminato. Parlava affabilmente, aveva modi raffinati da salotto, le baciava la mano come un aristocratico, e aveva una gran cura dei I suoi baffi. Aveva una parlantina brillante e vivace.
Era un filosofo e un creatore di donne. Quando Linda entrò nel suo salone, piegò la testa da un lato come un pittore che si accinge a !
un'opera d'arte. Dopo qualche mese, Linda emerse come un prodotto rifinito. Inoltre, Michel divenne il suo confessore e la sua guida. Non era sempre stato il parrucchiere di donne abbienti e non; gli importava di ammettere che aveva cominciato in un quartiere molto povero, dove suo padre aveva esercitato lo stesso mestiere. E i capelli delle donne erano rovinati dalla fame, dagli shampoo a buon mercato e dall'incuria.
"Secchi come parrucche," diceva. "Troppo profumo scadente. C'era una ragazza, non l'ho mai dimenticata. Lavorava per un sarto. Aveva una vera passione per i profumi, ma non se li poteva permettere, e allora io le tenevo da parte i fondi delle bottiglie di acqua di colonia. Ogni volta che facevo un risciacquo al profumo, cercavo di lasciarne un po' in fondo alla bottiglia. E quando veniva Gisele, mi piaceva versarglielo tra i seni. Lei era così contenta che non si accorgeva di quanto mi piacesse. Le prendevo il colletto tra l'indice e il pollice, lo scostavo un pochino, e versavo il profumo, non senza dare un'occhiata ai suoi bei seni giovani. Lei aveva un modo voluttuoso di muoversi, dopo, di chiudere gli occhi e inspirare il profumo, godendoselo. A volte gridava: 'Oh, Michel, questa volta mi hai bagnato troppo.' E si strofinava il vestito contro i seni per asciugarsi. "Poi una volta non ce la feci più a resisterle. Le versai il profumo nel collo e quando lei gettò indietro la testa e chiuse gli occhi, la mia mano le scivolò dritta sul seno.
Be', Gisele non tornò più. "Ma quello fu solo l'inizio della mia carriera di profumiere delle donne. Incominciai a prendere sul serio il mio compito. Tenevo il profumo in un atomizzatore e mi divertivo a spruzzarlo sui seni delle mie clienti. E loro non lo rifiutavano mai.
Poi incominciai a spazzolarle un pochino, dopo che erano pronte. E
questo è un compito piuttosto piacevole, spazzolare il vestito di una donna dalle belle forme. "E i capelli di certe donne mi mettono in uno stato che non posso neanche descriverle. Potrebbe offendersi. Ma ci sono donne i cui capelli hanno un odore così intimo, come di muschio, che spinge un uomo... insomma, non sempre riesco a controllarmi. Sa come sono indifese le donne quando sono allungate sulla sedia del
parrucchiere per farsi lavare i capelli, o sotto il casco ad asciugare, o durante la permanente." Michel guardava una cliente e le diceva: "Lei potrebbe avere facilmente quindicimila franchi al mese," il che significava un appartamento sugli Champs Elysées, una macchina, vestiti eleganti, e un amico generoso. Oppure avrebbe potuto diventare una donna di prima categoria, l'amante di un senatore, o dello scrittore o del pittore di grido. Quando aiutava una donna a raggiungere la posizione che si meritava, Michel manteneva il segreto. Non parlava mai della vita di nessuno, se non in modo da renderla irriconoscibile. Conosceva una donna sposata da dieci anni al presidente di una grande corporazione americana e costei aveva ancora la sua tessera da prostituta ed era nota sia alla polizia che agli ospedali dove le prostitute andavano per la visita settimanale. Quella donna non riusciva ad abituarsi alla sua nuova posizione e a volte dimenticava di avere i soldi in tasca per dar la mancia ai camerieri che la servivano durante il viaggio aereo attraverso l'oceano, e porgeva loro un biglietto da visita con il suo indirizzo. Fu Michel a consigliare a Linda di non essere mai gelosa, a ricordarle che al mondo, e specialmente in Francia, c'erano più donne che uomini, e che pertanto la donna doveva essere generosa col marito; quante donne se no sarebbero state private di un'esperienza amorosa! Lo diceva seriamente. Riteneva la gelosia una sorta di avarizia. Le sole donne veramente generose erano le prostitute e le attrici che non negavano i propri corpi. Per lui la razza più perfida di donna era l'americana cacciatrice di soldi, che sapeva come cavar denaro dagli uomini senza concedersi,. elemento che Michel reputava segno di cattivo carattere. Era convinto che prima o poi nella vita una donna dovesse essere una puttana. Pensava che ogni donna, sotto sotto, desiderasse essere una puttana per una volta nella vita e che quest'esperienza le fosse utile. Era il modo migliore per conservare la sensazione di essere femmine. Quando Linda perse il suo operaio, fu naturale per lei consultarsi con Michel, ed egli le consigliò di darsi alla
prostituzione. In questo modo, le disse, avrebbe avuto la soddisfazione di dimostrare a se stessa di essere desiderabile a prescindere da qualsiasi elemento amoroso, e avrebbe potuto trovare un uomo che la trattasse con la dovuta violenza. Nel suo mondo era troppo incensata, adorata, viziata per conoscere il suo vero valore di femmina, per essere trattata con la brutalità che le piaceva. Linda si rese conto che questo era il modo migliore per scoprire se stava invecchiando, perdendo il suo potere e il suo fascino. Così prese l'indirizzo che le diede Michel, salì su un taxi e venne condotta in Avenue du Bois, in una casa privata dall'aria grandiosa e aristocratica. Venne ricevuta senza alcuna domanda. 'De bonne famille" Fu tutto quello che vollero sapere. Si trattava di una "casa" specializzata in donne de bonne famille. In circostanze del genere, la custode telefonava immediatamente a un cliente: "Abbiamo una nuova venuta. Una donna di grande raffinatezza."
Linda fu introdotta in uno spazioso boudoir con mobili
d'avorio e arazzi di broccato. Si era tolta il velo ed era in piedi davanti a un grande specchio dalla cornice dorata, quando la porta si aprì. L'uomo che entrò aveva un aspetto quasi grottesco. Era basso e tozzo, con una testa troppo grossa per il suo corpo, tratti simili a quelli di un bambino cresciuto troppo, troppo indefiniti e teneri per la sua età e la sua corporatura. Si diresse a passi veloci verso di lei e le baciò la mano cerimoniosamente. Le disse: "Mia cara, è meraviglioso che lei sia riuscita a sfuggire a casa e al marito!" Linda stava per protestare, quando si rese conto del gusto per la messa in scena che animava l'uomo. Entrò immediatamente nel ruolo, ma tremò al pensiero di doversi concedere a quell'individuo. I suoi occhi già guardavano la porta, in cerca di una via di scampo. L'uomo colse la sua occhiata e disse in fretta: "Non deve aver paura. Non c’è da spaventarsi per quel che voglio da lei. Le sono estremamente grato per aver rischiato la sua reputazione venendo qui da me, per aver lasciato suo marito per me.
Chiedo molto poco, la sua presenza qui mi rende molto felice. Non ho mai visto una donna più bella e più aristocratica di lei. Mi piacciono il suo profumo, i suoi vestiti, il suo buon gusto nella scelta dei gioielli. Mi lasci vedere il suo piede. Che belle scarpe. Come sono eleganti, e che caviglie delicate. Ah, non capita spesso che una donna così bella venga a trovarmi. Non sono stato fortunato con le donne." Ora le pareva che l'uomo assomigliasse sempre più a un bambino, con la goffaggine dei suoi gesti, la morbidezza delle sue mani. Quando si accese una sigaretta e incominciò a fumare, Linda ebbe l'impressione che fosse la sua prima sigaretta, per via dell'impaccio che mostrava nel tenerla fra le dita e della curiosità con cui osservava il fumo. "Non posso rimanere a lungo," gli disse, in preda al desiderio di scappare.
Non era affatto quel che Si aspettava. "Non la tratterrò molto a lungo.
Mi fa vedere il suo fazzoletto?" Linda gli porse un fazzoletto delicato e profumato. L'uomo lo annusò con un'espressione di enorme piacere. Poi le disse: "Non ho intenzione di possederla come lei si potrebbe aspettare. Non mi interessa possederla come fanno gli altri uomini.
Tutto quel che le chiedo è di passarsi il fazzoletto fra le gambe e poi ridarmelo, tutto qui." Linda capì che sarebbe stato molto più facile di quel che aveva temuto e lo fece volentieri. L'uomo la osservò mentre si piegava, si alzava la gonna, slacciava le mutandine di pizzo e si faceva passare lentamente il fazzoletto tra le gambe. Allora si piegò su di lei, e mise una mano sul fazzoletto semplicemente per aumentare la pressione e per indurla a passarlo un'altra volta. L'uomo tremava dalla testa ai piedi, aveva gli occhi dilatati r Linda si accorse che era in uno stato di estrema eccitazione. Quando le prese il fazzoletto, lo guardò come avrebbe guardato una donna, un gioiello prezioso. Era troppo assorto per parlare. Si diresse verso il letto, e pose il fazzoletto sulla trapunta, e vi si gettò sopra, aprendosi i pantaloni mentre cadeva. Spinse e strofinò. Dopo un momento si sollevò dal letto, avvolse il pene nel fazzoletto e continuò a dimenarsi, raggiungendo finalmente un orgasmo che lo fece gridare di gioia. Si era completamente dimenticato di Linda. Era in uno stato estatico, e il fazzoletto era bagnato della sua eiaculazione. Si sdraiò ansimante. Linda lo lasciò.
Mentre attraversava i saloni della casa, incontrò la donna che l'aveva ricevuta, che non si capacitò della decisione di Linda di andarsene così presto. "Le ho dato uno dei nostri clienti più raffinati," le disse.
"Una creatura innocua." Fu dopo questo episodio che Linda andò un giorno a sedersi al Bois per vedere la sfilata di costumi primaverili in una mattina di domenica. Si stava ubriacando di colori, di eleganza e di profumi, quando sentì un profumo particolare accanto a sé e si girò.
Alla sua destra era seduto un uomo attraente, sulla quarantina, vestito con eleganza, con capelli neri e lucidi pettinati con cura all'indietro.
Chissà se il profumo veniva dai suoi capelli? Le faceva venire in mente il suo viaggio a Fez, la grande bellezza degli uomini arabi; aveva un effetto potente su di lei. Guardò l'uomo, che si girò e le sorrise, un sorriso brillante e bianco, di denti forti, con due dentini più piccoli, leggermente storti, che gli davano un'aria da monello. "Lei usa un profumo che ho sentito a Fez," gli disse Linda. "E' vero," rispose l'uomo, "sono stato a Fez e l'ho comprato laggiù al mercato. Ho una passione per i profumi, ma da quando ho trovato questo non ne ho più usati altri. " "Odora di legno prezioso," disse Linda. "Gli uomini dovrebbero sentire di legno prezioso. Ho sempre sognato di riuscire ad andare in un paese del Sud America dove ci sono foreste intere di legno prezioso che trasudano odori meravigliosi. Una volta ero innamorata del patchouli, un profumo molto antico. La gente non lo usa più. Veniva dall'India, e gli scialli indiani delle nostre nonne erano sempre saturi di patchouli. Mi piace anche camminare sulle banchine del porto e annusare l'odore di spezie nei magazzini. Lei lo fa mai?" "Sì che lo faccio. A volte mi capita di seguire delle donne solo per il loro profumo, il loro odore." "Io avrei voluto rimanere a Fez e sposare un arabo." "Perché non l'ha fatto?" "Perché una volta mi innamorai di un arabo. Andai a trovarlo molte volte. Era l'uomo più bello che avessi mai visto. Aveva la pelle scura e occhi enormi, neri e lucidi che esprimevano tanta emozione e fervore da incantarmi. Aveva una voce tonante e le maniere più` delicate. Ogni volta che parlava con qualcuno, anche per strada, gli teneva entrambe le mani, teneramente, come se volesse toccare tutti gli esseri umani con la stessa tenerezza delicata.
Ero completamente sedotta, ma..." "Cosa accadde?" "Un giorno, in cui faceva molto caldo, ci sedemmo a bere tŠ alla menta nel suo giardino e lui si tolse il turbante. Aveva la testa completamente rasata. E' una tradizione araba. Sembra che tutti abbiano la testa completamente rasata. Questo, in un modo o nell'altro, mi guarì dalla mia
infatuazione." Lo sconosciuto rise. Con una sincronizzazione perfetta, si alzarono e incominciarono a camminare insieme. Il profumo che emanava dai capelli dell'uomo faceva a Linda lo stesso effetto di un bicchiere di vino. Si sentiva le gambe molli, la testa annebbiata. I suoi seni si alzavano e si abbassavano a ogni respiro profondo e lo sconosciuto osservava questo movimento del petto come se stesse guardando delle onde rompersi ai suoi piedi. Sul limitare del Bois l'uomo si fermò. "Io vivo proprio lass—," le disse, indicandole col bastone un appartamento con molte terrazze. "Posso invitarla a salire da me a prendere un aperitivo sulla mia terrazza?" Linda accettò. Aveva la sensazione che sarebbe soffocata se la privavano del profumo che la incantava. Sedettero sulla terrazza, e bevvero tranquillamente. Linda si appoggiò languidamente allo schienale della poltrona. Lo sconosciuto continuò a osservare i suoi seni. Poi chiuse gli occhi. Nessuno dei due fece un movimento.
Entrambi erano preda di un sogno. Lui fu il primo a muoversi. Mentre la baciava, Linda si sentì riportare a Fez, nel giardino dell'arabo. Le vennero in mente le sensazioni di quel giorno, il suo desiderio di essere avviluppata nella cappa bianca dell'arabo, il desiderio della sua voce. potente e dei suoi occhi brucianti. Il sorriso dello sconosciuto era brillante, come quello dell'arabo. Lo sconosciuto era l'arabo, l'arabo con i folti capelli neri, con il profumo della città di Fez.
Stava facendo l'amore con due uomini. Tenne gli occhi chiusi. L'arabo la stava spogliando. L'arabo la toccava con le sue mani appassionate.
Ondate di profumo le dilatavano il corpo, lo aprivano, la preparavano ad abbandonarsi.. I suoi nervi erano pronti al trionfo delle sensazioni, tesi, ricettivi. Socchiuse gli occhi e vide i denti abbaglianti che stavano per morderle la carne. Poi il sesso di lui la toccò e la penetrò. Era come un oggetto carico di elettricità, e ogni colpo le inviava delle correnti attraverso il corpo. Le aprì le gambe come se volesse rompergliele. I suoi capelli le caddero sul viso e annusandoli Linda sentì che stava per raggiungere l'orgasmo e lo incitò ad accelerare i colpi in modo che potessero venire insieme. Al momento dell'orgasmo lui gridò con un ruggito da tigre, un suono di gioia tremenda, di estasi, di piacere furioso, che Linda non aveva mai sentito. Era come aveva immaginato avrebbe gridato l'arabo, come un animale della giungla, soddisfatto della sua preda, che ruggisce di piacere. Linda aprì gli occhi. Aveva il volto coperto di capelli neri, e li prese in bocca. I loro corpi erano intrecciati. Le mutandine di lei erano state tirate giù con tanta furia che le erano scivolate lungo le gambe e ora erano aggrovigliate intorno alle caviglie, e lui, chissà come, aveva infilato il piede in una delle aperture. Guardarono le loro gambe tenute insieme da questo pezzo di chiffon e risero. Linda tornò spesso nell'appartamento di lui. Il suo desiderio si risvegliava molto prima che si incontrassero, ancora mentre si svestiva per lui. Il profumo di lui sbucava fuori da qualche fonte misteriosa a tutte le ore del giorno e la tormentava. A volte, mentre stava attraversando la strada, le veniva in mente il suo odore in modo così vivido che il turbamento che sentiva tra le gambe la costringeva a rimanere lì ferma, indifesa, dilatata. Un po' di quel profumo le rimaneva sul corpo e la turbava di notte, quando dormiva da sola. Non le era mai capitato di eccitarsi così facilmente. Aveva sempre avuto bisogno di carezze, ma con l'arabo, come lo chiamava tra sé, era come se fosse sempre preparata eroticamente, al punto che era eccitata ancor prima che lui la toccasse, e temeva di venire al primo tocco delle sue dita sul suo sesso. E questo una volta successe. Linda arrivò al suo appartamento bagnata e tremante.
Aveva le labbra del sesso tese come se fossero state accarezzate, i capezzoli duri, tutto il corpo percorso da brividi, e quando lui, baciandola, sentì il suo turbamento, le fece scivolare la mano direttamente sul sesso. La sensazione fu così acuta che venne. Poi, un giorno, due mesi dopo l'inizio del loro legame, Linda andò da lui e quando la prese tra le braccia non provò desiderio. Non le sembrava più lo stesso uomo. Mentre le stava davanti, osservò freddamente la sua eleganza e la sua normalità. Sembrava un francese qualunque, elegante, uno di quelli che si vedono passeggiare sugli Champs Elysées, o si incontrano alle serate di inaugurazione, o alle corse. Ma cos’è che l'aveva reso diverso ai suoi occhi? Perché non ritrovava quel senso di ebbrezza che provava di solito in sua pre senza? C'era qualcosa di così comune in lui adesso, di così simile agli altri uomini. così diverso dall'arabo. Il suo sorriso sembrava meno brillante, la sua voce meno colorita. Improvvisamente gli cadde tra le braccia e cercò di annusargli i capelli. E allora gridò: "Il tuo profumo. Non l'hai messo!" "E'
finito," le disse l'arabo francese. "E non sono riuscito a trovarne uno simile. Ma perché ti turba tanto?" Linda cercò di ricatturare l'atmosfera in cui lui l'aveva un tempo trascinata, ma sentì che il suo corpo era freddo. Finse. Chiuse gli occhi e incominciò a fantasticare.
Era di nuovo a Fez, seduta in un giardino. L'arabo le sedeva accanto, su un divano basso. L'aveva adagiata sui cuscini e la stava baciando, mentre la fontanella le gorgogliava nelle orecchie, e il profumo familiare bruciava in un'incensiera al suo fianco. E invece no.
L'incanto si ruppe. Non c'era l'incenso. La casa aveva l'odore di un appartamento francese. L'uomo al suo fianco era uno sconosciuto, ormai privo della magia che glielo aveva fatto desiderare. Non andò più a trovarlo. Benché Linda non avesse particolarmente gradito l'avventura del fazzoletto, dopo pochi mesi senza uscire dalla sua cerchia si sentì di nuovo irrequieta. Era ossessionata dai ricordi, dalle storie che sentiva, dalla sensazione che ovunque intorno a lei uomini e donne si godessero i loro piaceri sessuali. Temeva che ora che aveva smesso di apprezzare il marito, il suo corpo sarebbe morto. Le venne in mente un episodio che aveva risvegliato la sua sessualità a un'età molto precoce.
Sua madre le aveva comperato un paio di mutandine che le andavano strette ed erano molto tirate in mezzo alle gambe. Le avevano irritato la pelle e di notte, addormentandosi, si era grattata, con sempre maggiore delicatezza, rendendosi conto che era una sensazione piacevole.
Continuò ad accarezzarsi la pelle e scoprì che quando le dita si avvicinavano a un posticino nel centro, il piacere aumentava. Sentì sotto le dita una parte che pareva indurirsi al suo tocco, e vi scoprì una sensibilità anche maggiore. Qualche giorno dopo fu mandata a confessarsi. Il prete sedeva sulla sua seggiola e la fece inginocchiare ai suoi piedi. Era un domenicano e portava una lunga corda con una nappa che gli cadeva sul fianco destro. Linda, appoggiandosi alle ginocchia del frate sentì la nappa contro di sé. Quando ebbe finito coi peccati ordinari: rabbia, bugie, e via dicendo, fece una pausa. Notando la sua esitazione, il frate incominciò a sussurrare a voce molto più bassa: "Hai mai avuto sogni impuri?" "Che sogni, padre?" chiese Linda. La nappa dura che sentiva premere proprio sul posto sensibile tra le gambe, la turbava come le carezze delle sue dita la notte precedente, e Linda cercò di accostarsi ancor di più. Voleva sentire la voce del frate, calda e suggestiva, che le chiedeva dei suoi sogni impuri. "Non sogni mai di essere baciata, o di baciare qualcuno?" le chiese il confessore.
"No, padre." Ora aveva la sensazione che la nappa la turbasse infinitamente di più delle sue dita perché in qualche modo,
misteriosamente, era parte della voce calda del frate e di parole come "baci". Gli si premette contro ancor di più e lo guardò. Il frate sentiva che la bimba aveva qualcosa da confessare e le chiese: "Non ti accarezzi mai?" "Accarezzarmi? E come?" Il frate stava per lasciar perdere, pensando che la sua intuizione lo avesse ingannato, ma l'espressione del viso di Linda confermò i suoi dubbi. "Ti tocchi mai con le mani?" Proprio in quel momento Linda era presa dalla voglia di strusciarsi e provare ancora quel piacere estremo, travolgente, che aveva scoperto qualche notte prima. Ma temeva che il frate se ne accorgesse e l'allontanasse, facendole perdere del tutto la sensazione piacevole. Era decisa a catturare la sua attenzione, e cominciò: "Padre, Š vero, ho una cosa terribile da confessare. Una notte mi sono grattata e poi mi sono accarezzata, e poi..." "Bambina mia, bambina mia," disse il frate, "devi smettere immediatamente. E' impuro. Ti rovinerà la vita." "Perché è impuro?" chiese Linda, premendosi contro la nappa. Il frate si chinò su di lei e le si fece così vicino che quasi le sfiorò la fronte con le labbra. Linda aveva le vertigini. Egli continuò: "Quelle sono carezze che potrà darti solo tuo marito; Se lo fai tu e ne abusi, diventerai debole e nessuno ti amerà più. Quante volte l'hai fatto?"
"Per tre notti, padre. E ho fatto anche dei sogni." "Che tipo di sogni?"
"Ho sognato che qualcuno mi toccava là." Ogni parola aumentava la sua eccitazione. Fingendo colpa e vergogna, si gettò contro le ginocchia del frate e piegò la testa come per piangere, ma in realtà il contatto con la nappa l'aveva portata all'orgasmo ed era scossa dai fremiti. Il frate, credendo che fossero dovuti al senso di colpa e di vergogna, la prese tra le braccia, la fece alzare dalla sua posizione in ginocchio, e la confortò.
MARCEL.
Marcel venne sulla chiatta, gli occhi azzurri pieni di sorpresa e di meraviglia, pieni di riflessi, come il fiume. Occhi affamati, avidi, nudi. Sopra lo sguardo innocente, intenso, spuntavano sopracciglia folte, incolte come quelle di un selvaggio. Questo impetuoso disordine era attenuato dalla fronte luminosa e dalla sericità dei capelli. Anche la pelle era fragile, il naso e la bocca vulnerabili, trasparenti, ma le mani da contadino, come le sopracciglia, confermavano ancora la sua forza. Nei suoi discorsi predominava la follia, la sua costrizione ad analizzare. Tutto quel che gli succedeva, tutto quel che gli capitava per le mani, ogni ora del giorno era frutto costante di commenti, veniva fatto a brandelli. Non riusciva a baciare, a desiderare, a possedere, a godere, senza un'analisi immediata. Preordinava le sue mosse con l'aiuto dell'astrologia e spesso si incontrava col fantastico, aveva un dono particolare per evocarlo. Ma non appena si imbatteva nel fantastico, lo afferrava con la violenza di un uomo che non sia sicuro di averlo visto, di averlo vissuto; e che desideri disperatamente farlo diventare reale.
Mi piaceva il suo io permeabile, sensibile e poroso, mi piaceva prima che parlasse, quando sembrava un animale molto dolce, o molto sensuale, quando la sua mania non era percettibile. Allora sembrava senza ferite, quando se ne andava in giro con una borsona pesante piena di scoperte, di appunti, di programmi, di libri nuovi, di nuovi talismani e nuovi profumi, di fotografie. Sembrava allora che fluttuasse, come una chiatta senza ormeggi. Andava a zonzo, vagabondava, visitava i pazzi, faceva oroscopi, accumulava conoscenze esoteriche, collezionava piante, pietre.
"C’è in ogni cosa una perfezione che non può essere posseduta," diceva.
"La vedo in frammenti di marmo tagliato, in pezzi di legno consunti. C’è una perfezione nel corpo della donna che non può mai essere posseduta, conosciuta a fondo, nemmeno in un amplesso." Portava il fiocco a farfalla che usavano i bohémiens cent'anni fa, il mantello dei guitti, i pantaloni a righe del borghese francese. Oppure indossava una cappa nera, come quella di un monaco, la cravatta a farfalla di un attorucolo di provincia, o la sciarpa dei ruffiani, avvolta intorno al collo, una sciarpà gialla, o sangue di bue. Oppure si metteva un vestito regalatogli da un uomo d'affari, con la cravatta che ostentavano i gangster parigini, o il cappello della domenica di un padre di undici figli. Si presentava con la camicia nera del cospiratore, o con quella a quadretti di un contadino della Borgogna, oppure con la tuta da operaio di tela blu con i calzoni sformati. A volte si lasciava crescere la barba e sembrava un Cristo. Altre volte si radeva e sembrava un violinista ungherese di una fiera ambulante. Non sapevo mai con quale nuovo travestimento si sarebbe presentato. Se aveva un'identità, era quella del cambiamento, quella dell'essere qualsiasi cosa. Era l'identità dell'attore, per il quale c’è un dramma perpetuo in atto. Mi aveva detto: "Verrò un giorno o l'altro." E adesso era sdraiato sul letto a contemplare il soffitto istoriato della chiatta. Tastava il copriletto. Guardava il fiume, fuori della finestra. "Mi piace venire qui sulla chiatta," disse. "Mi culla. Il fiume è come una droga. Quando vengo qui, quello di cui soffro mi sembra irreale." Sul tetto della chiatta batteva la pioggia. Alle cinque, Parigi è sempre carica di una corrente di erotismo. Forse perché è l'ora in cui si incontrano gli amanti, dalle cinque alle sette, in tutti i romanzi francesi? Mai di notte, apparentemente, perché le donne sono sposate e sono libere solo all'ora del tŠ¯, il I grande alibi. Alle cinque sentivo sempre dei brividi di sensualità, condivisi con la sensuale Parigi. Appena calava la penombra, mi sembrava che ogni donna che vedevo corresse dal suo innamorato, che ogni uomo corresse dalla sua amante. Quando mi lascia, Marcel mi bacia sulla guancia. La sua barba mi sfiora come una carezza.
Il bacio sulla guancia, che vorrebbe essere fraterno, è carico di intensità. Pranzammo insieme e io suggerii di andare a ballare. Andammo al Bal Negre. Marcel si paralizzò immediatamente. Aveva paura a ballare, aveva paura a toccarmi. Cercai di trascinarlo sulla pista, ma non volle ballare. Era goffo. Impaurito. Quando finalmente si decise a tenermi tra le braccia, tremava e io mi godevo l'agitazione che avevo provocato.
Provavo gioia a essergli vicino. Mi piaceva la snellezza slanciata del suo corpo. "Sei triste? Vuoi andartene?" gli chiesi. "Non sono triste, ma sono bloccato. Tutto il mio passato sembra fermarmi. Questa musica è così scatenata. Ho come la sensazione di riuscire a inalare ma non a espirare. Non riesco a lasciarmi andare. Sono impacciato, innaturale."
Non gli chiesi più di ballare. Ballai con un negro. E quando ce ne andammo, nella notte fredda, Marcel prese a parlare di nodi, di paure, di paralisi in lui. Sentii che il miracolo non era accaduto. Io lo libererò con un miracolo, ma non con le parole, non direttamente, non con le parole che usavo coi malati. So di che cosa soffre. Ne soffrivo anch'io una volta. Ma conosco il Marcel libero. E voglio Marcel libero.
Ma, quando venne alla chiatta e vi trovò Hans, quando vide arrivare Gustavo a mezzanotte e rimanere dopo che lui se ne fu andato, Marcel diventò geloso. Vidi i suoi occhi azzurri offuscarsi. Quando mi diede il bacio della buonanotte, guardò Gustavo con rabbia. "Vieni fuori con me un momento," mi disse. Lasciai la chiatta e camminai con lui sulla banchina buia. Una volta soli, mi baciò appassionatamente, furiosamente, la sua grande bocca piena che beveva la mia. Gli offrii di nuovo le labbra. "Quando verrai a trovarmi?" mi chiese. "Domani, Marcel, verrò a trovarti domani." Quando arrivai a casa sua, si era vestito col costume lappone per sorprendermi. Era come un abito russo e portava anche un cappello di pelo e alti stivali di feltro che gli arrivavano quasi ai fianchi. La sua stanza era come la tana di un viaggiatore, piena di oggetti da tutto il mondo. Le pareti erano rivestite di tappeti rossi, il letto coperto di pellicce. Il luogo era chiuso, intimo, voluttuoso come le stanze di un sogno provocato dall'oppio. Le pellicce, le pareti rosso cupo, gli oggetti, come i feticci di un sacerdote africano, tutto era violentemente erotico. Volevo sdraiarmi nuda sulle pellicce, essere posseduta lì, adagiata su quell'odore animale, accarezzata dal pelo.
Rimasi in piedi in quella stanza rossa, e Marcel mi spogliò. Prese la mia vita nuda tra le mani. Con le mani esplorò impazientemente il mio corpo. Tastò la pienezza forte dei miei fianchi. "Una donna vera, per la prima volta," disse. "Ne sono venute tante, ma per la prima volta ecco una donna vera, qualcuno che posso adorare." Mentre giacevo sul letto, mi parve che l'odore della pelliccia, le sensazioni che provocava a toccarla, e la bestialità di Marcel si mescolassero. La gelosia aveva infranto la sua timidezza. Era come un animale, affamato di ogni sensazione, di ogni nuovo modo per conoscermi. Mi baciò impetuosamente, mi morse le labbra. Sdraiato sulle pellicce mi baciava i seni, mi palpava le gambe, il sesso, le natiche. Poi, nella semioscurità, mi montò sopra, scivolando verso l'alto e mi infilò il pene in bocca.
Sentii i miei denti stringersi sul suo sesso mentre lo. spingeva avanti e indietro, e gli piaceva. Mi guardava e mi accarezzava, con le mani che mi percorrevano tutto il corpo, le dita che andavano dappertutto, per conoscermi meglio, per tenermi. Gli misi le gambe sulle spalle, in alto, in modo che potesse affondare dentro di me e vedere allo stesso tempo. Voleva vedere tutto. Voleva vedere come entrava e usciva il pene, brillante e duro, grosso. Mi sorressi coi pugni, in modo da offrire meglio il mio sesso ai suoi colpi. Poi mi girò e si piegò su di me come un cane, spingendomi dentro il pene da dietro, con le mani a coppa sui miei seni, accarezzandomi e spingendo allo stesso tempo. Era
infaticabile. Non voleva venire. Io aspettavo per avere l'orgasmo con lui, ma posponeva e posponeva. Voleva prolungare, continuare a sentire il mio corpo, a essere eccitato senza posa. Io cominciavo a esser stanca e gli gridai: "Vieni, Marcel, vieni adesso, adesso!" Allora incominciò a spingere con violenza muovendosi insieme a me nel crescendo impetuoso dell'orgasmo, e io gridai e venimmo quasi nello stesso momento.
Ricademmo tra le pellicce, liberati. Giacemmo nell'oscurità, circondati da forme strane: slitte, stivali, cucchiai russi, cristalli, conchiglie.
Alle pareti c'erano disegni cinesi erotici. Tutto quanto, persino un pezzo di lava del Krakatoa, persino la bottiglia di sabbia del Mar Morto, aveva una particolare suggestione erotica. "Hai il ritmo giusto per me," disse Marcel. "Di solito le donne sono troppo rapide. E questo mi getta nel panico. Si rendono il loro piacere e allora io ho paura a continuare. Non mi danno il tempo di sentirle, di conoscerle, di arrivare fino a loro, e dopo che se ne sono andate io impazzisco, pensando alla loro nudità e al mio piacere mancato. Ma tu sei lenta. Sei come me." Mentre mi rivestivo, rimanemmo accanto al fuoco a chiacchierare. Marcel mi infilò la mano sotto la gonna e ricominciò a Stuzzicarmi. E all'improvviso fummo accecati di nuovo dal desiderio.
Rimasi in piedi, con gli occhi chiusi, a sentire la sua mano che si muoveva su di me, Mi afferrò il culo con la sua stretta forte, contadina, e pensai che saremmo rotolati di nuovo sul letto, ma invece mi disse: "Tirati su il vestito." Mi appoggiai alla parete, muovendo il corpo contro il suo, Mi mise la testa tra le gambe, prendendomi le natiche nelle mani, passandomi la lingua sul sesso, succhiando e leccando finché mi bagnai di nuovo. Allora tirò fuori il pene e mi prese lì, contro la parete. Il suo pene duro e ritto come un trapano che spingeva, spingeva, mi trapassava coi suoi colpi, mentre io mi bagnavo tutta, dissolvendomi nella sua passione. Fare l'amore con Gustavo mi piace di più che con Marcel perché non ha nessuna timidezza, né paura, né nervosismi. Si lascia trasportare come in sogno e ci ipnotizziamo a vicenda con le carezze. Io gli tocco il collo e gli passo le dita tra i capelli neri. Gli accarezzo il ventre, le gambe, i fianchi. Quando gli tocco la schiena dal collo alle natiche, il suo corpo incomincia a tremare di piacere. Gli piacciono le carezze, come a una donna. Il suo sesso si muove. Non lo tocco finché non comincia a sollevarsi. Allora lo afferro con piacere. Lo prendo tutto in mano, lo tengo stretto, e lo spingo su e giù. Oppure ne tocco la punta con la lingua, e allora lui lo fa entrare e uscire dalla mia bocca. A volte mi viene in bocca e ingoio lo sperma. Altre volte è lui che incomincia le carezze. Mi bagno facilmente, le sue dita sono così calde, e sapienti. A volte sono così eccitata che provo l'orgasmo al solo tocco di un suo dito. Si eccita, quando mi sente tremante e palpitante e non aspetta che l'orgasmo finisca, ma spinge dentro il pene come a sentirne le ultime contrazioni.
Il suo pene mi riempie completamente, è fatto apposta per me, e lui può scivolarmi dentro facilmente. Gli serro le piccole labbra intorno al pene e lo succhio dal di dentro Il suo pene a volte è più grosso del solito e sembra carico di elettricità, e allora il piacere è immenso, protratto. L'orgasmo non finisce mai. Le donne lo corteggiano spesso, ma lui è come una donna e ha bisogno di credersi innamorato Anche se una bella donna può eccitarlo, se non prova per lei nessun tipo d'amore è impotente. E' strano come il carattere di una persona si rifletta nell'atto sessuale. Se uno è nervoso, timido, impacciato, pauroso,, l'atto sessuale è lo stesso. Se uno è rilassato, l'atto sessuale è gradevole. Il pene di Hans non si affloscia mai, e così lui se la prende comoda, per la sicurezza che gliene deriva. Si installa nel suo piacere, come si installa nel momento presente, per godere con calma, fino all'ultima goccia. Marcel è più impacciato, più inquieto. Persino quando ha il cazzo duro sento che è ansioso di mostrare la sua potenza, che fa le cose in fretta, spinto dalla paura che la sua forza non duri. Ieri sera, dopo aver letto alcune pagine di Hans, le sue scene sensuali, alzai le braccia sopra la testa e sentii le mutandine di satin leggermente allentate in vita. Sentii il mio ventre e il sesso così vivi. Nel buio, io e Hans ci lanciammo in un'orgia prolungata. Sentii che stava prendendo in me tutte le donne che aveva posseduto, tutto quello che le sue dita avevano toccato, tutte le lingue, tutti i sessi che aveva odorato, ogni parola che aveva pronunciato sul sesso, tutto questo, preso dentro di me, come un'orgia di scene ricordate, un mondo intero di orgasmi e di febbri. Marcel e io giacevamo, uno accanto all'altra, sul divano. Nella semioscurità della stanza mi parlava delle sue fantasie erotiche, confidandomi quanto gli fosse difficile soddisfarle. Aveva sempre desiderato che una donna indossasse un mucchio di sottovesti per potersi sdraiare di sotto e guardare. Questo era quel che si ricordava di aver fatto con la sua prima governante, quando, fingendo di giocare, l'aveva guardata da sotto la gonna. Questa prima sollecitazione dell'erotismo gli era rimasta attaccata. Allora gli dissi: "Ma io posso farlo. Facciamo tutto quello che abbiamo sempre desiderato fare o sperato che altri ci facessero. Abbiamo tutta la notte per noi. Qui ci sono tanti oggetti che possiamo usare. Hai anche dei costumi. Mi metterò in ghingheri per te." "Davvero?" disse Marcel. "Farò tutto quello che vuoi, qualsiasi cosa tu mi chieda." "Prima di tutto portami i vestiti. Hai delle gonne campagnole che potrei mettermi.
Incominceremo con le tue fantasie e non ci fermeremo finché non le avrai consumate tutte. E adesso lasciami vestire." Andai nell'altra stanza e mi misi parecchie gonne, che aveva portato dalla Grecia e dalla Spagna, una sopra l'altra. Marcel era sdraiato sul pavimento e io entrai in camera sua. Quando mi vide si imporporò di piacere. Mi sedetti sul bordo del suo letto. "E adesso alzati," disse Marcel. Mi alzai. Lui rimase sdraiato sul pavimento e mi guardò tra le gambe, sotto le sottane. Le allargò un po' con le mani, e io _ rimasi in piedi immobile, con le gambe aperte. Mi eccitava Marcel sdraiato a guardarmi, e così piano piano incominciai a danzare come avevo visto fare dalle donne arabe, dritta sulla faccia di Marcel, ancheggiando leggermente, in modo che potesse vedere il mio sesso muoversi tra le sottane. Danzai e mi contorsi, e lui continuò a guardare, ansando di piacere. Poi non riuscì più a trattenersi e mi tirò giù, dritta sulla sua faccia e incominciò a mordermi e a baciarmi. Dopo un po' lo interruppi. Non farmi venire, trattieniti.' Lo lasciai e, per soddisfare la sua fantasia successiva, mi ripresentai nuda, con indosso solo un paio di alti stivaloni neri di feltro. Allora Marcel mi volle crudele. "Sii crudele," mi implorò. Tutta nuda, con gli alti stivali neri, incominciai à ordinargli di fare cose umilianti. "Esci e portami un uomo attraente. Voglio che mi prenda di fronte a te." "Questo non lo faccio," disse Marcel. "Te lo ordino. Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa ti avessi chiesto." Marcel si alzò e scese da basso. Ritornò mezz'ora dopo con un suo vicino, un russo molto avvenente. Marcel era pallido; si era accorto che il russo mi piaceva. Gli aveva detto quel lo che stavamo facendo. Il russo mi guardò ‚ mi sorrise. Non c'era bisogno che lo eccitassi. Quando mi venne incontro era già eccitato dagli stivali neri e dalla mia nudità. Non solo mi concessi al russo, ma gli sussurrai: "Fallo durare, per piacere fallo durare." Marcel soffriva e io mi godevo il russo che era grosso e potente e riusciva a trattenersi a lungo. Mentre ci osservava, Marcel tirò fuori il pene dai pantaloni, e vidi che era eretto. Quando sentii arrivare l'orgasmo, all'unisono con quello del russo, Marcel voleva infilarmi il cazzo in bocca, ma io non glielo permisi. "Riservalo per più tardi," gli dissi. "Ho altre cose da chiederti. Non ti lascerò venire." Il russo si prendeva il suo piacere. Dopo l'orgasmo mi rimase dentro e ne voleva ancora, ma io mi spostai. "Mi piacerebbe che mi lasciaste guardare," disse. Ma Marcel obiettò e lo lasciammo andare. Mi ringraziò, ironicamente e calorosamente. Gli sarebbe piaciuto rimanere con noi. Marcel cadde ai miei piedi. "Questo è stato crudele. Lo sai che ti amo. E' stato davvero crudele." "Ma ti ha infiammato, non è forse vero che ti ha infiammato?" "Sì, ma mi ha anche ferito. Io non te l'avrei fatto." "Io non ti ho chiesto di essere crudele con me, è vero o no? Quando la gente è crudele con me, io mi raffreddo, ma tu invece lo volevi e ti ha eccitato." "Cosa vuoi adesso?" "Vorrei che tu mi possedessi mentre guardo fuori dalla finestra," gli dissi. "Mentre la gente mi guarda. Voglio che tu mi prenda da dietro, e che nessuno si accorga di quello che stiamo facendo. Mi piace questo aspetto di segretezza." Mi misi alla finestra. La gente poteva guardare dentro alla stanza dalle altre case, e Marcel mi prese, mentre restavo in piedi. Io non lasciavo trasparire alcun segno di eccitazione, ma godevo. Lui ansimava e riusciva a controllarsi a stento, mentre continuavo a mormorargli: "Calma, Marcel, fai con calma, in modo che nessuno se ne accorga." La gente ci vedeva, ma pensava che fossimo solo lì in piedi a guardare per strada. E invece ci stavamo godendo un orgasmo, come fanno le coppie nei portoni, e sotto i ponti di notte, per tutta Parigi.
Eravamo stanchi. Chiudemmo la finestra. Riposammo un po'. Incominciammo a chiacchierare nel buio, sognando e ricordando. "Qualche ora fa, Marcel, sono salita sulla metropolitana, nell'ora di punta, cosa che faccio di rado. Sono stata spinta dalle ondate di gente, inscatolata, e sono rimasta in piedi. All'improvviso mi è venuta in mente un'avventura da metropolitana che mi aveva raccontato Arlaune, una volta che era convinta che Hans avesse approfittato della folla per toccare una donna.
In quel preciso istante, ho sentito una mano che mi toccava leggermente il vestito, come per caso. Avevo il soprabito aperto e un vestito leggero, e questa mano mi strusciava il vestito, proprio sulla punta del sesso. Non mi sono spostata. l'uomo di fronte a me era talmente alto che non riuscivo a vederlo in faccia. Del resto non volevo guardare. Non ero sicura che fosse lui, e non volevo sapere chi fosse. La mano accarezzava il vestito, poi lentamente ha aumentato la pressione in cerca del sesso.
Allora mi sono mossa leggermente, per muovere il sesso verso le dita. Le dita si sono fatte più sicure, seguendo abilmente i contorni delle labbra. Ho sentito un'ondata di piacere. Mentre un rollio della metropolitana ci spingeva uno contro l'altro, mi sono appoggiata tutta a quella mano e lui ha fatto un gesto più audace, stringendomi le grandi labbra. Ormai ero in preda al piacere e sentivo avvicinarsi l'orgasmo, allora mi sono strusciata contro la mano, impercettibilmente. Sembrava che la mano sentisse quello che provavo, e ha continuato le sue carezze finché sono venuta. L'orgasmo mi ha scosso tutto il corpo. La metropolitana si è fermata e ha vomitato una fiumana di gente. L'uomo è scomparso." E' stata dichiarata la guerra. Le donne piangono per strada.
La notte stessa c’è stato un oscuramento. Ne avevamo visto le prove generali, ma un oscuramento vero era tutt'altra faccenda. Le prove erano state allegre, ma adesso Parigi era seria. Le strade erano assolutamente nere. Qua e là una lucina di controllo, azzurrognola, verde o rossa, come le lucine delle icone nelle chiese russe. Tutte le finestre erano coperte di panno nero. Le vetrine dei caffè erano coperte o dipinte di blu scuro. Era una notte dolce di settembre. L'oscurità la rendeva ancora più dolce. C'era qualcosa di strano nell'aria: un senso di aspettativa, di suspense. Camminai con circospezione lungo il Boulevard Raspail sentendomi sola e decisa ad andare al Dome a chiacchierare con qualcuno. Finalmente ci arrivai. Era sovraffollato, pieno per metà di soldati, e per metà delle solite puttane e modelle ma molti degli artisti erano partiti. La maggior parte era stata richiamata in patria, ciascuno al suo paese. Non c'era più un americano, né uno spagnolo, né un profugo tedesco,. seduto in giro. Era di nuovo un'atmosfera francese. Mi misi a sedere e fui presto raggiunta da Gisele, una giovane donna con la quale avevo parlato qualche volta. Era contenta di vedermi. Disse che non riusciva più a stare in casa. Suo fratello era stato arruolato e la casa era triste. Poi un altro amico, Roger, si sedette al nostro tavolo. Ben presto ci ritrovammo in cinque.
-Eravamo venuti tutti al caffè per stare con la gente. Tutti ci sentivamo soli. L'oscurità isolava, rendeva difficile uscire. Era meglio star dentro a un locale, in modo da non essere soli. Volevamo tutti la stessa cosa. Stavamo lì seduti a goderci le luci e le bibite. I soldati erano vivaci, tutti erano amichevoli. Erano state abbattute tutte le barriere. La gente non aspettava le presentazioni. Ciascuno di noi era in eguale pericolo e provava lo stesso bisogno di compagnia, di affetto e di calore. Più tardi dissi a Roger: "Andiamo fuori." Volevo essere di nuovo nelle strade buie. Camminammo lentamente, con cautela. Arrivammo a un ristorante arabo che mi piaceva, ed entrammo. La gente sedeva intorno a tavoli molto bassi. Una donna araba ben in carne stava ballando. Gli uomini le davano del denaro che lei si metteva tra i seni continuando a ballare. Quella sera il posto era pieno di soldati, ubriachi di pesante vino arabo. Anche la danzatrice era ubriaca. Non aveva mai molta roba addosso, gonne impalpabili, trasparenti, e una cintura, ma stavolta la sottana aveva uno spacco davanti e quando la donna si esibì nella danza del ventre, rivelò i peli pubici, e la carne poderosa tutta tremante.
Uno degli ufficiali le offrì un pezzo da dieci franchi dicendole: "Raccoglilo con la fica." Fatima non fece una grinza. Si diresse verso il tavolo, mise il pezzo da dieci franchi sull'orlo, aprì un po' le gambe e si contorse leggermente, come faceva durante la danza, in modo che le labbra della vulva toccassero il denaro. Sulle prime non riuscì a prenderlo. Mentre Si cimentava nell'impresa, produsse un suono di risucchio, e i soldati risero, tutti eccitati allo spettacolo. Infine le labbra della vulva si contrassero un po' intorno alla moneta, e Fatima riuscì a prenderla. La danza continuò. Un ragazzo arabo che suonava il flauto mi guardava intentamente. Roger mi sedeva accanto, incantato dalla danzatrice, con un sorriso lieve sulle labbra. Gli occhi del ragazzo arabo continuavano a bruciarmi addosso. Era come un bacio, una scottatura sulla carne. Tutti erano ubriachi e ridevano e cantavano.
Quando mi alzai, si alzò anche il ragazzo arabo. Non sapevo bene quel che facevo. All'entrata c'era unúripostiglio scuro per cappelli e cappotti. La ragazza che se ne occupava era seduta in mezzo ai soldati, e io entrai. L'arabo capì. Lo aspettai tra i cappotti. L'arabo ne adagiò uno sul pavimento e mi spinse giù. Nella penombra riuscii a vederlo estrarre un cazzo magnifico, liscio, bello. Lo volevo in bocca, ma lui non ne volle sapere. Me lo mise immediatamente nella vulva. Era duro, e caldo. Temevo che ci avrebbero pescato e volevo che facesse in fretta.
Ero così eccitata che venni immediatamente, mentre lui continuava a immergere e rimestare. Era infaticabile. Un soldato mezzo ubriaco uscì dal locale e volle il suo cappotto. Noi non ci muovemmo, e l'uomo afferrò il suo cappotto senza entrare nel nascondiglio dove eravamo acquattati. Se ne andò. L'arabo era lento a venire. Aveva una forza tremenda e nel pene, nelle mani, nella lingua Tutto in lui era solido.
Sentii il suo pene diventare più grosso e più caldo, finché l'estremità strofinò con tanta forza la vagina da farlo sembrare ruvido come se mi raschiasse. Andava avanti e indietro allo stesso ritmo regolare, senza affrettarsi. Mi lasciai andare e smisi di pensare a dove eravamo.
Pensavo solo al suo cazzo duro che sì muove va regolarmente,
ossessivamente, dentro e fuori. Senza nessun preavviso, senza un cambiamento di ritmo, egli venne, come lo zampillo di una fontana. Non tirò fuori il pene. Gli rimase duro. Voleva che venissi di nuovo. Ma la gente incominciava a uscire dal ristorante. Per fortuna ci erano caduti addosso dei cappotti che ci nascondevano. Eravamo in una specie di tenda. Non volevo muovermi. L'arabo mi chiese: "Ti rivedrò ancora? Sei così dolce e bella. Potrò mai rivederti?" Roger mi stava cercando. Mi alzai e mi diedi una rassettata. L'arabo scomparve. Altra gente incominciò a uscire. C'era il coprifuoco alle undici. La gente credette che fossi a sorvegliare i cappotti. Non ero più ubriaca, Roger mi ritrovò. Voleva portarmi a casa. Mi disse: "Ho visto il ragazzo arabo che ti guardava. Devi stare attenta." Marcel e io camminavamo nell'oscurità, fuori e dentro ai caffè, sollevando le pesanti tende nere quando entravamo, co sa che ci dava l'impressione di entrare in una specie di mondo sotterraneo, in una città di demoni. Nero come la biancheria nera delle puttane parigine, le lunghe calze nere delle ballerine dei can can, le grandi giarrettiere nere delle donne, fatte apposta per soddisfare i più perversi capricci degli uomini, i neri bustini aderenti che buttan fuori i seni e li spingono in su, verso le labbra dei maschi, come gli stivali neri delle scene di flagellazione nei romanzi francesi. Marcel tremava di piacere. Gli chiesi 'Pensi che ci siano dei posti che fanno venir voglia?" "Certo," disse Marcel.
"Perlomeno a me succede. Come è successo a te di aver voglia di fare l'amore sul mio letto di pelliccia. A me viene sempre voglia di fare l'amore dove ci sono arazzi e tende e stoffe alle pareti, dove si è come in un utero. ho sempre voglia di fare l'amore dove c’è molto rosso.
Anche dove ci sono degli specchi. Ma la stanza che mi ha eccitato di più Š una che vidi una volta vicino al Boulevard Clichy. Come sai, all'angolo di questo boulevard c’è una puttana con una gamba di legno, che ha molti ammiratori. Ne sono sempre rimasto affascinato perché avevo l'impressione che non sarei mai riuscito a farci l'amore. Ero sicuro che, appena avessi visto la gamba di legno, sarei rimasto paralizzato dall'orrore. "Era una donna giovane, allegra, sorridente, di buon carattere. Si era tinta i capelli di biondo. Ma aveva ciglia nerissime -
folte come quelle di un uomo. Aveva anche una lieve peluria nera sul labbro superiore. Doveva essere stata una ragazza scura e pelosa del sud prima di schiarirsi i capelli. La sua gamba era robusta, solida, e il corpo piuttosto bello. Ma non avevo il coraggio di invitarla.
Guardandola mi veniva in mente un quadro di Courbet che avevo visto. Gli era stato commissionato molto tempo fa da un ricco, che gli aveva chiesto di ritrarre una donna nell'atto sessuale. Courbet, che era un grande realista, aveva dipinto il sesso di una donna e nient'altro.
Aveva tralasciato testa, braccia, gambe e aveva dipinto un torso con il sesso accuratamente disegnato, in contorsioni di piacere, proteso verso un pene che usciva da un ciuffo di peli nerissimo.. questo era tutto.
Avevo l'impressione che con questa puttana sarebbe stato lo stesso, uno avrebbe pensato solo al sesso, cercando di non guardare le gambe o qualcos'altro. E forse poteva essere eccitante. Mentre me ne stavo in un angolo a deliberare con me stesso, mi si avvicinò un'altra puttana, una molto giovane. Una puttana giovane è cosa rara a Parigi. Si mise a parlare con quella dalla gamba di legno. Stava incominciando a piovere e la giovane diceva: 'Sono già due ore che cammino sotto l'acqua. Ho le scarpe rovinate. E neanche mezzo cliente.' All'improvviso mi dispiacque per lei e le dissi: 'Vuoi prendere il caffè con me?' Accettò con gioia e mi chiese: 'Sei un pittore?' 'Non sono un pittore,' risposi. 'Ma stavo ripensando a un quadro che ho visto.' "'Ci sono quadri meravigliosi al Caf‚ Wepler,' disse lei. 'E guarda questo.' Estrasse dal suo taccuino tascabile quel che pareva un fazzoletto molto delicato. Me lo aprì sotto il naso: C’è dipinto un grosso culo di donna, in una posa che lasciava vedere completamente il sesso, e anche un cazzo egualmente grosso. Tirò il fazzoletto, che era elastico, e parve che il culo si muovesse in sincronia col cazzo. Poi lo girò, e anche ora il cazzo si sollevava, ma sembrava che fosse entrato nella vulva. Allora la ragazza lo mosse in un certo modo, che animò tutta la scena. Risi, ma lo spettacolo mi eccitò e così non andammo mai al Caf‚ Wepler, e la ragazza mi propose di andare nella sua stanza. Era in una casa molto squallida di Montmartre, dove abitava tutta la gente del circo e dell'avanspettacolo. Dovemmo salire cinque piani. 'Dovrai scusare il disordine. Sto incominciando adesso a Parigi. E' solo un mese che sono qui. Prima lavoravo in una casa in una cittadina, ed era così noioso vedere la stessa gente tutte le settimane.
Era come essere sposata! Sapevo con precisione quando sarebbero venuti a trovarmi, il giorno e l'ora, puntuali come un orologio. Conoscevo tutte le loro abitudini. Non c'erano più sorprese. E così sono venuta a Parigi.' "Mentre chiacchierava, entrammo nella sua stanza. Era molto piccola: appena appena lo spazio per il grande letto di ferro sul quale la gettai e che si mise a scricchiolare come se stessimo già scopando come due scimmie. Ma quello a cui non riuscivo ad assuefarmi era che non c'erano finestre, neanche l'ombra di una finestra. Era come stare in una tomba, in una prigione, in una cella. Non riesco a descriverti con precisione com'era. Ma la sensazione che ne ricavai fu di sicurezza. Era splendido essere rinchiusi in quel modo con una donna giovane. 'Era quasi bello come essere già dentro alla sua fica. Era la stanza più fantastica in cui avessi mai fatto l'amore. Così totalmente chiusa fuori dal mondo, così stretta e confortevole, e
quando entrai in lei sentii che, per quel che mi importava, il resto del mondo poteva anche scomparire. Eccomi lì, nel posto migliore del mondo, un utero, caldo e morbido, che mi isolava da tutto il resto, mi proteggeva, mi nascondeva. "Mi sarebbe piaciuto vivere lì con quella ragazza, non uscire più. E lo feci, per due giorni. Per due giorni e due notti non facemmo altro che rimanere lì sdraiati sul suo letto ad accarezzarci e addormentarci, per poi accarezzarci e riaddormentarci di nuovo, finché fu tutto come un sogno. Ogni volta che mi risvegliavo, avevo il pene dentro di lei, umida, scura, aperta, allora mi muovevo un po', per poi rimanere tranquillo, finché non ci scoprivamo terribilmente affamati. "Allora io uscivo, compravo del vino e della carne fredda e tornavo a letto un'altra volta. Niente luce del giorno. Non sapevamo che ora fosse e se era giorno o notte. Ci limitavamo a giacere lì, a sentirci i corpi, uno dentro l'altro quasi continuamente, a bisbigliarci nelle orecchie. Yvonne diceva qualcosa per farmi ridere, allora la sgridavo: 'Yvonne, non farmi ridere così, altrimenti mi scivola fuori.'
Il mio pene usciva quando ridevo, e dovevo rimetterlo dentro. "Yvonne, sei stufa di questa storia?' le chiesi. 'Ah no,' rispose Yvonne. 'E' la prima volta che mi diverto. Quando i clienti sono di furia, sai, be', ferisce i miei sentimenti, e allora li lascio fare, ma non mi interessa per niente. E poi è un male per gli affari. Si invecchia e ci si stanca prima del tempo se si continua così. E poi ho sempre la sensazione che.
non mi facciano caso abbastanza, e questo mi fa tirare indietro, lontano da loro, dentro a una qualche parte di me. Lo capisci? " Poi Marcel mi chiese se era stato un buon amante quella prima volta a casa sua. "Sei stato un buon amante, Marcel. Mi è piaciuto il modo in cui mi hai preso il culo con tutte e due le mani. L'hai afferrato saldamente, come se ti apprestassi a mordermelo. Mi è piaciuto il modo in cui mi hai preso il sesso tra le mani. E' stato proprio il modo in cui l'hai preso, con tanta decisione, con tanta mascolinità. E quel tocco da cavernicolo che hai." "Perché le donne non dicono mai di queste cose? Perché ne devon sempre fare un gran segreto? Pensano che distrugga il loro mistero, ma non è vero. Ed ecco che arrivi tu e mi dici esattamente quello che hai provato. E' magnifico." "Io credo sia giusto dirlo. Ci sono già abbastanza misteri, e quelli di questo genere non aiutano ad apprezzarci reciprocamente. Adesso c’è la guerra e molta gente morirà, senza sapere niente, perché hanno la lingua legata sul sesso. E' ridicolo." "Mi viene in mente Saint Tropez. L'estate più bella che abbiamo avuto." Mentre lo diceva, rividi chiaramente il posto. Una colonia di artisti, dove andava la gente della buona società e attori e attrici, e yacht buttavano l'àncora. I piccoli caffè in riva al mare, la gaiezza, l'esuberanza, la rilassatezza. Tutti in costume da bagno. Tutti che fraternizzavano. La gente degli yacht con gli artisti, gli artisti con il giovane postino, con il giovane poliziotto, con i giovani pescatori, gente giovane e scura del sud. Si ballava in un patio sotto le stelle. I suonatori di jazz venivano dalla Martinica ed erano più caldi della notte d'estate.
Marcel e io eravamo seduti in un angolo una sera in cui annunciarono che avrebbero tolto la luce per cinque minuti, poi per dieci, e infine per quindici, nel bel mezzo di ogni ballo. Scegliete attentamente i vostri compagni, per il quart d'heure de passion. Scegliete attentamente i vostri compagni." Per un momento ci furono una grande agitazione e un gran trambusto. Poi incominciò il ballo e infine si spensero le luci.
Qualche donna si mise a urlare istericamente. Una voce maschile disse: "Questo è un oltraggio, non lo sopporterò!" Qualcun altro gridò: "Accendete le luci." Il ballo continuò nel buio. Si sentiva che i corpi erano in calore. Marcel era in estasi, mi stringeva come se volesse rompermi, piegato su di me, con le ginocchia tra le mie, il pene eretto.
In cinque minuti, la gente aveva solo il tempo di strusciarsi un po'.
Quando si riaccesero le luci tutti avevano un'aria un po' sconvolta.
Alcune facce sembravano apoplettiche, altre erano pallide. Marcel aveva i capelli scompigliati. I calzoncini di lino di una donna erano tutti stropicciati. L'atmosfera era soffocante, animalesca, elettrica. E allo stesso tempo c'era una facciata di raffinatezza da mantenere, una forma, un'eleganza. Un po' di gente, turbata, se ne stava andando. Altri erano come in attesa di un temporale. Altri ancora aspettavano con una luce negli occhi. "Pensi che qualcuno di loro si metterà a gridare, si trasformerà in una bestia, perderà il controllo?" chiesi. "Io potrei,"
rispose Marcel. Incominciò il secondo ballo. Si spensero le luci. La voce del capobanda disse: "Questo è il quart d'heure de passion.
Messieurs, Mesdames, adesso vi verranno concessi dieci minuti, poi quindici." Tra il pubblico si levarono piccole grida soffocate, proteste di donne. Marcel e io eravamo avvinghiati come due ballerini di tango, io sentivo che da un momento all'altro avrei potuto lasciarmi andare a un orgasmo. Poi le luci si riaccesero e il disordine e la reazione furono ancora più grandi. "Si trasformerà in un'orgia," disse Marcel. La gente si sedette con occhi abbacinati, come abbagliati dalle luci. Occhi abbacinati dal tumulto del sangue, dei nervi. Non si riusciva più a stabilire la differenza tra puttane, donne della buona società, bohémiens, ragazze del posto. Le ragazze del posto erano belle, della bellezza sensuale del sud. Ogni donna era bruciata dal sole, taitiana, coperta di fiori e conchiglie. Nell'attrito del ballo alcune conchiglie si erano rotte e giacevano sulla pista. "Non credo che arriverò fino al prossimo ballo," disse Marcel. "Ti violenterò prima." La sua mano mi stava scivolando nei calzoncini, a tastarmi. I suoi occhi erano ardenti.
Corpi. Gambe, tante gambe, brune e lucide, altre pelose come quelle di una volpe. Un uomo aveva un petto così villoso che indossava una maglietta traforata per metterlo in mostra. Sembrava uno scimmione. Le sue braccia erano lunghe e cingevano la sua compagna come se avesse voluto divorarla. Ultimo ballo. Si spensero le luci. Una donna si lasciò sfuggire un gridolino da uccello. Un'altra incominciò a difendersi.
Marcel piegò la testa sulle mie spalle e incominciò a mordermi il collo, forte. Ci schiacciammo l'uno contro l'altra e ci strusciammo. Chiusi gli occhi. Barcollavo di piacere. Ero trasportata da un'onda di desiderio che veniva da tutti gli altri ballerini, dalla notte, dalla musica.
Pensai che avrei raggiunto l'orgasmo. Marcel continuò a mordermi e io temetti che saremmo caduti sul pavimento. Ma fu l'ubriachezza a salvarci, a tenerci sospesi al di sopra dell'atto, lasciandoci godere tutto ciò che giaceva al di là. Quando le luci si riaccesero, tutti erano ubriachi, barcollanti di eccitazione nervosa. Marcel disse: "L'apprezzano di più della cosa vera. Molti preferiscono questa messa in scena. Lo fa durare così a lungo. Ma io non ce la faccio più. Lasciamoli qui seduti a godersi le loro erezioni, e le donne tutte aperte e bagnate, ma io voglio finirla, non posso aspettare. Andiamo sulla spiaggia." Sulla spiaggia il fresco ci calmò. Ci sedemmo sulla sabbia mentre da lontano ci giungeva ancora il ritmo del jazz, come un cuore che batteva, come un pene che batteva dentro a una donna, e mentre le onde rotolavano ai nostri piedi, le onde dentro di noi ci fecero rotolare l'uno sull'altro, ancora e ancora, finché non venimmo insieme, rotolando sulla sabbia, allo stesso ritmo dei battiti del jazz. Anche Marcel stava ricordando. "Che estate meravigliosa," disse. "Penso che tutti intuissero che sarebbe stata l'ultima goccia di piacere."
NOTA.
Anais Nin (NEuilly-Parigi, 1903 - Los Angeles, 1977) è oggi ritenuta un'autrice di primo piano nel panorama della letteratura internazionale.
Figura di fascino eccezionale è la Nin vissuta a lungo negli Stati Uniti, soprattutto a New York, dove rimase fino alla morte. Inizialmente influenzata da Colette e dal surrealismo francese (era amica di Breton e Artaud), quando si trasferì negli tati Uniti conobbe Henry Miller con il quale ebbe un'intensa contrastata vicenda sentimentale, che lei peraltro in vita tentò sempre di tenere nascosta. Il loro rapporto è ora documentato nel libro Storia di una passione (Bompiani, 1989), che raccoglie la corrispondenza tra i due scrittori durata per vent'anni dal 1932 al 1953), di altissima intensità emotiva per la tensione letteraria, psicologica ma anche erotica che la pervade. Anais Nin raggiunse finalmente la fama negli ultimi anni della sua vita, quando cominciò la pubblicazione dei Diari nel 1966: una sorta di Recherche proustiana al femminile che si discosta dal modello di diario classico e che proprio per la sua originalità contribuì ad affermare la Nin come figura pubblica di grande rilievo culturale. Uccellini e Il delta di Venere (pubblicati da Bompiani nel 1977 e 1978), scritti negli anni quaranta, la promossero ad autrice di best seller grazie alla sua straordinaria capacità di indagare l'animo e la sensualità femminile con un linguaggio molto concreto ma anche "nebuloso e inafferrabile", come scrisse lo stesso Miller, che rivela una concezione dell'erotismo non priva di un sottile accento ironico e giocoso.
INDICE................................................ Errore. Il segnalibro non è definito.
BIBLIOGRAFIA .................................. Errore. Il segnalibro non è definito.
MATILDE. .................................................................................................... 4
IL COLLEGIO............................................................................................ 10
L'ANELLO.................................................................................................. 11
MAIORCA. ................................................................................................. 13
ARTISTI E MODELLE............................................................................... 14
LILIT........................................................................................................... 26
MARIANNE. ............................................................................................... 29
LA DONNA VELATA. ................................................................................ 34
ELENA........................................................................................................ 38