Vedendo con quanta grazia reggeva il bocchino della sigaretta, osservando l'espressione romantica e sognante dei suoi occhi, Donald si chiese come potesse fare una cosa del genere. Comunque questo mise fine alle sue civetterie. Poi entrò Leila, vide Elena, e andò a sedersi al loro tavolo. Conosceva Miguel e Donald, e le piacevano i pavoneggiamenti di quest'ultimo: la mostra di colori immaginari, di piume non possedute; senza i capelli tinti, le ciglia dipinte, le unghie dipinte, che avevano le donne. Rise con Donald e ammirò la grazia di Miguel, poi si rivolse a Elena e immerse i suoi occhi neri in quelli verdissimi di lei. "Come sta Pierre? Perché non lo porti allo studio ogni tanto? Io ci vado tutte le sere, prima di cantare. Non sei mai venuta a sentirmi cantare. Sono al night club tutte le sere, verso le undici." Più tardi le disse: "Vuoi che ti accompagni da qualche parte?" Uscirono insieme e salirono dietro sulla limousine nera di Leila. Leila si piegò su Elena e le coprì la bocca con le sue labbra piene, in un bacio interminabile in cui Elena si perse completamente. I capelli caddero mentre le teste si appoggiavano contro i sedili. Leila la abbracciò. La bocca di Elena si posò sul suo collo, sulla scollatura del vestito nero, che le si apriva tra i seni.

Le bastò spingere via la seta con le labbra per sentire l'inizio dei seni. "Cercherai ancora di sfuggirmi?" Elena le premette le dita contro i fianchi coperti di seta, sentendo la ricchezza delle anche, la pienezza delle cosce, accarezzandola. L'allettante sericità della pelle e della seta del vestito si scioglievano l'una nell'altra. Elena sentì la leggera sporgenza della giarrettiera e avrebbe voluto aprire le ginocchia di Leila, subito, lì in macchina. Leila diede all'autista un ordine che Elena non sentì. La macchina cambiò direzione. "Questo è un rapimento," disse Leila, con una risata profonda. Senza cappello, coi capelli sciolti, entrarono nell'appartamento di Leila in penombra, con le tende chiuse contro la calura estiva. Leila condusse Elena per mano nella sua camera e caddero insieme sul grande letto lussuoso. Di nuovo seta, seta sotto le dita, seta tra le gambe, spalle, collo, capelli serici. Labbra di seta, tremanti sotto le dita. Era come la notte alla fumeria d'oppio; le carezze prolungate, la suspense trattenuta preziosamente. Ogni volta che si avvicinavano all'orgasmo, osservando l'accelerarsi dei movimenti, Leila ed Elena riprendevano a baciarsi, un bagno d'amore, come in un sogno interminabile, con gli umori che creavano un lieve ticchettio di pioggia tra i loro baci. Il dito di Leila era deciso e imperioso come un pene; la sua lingua sapeva spingersi lontano, sapiente, nelle nicchie più riposte a toccarne i nervi. Invece di un solo centro sessuale, il corpo di Elena sembrava avere milioni di aperture sessuali, ugualmente sensibili, ogni i cellula della pelle dotata della sensibilità di una bocca. La carne stessa delle sue braccia si apriva e si contraeva al passaggio della lingua o delle dita di Leila. Elena gemeva, e Leila le mordeva la carne come per strapparle gemiti più forti. La sua lingua tra le gambe di Elena era come un pugnale, agile e affilato. Quando venne l'orgasmo, fu così vibrante che scosse i loro corpi dalla testa ai piedi. Elena sognò Pierre e Bijou; Bijou dalla carne abbondante, la puttana, l'animale, la leonessa, una dea lussuriosa dell'abbondanza, la sua carne un letto di sensualità: in ogni suo poro, in ogni sua curva. Nel sogno le sue mani erano avide, il suo corpo si sollevava in montagne frementi di carne in fermento, saturate di umor;, piegate in molti strati voluttuosi. Bijou era sempre sdraiata, inerte e si risvegliava solo al momento dell'amore.

Tutti i fluidi del desiderio gocciolavano lungo le ombre argentate delle sue gambe, intorno ai fianchi a forma di violino, scendendo e salendo con rumore di seta bagnata intorno alle infossature dei seni. Elena la vedeva dappertutto, nelle gonne attillate delle passeggiatrici, sempre in attesa di adescare. Pierre aveva amato la sua andatura oscena, le sue occhiate ingenue, la sua cupezza ubriaca, la sua voce virginale. Per poche notti egli aveva amato quel sesso a passeggio, quell'utero ambulante, aperto a tutti. E ora forse l'amava di nuovo. Pierre mostrò a Leila una fotografia di sua madre, la madre lussuriosa. La somiglianza con Bijou era sconcertante, erano simili in tutto, fuorché negli occhi.

Quelli di Bijou avevano occhiaie violette. La madre di Pierre aveva un'aria più sana. Ma Allora Elena pensò: sono perduta. Non aveva creduto alla storia di Pierre secondo il quale ora Bijou lo respingeva.

Incominciò a frequentare il caffè in cui si erano incontrati Pierre e Bijou, sperando di scoprire qualcosa che ponesse fine ai suoi dubbi. Non scoprì niente, salvo che a Bijou piacevano dei ragazzi molto giovani, col viso e le labbra freschi, col sangue fresco. Questo la calmò un poco. Mentre Elena cercava di incontrare Bijou e smascherare un nemico, Leila cercava di incontrare Elena, con mille astuzie E le tre donne si incontrarono, spinte nello stesso caffè in un giorno di pioggia insistente: Leila profumata e ostentatamente elegante, a testa alta, con una stola di volpe argentata che le ondeggiava sulle spalle sopra un impeccabile abito nero; Elena vestita di velluto color vino; e Bijou nel suo abbigliamento da passeggiatrice, che non abbandonava mai, con un vestito nero aderente e tacchi a spillo. Leila sorrise a Bijou, poi riconobbe Elena. Tremando, le tre donne sedettero davanti agli aperitivi. Quel che Elena non si era aspettata era di essere

completamente travolta dal fascino voluttuoso di Bijou. Alla sua destra sedeva Leila, decisa, brillante, e alla sua sinistra Bijou, come un letto di sensualità in cui Elena avrebbe voluto lasciarsi cadere. Leila la osservava e soffriva. Poi si accinse a corteggiare Bijou; cosa che sapeva fare molto meglio di Elena. Bijou non aveva mai conosciuto donne come Leila, ma solo le donne che facevano il suo mestiere e che, quando non c'erano gli uomini, indulgevano con Bijou in orge di baci, per rifarsi della brutalità maschile. Sedevano a baciarsi in uno stato ipnotico, ma questo era tutto. Bijou era sensibile alla sottile adulazione di Leila, ma allo stesso tempo era incantata da Elena. Elena era una novità assoluta per lei. Rappresentava per gli uomini un tipo di donna che era l'opposto della puttana, una donna che sembrava fatta di un'altra sostanza, una donna che sembrava inventata dalla leggenda.

Inoltre Bijou conosceva gli uomini abbastanza bene da sapere che Elena era il tipo di donna che suscitava in loro il desiderio di iniziarla alla sensualità, che amavano vedere schiavizzata dalla sensualità. Più la donna era leggendaria, più era grande il piacere di dissacrarla ed erotizzarla. Anche lei, sotto sotto, al di là di tutti i sogni, era un'altra cortigiana, che viveva per il piacere dell'uomo. A Bijou, che era la puttana delle puttane, sarebbe piaciuto cambiare posto con Elena.

Le puttane invidiano sempre le donne che hanno la facoltà di suscitare il desiderio e l'illusione, insieme all'appetito sessuale. A Bijou, organo sessuale a passeggio senza travestimenti, sarebbe piaciuto avere l'aspetto di Elena Ed Elena stava giusto pensando a quanto le sarebbe piaciuto far cambio con Bijou, per le molte volte in cui gli uomini si stancavano del corteggiamento, e volevano il sesso puro e semplice, bestiale e diretto. Elena moriva dalla voglia di essere violentata ogni giorno, senza riguardo per i suoi sentimenti; Bijou desiderava essere idealizzata. Soltanto Leila era soddisfatta d'essere nata libera dalla tirannia maschile, libera dagli uomini. Ma non si rendeva conto che aiutare l'uomo non significava essersene liberata. Fece la sua corte amabilmente, con tutte le adulazioni, alla puttana delle puttane. Dato che nessuna di loro abdicò, alla fine uscirono tutte insieme dal caffè.

Leila invitò Elena e Bijou nel suo appartamento. Quando arrivarono, lo trovarono profumato di incensi ancora accesi. L'unica fonte di illuminazione proveniva da un globo di vetro illuminato, pieno d'acqua e di pesci iridescenti di coralli e di cavallucci marini di vetro. Questo dava alla stanza un aspetto sottomarino, come in un sogno, un posto in cui tre donne, belle in modo diverso, esalavano un'aura talmente sensuale che un uomo ne sarebbe stato sopraffatto. Bijou aveva paura a muoversi. Le sembrava tutto così fragile. Si sedette a gambe incrociate, come una donna araba, e si mise a fumare. Elena sembrava irradiare luce come il globo di vetro. I suoi occhi brillavano febbrili nella semioscurità. Leila emanava un fascino misterioso per entrambe le donne, dava il sensodell'ignoto. Si sedettero tutte e tre sul divano bassissimo, su una pila di cuscini. La prima a muoversi fu Leila, che fece scivolare la mano ingioiellata sotto la gonna di Bijou e rimase senza fiato per la sorpresa di toccare la pelle dove si era aspettata di trovare della biancheria di seta. Bijou si sdraiò e porse la bocca a Elena, la sua forza tentata dalla fragilità di Elena, e per la prima volta sperimentò quello che sente un uomo, che vede la leggerezza di una donna piegarsi sotto il peso di una bocca, la piccola testa reclinata dalle sue mani pesanti, i capelli leggeri che fluttuano. Le mani forti di Bijou circondarono con delizia il collo delicato. Tenne la testa tra le sue mani come una coppa per bere dalla bocca lunghe sorsate di nettare lieve, con la lingua ondulata. Leila ebbe un attimo di gelosia, ogni carezza che faceva a Bijou, Bijou la trasmetteva a Elena: esattamente la stessa carezza. Dopo che Leila ebbe baciato la bocca generosa di Bijou questa prese le labbra di Elena tra le sue. Quando la mano di Leila scivolò più in basso sotto il vestito di Bijou, questa infilò la sua mano sotto l'abito di Elena. Elena non si mosse, lasciandosi invadere dal languore. Allora Leila si mise in ginocchio e accarezzò Bijou con entrambe le mani. Quando le sollevò il vestito, Bijou si lasciò andare e chiuse gli occhi per sentire meglio i movimenti delle mani calde e decise. Elena, vedendo Bijou che si offriva, osò toccarle il corpo voluttuoso e seguire ogni contorno delle curve ricche, un letto di piume, morbido, con una carne soda, senza ossa, profumato di legno di sandalo e muschio. Toccando i seni di Bijou le si indurirono i capezzoli. Quando accarezzò le natiche di Bijou, la sua mano incontrò quella di Leila. Poi Leila incominciò a svestirsi, rimanendo con una piccola guaina morbida di raso nero, che le reggeva le calze con sottili giarrettiere nere. Le sue cosce, bianche e sottili, brillavano, il pube rimaneva nell'ombra. Elena le slacciò le giarrettiere per veder emergere le gambe lisce. Bijou si tirò il vestito sopra la testa, poi si piegò in avanti per liberarsene, e così facendo mise a nudo la pienezza del suo sedere, la fossetta alla fine della colonna vertebrale, la schiena inarcata. Allora anche Elena si tolse il vestito. Indossava biancheria di pizzo nero, con delle aperture davanti e dietro che mostravano solo le pieghe ombrose dei suoi segreti sessuali. Ai loro piedi c'era una grande pelliccia bianca e su di essa si lasciarono andare, i tre corpi in accordo, che si muovevano l'uno contro l'altro per sentire seno contro seno, ventre contro ventre. Cessarono di essere tre corpi.

Divennero tutte bocche e dita, e lingue e sensi. Le loro labbra cercavano altre labbra, un capezzolo, un clitoride. Giacevano avvinghiate e si muovevano con grande lentezza. Si baciarono finché baciarsi divenne una tortura e il corpo si fece inquieto. Le loro mani trovavano sempre una carne arrendevole, un'apertura. La pelliccia sulla quale giacevano esalava un odore animale, che si mescolava con gli odori del sesso. Elena cercò il corpo pieno di Bijou. Leila fu più aggressiva.

Fece sdraiare Bijou al suo fianco, con una gamba sulla sua spalla, e incominciò a baciarla tra le gambe. Di quando in quando, Bijou balzava indietro, lontano dai baci e dai morsi brucianti, da quella lingua dura come un sesso maschile. Quando si muoveva così, il suo sedere finiva completamente sul viso di Elena, che lo aveva accarezzato amandone la forma. Ora inserì un dito nella piccola apertura posteriore. Lì sentiva ogni contrazione causata dai baci di Leila, come se toccasse le pareti contro le quali Leila muoveva la lingua. Bijou, ritraendosi dalla lingua che la frugava, si muoveva contro un dito che le dava piacere. Esprimeva la sua voluttà con gorgoglii melodiosi e in certi momenti, come una selvaggia che viene tormentata, scopriva i denti e cercava di mordere la sua persecutrice. Quando stava per venire e non riusciva più a difendersi dal piacere, Leila smise di baciarla, lasciandola a mezza strada, sull'orlo di una sensazione struggente, quasi impazzita. Elena smise nello stesso momento. Ormai incontrollabile, come una splendida maniaca, Bijou si gettò sul corpo di Elena le aprì le gambe. le si mise sopra. in attesa. Elena e Leila, dimentiche di lei, stavano concentrando tutte le loro sensazioni nella lingua, leccandosi a vicenda. Bijou impaziente, follemente eccitata, incominciò ad accarezzarsi da sola, ma Leila ed Elena allontanarono la sua mano e ricaddero SU di lei.

L'orgasmo di Bijou arrivò come un tormento squisito. Incollò il suo sesso a quello di Elena e incominciò a muoversi, con disperazione. Come un uomo, cadeva su Elena per sentire i due sessi incontrarsi, saldarsi.

Poi, sentendo l'orgasmo arrivare, si interruppe, per prolungare il piacere, si lasciò cadere di fianco e aprì la bocca sui seni di Leila, che erano in cerca di una carezza. Anche Elena era in preda alla frenesia che precede l'orgasmo. Sentì una mano sotto di sé, una mano contro la quale poteva strusciarsi. Voleva gettarsi su questa mano perché la facesse venire, ma voleva anche prolungare il suo piacere.

così smise di muoversi. La mano continuava a cercarla, allora si alzò e la mano continuò a spostarsi verso il suo sesso. Poi sentì Bijou appoggiata alla sua schiena, ansimante. Ne sentì i seni appuntiti, lo struscio dei peli pubici contro le sue natiche. Bijou le si strusciò contro, scivolando su e giù lentamente, sapendo che la frizione avrebbe costretto Elena a girarsi in modo da sentirsela sui seni, sul sesso, sul ventre. Mani, mani dappertutto, contemporaneamente. Le unghie appuntite di Leila affondarono nelle parti più morbide delle spalle di Elena, tra il seno e l'ascella, facendole male, un dolore delizioso, la tigre che prendeva la sua preda, lacerandola. Il corpo di Elena bruciava talmente che ella temette che un solo tocco avrebbe scatenato l'esplosione. Leila lo sentì, e si separarono. Tutte e tre caddero sul divano. Smisero di toccarsi, e si guardarono, ammirando il loro disordine, vedendo il fluido brillare sulle gambe bellissime. Ma non riuscivano a tener le mani lontane dai corpi delle altre, e ora Elena e Leila insieme attaccarono Bijou, intente a strapparle la sensazione estrema. Bijou venne circondata, abbracciata, coperta, leccata, baciata, morsa, spinta di nuovo sul tappeto di pelliccia, tormentata con un milione di mani e di lingue. Ormai implorava di essere soddisfatta, spalancava le gambe, cercava di darsi piacere da sola strusciandosi contro ii corpi delle altre, ma queste non glielo permettevano. La saccheggiavano con le lingue e le dita, davanti e di dietro, interrompendosi a volte per toccarsi le lingue; Elena e Leila, bocca a bocca, con le lingue intrecciate, sulle gambe aperte di Bijou. Bijou si sollevò per ricevere un bacio che mettesse fine alla sua sete d'ogni spasimo, si muoveva come se la stessero pugnalando. Quasi gridò perché cessasse. Sopra il suo corpo abbandonato, Elena e Leila ripresero il loro lingua a lingua, con le mani che frugavano ebbre dappertutto, penetravano ogni orifizio, finché Elena gridò. Le dita di Leila avevano trovato il suo ritmo ed Elena le si aggrappò, desiderando che il piacere esplodesse, mentre le sue mani cercarono di dare a Leila lo stesso godimento. Cercarono di venire all'unisono, ma Elena venne prima, cadendo stupefatta, lontano dalla mano di Leila, colpita dalla violenza del suo orgasmo. Leila le cadde accanto, offrendo il sesso alla bocca di Elena. Quando il piacere di Elena si affievolì, si allontanò, estinguendosi, ella diede a Leila la sua lingua, leccò la bocca del sesso finché Leila non si contrasse gemendo. Morse la carne tenera di Leila che, nel parossismo del piacere, non sentì i denti affondati nella vulva. Elena ora capiva perché alcuni mariti spagnoli si rifiutavano di iniziare le mogli a tutte le possibilità dell'amplesso: per evitare il rischio di risvegliare in loro una passione insaziabile. Invece di essere appagata, pacificata dall'amore di Pierre, era divenuta più vulnerabile. Più desiderava Pierre, più aumentava il suo appetito per altri amori. Le pareva che le interessasse poco il radicamento dell'amore, il suo stabilizzarsi, voleva soltanto il momento di passione da tutti. Non aveva neanche voglia di rivedere Leila. Voleva vedere lo scultore Jean perché era divorato da quel fuoco che ella amava. Voleva essere bruciata. Pensò tra sé: parlo quasi come una santa, bruciare d'amore, non per un amore mistico, ma per un inquietante incontro sessuale. Pierre ha risvegliato in me una donna che non conoscevo, una donna insaziabile. Come se avesse ordinato al suo desiderio di realizzarsi, trovò Jean che l'aspettava alla porta. Come al solito le aveva portato un piccolo dono in un pacchettino che teneva goffamente. Il modo di muoversi del suo corpo, il modo di tremare del suo sguardo quando lei si avvicinava, tradivano la forza del suo desiderio. Elena era già posseduta dal suo corpo ed egli si muoveva come se già le fosse dentro. ®Non sei mai venuta a trovarmi,"

le disse umilmente. "Non hai mai visto il mio lavoro." "Andiamo adesso,"

rispose Elena, e con passo lieve e danzante camminò al suo fianco.

Arrivarono in una parte strana e squallida di Parigi, vicino a una delle porte, una città di baracche trasformate in studi, porta a porta con le case degli operai. E qui Jean viveva con le statue al posto dei mobili, statue massicce. Lui era fluido, mutevole, ipersensibile, eppure aveva creato solidità e potere con le sue mani tremanti. Le sculture erano come monumenti, cinque volte più grandi del vero, le donne incinte, gli uomini indolenti e sensuali, con mani e piedi come radici di un albero.

Un uomo e una donna erano talmente plasmati insieme, che non si riusciva a distinguere la differenza tra i loro corpi. I contorni erano totalmente saldati. Legati dai loro genitali, torreggiavano su Elena e Jean. All'ombra di questa statua, si vennero incontro, senza una parola, senza un sorriso. Persino le loro mani non si mossero Quando si incontrarono, Jean spinse Elena contro la statua. Non si baciarono, né si toccarono con le mani. Solo il loro torso si incontrò, quasi a ripetere, nella calda carne umana, la saldatura della statua sopra di loro. Egli premette i genitali contro quelli di lei, con un ritmo leggero, estasiato, come se volesse entrare così nel suo corpo. Scivolò giù, come per inginocchiarsi ai suoi piedi, ma solo per alzarsi di nuovo, questa volta sollevandole il vestito, che si ammucchiò in un groviglio sotto le braccia di lei E di nuovo le si premette contro, a volte muovendosi da destra a sinistra o da sinistra a destra, a volte in cerchio, a volte spingendo con violenza compressa. Elena sentì il groppo del desiderio di lui strofinarla come se stesse accendendo un fuoco con due pietre, che sprizzava scintille appena si muoveva, e alla fine scivolò sul pavimento, come in un sogno leggero. Cadde scomposta, presa tra le gambe di lui, che ora voleva fissare questa posizione, eternarla, inchiodarle il corpo con i colpi della sua virilità rigogliosa. Si mossero di nuovo, lei per offrire i recessi più profondi della sua femminilità, lui per unirli. Elena si contrasse per sentire di più la sua presenza, muovendosi con un ansito di gioia insostenibile, come se avesse toccato il punto più vulnerabile del suo essere. Jean chiuse gli occhi per sentire meglio il prolungamento del suo essere in cui si era concentrato tutto il suo sangue e che ora giaceva nella voluttuosa oscurità di lei. Non poteva più trattenersi e spinse ancor di più per invaderla, per riempirle il grembo fino all'orlo col suo sangue, e mentre lo riceveva, il piccolo passaggio in cui si muoveva gli si chiuse ancor più strettamente intorno, inghiottendo l'essenza del suo essere dentro il grembo di lei. La statua proiettava la sua ombra sul loro amplesso che non si scioglieva. Giacevano immobili, come pietrificati, sentendo svanire il piacere fino all'ultima goccia. Elena stava già pensando a Pierre. Sapeva che non sarebbe tornata da Jean. Pensò: domani sarebbe meno bello. Pensò con una paura superstiziosa che se fosse rimasta con Jean, Pierre avrebbe intuito il tradimento e l'avrebbe punita. Si aspettava di essere punita. In piedi, davanti alla porta di Pierre, si aspettava di trovare Bijou lì, nel suo letto, con le gambe spalancate. Perché Bijou? Perché Elena si aspettava una vendetta per il tradimento del suo amore. Il cuore le batteva all'impazzata quando aprì la porta. Pierre le sorrise con innocenza. Ma non era innocente anche il proprio sorriso? Per accertarsene, si guardò nello specchio. Si aspettava forse che il demone che la possedeva facesse capolino nei suoi occhi verdi? Osservò la sua gonna stazzonata, i granelli di polvere sui sandali. Sentì che Pierre, se avesse fatto l'amore con lei, si sarebbe accorto che il seme di Jean scorreva insieme al suo fluido. Evitò le sue carezze e propose di andare a vedere la casa di Balzac a Passy. Era un pomeriggio dolce e piovigginoso, tinto di quella malinconia parigina che faceva stare in casa la gente, che creava un'atmosfera erotica perché calava come una cappa sulla città, racchiudendo tutti in un'atmosfera fiacca, come in un'alcova, e dappertutto c'era un particolare che ricordava la vita erotica: un negozio seminascosto, che esponeva biancheria e giarrettiere nere e stivali neri; l'andatura provocante delle donne parigine; taxi che trasportavano amanti abbracciati. La casa di Balzac era in cima a una strada che saliva in collina a Passy, e dava sulla Senna. Prima dovettero suonare alla porta di un appartamento, poi scendere una rampa di scale che sembrava sboccare su una cantina e si apriva invece su un giardino. Poi dovettero attraversare il giardino e suonare a un'altra porta. E questa era la porta della sua casa, nascosta nel giardino del condominio, una casa segreta e misteriosa, così nascosta e isolata nel cuore di Parigi. La donna che venne ad aprire era come un fantasma del passato: il viso sbiadito, capelli e vestiti sbiaditi, senza sangue. A furia di vivere con i manoscritti di Balzac, con le fotografie, gli epitaffi per le donne che lui aveva amato, le prime edizioni, la donna era permeata di un passato svanito, e tutto il sangue era defluito da lei. La sua stessa voce era distante, spettrale.

Dormiva in quella casa piena di ricordi morti, ed era diventata egualmente morta al presente. Era come se ogni notte scendesse nella tomba di Balzac, a dormire con lui. Li guidò attraverso le stanze e poi sul retro della casa. Arrivò a una botola, infilò le lunghe dita ossute nell'anello e la sollevò perché Elena e Pierre potessero vedere. Dava su una piccola scaletta. Era la botola che Balzac aveva costruito perché le donne che venivano a trovarlo potessero sfuggire alla sorveglianza e ai sospetti dei mariti. Lui stesso la usava per sottrarsi ai creditori. La scaletta sbucava su un sentiero che portava a un cancello aperto su una strada isolata che finiva poi sulla Senna. Si poteva scappare prima che la persona alla porta principale avesse il tempo di attraversare la prima stanza. Per Elena e Pierre, quella botola evocò talmente la vita amorosa di Balzac, che ebbe su di loro l'effetto di un afrodisiaco.

Pierre le sussurrò: "Mi piacerebbe prenderti proprio qui sul pavimento."

La donna fantasma non unì queste parole, pronunciate con la franchezza di un uomo da bassifondi, ma catturò l'occhiata che le accompagnava.

L'umore dei visitatori non armonizzava con la santità del luogo, ed ella li spinse fuori alla svelta. L'alito di morte aveva sferzato i loro sensi. Pierre fermò un taxi. E nella macchina non pot‚ aspettare. Fece sedere Elena sopra di sé, di schiena, con tutto il corpo contro il suo, a nasconderlo. Le sollevò la gonna. Elena disse: "No, Pierre, aspetta che arriviamo a casa. La gente ci può vedere. Per piacere, aspetta. Oh Pierre, mi fai male! Guarda, il poliziotto ci ha guardato, e adesso siamo fermi, la gente ci può vedere dal marciapiede, per carità Pierre, smettila!" Ma per tutto il tempo, mentre si difendeva debolmente, e cercava di sfuggirgli, era conquistata dal piacere. I suoi sforzi per star seduta immobile la rendevano ancor più cosciente di ogni movimento di Pierre. Ora temeva che lui potesse affrettare i suoi gesti, spinto dalla velocità del taxi e dalla paura che presto si sarebbe fermato di fronte alla casa, e che il conducente si sarebbe girato verso di loro. E

invece lei voleva godersi Pierre, rinsaldare il loro legame, l'armonia dei loro corpi. Dalla strada li osservavano, tuttavia non riusciva a strapparsi da lui, che ora l'aveva circondata con le braccia. Poi, un sobbalzo violento del taxi su una buca in mezzo alla strada li separò.

Era troppo tardi per riprendere l'abbraccio. Il taxi si era fermato e Pierre ebbe appena il tempo di allacciarsi i pantaloni. Elena sentiva che dovevano avere entrambi un'aria ebbra, stravolta; il languore del suo corpo le rendeva difficile muoversi. Pierre era pervaso da un piacere perverso per questa interruzione. Gli piaceva sentire le sue ossa mezze sciolte nel corpo, I il riflusso quasi doloroso del sangue.

Elena assecondò questo nuovo capriccio, e più tardi si sdraiò con lui sul letto a scambiare carezze e a chiacchierare. Poi Elena raccontò a Pierre una storia che aveva udito il mattino da una ragazza francese che cuciva per lei: "Madeleine lavorava per un grande magazzino. Veniva dalla famiglia di straccivendoli più povera di tutta Parigi. Sia il padre sia la madre vivevano raccattando le immondizie e vendendo i pezzi di latta, di pelle e di carta che trovavano. Madeleine fu assegnata al sontuoso reparto camere da letto, sotto la supervisione di un affabile caporeparto tutto impomatato e I inamidato. Madeleine non aveva mai dormito in un letto, ma solo su una pila di stracci e di giornali in una baracca. Quando la gente non la guardava, tastava il raso dei copriletti, i materassi, i cuscini di piume, come se si fosse trattato di ermellino o cincillà. Aveva la capacità tutta parigina di vestirsi con grazia coi soldi che altre spendevano per le calze. Era attraente, con occhi spiritosi, capelli neri ricciuti, e curve pronunciate. Aveva due passioni: una era quella di rubare qualche goccia di profumo nel reparto cosmetici, l'altra di aspettare che il magazzino chiudesse per sdraiarsi su uno dei letti più soffici fingendo che avrebbe dormito lì.

Preferiva quelli col baldacchino, si sentiva più sicura sdraiata dietro le tende. Il supervisore di solito aveva una fretta tale di andarsene, che Madeleine poteva rimanere sola qualche minuto a indulgere nelle sue fantasie. Sdraiata su questi letti, pensava di avere un fascino mille volte più forte e sognava che certi uomini eleganti che aveva visto agli Champs Elysées potessero vederla sdraiata lì e rendersi conto di quanto poteva esser bella in una camera da letto sontuosa. "La sua fantasia divenne poi più complicata. Fece in modo di avere un tavolo da toilette con lo specchio di fronte al letto per potersi ammirare quando si sdraiava. Poi un giorno, dopo aver completato tutti i particolari della cerimonia, vide che il supervisore era rimasto a guardarla pieno di stupore. Mentre stava per saltar giù dal letto, lui la fermò: 'Madame,'

le disse (di solito la chiamavano Mademoiselle), 'sono felice di fare la sua conoscenza. Spero le sia piaciuto il letto che ho fatto per lei, secondo i suoi ordini. Lo trova abbastanza soffice? Pensa che il signor conte lo apprezzerà?' 'Fortunatamente il signor conte è via per una settimana e io potrò godermi il mio letto con qualcun altro,' rispose Madeleine. Poi si mise a sedere e offrì la mano all'uomo. 'Ora la baci come bacerebbe la mano a una signora in un salotto.' Sorridendo, egli la assecondò con soave eleganza. Poi udirono un suono ed entrambi svanirono in direzioni diverse "Ogni giorno rubavano cinque o dieci minuti dopo l'ora di chiusura. Fingendo di riordinare, di spolverare, di rettificare i prezzi sui cartellini, organizzavano le loro scenette. Il supervisore aggiunse il tocco più efficace di tutti: un paravento. E lenzuola bordate di pizzo prese da un altro reparto. Poi fece il letto e ripiegò le coperte. Dopo che lui le aveva baciato le mani, chiacchieravano. La chiamava Nana, e poiché Madeleine non aveva il libro omonimo, lui glielo regalò. Quel che lo preoccupava adesso, era l'effetto assurdo del vestitino nero e attillato di lei sul copriletto color pastello. Allora prendeva un neglig‚ trasparente, che durante il giorno stava su un manichino, e con questo copriva Madeleine. Anche se passava di lì qualche addetto alle vendite, non vedeva la scena che si svolgeva dietro il paravento. "Dopo averle baciato la mano, il sorvegliante le dava un bacio più su, sul braccio, nell'incavo del gomito. La pelle lì era sensibile, e quando Madeleine piegava il braccio aveva l'impressione che il bacio vi restasse racchiuso. Lo lasciava lì, come un fiore tra le pagine di un libro, e più tardi, quando era sola, apriva il braccio e lo baciava nello stesso punto, come a divorarlo più intimamente. Questo bacio, deposto con tanta delicatezza, era più potente di tutti i pizzicotti grossolani che aveva ricevuto per la strada come tributi al suo fascino o delle oscenità sussurratele dagli operai: 'Viens que je te suche'. "Sulle prime il supervisore sedeva ai piedi del letto, poi incominciò ad allungarsi di fianco a lei e a fumare una sigaretta con tutte le cerimonie di un fumatore d'oppio perso in sogni. Il suono allarmante di passi al di là del paravento conferiva ai loro incontri la segretezza e il pericolo di un convegno amoroso. Madeleine diceva: 'Se solo potessimo evitare la sorveglianza gelosa del conte! Mi sta dando ai nervi.' Ma il suo ammiratore era troppo saggio per proporle: 'Vieni con me in qualche alberghetto.' Sapeva che tutto questo non poteva aver luogo in una stanza squallida, con un letto di ottone con coperte logore e lenzuola grigiastre. Lasciò cadere un bacio nella nicchia più calda del suo collo, sotto i riccioli neri, poi sulla punta dell'orecchio, là dove Madeleine non poteva assaggiarlo più tardi, là dove poteva solo toccarlo con le dita. L'orecchio le bruciò tutto il giorno dopo questo bacio, perché lui aveva incominciato a morderglielo. E "Appena Madeleine si sdraiava, si lasciava andare a un certo languore, il che era forse dovuto al suo concetto del comportamento aristocratico, o ai baci che ora le piovevano come una collana sul collo, sulla gola, e più giù, all'attaccatura dei seni. Non era una vergine, ma la brutalità degli attacchi che aveva subito, spinta contro un muro in stradine buie, gettata sul pavimento di un camion, o arrovesciata dietro le baracche degli straccivendoli, dove la gente si accoppiava senza neanche prendersi la briga di guardarsi in faccia, non l'aveva mai turbata come questo corteggiamento dei sensi graduale e cerimonioso. Per tre o quattro giorni lui si gingillò amorosamente con le sue gambe, le fece indossare pianelle orlate di pelliccia, le infilò le calze e le baciò i piedi tenendoli come se stesse possedendo tutto il suo corpo. Quando fu finalmente pronto a sollevarle la sottana aveva già infiammato così totalmente il resto del suo corpo, che Madeleine era matura per il possesso finale. "Dato che avevano poco tempo a disposizione e dovevano sempre lasciare il negozio insieme agli altri, quando si decise a prenderla egli dovette lasciar perdere le carezze. E così ora lei non sapeva più cosa preferire. Se le sue carezze si protraevano troppo, non gli restava il tempo di prenderla. Se procedeva direttamente, lei provava meno piacere. Ora, dietro il paravento si svolgevano scene recitate nelle più lussuose camere da letto, solo con più fretta, perché ogni volta dovevano rivestire il manichino e rifare il letto. Eppure non si incontrarono mai, salvo che in questi momenti. Questo era il loro sogno quotidiano. Lui disprezzava le avventure squallide dei suoi compagni in alberghi da cinque franchi. Si comportava invece come se andasse a far visita alla prostituta più corteggiata di Parigi, e fosse l'amant de coeur di una donna mantenuta da uomini ricchissimi." "E il sogno non venne mai distrutto?" chiese Pierre. "Sì. Ti ricordi lo sciopero con occupazione del grande magazzino? Gli impiegati lo occuparono per due settimane e in questo periodo tutte le coppie scoprirono la morbidezza dei letti della miglior qualità, dei divani e delle agrippine, e scoprirono le variazioni che si potevano aggiungere alle posizioni amorose quando i letti sono grandi e bassi, e stoffe ricche accarezzano la pelle. Il sogno di Madeleine divenne di dominio pubblico, una caricatura volgare del piacere che aveva sperimentato.

L'unicità dei suoi incontri con l'amante cessò. Lui la chiamò di nuovo Mademoiselle, e lei lo chiamò Monsieur. Lui cominciò a trovare dei difetti nel suo modo di vendere, e alla fine Madeleine lasciò il lavoro." Elena affittò una vecchia casa di campagna per i mesi estivi, una casa che aveva bisogno di essere ridipinta. Miguel aveva promesso di aiutarla. Incominciarono con l'attico, che era pittoresco e complicato, con una serie di stanzette irregolari, a volte una stanza dentro l'altra, come un ripensamento. C'era anche Donald ma non era interessato a imbiancare, per cui uscì a esplorare il grande giardino e il villaggio e la foresta che si estendeva oltre la casa. Elena e Miguel lavorarono da soli, coprendo di pittura se stessi, oltre che le pareti. Miguel teneva il pennello come se stesse facendo un ritratto, e si staccava dal muro per contemplare i suoi progressi. Lavorare insieme li riportò all'atmosfera della loro giovinezza. Per sconcertarla, Miguel le parlò della sua "collezione di culi", fingendo che fosse la bellezza di questo particolare ad affascinarlo e a tenerlo attaccato a Donald, che la possedeva al massimo grado: l'arte di trovare un culo che non fosse troppo tondo, come quello della maggioranza delle donne, e non troppo piatto, come quello degli uomini, ma una via di mezzo, qualcosa che valesse la pena di palpare. Elena rideva. Pensava che quando Pierre le girava la schiena le sembrava una donna, e le faceva venir voglia di violentarlo. Non faceva fatica a immaginarsi i sentimenti di Miguel quando giaceva contro la schiena di Donald. "Ma allora, se il culo è abbastanza rotondo e sodo, e se il ragazzo non ha un'erezione," disse Elena, "non c’è una gran differenza con una donna. Oppure devi ancora tastare per trovare delle differenze?" "Ma certo! Pensa a come sarebbe terribile non trovarci niente, laggiù, e anche trovare troppo più in su, quei rigonfiamenti mammari, seni da latte, una cosa da paralizzare ogni appetito sessuale." "Alcune donne hanno dei porta-latte molto piccoLi,"

disse Elena. Ora toccava a lei stare in piedi sulla scala per raggiungere un cornicione e l'angolo obliquo della stanza. Alzando il bracciò sollevò anche la gonna; le due gambe erano snelle, senza "rotondità esagerate", come le aveva detto Miguel, per farle un complimento che si poteva permettere ora che il loro rapporto era al sicuro da ogni speranza sessuale da parte di Elena. Il desiderio di Elena di sedurre un omosessuale era un errore comune fra le donne. Di solito era un punto d'onore femminile, un desiderio di dimostrare il proprio potere contro ogni stranezza, la sensazione, forse, che tutti gli uomini stavano sfuggendo al loro controllo e che dovevano sedurli di nuovo. Miguel era tormentato ogni giorno da tentativi del genere. Non era effeminato, aveva un bel portamento e gesti mascolini. Appena una donna incominciava a circuirlo con le sue civetterie, veniva preso dal panico. Prevedeva immediatamente tutto il dramma: l'aggressione della donna, l'interpretazione della sua passività come semplice timidezza, le avances, l'odio d' lui per il momento in cui avrebbe dovuto respingerla.

Non riusciva mai à farlo con calma indifferenza. Era troppo tenero e comprensivo. A volte soffriva più della donna di cui era in gioco solo la vanità. Aveva con le donne un rapporto così familiare, che aveva sempre l'impressione di far del male alla madre, o a una sorella, o, di nuovo, a Elena, nelle sue nuove trasformazioni. Ormai sapeva quanto male aveva fatto a Elena, essendo stato il primo a instillarle il dubbio di non saper amare o di non poter essere amata. Ogni volta che sventava un approccio da parte di una donna, aveva la sensazione di commettere un crimine minore, di uccidere per sempre una fede e una sicurezza. Com'era bello essere con Elena e poter apprezzare le sue doti femminili senza pericolo! Dell'Elena sensuale si occupava Pierre. Eppure, com'era geloso di Pierre! Proprio come lo era stato del padre quand'era bambino. Sua madre lo faceva sempre uscire dalla stanza appena arrivava il padre, e questi era ansioso che lui se ne andasse. Non riusciva a sopportare che loro due si chiudessero in camera per delle ore. Appena suo padre se ne andava, l'amore della madre, i suoi baci, i suoi abbracci? tornavano a essere per lui. Quando Elena diceva: "Vado a trovare Pierre," era lo stesso. Niente poteva trattenerla. Per quanto si divertissero insieme, per quanta tenerezza Elena potesse mostrargli, quando era il momento di stare con Pierre, niente poteva trattenerla. Anche il mistero della mascolinità di Elena lo affascinava. Ogni volta che era con lei, sentiva questa qualità vitale, positiva, attiva, della sua natura. In sua presenza veniva scosso dalla sua pigrizia, dalla sua vaghezza, dalle sue procrastinazioni. Elena era il catalizzatore. Le guardò le gambe. Le gambe di Diana, Diana cacciatrice, il ragazzo-donna. Gambe per correre e saltare. Fu preso da una curiosità incontrollabile di vedere il resto di quel corpo. Si fece più sotto alla scala. Le gambe slanciate sparivano dentro un paio di mutandine di pizzo. Voleva vedere di più. Elena abbassò lo sguardo verso di lui e lo vide lì in piedi che la guardava con gli occhi dilatati. "Elena, mi piacerebbe vedere come sei fatta."

Lei gli sorrise. "Mi lasci guardare?" "Mi stai già guardando." Egli le sollevò l'orlo della sottana che si aprì su di lui come un ombrello estivo, nascondendogli la testa alla vista di Elena. Questa incominciò a scendere dalla scala, ma le mani di lui la fermarono. Aveva afferrato l'elastico delle mutandine e l'aveva teso per togliergliele. Elena rimase a metà strada sulla scala, con una gamba più su dell'altra, che impediva a Miguel di tirar giù del tutto le mutandine. Egli tirò la gamba in basso, verso di sé, in modo da eliminare del tutto l'indumento.

Le mise affettuosamente le mani sul sedere. Come uno scultore, accertò i contorni esatti di quel che aveva tra le mani, sentendone la fermezza, la rotondità, come se si trattasse semplicemente del frammento di una statua che aveva appena dissotterrato, di cui era andato perso il resto.

Tralasciò le altre forme e le altre curve e accarezzò soltanto il sedere, facendolo scendere pian piano verso il suo viso, impedendo a Elena di girarsi mentre scendeva la scaletta. Ella si abbandonò al suo capriccio, pensando che sarebbe stata solo un'orgia degli occhi e delle mani. Quando arrivò sul tappeto, Miguel aveva una mano su entrambi i promontori tondeggianti, e li palpava come fossero seni, riportando le carezze dove le aveva cominciate, ipnoticamente. Ora Elena gli stava di fronte, appoggiata alla scala. Sentì che stava cercando di prenderla.

Dapprima la toccò dove l'apertura era troppo piccola per lui e le fece male, tanto che gridò, poi si spostò in avanti, è trovò il vero orifizio femminile, scoprì che poteva scivolare in questo canale, ed ella fu stupita nel sentirlo così forte, mentre rimaneva dentro di lei e si muoveva. Benché si muovesse con forza, non accelerava i movimenti per raggiungere l'orgasmo. Stava forse rendendosi conto con maggior consapevolezza che era dentro a una donna e non a un ragazzo? Pian piano si ritrasse, la lasciò presa a metà, e nascose il viso in modo che lei non potesse vedere la sua delusione. Elena lo baciò per dimostrargli che questo episodio non gettava nubi sul loro rapporto, che lo capiva. A volte, per la strada o in un caffè, Elena rimaneva ipnotizzata dalla faccia da souteneur di un uomo, da un grosso operaio con stivaloni al ginocchio, da una testa brutale, da criminale. Sentiva un tremito sensuale di paura, un'oscura attrazione. La femmina in lei rimaneva affascinata. Per un secondo si sentiva come una puttana che teme una pugnalata nella schiena per qualche infedeltà. Si sentiva angosciata.

Era in trappola. Dimenticava di essere libera. Un oscuro strato fungoso veniva risvegliato, un primitivismo sotterraneo, un desiderio di sentire la brutalità dell'uomo, la forza che poteva spalancarla e saccheggiarla.

Essere violata era un desiderio della donna, un desiderio segreto, erotico. Dovette scuotersi dal dominio di queste immagini. Si ricordò che quel che aveva subito amato in Pierre era la luce pericolosa nei suoi occhi, gli occhi di un uomo senza colpa e senza scrupoli, che si prendeva quel che voleva, ne godeva, e non si curava dei rischi e delle conseguenze. Cos'era successo a questo indomabile, ostinato selvaggio che aveva incontrato su una strada di montagna in un mattino accecante?

Ora era addomesticato. Viveva per fare l'amore. Elena sorrise a questo pensiero; era una qualità rara in un uomo. Ma era ancora un uomo della natura. A volte gli chiedeva: "Dove hai lasciato il cavallo? Hai sempre l'aria di chi ha lasciato il cavallo alla porta, pronto a ricominciare a galoppare." Dormiva nudo e odiava pigiama, vestaglie e pantofole.

Gettava i mozziconi sul pavimento. Si lavava con acqua gelata, come i pionieri. Rideva delle comodità. Sceglieva sempre le sedie più dure. Una volta il suo corpo era così caldo e inzaccherato e l'acqua che usava così gelida, che dai pori della sua pelle uscirono nubi di vapore. Lui sollevò le mani verso di lei e le disse: ®Sei il dio del fuoco." Non riusciva ad arrendersi al tempo. Non sapeva cosa si poteva fare, o non fare; in un'ora. Metà del suo essere era perennemente addormentato, raggomitolato nell'amore materno che lei gli dava, raggomitolato nel sogno, nella pigrizia, a parlare di viaggi che avrebbe fatto, di libri che avrebbe scritto. Era anche puro, in strani momenti. Aveva la reticenza del gatto. Benché dormisse nudo, non camminava per casa nudo.

Pierre toccava tutte le regioni della comprensione con l'intuizione. Ma non viveva lì, non dormiva e non mangiava in quelle regioni superiori, come faceva lei. Spesso litigava, lottava, beveva, in compagnia di amici ordinari, passava le serate con gente ignorante. Lei non lo poteva fare.

Le piaceva l'eccezionale, lo straordinario, e questo li separava. Le sarebbe piaciuto essere come lui, vicino a tutti, a chiunque, ma non ci riusciva. Ciò la rendeva triste. Spesso, quando uscivano insieme, lei lo lasciava. Ebbero il loro primo litigio serio proprio a proposito del tempo. Pierre le telefonava e diceva: "Vieni a casa mia alle otto." Lei aveva la sua chiave, entrava e si metteva a leggere un libro. E lui arrivava alle nove. Oppure la chiamava quando era già lì ad aspettarlo e le annunciava: "Sarò lì a minuti," e poi veniva due ore dopo. Una sera dopo aver aspettato troppo a lungo (e l'attesa le era penosa perché lo immaginava a far l'amore con qualcun'altra), lui arrivò e scoprì che Elena se n'era andata. E allora toccò a lui arrabbiarsi. Ma questo non modificò il suo vizio. Un'altra volta lo chiuse fuori. Rimase accanto allàporta ad ascoltarlo. Sperava già che non se ne sarebbe andato, le spiaceva enormemente che la loro serata si rovinasse così. Ma attese. E

lui suonò di nuovo il campanello, con grande delicatezza. Se avesse suonato con rabbia non si sarebbe smossa, "ma suonò così gentilmente, con un tono così colpevole, che gli ;aprì la porta. Era ancora arrabbiata, lui invece la desiderava. Gli oppose resistenza, e questo lo eccitò ancor di più. Ma Elena fu intristita dallo spettacolo del suo desiderio. Aveva la sensazione che Pierre provocasse di proposito questa scena. Più lui si eccitava, più lei si ritraeva. Si chiudeva

sessualmente. Ma il miele le usciva dalle labbra chiuse e Pierre era in estasi. Divenne più appassionato, le aprì le ginocchia a forza con le sue gambe forti, riversandosi dentro di lei con impeto e venne con un'intensità tremenda. Mentre altre volte se non aveva provato piacere l'aveva simulato, per non ferire Pierre, questa volta Elena non finse per niente. Quando la passione di Pierre fu soddisfatta, lui le chiese: "Sei venuta?" ®No," rispose lei, e Pierre ne soffrì. Sentiva tutta la crudeltà della sua mancanza di abbandono, e le disse: "Io ti amo più di quanto non mi ami tu.¯ Eppure sapeva quanto lei l'amasse, e si sentiva perso. Poi Elena rimase sdraiata a occhi aperti, pensando che il suo ritardo era innocente; si era già addormentato quando Elena se ne andò.

Per la strada la travolse una tale ondata di tenerezza che dovette tornare nell'appartamento. Si gettò su di lui dicendo: "Ho dovuto tornare, ho dovuto tornare." "E io volevo che tu tornassi," le rispose lui. La toccò e la trovò così bagnata, così bagnata! Scivolando dentro e fuori di lei, le disse: ®Mi piace vedere come ti penetro, come ti pugnalo lì, nella tua piccola ferita." Poi si immerse in lei, per strapparle gli spasmi che prima aveva trattenuto. Quando lo lasciò, Elena era felice. L'amore poteva dunque diventare un fuoco che non brucia, come il fuoco dei santoni ind—? Stava forse imparando a camminare sui carboni ardenti?"

 

IL BASCO E BIJOU.

 

Era una notte piovosa, le strade come specchi, a riflettere ogni cosa.

Il Basco, con trenta franchi in tasca, si sentiva ricco. La gente aveva incominciato a dirgli che, alla sua maniera ingenua e cruda, era un grande pittore. Non si rendevano conto che copiava dalle cartoline illustrate. Gli avevano dato trenta franchi per il suo ultimo quadro, e questo lo aveva reso euforico, bisognava festeggiare. Stava cercando una di quelle lucine ' rosse che promettevano piacere. Una donna materna gli aprì la porta, ma una di quelle donne materne che guardavano subito le scarpe del nuovo arrivato, per capire quanto poteva permettersi di spendere per il suo piacere. Poi, solo per togliersi una soddisfazione, indugiava con lo sguardo sulla patta dei pantaloni. Le facce non la interessavano. La sua vita era dedicata soltanto alle contrattazioni con queste parti dell'anatomia maschile. I suoi occhioni, ancora vispi, avevano un modo penetrante di trapassare i pantaloni, come se fossero in grado di calcolare la misura e il peso degli attributi dell'uomo. Era un'occhiata professionale. Le piaceva accoppiare la gente con più acume di altre madri della prostituzione. Era lei a suggerire certe unioni, ed era più esperta di una venditrice di guanti. Le bastava guardare nei pantaloni per misurare il cliente e organizzarsi per trovargli un guanto perfetto, che gli stesse a pennello. Non dava piacere se c'era troppo spazio, e non dava piacere se il guanto era troppo stretto. Maman pensava che la gente moderna aveva dimenticato l'importanza di una misura esatta. Le sarebbe piaciuto diffondere la sua conoscenza, ma agli uomini e alle donne pareva importare sempre meno, erano meno maniaci dell'esattezza di quanto non lo fosse lei. Se un uomo oggi si trovava a navigare in un guanto troppo largo, muovendosi come in un appartamento vuoto, si accontentava lo Stesso. Lasciava che il suo membro

sbatacchiasse in giro come una bandiera e se ne uscisse senza un vero e proprio abbraccio avviluppante che gli scaldasse le viscere. Oppure lo ficcava dentro bagnandolo di saliva, spingendo come se stesse cercando di infilarsi sotto una porta chiusa, intrappolato da uno spazio troppo ristretto, rattrappendosi ancor di più per rimanerci. E se per caso la ragazza rideva di piacere, o per simularlo, veniva espulso

immediatamente, perché non c'era la possibilità di espansione per i sussulti di una risata. La gente stava perdendo ogni conoscenza di una buona unione. Solo dopo aver guardato i calzoni del Basco, Maman lo riconobbe e gli sorrise. Il Basco, bisogna dirlo, condivideva con Maman questa passione per le sfumature, ed ella sapeva che non si accontentava tanto facilmente. Aveva un cazzo capriccioso. Di fronte a una vagina che era come una casella postale, si ribellava. Di fronte a un tubo astringente, si ritraeva. Era un intenditore, un gourmet del piccolo forziere delle donne. Gli piacevano vellutate e accoglienti, espansive e aderenti. Maman si attardò a guardarlo più a lungo di quanto non facesse con altri clienti. Il Basco le piaceva, e non per il suo profilo classico, il naso corto, gli occhi a mandorla, i lucidi capelli neri, il passo armonioso e felino, e i gesti disinvolti. Non era per la sua sciarpa rossa o per il berretto appoggiato in testa di sghimbescio. Non era per i suoi modi seducenti con le donne. Era per il suo pendentif regale, la sua nobile mole, la sua disponibilità sensibile e

infaticabile, la sua cordialità, la sua espansività. Non ne aveva mai visto uno simile. A volte lo metteva sulla tavola, come se depositasse una borsa di denaro, e lo usava per battere, come per attirare l'attenzione. Lo tirava fuori con naturalezza, come altri uomini si tolgono il cappotto quando fa caldo. Si aveva l'impressione che non stesse bene chiuso dentro, confinato, che avesse bisogno di prendere aria, di farsi ammirare. Maman si lasciava andare continuamente al suo vizio di guardare i beni maschili. Quando gli uomini uscivano dai vespasiani, e finivano di abbottonarsi, Maman aveva la buonasorte di catturare l'ultimo balenio di un membro dorato, o di uno bruno, o di uno ben appuntito, che era il suo genere preferito. Sui boulevards veniva spesso gratificata dalla vista di pantaloni mezzo sbottonati, e i suoi occhi, dotati di una visione molto acuta, riuscivano a penetrare le ombrose aperture. Meglio ancora se riusciva a sorprendere un vagabondo che si "alleggeriva" contro il muro di un casamento, tenendo pensosamente il cazzo in mano, come se fosse il suo ultimo soldo d'argento. Si potrebbe pensare che a Maman mancasse un possesso più intimo di questo piacere, ma non era così. I clienti della sua casa la trovavano appetitosa, e conoscevano le sue virt— e i suoi vantaggi rispetto alle altre donne. Maman riusciva a produrre un succo veramente apprezzabile per le feste amorose, che la maggior parte delle donne dovevano confezionare artificialmente. Maman riusciva a dare a un uomo l'illusione completa di un pasto tenero, qualcosa di molto morbido sotto i denti e abbastanza innaffiato da soddisfare la sete di chiunque. Tra di loro parlavano spesso delle delicate salse con cui Maman sapeva servire i suoi bocconcini di conchiglia rosata, l'aderenza e la tensione delle sue offerte. Qualche colpetto a questa conchiglia rotonda, uno o due, era sufficiente. I piacevoli succhi di Maman comparivano, qualcosa che le ragazze riuscivano raramente a produrre, un miele che sapeva di conchiglia marina e rendeva il passaggio nell'alcova tra le cosce della femmina una delizia per il maschio che la visitava. Al Basco piaceva, era emolliente, saturante, caldo e riconoscente: una festa. Per Maman era una vacanza e dava il massimo di sé. Il Basco sapeva che non le ci voleva una lunga preparazione. Maman si era nutrita per tutta la giornata con le spedizioni dei suoi occhi, che non viaggiavano mai sopra o sotto la metà del corpo di un uomo. Erano sempre al livello della patta dei pantaloni. Sapeva giudicare quelli raggrinziti, rimessi via in fretta dopo una seduta veloce. Quelli deliziosamente compressi, non ancora accartocciati. Le macchie, oh, le macchie dell'amore! Macchie strane, che riusciva a identificare come se avesse una lente

d'ingrandimento. Là, dove i pantaloni non erano stati calati abbastanza, o dove, nel suo affannarsi, un pene era tornato al suo posto naturale al momento sbagliato, là c'era un gioiello di macchia, perché aveva dei piccoli frammenti brillanti, come un minerale che si fosse sciolto, e una qualità zuccherina che irrigidiva il tessuto. Una macchia bellissima, la macchia del desiderio, a volte spruzzata come un profumo dalla fontana dell'uomo, oppure incollata lì da una donna troppo fervente e appiccicata. A Maman sarebbe piaciuto incominciare dove c'era già stato un amplesso. Era sensibile al contagio. Quella macchiolina la rimescolava tra le gambe mentre camminava. Un bottone caduto le faceva sentire l'uomo in suo potere. A volte, in mezzo a grandi folle, aveva il coraggio di allungare le mani e di toccare. La sua mano si muoveva come quella di un ladro, con un'agilità incredibile. Non annaspava ne toccava mai il posto sbagliato, andava dritta sotto la cintura, dove c'erano morbide prominenze ondulate e, a volte, inaspettatamente, un bastone insolente. Nei sottopassaggi, in notti scure e piovose, sui boulevards affollati, o nelle sale da ballo, Maman si dilettava nel far le sue stime e passare in rassegna. Quante volte la sua chiamata veniva accolta e le venivano mostrate le armi al passaggio della sua mano. Le sarebbe piaciuto un esercito schierato in questo modo, a presentare le sole armi che potessero conquistarla. Lo vedeva nei suoi sogni a occhi aperti questo esercito, e lei ne era il generale, che lo passava in rivista per decorare i più lunghi, i più belli, e fermarsi di fronte agli uomini che ammirava. Oh, essere Caterina la Grande, e poter ricompensare la parata con un bacio della sua bocca avida, un bacio proprio sulla punta, solo per estrarre quella prima lacrima di piacere! La più grande avventura di Maman era stata la parata delle Guardie Scozzesi, in un mattino di primavera. Mentre era al bar a bere, aveva sentito una conversazione sugli scozzesi. Un uomo stava dicendo: "Li reclutano da giovani e li allenano a camminare a quel modo. E un passo speciale. Difficile, molto difficile. C’è un coup de fesse, una oscillazione che deve far dondolare i fianchi e la borsa sul gonnellino quel tanto che basta. Se la borsa non dondola, il passo è sbagliato. E più complicato dei passi di un balletto. " Maman pensava: caspita, ogni volta che dondola la borsa e oscilla il gonnellino, devono dondolare anche altri pendagli. E il suo vecchio cuore si commuoveva. Dondola, dondola. Tutto allo stesso tempo.

Quello era un esercito ideale. Le sarebbe piaciuto seguire un esercito del genere, in qualsiasi veste. Un, due, tre. Era già abbastanza turbata al pensiero del dondolio dei pendagli, quando l'uomo al bar aggiunse: "E

per di più non portano niente di sotto." Non portavano niente di sotto!

Questi uomini tutti d'un pezzo, così eretti, vigorosi. Teste alte, gambe forti e nude, e sottane - oddio, questo li rendeva vulnerabili come donne. Uomini grossi e vigorosi, allettanti come una donna, e nudi di sotto. Maman si sarebbe trasformata volentieri in un ciottolo perché le camminassero sopra, purché le fosse concesso di guardare sotto le corte gonnelle per vedere la "borsa" nascosta, che dondolava a ogni passo.

Maman si sentì tutta congestionata, il bar era troppo caldo, aveva bisogno d'aria. Attese la parata. Ogni passo degli scozzesi fu come un passo dentro al suo corpo, che la faceva vibrare tutta. Un, due, tre.

Una danza sul suo addome, selvaggia e cadenzata, con la borsa di pelliccia che ondeggiava con i peli pubici. Maman era calda come un giorno di luglio. La sua unica speranza era di farsi largo a colpi di gomito tra quella folla sino alla prima fila e lì lasciarsi cadere sulle ginocchia, simulando uno svenimento. Ma anche così riuscì a vedere soltanto delle gambe nude sotto a gonne scozzesi. Poi, sdraiata a terra, appoggiandosi contro il ginocchio del poliziotto, rivoltò gli occhi, come se fosse prossima a un attacco. Se solo la parata avesse fatto dietro front e le avesse camminato sopra! Così la linfa di Maman non appassiva mai. Veniva nutrita appropriatamente. Di notte, la sua carne era tenera come se fosse stata a sobbollire tutto il giorno a fuoco lento. I suoi occhi andavano dai clienti alle donne che lavoravano per lei. Neanche le facce di queste ultime attiravano la sua attenzione, solo le loro figure, dalla vita in giù. Le faceva girare davanti a sé e dava loro delle pacche leggere per sentire quanto era salda la loro polpa, prima che indossassero le camicie, Conosceva Melie, che si arrotolava intorno all'uomo come un nastro dandogli la sensazione di essere abbracciato da più donne contemporaneamente. Conosceva la pigra, che fingeva di essere addormentata e suscitava nell'uomo timido delle audacie che nessun'altra poteva ispirargli, lasciando che la toccasse, la manipolasse, la frugasse, come se la cosa non comportasse pericolo alcuno. Il suo grande corpo nascondeva bene i suoi segreti in ricche pieghe, ma la sua pigrizia consentiva che venissero messi a nudo, da dita ansiose di indagare. Maman conosceva la magra focosa, che attaccava gli uomini, facendoli sentire vittime delle circostanze. Era una grande favorita degli uomini con sensi di colpa. Questi si lasciavano violentare, e la loro coscienza era a posto. Avrebbero potuto raccontare alle mogli: Si è gettata su di me, mi si è messa sopra a forza, e via dicendo. Essi si sdraiavano e la donna sedeva su di loro, come su un cavallo, spronandoli a movimenti inevitabili con la sua pressione, galoppando su una virilità rigida, o trottando dolcemente, o andando a passo lungo. Premeva ginocchia potenti contro i fianchi delle sue vittime passive e, come una nobile cavallerizza, si sollevava e si lasciava ricadere elegantemente, con tutto il peso concentrato al centro del corpo e, di quando in quando, dava delle pacche al suo partner perché aumentasse la velocità e le convulsioni, e lei potesse sentirsi tra le gambe un vigore animale più gagliardo. E come lo cavalcava questo animale sotto di lei! Le sue gambe lo speronavano, il suo corpo sollevato dava grandi colpi, finché l'animale incominciava a schiumare, allora lo incitava ancor di più con' grida e schiaffi, perché galoppasse sempre più in fretta. Maman conosceva le grazie ardenti di Viviane, donna del sud. La sua carne era di brace, contagiosa, persino il sangue più freddo si sarebbe riscaldato al suo tocco. Conosceva l'arte delle interruzioni, dei tempi lunghi. Le piaceva sedersi innanzitutto sul bidet, per la cerimonia delle abluzioni. Con le gambe aperte sul piccolo sedile, aveva natiche traboccanti, due enormi fossette alla base della schiena, due fianchi bruno-dorati, grandi e sodi, come il di dietro di un cavallo da circo. Quando si sedeva, le curve le si rigonfiavano. Se l'uomo si stancava di guardarla da dietro, poteva mettersi di fronte e osservarla mentre si gettava l'acqua sul pelo pubico e tra le gambe, e, meglio ancora, mentre apriva con cura le grandi labbra e si insaponava.

Prima coperta di schiuma bianca, poi ancora acqua, e le labbra emergevano di un rosa luccicante. A volte si esaminava con calma le grandi labbra. Se quel giorno si erano fermati da lei troppi uomini, le vedeva leggermente gonfie. Era allora che al Basco piaceva guardarla. Si asciugava più dolcemente, per non aumentare l'irritazione. Il Basco venne in uno di quei giorni e intuì che avrebbe potuto trarre vantaggio dall'irritazione. Altre volte Viviane era letargica, pesante e indifferente. Si sdraiava sul letto come in un dipinto classico, in modo da accentuare le sue incredibili sinuosità. Si adagiava sul fianco, con la testa appoggiata a un braccio, la carne, dai toni ramati, tesa a volte quasi stesse lievitando sotto le carezze erotiche di una mano invisibile. Era così che ella si offriva, sontuosa e pressoché impossibile da eccitare. Per lo più gli uomini non ci provavano nemmeno.

Viviane allontanava la sua bocca dalla loro con disprezzo, offrendo ancor più il suo corpo, ma con distacco. Potevano aprirle le gambe e guardare per tutto il tempo che volevano, ma non potevano estrarre da lei alcuna linfa. Però, una volta che l'uomo era dentro di lei, si comportava come se la stesse riempiendo di lava bollente, e le sue contorsioni erano più violente di quelle delle donne che provavano piacere, perché erano un'esagerata simulazione di quelle reali. Si inarcava come un pitone, scattava in tutte le direzioni come se l'avessero bruciata o morsa. Muscoli potenti conferivano ai suoi movimenti una forza che suscitava i desideri più bestiali. Gli uomini lottavano per fermare le contorsioni, per calmare la danza orgiastica che lei ballava intorno a loro, come se fosse inchiodata a qualcosa che la torturava. Poi all'improvviso, a suo capriccio, Viviane si fermava. E

questo cambiamento, che avveniva perversamente nel bel mezzo della loro furia crescente, li raffreddava e ritardava il loro soddisfacimento.

Viviane diveniva una massa di carne immota. Poi si metteva a succhiarli gentilmente, come se poppasse un pollice prima di addormentarsi. Gli uomini cercavano di eccitarla di nuovo, toccandola dappertutto, baciandola, e lei li lasciava fare, per niente turbata. Il Basco aspettava il suo momento, osservando le cerimoniose abluzioni di Viviane. Quel giorno era gonfia per i molti assalti. Tuttavia di lei si sapeva che, per quanto misera fosse la somma che veniva messa sul suo tavolino, non aveva mai impedito a un .uomo di soddisfarsi. Le labbra grandi e ricche, troppo strofinate, erano un po' gonfie, e una leggera febbre le bruciava. Il Basco fu molto gentile. Depositò il suo piccolo dono sul tavolino, si svestì, e le promise un balsamo, del cotone, un impacco efficace. Queste delicatezze le tolsero ogni difesa, in più il Basco la toccò come avrebbe fatto una donna. Solo un tocco lieve laggiù, per attenuare la febbre, per calmarla. La pelle di lei era scura come quella di una zingara, molto liscia e pulita, incipriata persino, Le mani del Basco erano sensibili, la toccavano come per caso, passando via veloci, e il suo pene venne appoggiato sul ventre di lei, come un giocattolo messo lì solo perché lei lo ammirasse. Rispondeva solo se interpellato. Il ventre di lei vibrava sotto il suo peso, sollevandosi leggermente per sentirlo. Poiché il Basco non sembrava impaziente di spostarlo dentro al suo naturale riparo, la donna si permise il lusso di esprimersi, di lasciarsi andare. L'ingordigia di altri uomini, il loro egoismo, la loro impazienza di soddisfare solo il loro piacere senza curarsi di lei, la rendevano ostile. Ma il Basco era galante. Paragonò la sua pelle alla seta, i suoi capelli al muschio, il suo odore al profumo di legno pregiato. Poi mise il pene vicino all'apertura di lei e disse teneramente: "Fa male? Non lo spingerò dentro se ti fa male."

Tanta delicatezza commosse Viviane. Ed ella rispose: "Mi fa un pochino male, ma prova." Egli avanzò soltanto di un centimetro alla volta, continuando a dire che l'avrebbe tolto se le faceva male. Alla fine Viviane stessa lo incoraggiò: "Prova di nuovo, solo con la punta." Così la punta scivolò dentro, solo di pochi centimetri, e poi si arrestò.

Questo diede a Viviane tutto il tempo di sentirne là presenza, tempo che gli altri uomini non le concedevano. In questo modo, Viviane poteva sentire quanto era piacevole quella presenza tra le pareti di carne soffice, come ci stava bene, né troppo largo né troppo stretto. Di nuovo, il Basco attese, poi avanzò ancora un po', e Viviane ebbe il tempo di sentire quant'era bello essere riempita, di sperimentare quanto la fessura femminile fosse adatta a tenere e a trattenere. Il piacere di aver qualcosa lì dentro, a scambiare calore, a mischiare due fluidi.

Egli si mosse di nuovo. E ci furono l'attesa, la consapevolezza del vuoto quando lui si ritirava, la carne di lei che si inaridiva quasi istantaneamente. Viviane chiuse gli occhi. L'entrata graduale di lui si portava dietro uno scatenamento di radiazioni, delle correnti invisibili, premonitrici di una grande esplosione nelle regioni più profonde del suo ventre, di qualcosa fatto per avvenire in quel tunnel dalle morbide pareti, per essere divorato dalle sue avide profondità, dove nervi inquieti erano ad attenderlo. La sua carne si abbandonò sempre più, e lui entrò più a fondo. "Ti fa male?" chiese il Basco togliendolo. Ed ella ne fu delusa e allo stesso tempo non volle confessare come si sentiva inaridire dentro, senza quella presenza che si espandeva. Fu costretta a pregarlo: "Infilalo ancora dentro." Allora lui lo fece entrare solo a metà, in modo che lei potesse sentirlo senza tuttavia poterlo stringere, senza poterlo trattenere. E finse di volerlo lasciare così a mezza strada per sempre. La donna voleva muoverglisi incontro, e avvolgerlo tutto, ma si trattenne. Avrebbe voluto urlare. La carne che lui non toccava bruciava alla sua vicinanza. In fondo al ventre c'era carne che chiedeva di essere penetrata, si incurvava, si apriva per succhiare. Le pareti di carne si muovevano come anemoni di mare cercando di risucchiare il sesso di lui, che però si avvicinava solo quel tanto che bastava a scatenare correnti di un piacere torturante. L'uomo si mosse di nuovo, guardandola in viso, e vide che apriva la bocca. La donna avrebbe voluto sollevarsi col corpo e prendere il sesso di lui completamente dentro di sé, ma aspettò. Con questa lenta tortura, il Basco la portò sull'orlo dell'isteria. Viviane aprì la bocca come a rivelare la disponibilità del suo grembo, la sua fame, solo allora egli spinse fino in fondo e sentì le sue contrazioni. Ed ecco come il Basco trovò Bijou. Un giorno, arrivando alla casa, si vide venire incontro Maman melliflua, a dirgli che Viviane era occupata. Poi si offrì di consolarlo, neanche fosse stato un marito tradito. Il Basco le disse che 'avrebbe aspettato, e Maman continuò le sue provocanti carezze. Poi il Basco le chiese: "Posso guardare?" Ogni stanza era studiata in modo che gli amatori potessero guardar dentro attraverso un'apertura segreta. Talvolta al Basco piaceva vedere come si comportava Viviane con i suoi visitatori. E così Maman lo portò verso la parete divisoria, dove lo nascose dietro a una tenda e lo lasciò guardare.

Nella stanza c'erano quattro persone: uno straniero e una donna, vestita con discreta eleganza, che osservavano due donne su un letto

matrimoniale. Viviane, pesante e dalla pelle scura, era sdraiata sul letto, e sopra di lei, appoggiata alle mani e alle ginocchia, c'era una donna spettacolosa, con una pelle color avorio, occhi verdi, e lunghi capelli, folti e ricciuti. Aveva seni all'ins—, una vita che si assottigliava fino a un'estrema snellezza, e poi si allargava di nuovo, mettendo in risalto la ricchezza dei fianchi. Sembrava fosse stata forgiata dentro a un corsetto. Aveva un corpo sodo, liscio come il marmo. In lei non c'era nulla di flaccido, di rilasciato, c'era invece una forza nascosta, come quella di un puma, e nei suoi gesti una stravaganza e una veemenza che ricordavano le donne spagnole. E questa era Bijou. Le due donne erano splendidamente assortite, senza nessuna reticenza, nessun sentimentalismo. Donne d'azione, entrambe con un sorriso ironico e un'espressione corrotta. Il Basco non riusciva a decidere se stessero solo fingendo o se davvero se la godevano, tanto erano perfetti i loro gesti. I forestieri probabilmente avevano chiesto di vedere un uomo e una donna insieme, e questo era il compromesso di Maman. Bijou si era legata addosso un pene di gomma, che aveva il vantaggio di non appassire mai. Così, qualsiasi cosa facesse, questo pene sporgeva dal suo ciuffo di peli femmineo, come inchiodato da un'erezione perpetua. Accosciandosi, Bijou infilava questa falsa virilità non dentro a Viviane, ma tra le gambe, come se stesse agitando il latte nella zangola, e Viviane contraeva le gambe come se fosse un uomo vero a tormentarla. Ma Bijou aveva solo incominciato a stuzzicarla.

Sembrava intenzionata a far sentire il pene a Viviane solo dall'esterno.

Lo maneggiava come il batacchio di una porta, bussando gentilmente sul ventre e l'inguine di Viviane, stuzzicando gentilmente i peli, poi il clitoride. Viviane Sussultò un poco, e Bijou lo rifece, e Viviane sussultò di nuovo. Allora la forestiera si piegò su di loro, facendosi più vicina, come fosse stata miope, per carpire il segreto di questa sensibilità. Viviane si rigirò con impazienza e offrì il sesso a Bijou.

Dietro la tenda, il Basco sorrideva dell'eccellente esibizione di Viviane. L'uomo e la donna ne erano affascinati. Ormai erano in piedi accanto al letto, con gli occhi dilatati. Bijou disse loro: "Volete vedere come facciamo l'amore quando ci sentiamo pigre?" "Girati," ordinò a Viviane. Viviane si girò sul fianco destro, e Bijou le si sdraiò accanto, imprigionandole i piedi. Viviane chiuse gli occhi. Allora Bijou si aprì un varco per entrare con tutte e due le mani, allargando la carne bruna delle natiche di Viviane in modo da potervi infilare il pene, e incominciò a spingere. Viviane non si mosse, la lasciò spingere, dar colpi. Poi, inaspettatamente, fece uno scarto come di un cavallo che scalcia. Bijou, quasi a mo' di punizione, si ritrasse. Ma il Basco vide che il pene di gomma ora luccicava, quasi come uno vero, ancora trionfalmente eretto. Bijou ricominciò a stuzzicare Viviane, con la punta del pene le toccò la bocca, poi le orecchie, poi il collo, infine lo appoggiò tra i seni e Viviane li strinse per trattenerlo. Poi si mosse per unirsi al corpo di Bijou, per strusciarsi contro di lei, ma Bijou le sfuggiva, ora che Viviane stava diventando più sfrenata.

L'uomo, piegato su di loro, incominciava a scalpitare. Si sarebbe gettato volentieri sulle due donne, ma la sua compagna non glielo avrebbe permesso, benché ormai fosse tutta rossa in viso. Il Basco aprì la porta all'improvviso. Si inchinò e disse: "Volevate un uomo, bene, eccomi qua." Si spogliò, mentre Viviane lo guardava con gratitudine. Il Basco si accorse che la donna era in calore. Due virilità l'avrebbero soddisfatta meglio di una, tormentatrice ed elusiva. Si gettò tra le due donne e da quel momento, ovunque i due forestieri guardassero, succedeva qualcosa che li affascinava. Una mano apriva delle natiche e vi infilava un dito inquisitore. Una bocca si chiudeva su un pene guizzante, alla carica. Un'altra bocca imprigionava un capezzolo. Le facce erano coperte dai seni o sepolte nei peli pubici. Le gambe si richiudevano su mani che frugavano. Un pene umido e lucente appariva per rituffarsi nella carne.

La pelle d'avorio e la pelle di zingara erano aggrovigliate col corpo muscoloso dell'uomo. Poi successe una cosa strana. Bijou era sdraiata sotto il Basco, e Viviane era stata abbandonata per un momento. Il Basco si stava piegando su questa donna che si apriva sotto di lui come un fiore di serra, odoroso, rugiadoso, con occhi erotici e labbra umide, una donna sbocciata, matura e voluttuosa; però il suo pene di gomma restava eretto tra di loro, e il Basco venne assalito da una strana sensazione. Il pene di gomma urtava contro il suo e difendeva l'apertura della donna come una lancia. Fu quasi con rabbia che le ordinò: "Toglilo!" La donna fece scivolare le mani dietro la schiena, slacciò la cintura e tolse il pene. Allora il Basco le si gettò sopra e lei, senza lasciare il pene, lo tenne sopra le natiche dell'uomo, che ormai era sepolto nel suo grembo. Quando questi si sollevò, per ripiombarle dentro, ella gli spinse nelle natiche il pene di gomma. L'uomo scattò come un animale imbizzarrito, solo per attaccarla più furiosamente. Ogni volta che si sollevava, si trovava assalito da dietro. Sentiva i seni della donna, schiacciati contro di lui, che ondeggiavano sotto il suo petto, il ventre dalla pelle d'avorio che si sollevava sotto il suo, i fianchi di lei contro i suoi, la sua vagina umida che lo sommergeva; e ogni volta che la donna immergeva il pene dentro di lui, egli sentiva non solo il suo turbamento, ma anche quello di lei. Pensava che questa sensazione raddoppiata l'avrebbe fatto impazzire. Viviane giaceva accanto a loro, guardandoli ansimante. I due forestieri, ancora vestiti, si erano gettati su di lei, e le si strusciavano contro freneticamente, troppo confusi da sensazioni violente per cercare un'apertura. Il Basco scivolava avanti e indietro. Il letto oscillava sotto i loro sussulti, mentre si abbracciavano, si accarezzavano, riempiendo tutte le curve, e la macchina del corpo voluttuoso di Bijou produceva miele. Il loro corpo era percorso dai brividi dalla punta dei piedi alla radice dei capelli.

Le dita dei piedi si cercavano e si intrecciavano, le loro lingue si protendevano come pistilli. Ora le grida di Bijou montavano in spirali interminabili, ah, ah, ah, ah, ingrandendosi, espandendosi divenendo sempre più selvagge. Il Basco rispondeva a ogni grido solo con un'immersione più profonda. Erano completamente dimentichi degli altri corpi intrecciati accanto a loro. Ormai il Basco doveva possederla fino all'annientamento: Bijou, questa puttana col corpo dai mille tentacoli, che giaceva prima sotto di lui, e poi sopra, e che pareva essere ovunque dentro di lui, con le dita dappertutto, i seni nella sua bocca. Bijou gridò come se lui l'avesse uccisa, e ricadde sul letto. Il Basco si sollevò, ubriaco, bruciante. La sua lancia ancora eretta, rossa, infiammata. I vestiti in disordine della donna forestiera lo attirarono.

Non riusciva a vederle la faccia, che era nascosta sotto la sottana sollevata. L'uomo era sopra Viviane e se la lavorava, e la donna giaceva su entrambi, con le gambe che scalciavano nell'aria. Il Basco la tirò giù per le gambe per prenderla, ma la donna si mise a gridare e si alzò in piedi. "Volevo solo guardare," disse, riassettandosi i vestiti.

L'uomo abbandonò Viviane e, conciati com'erano, si inchinarono e uscirono in fretta e furia. Bijou si era messa a sedere ridendo, con gli occhi obliqui lunghi e stretti. "Gli abbiamo regalato un bello spettacolo," disse il Basco, "ora vestiti e seguimi. Ti porto a casa mia. Ti far ò dei ritratti. Pagherò a Maman tutto quel che vuole." E se la portò a casa, a vivere con lui. Se Bijou sperava che il Basco l'avesse portata a casa per averla tutta per sé, dovette presto ricredersi. Il Basco la usava come modella quasi in continuazione, ma di sera aveva sempre a cena i suoi amici artisti, e Bijou doveva cucinare.

Dopo cena la faceva sdraiare sul letto dello studio mentre chiacchierava con gli amici. Si limitava a tenersela al fianco e accarezzarla. Gli amici non potevano fare a meno di guardarli. Le mani di lui

incominciavano meccanicamente a tracciare dei cerchi sui suoi seni maturi. Bijou non si muoveva, ma si lasciava andare a una posa languida.

Il Basco toccava la stoffa del suo vestito come se fosse la sua pelle. I vestiti le aderivano sempre perfettamente al corpo. Le mani di lui la tastavano, le davano buffetti, l'accarezzavano, vagavano sul suo ventre, poi le facevano il solletico per farla dimenare. Le apriva il vestito, ne estraeva un seno e diceva agli amici: "Avete mai visto un seno del genere? Guardate!" E loro guardavano. Uno fumava, uno faceva degli schizzi di Bijou, l'altro parlava, però guardavano. Contro il nero del vestito, il seno, così perfetto nei contorni, aveva il colore dell'avorio vecchio. Il Basco le pizzicava i capezzoli, che si arrossavano. Poi le richiudeva il vestito e le sfiorava le gambe finché non sentiva la prominenza delle giarrettiere. "Non è troppo stretta per te? Fa' vedere. Ti hanno lasciato il segno?" Sollevava la gonna e le toglieva con cura le giarrettiere. Mentre Bijou sollevava la gamba verso di lui, gli uomini potevano vedere la linea dolce e lucida delle cosce al di sopra delle calze. Poi si copriva di nuovo e il Basco continuava ad accarezzarla. A Bijou si annebbiavano gli occhi come se fosse ubriaca. Ma, dato che ormai era come la moglie del Basco, e in compagnia dei suoi amici, ogni volta che lui la scopriva lottava per coprirsi di nuovo, nascondendo ogni suo segreto nelle pieghe nere del vestito.

Allungava le gambe. Scalciava via le scarpe, e la luce erotica che brillava nei suoi occhi, una luce che le sue ciglia folte non riuscivano ad offuscare, attraversava il corpo degli uomini come un fuoco. In serate come quella, sapeva che il Basco non intendeva darle piacere, ma solo torturarla. Non sarebbe stato soddisfatto finché non avesse visto le facce degli amici alterate, sconvolte. Le apriva la cerniera laterale del vestito e vi infilava le mani. "Non hai le mutandine oggi, Bijou." E

gli amici vedevano la sua mano sotto il vestito, che le accarezzava la pancia e scendeva lungo le gambe. Poi si interrompeva e ritraeva la mano, e loro guardavano la mano che usciva dal vestito nero e richiudeva la cerniera. Una volta egli chiese a uno dei pittori la sua pipa calda.

L'uomo gliela allungò, ed egli la fece scivolare su per la gonna di Bijou, e gliela appoggiò al sesso. "E' calda," le disse, ®calda e liscia." Bijou allontanò la pipa perché non voleva che gli altri sapessero che tutte le carezze del Basco l'avevano fatta bagnare. Ma la pipa uscì rivelandolo, come se l'avessero immersa in succo di pesca. Il Basco la restituì al proprietario, che ricevette così un po' dell'odore sessuale di Bijou. Bijou temeva quel che il Basco sarebbe riuscito a escogitare ancora, e strinse le gambe. Il Basco fumava. I tre amici sedevano intorno al letto, parlando sconnessi, come se quel che avveniva sotto il loro naso non avesse niente a che vedere con la conversazione.

Uno di loro parlava della pittrice che riempiva le gallerie di fiori giganteschi coi colori dell'arcobaleno. "Non sono fiori," disse il fumatore di pipa. "Sono vulve. Se ne può accorgere chiunque. E' la sua ossessione: dipinge vulve grandi come una donna. Sulle prime sembrano petali, cuori di fiore, poi si vedono le due labbra irregolari, la sottile linea centrale, i bordi ondulati delle labbra, quando vengono aperte. Che donna è mai questa, che esibisce sempre questa vulva gigantesca che svanisce allusivamente ripetendosi in un tunnel che va dalla più grande alla più piccola, fino alla sua ombra, come se vi si entrasse veramente. Si ha l'impressione di stare davanti a quelle piante di mare, dai bordi orlati, che si aprono solo per risucchiare qualsiasi tipo di cibo riescono a catturare." A questo punto, il Basco ebbe un'idea. Chiese a Bijou di portare il pennello da barba e il rasoio.

Bijou gli obbedì, contenta per una volta di doversi muovere e scuotersi di dosso il letargo erotico che il Basco le aveva intessuto intorno con le sue mani. Finalmente lui aveva la testa altrove. Le prese pennello e sapone dalle mani e cominciò a mescolare la schiuma. Mise una lama nuova nel rasoio. Poi le disse: "Sdraiati sul letto.¯ ®Che vuoi fare?" gli chiese lei. "Non ho peli sulle gambe." ®Lo so che non li hai. Fammele vedere." Bijou allungò le gambe. Erano talmente lisce che pareva le avessero lucidate. Brillavano come un pregiato legno chiaro tirato a lucido, e su di esse non si vedevano peli, né vene, né irregolarità, né ferite, né difetti. I tre uomini si piegarono su quelle gambe. Quando lei le agitò, il Basco le bloccò contro i pantaloni, poi le sollevò la gonna, mentre Bijou lottava per tirarla giù. ®Cosa vuoi fare?" gli chiese di nuovo. Lui le sollevò la gonna e scoprì un ciuffo di peli ricciuti così folti che i tre uomini fischiarono. Bijou tenne le gambe strette strette, coi piedi contro i pantaloni del Basco, là dove egli all'improvviso sentì un formicolio, come se mille formiche gli stessero salendo su per il sesso. Il Basco chiese ai tre uomini di tenerla ferma.

Bijou sulle prime si dimenò, poi si rese conto che era meno pericoloso restare immobile, dato che lui le stava radendo con cura i peli pubici, incominciando dal bordo esterno, dov'erano più radi e brillanti sul suo ventre vellutato. il ventre scendeva in una curva morbida. Il Basco insaponava, poi radeva gentilmente, togliendo peli e schiuma con un asciugamano. Bijou teneva ancora le gambe strette, e gli uomini non vedevano altro che i peli, ma quando il Basco, continuando la rasatura, raggiunse il centro del triangolo, mise a nudo un monte, un liscio promontorio. Il contatto con la lama fredda, proprio lì, mise in agitazione Bijou. Era un po' arrabbiata, un po' eccitata, decisa a non mostrare il suo sesso, ma la rasatura metteva a nudo il punto in cui il piano discendeva in una dolce linea curva e rivelava il bocciolo dell'apertura, le dolci pieghe di carne che racchiudevano il clitoride, la punta delle labbra dal colore più intenso. Ora avrebbe voluto allontanarsi, ma temeva di rimanere ferita dalla lama. I tre uomini la tennero ferma e si piegarono su di lei per guardare. Pensavano che il Basco si sarebbe fermato lì, ma egli le ordinò di aprire le gambe. Bijou scalciò contro di lui, ma questo servì solo a eccitarlo di più. "Apri le gambe," le ripet‚, ci sono altri peli lì in fondo." Fu costretta ad aprirle, e lui incominciò a raderle gentilmente i peli, di nuovo più radi, delicatamente arricciati, su ciascun lato della vulva. Ora era tutta scoperta: la lunga bocca verticale, una seconda bocca, che non si apriva come quella del viso, ma solo se decideva di spingere un pochino all'infuori. Ma Bijou non avrebbe spinto, ed essi videro soltanto le due labbra chiuse, che sbarravano la strada. Il Basco disse: "Ora assomiglia proprio ai quadri di quella donna, non è vero?" Ma nei quadri la vulva era aperta, le labbra separate, a mostrare lo strato interno più pallido, come quello delle labbra della bocca. Ma Bijou questo non voleva farlo vedere. Una volta rasata, aveva chiuso di nuovo le gambe.

Il Basco disse: "Ti farò aprire anche il ..." Aveva sciacquato via il sapone dal pennello, ed ora incominciò a spennellare le labbra della vulva, su e giù, gentilmente. All'inizio Bijou si contrasse ancor di più. Le teste degli uomini si fecero più vicine. Il Basco, tenendo le gambe di lei contro la sua erezione, toccava attentamente la vulva e la punta del clitoride. Allora gli uomini videro che Bijou non riusciva più a contrarre le natiche e il sesso, e che, col muoversi del pennello, le sue natiche si spingevano leggermente in avanti, e le labbra della vulva si aprivano, dapprima impercettibilmente. La nudità rivelava ogni minimo movimento. Le labbra ora si aprirono e rivelarono una seconda aura, di un tono più pallido poi una terza, e ormai Bijou spingeva, spingeva, come se volesse aprirsi, e il ventre si muoveva in accordo, gonfiandosi e ricadendo. Il Basco si appoggiò ancor più fermamente alle gambe.

"Basta," lo pregò Bijou, "basta!" Gli uomini potevano vedere il fluido colare lentamente dal suo corpo. Poi il Basco si fermò, non volendo darle quel piacere che voleva riservare a se stesso, più tardi. Bijou ci teneva a fare una distinzione tra là sua vita al bordello e la sua vita come compagna e modella di un artista. Il Basco intendeva fare solo una piccola distinzione, per quanto riguardava il possesso effettivo. Ma gli piaceva esporla, e deliziare i suoi ospiti con la vista di lei. Li faceva assistere al suo bagno e a loro piaceva guardare i suoi seni fluttuare nell'acqua, smossa dal ventre che si gonfiava, amavano osservarla quando si alzava per insaponarsi tra le gambe. Amavano asciugare il suo corpo bagnato, ma se uno di loro cercava di vedere Bijou in privato, e di possederla, il Basco diventava un demonio, un uomo da temere. Come rivincita per questi giochi, Bijou si sentiva in diritto di andare dove voleva. Il Basco la teneva sempre in una condizione di estremo erotismo, ma non sempre si prendeva il disturbo di soddisfarla. Allora incominciarono le infedeltà, ma vennero praticate in modo così elusivo che il Basco non riuscì mai a scoprirla. Bijou trovava i suoi amanti alla Grande ChaumiŠre, dove posava per la lezione di disegno. Nelle giornate invernali, non si svestiva in fretta come facevano le altre modelle, vicino alla stufa accanto alla pedana, di fronte a tutti. Bijou aveva una sua arte anche in questo. Prima di tutto si scioglieva i capelli, scuotendoli come una criniera. Poi si sbottonava il cappotto. Le sue mani erano lente e carezzevoli. Non si trattava con distacco, ma come una donna che valuta con le mani le esatte condizioni del proprio corpo, dandogli dei buffetti pieni di gratitudine per la sua perfezione. Il vestito perennemente nero le stava addosso come una seconda pelle ed era pieno di misteriose aperture. Un gesto bastava ad aprire le spalle e a lasciar cadere il vestito sopra i seni, ma non oltre. A questo punto, decideva di guardarsi in uno specchietto per esaminarsi le ciglia. Poi apriva la cerniera che mostrava le costole e l'inizio dei seni, l'inizio della curva del ventre. Tutti gli studenti la guardavano attentamente da dietro i loro cavalletti. Persino le donne fermavano gli occhi sulle parti più rigogliose del corpo di Bijou, che esplodevano dal vestito in modo abbacinante. La pelle senza un difetto, i contorni morbidi, la carne soda li affascinavano tutti quanti. Bijou aveva un modo tutto suo di stirarsi, come per sciogliersi i muscoli, come i gatti prima di spiccare un salto. Questa scossa, che le attraversava tutto il corpo, dava l'impressione che i suoi seni fossero maneggiati con violenza. Poi prendeva delicatamente l'orlo del vestito e lo sollevava con lentezza sopra le spalle. Arrivata lì, si arrestava sempre un momento. I suoi lunghi capelli si impigliavano in qualcosa. Nessuno l'aiutava, erano tutti pietrificati. Il corpo che emergeva, senza peli, ora completamente nudo, mentre lei se ne stava a gambe divaricate per mantenere l'equilibrio, li lasciava senza fiato con la sensualità di ogni sua curva, con la sua femminilità piena. Le grandi giarrettiere nere erano infilate alte sulle cosce, le calze erano nere e, se era un giorno piovoso, erano corredate di stivali di pelle alti, da uomo. Mentre era alle prese con gli stivali, Bijou era alla merc‚ di chiunque le si avvicinasse. Gli studenti erano terribilmente tentati. Qualcuno fingeva di volerla aiutare, ma, come le si avvicinava, lei gli tirava dei calci, intuendo le sue vere intenzioni. Continuava a lottare col vestito impigliato, dimenandosi come in u no spasmo amoroso. Alla fine, riusciva a liberarsi, dopo che gli studenti s'erano fatti gli occhi. Liberava il seno rigoglioso e i capelli impigliati. A volte le chiedevano di tenere gli stivali, i pesanti stivali dai quali, come un fiore, sbocciava il corpo femmineo color dell'avorio. Allora tutta la classe era percorsa da una ventata di desiderio. Una volta sulla pedana diventava una modella, e gli studenti si rammentavano di essere artisti. Se ne vedeva uno che le piaceva, gli metteva gli occhi addosso. Aveva solo questo momento per prendere degli appuntamenti, perché il Basco veniva a prenderla alla fine del pomeriggio. Lo studente in questione sapeva cosa significavano le sue occhiate: che avrebbe accettato di bere qualcosa con lui al caffè vicino. Gli iniziati sapevano anche che questo caffè aveva due piani. Il piano di sopra la sera era occupato da giocatori di carte, ma il pomeriggio era assolutamente deserto. Solo gli amanti lo sapevano. Lo studente e Bijou andavano lì, salivano la stretta rampa di scale che portava un cartello con su scritto lavabos, e si ritrovavano in una stanza semibuia piena di specchi, di tavole e sedie. Bijou ordinava al cameriere qualcosa da bere, poi si sdraiava sul banchetto di pelle, e si rilassava. Il giovane studente che aveva scelto tremava tutto, mentre dal corpo di lei emanava un calore che egli non aveva mai sentito prima.

Le prendeva la bocca e con la pelle fresca e i bei denti la induceva ad aprirla completamente ai suoi baci e a rispondergli con la lingua. Si aggrovigliavano sul banchetto di pelle lungo e stretto, e lui cercava di sentirle quante più parti del corpo poteva, temendo che in qualsiasi momento lei potesse dirgli: "Smetti, potrebbe salire qualcuno dalle scale." Gli specchi riflettevano la loro lotta, il disordine dei vestiti e dei capelli di lei. Le mani dello studente erano agili e audaci. Egli scivolò sotto il tavolo e le sollevò la gonna. Allora sì che ella disse: "Smetti, potrebbe salire qualcuno." Ma lui le rispose: "Lascia che vengano, tanto non mi vedranno." Era vero che non avrebbero potuto vederlo sotto il tavolo. Allora lei spostò la seggiola in avanti, appoggiando il viso tra le mani come se stesse sognando, e lasciò che lo studente, in ginocchio, le affondasse la testa sotto la gonna. Bijou divenne languida e si abbandonò ai suoi baci e alle sue carezze. Là dove aveva sentito il pennello da barba del Basco, ora sentiva la lingua del giovane. Ricadde in avanti, travolta dal piacere. Poi sentirono dei passi, e lo studente si alzò in fretta e si mise a sedere accanto a lei, e per coprire la sua confusione si mise a baciarla. Il cameriere li trovò abbracciati e se ne andò in fretta e furia, dopo aver portato l'ordinazione. Le mani di Bijou ora frugavano freneticamente i vestiti dello studente e questi la baciava con tanta furia che Bijou cadde di fianco sul banchetto e lui sopra di lei. Egli le sussurrò: "Vieni nella mia stanza. Ti prego, vieni nella mia stanza. Non è lontano." "Non posso," rispose Bijou, "il Basco verrà a prendermi tra poco." Allora l'uno prese la mano dell'altro e la mise dove poteva dare il piacere più grande. Seduti davanti alle bibite, come se stessero conversando tra loro, si accarezzarono a vicenda. Gli specchi li riflettevano con un'espressione prossima al pianto, con i lineamenti contratti, le labbra tremanti, le palpebre palpitanti. Dai loro visi si potevano indovinare i movimenti delle mani. In certi momenti pareva che il giovane studente fosse stato ferito e annaspasse in cerca d'aria. Salì un'altra coppia mentre le loro mani erano ancora al lavoro, così dovettero riprendere a baciarsi, come due innamorati romantici. Lo studente, incapace di nascondere la condizione in cui versava, se ne andò da qualche parte a calmarsi, mentre Bijou ritornò alla lezione, col corpo in fiamme. Quando il Basco venne a prenderla all'ora di chiusura, era di nuovo calma.

Bijou aveva sentito parlare di un chiaroveggente e andò a consultarlo.

Era un uomo grande, un negro dell'Africa occidentale. Tutte le donne del quartiere andavano da lui. La sala d'attesa era piena e Bijou si trovò di fronte a una grande tenda di seta cinese nera, ricamata in oro.

L'uomo comparve da dietro questa tenda. Nonostante il vestito di tutti i giorni, aveva un'aria da mago. Lanciò a Bijou un'occhiata pesante con i suoi occhi lustri, e scomparve dietro alla tenda con l'ultima donna, che era arrivata prima di lei. La seduta durò mezz'ora. Poi l'uomo sollevò la tenda nera e accompagnò gentilmente la donna all'ingresso. Era il turno di Bijou. L'uomo la fece passare sotto la tenda e Bijou si ritrovò in una stanza quasi buia, piena di tende cinesi, e illuminata solo da una sfera di cristallo con sotto una luce. Questa brillava sul viso e sulle mani del chiaroveggente lasciando il resto della stanza nell'oscurità. Gli occhi dell'uomo erano ipnotici. Bijou decise di opporre resistenza all'ipnosi per essere perfettamente cosciente di quanto succedeva. L'uomo le disse di sdraiarsi sul divanetto e di rimanere assolutamente tranquilla per un momento, mentre lui, seduto al suo fianco, concentrava la sua attenzione su di lei. Egli chiuse gli occhi, e allora Bijou decise di chiudere i suoi. Per un minuto intero egli rimase in questo stato di astrazione, poi le mise una mano sulla fronte. Era una mano calda, secca ed elettrica. Poi la sua voce disse come in un sogno: "Tu sei sposata a un uomo che ti fa soffrire." "Sì,"

disse Bijou, pensando al Basco che la metteva in mostra davanti ai suoi amici. "Ha delle strane abitudini." "Sì," disse Bijou stupita. Con gli occhi chiusi, riviveva le scene con estrema chiarezza. Sembrava che anche il chiaroveggente riuscisse a vederle. Egli aggiunse: "Sei infelice, e trovi una compensazione nell'essere molto infedele." "Sì,"

disse ancora Bijou. Poi riaprì gli occhi, vide che il negro la guardava intentamente, e li chiuse di nuovo. Egli le posò una mano sulla spalla.

"Dormi," le disse. Bijou si calmò alle sue parole, nelle quali le parve di scorgere un'ombra di pietà. Ma non riuscì a dormire. Il suo corpo era irrigidito, però sapeva come cambiano nel sonno il respiro e i movimenti del seno. Così finse di addormentarsi. Per tutto il tempo sentì la mano sulla spalla e il suo calore le passava attraverso i vestiti. L'uomo incominciò ad accarezzarle la spalla. Lo faceva con tanta calma che Bijou temeva di addormentarsi e non voleva perdersi la piacevole sensazione che le percorreva la spina dorsale al tocco circolare della mano di lui. Alla fine si rilassò completamente. Egli le toccò la gola e attese. Voleva essere sicuro che dormisse. Poi le toccò i seni e Bijou non si mosse. Con cautela e destrezza le accarezzò il ventre e con la pressione del dito spinse la seta nera del vestito in modo da sottolineare la forma delle gambe e lo spazio tra di loro. Dopo aver dato forma a questa valle, continuò ad accarezzarle le gambe senza però toccargliele sotto il vestito. Poi si alzò silenziosamente dalla seggiola, andò ai piedi del divanetto, e si inginocchiò. Bijou sapeva che, in questa posizione, poteva guardarle sotto il vestito e vedere che non portava niente. L'uomo guardò a lungo. Poi sentì che le sollevava leggermente l'orlo della gonna, per poter vedere di più. Bijou si era allungata tutta sul divano, le gambe leggermente divaricate. E ora si scioglieva sotto il tocco e gli sguardi di lui. Com'era bello sentirsi guardare, mentre fingeva di dormire, e sentire che l'uomo era completamente eroticamente preso di lei. Sentì che la seta veniva sollevata, le gambe scoperte. E lui le guardava. Con una mano gliele accarezzava dolcemente, lentamente, schiudendosele senza problemi, sentendo le linee armoniose, i passaggi serici che salivano sotto il vestito. Era difficile per Bijou rimanere assolutamente immobile.

Avrebbe voluto aprire di più le gambe. Come si muoveva lenta la mano di lui. ®sentiva seguire i contorni delle gambe, soffermarsi sulle curve, fermarsi sul ginocchio, poi continuare. Poi si interruppe, proprio prima di toccarle il sesso. L'uomo probabilmente le aveva guardato il viso per vedere se era profondamente ipnotizzata. Poi, con due dita, incominciò a toccarle il sesso, a palparlo. Quando sentì il miele che affluiva lentamente, egli nascose la testa sotto la gonna, si nascose tra le sue gambe, e incominciò a baciarla. La sua lingua era lunga e agile, penetrante. Bijou dovette trattenersi dallo spostarsi verso la sua bocca vorace. La piccola lampada emanava una luce così tenue, che Bijou azzardò a socchiudere gli occhi. L'uomo aveva ritirato la testa da sotto la gonna e si stava togliendo lentamente i vestiti. era in piedi accanto a lei, magnifico, alto, simile a un re africano, con gli occhi brillanti, i denti scoperti, la bocca umida. Non muoverti, non muoverti, se vuoi che faccia tutto quel che vuole. Cos'avrebbe fatto un uomo a una donna ipnotizzata, che non doveva intimorire o compiacere in alcun modo?

Nudo, egli torreggiò su di lei e, circondandola con entrambe le braccia, la rigirò delicatamente. Ora Bijou gli offriva le natiche sontuose. Egli le sollevò il vestito e le allargò i le cosce. Fece una pausa, per riempirsi gli occhi. Le sue dita sicure, calde, mentre le apriva la carne. Si piegò su di lei e incominciò a baciarle la fessura. Poi le fece scivolare le mani intorno al corpo e la sollevò verso di sé, in modo da poterla penetrare da dietro. All'inizio trovò solo l'apertura del culo troppo piccola e stretta per potervi entrare, poi trovò l'apertura più larga. Ondeggiò dentro e fuori di lei per un momento, poi si interruppe. La rivoltò di nuovo, in modo da potersi vedere mentre la prendeva da davanti. Le sue mani cercarono i seni sotto il vestito e li schiacciarono con carezze violente. Il suo sesso era grosso e la riempiva completamente. Lo introdusse con tanta violenza che Bijou temette di avere un orgasmo e di tradirsi. Voleva prendersi il suo piacere senza che lui lo sapesse. Lui la eccitò talmente con il suo ritmo sessuale incalzante che, quando scivolò fuori per accarezzarla, lei sentì arrivare l'orgasmo. Ora tutto il suo desiderio era teso a provare un nuovo orgasmo. Egli cercò di spingerle il sesso nella bocca semiaperta e Bijou si trattenne dal reagire e aprì solo un po' di più la bocca. Impedire alle sue mani di toccarlo, impedire a se stessa di muoversi, era per lei un grande sforzo. E tuttavia voleva provare ancora quello strano piacere di un orgasmo rubato, come lui provava il piacere di quelle carezze rubate. La passività di Bijou lo spinse all'orlo del parossismo. Ormai aveva toccato il suo corpo dappertutto, l'aveva penetrata in tutti i modi possibili, ed ora si sedette sul ventre di lei e le spinse il sesso tra i due seni, stringendoseli intorno mentre si muoveva. Bijou sentiva i suoi peli che strusciavano contro di lei. E

finalmente perse il controllo. Aprì contemporaneamente la bocca e gli occhi. L'uomo grugnì di piacere, le premette la bocca contro la sua e si strusciò contro di lei con tutto il corpo La lingua di Bijou batteva contro la bocca di lui, mentre le morsicava le labbra. All'improvviso egli si interruppe per chiederle: "Vuoi fare una cosa per me?" Bijou annuì. "Io mi sdraierò sul pavimento e tu verrai ad accucciarti sopra di me, e mi lascerai guardare sotto il vestito." "Egli si allungò sul pavimento e Bijou si accovacciò sopra di lui, reggendo il vestito in modo che poi cadesse coprendogli la testa. Egli le prese le natiche tra le mani come un frutto e le passò la lingua tra i due monti, più volte.

Poi le accarezzò il clitoride, il che fece ondeggiare Bijou avanti e indietro. La lingua di lui sentiva ogni reazione, ogni contrazione.

Piegandosi su di lui, essa vide il suo pene eretto vibrare a ogni gemito di piacere. Bussarono alla porta. Bijou si alzò in fretta, tutta confusa, con le labbra ancora umide di baci e i capelli scompigliati. Il chiaroveggente invece rispose con tutta calma: "Non sono ancora pronto."

Poi si voltò verso di lei con un sorriso. Bijou rispose al sorriso, mentre lui si rivestiva in fretta. Ben presto tutto fu di nuovo in perfetto. ordine. I due si accordarono per rivedersi. Bijou voleva portargli le sue amiche Leila ed Elena. Gli sarebbe piaciuto? Lui la pregò di farlo e le disse: "Per lo più le donne che vengono qui non mi tentano. Non sono belle, ma tu... Vieni quando vuoi, ballerò per te." La sua danza per le tre donne ebbe luogo una sera, dopo che tutte le clienti se ne furono andate. Egli si spogliò, rivelando il suo corpo bruno dorato e lucente. Alla vita si era legato un pene finto, modellato sulla forma del suo e dello stesso colore. Disse loro: "Questa è una danza del mio paese d'origine. La eseguiamo per le donne nei giorni di festa." Nella stanza illuminata debolmente, dove la luce brillava sulla sua pelle come un piccolo fuoco, egli incominciò a muovere il ventre, facendo ondeggiare il pene in modo estremamente allusivo. Spingeva il corpo in avanti, come se stesse penetrando una donna e simulava gli spasmi di un uomo in preda alle svariate sensazioni di un orgasmo. Uno, due, tre. Lo spasmo finale fu incontrollabile, come quello di un uomo che dà la vita nell'atto sessuale. Le tre donne osservavano. All'inizio risaltava solo il pene finto, ma poi, nella foga della danza, quello vero incominciò a competere con l'altro in lunghezza e dimensioni, e ormai entrambi si muovevano in sincronia coi gesti dell'uomo. Egli chiuse gli occhi e pensò che non aveva bisogno delle donne. L'effetto su Bijou fu potente. Si tolse il vestito e incominciò a ballargli intorno allettandolo. Ma l'uomo si limitò a toccarla di quando in quando con la punta del sesso, ogni volta che le passava accanto, e continuò a piroettare e a lanciare il corpo nello spazio come un selvaggio che danzi contro un corpo invisibile. L'esibizione turbò anche Elena, che si tolse a sua volta. il vestito e si inginocchiò accanto a loro, solo per essere nell'orgia della loro danza sessuale. All'improvviso desiderò di esse presa sino a sanguinare da questo pene grande, forte, saldo che ondeggiava davanti a lei mentre l'uomo eseguiva una danza del ventre maschile, con i suoi movimenti tentatori. Anche Leila, che non desiderava gli uomini, venne trascinata dallo stato d'animo delle altre due donne e cercò di abbracciare Bijou, ma questa non volle saperne. Era affascinata dai due peni. Leila cercò di baciare anche Elena, poi strusciò i capezzoli contro entrambe le donne, cercando di sedurle. Si attaccò a Bijou, cercando di approfittare della sua eccitazione, ma Bijou continuò a concentrarsi sugli organi maschili che le oscillavano davanti agli occhi. Aveva la bocca aperta e, anche lei, sognava di essere posseduta da un mostro dai due sessi, capace di soddisfare in un sol colpo i suoi due centri di piacere. Quando l'Africano cadde sul pavimento, esausto per la danza, Elena e Bijou balzarono su di lui simultaneamente. Bijou inserì in fretta un pene nella sua vagina e uno nel retto poi si contorse sul ventre di lui selvaggiamente, senza interruzione, finché cadde soddisfatta, con un lungo grido di piacere.

Elena la spinse via ed assunse la stessa posizione. Ma vedendo che l'Africano era stanco, non si mosse, aspettando che recuperasse le forze. Il pene rimase eretto dentro di lei, e mentre ella attendeva incominciò a contrarsi, molto lentamente e dolcemente, temendo di avere un orgasmo troppo in fretta, che mettesse fine al suo piacere. Dopo un momento, egli l'afferrò per le natiche e la sollevò in modo che ella potesse sentire la pulsazione rapida del suo sangue. Poi la piegò, la modellò, la spinse, la tirò, per assecondare il suo ritmo, finché non arrivò a gridare, e allora Elena si mosse in cerchi intorno al pene gonfio, finché l'uomo non venne. Poco dopo egli fece accucciare Leila sopra la sua faccia, come aveva fatto prima con Bijou, e le nascose il viso tra le gambe. Benché Leila non avesse mai desiderato un uomo, sperimentò una nuova sensazione, mai provata prima, mentre la lingua dell'Africano la titillava. Desiderava essere presa da dietro. Cambiò posizione e gli chiese di introdurle il pene finto. Si mise sulle mani e sulle ginocchia e l'uomo fece quel che gli aveva chiesto. Elena e Bijou osservarono stupite che mostrava le natiche con evidente eccitazione, e l'Africano graffiò e morse mentre muoveva il pene falso dentro di lei.

Dolore e piacere si mescolavano nel suo corpo, perché il pene era grosso, ma Leila rimase sulle mani e sulle ginocchia, con l'Africano saldato a lei, e si mosse convulsamente finché non ottenne il suo piacere. Bijou andò spesso a trovare l'Africano. Un giorno, mentre erano sdraiati insieme sul divano, egli le affondò il viso sotto le ascelle, inalò il suo odore e, invece di baciarla, incominciò ad annusarla dappertutto, come un animale. Prima sotto le braccia, poi tra i capelli, poi tra le gambe. E annusandola si eccitò, ma non la prese. Le disse: "Sai Bijou, ti amerei di più se ti facessi il bagno meno spesso. Amo l'odore del tuo corpo, ma è debole, si attenua con tutti i tuoi lavacri.

E' per questo che desidero raramente le donne bianche. A me piace l'odore forte di donna. Per piacere, lavati un po' meno." Per compiacerlo, Bijou si lavò meno. Egli amava soprattutto l'odore tra le sue gambe, quando non si era lavata, lo splendido odore di conchiglia marina, di sperma e di seme. Poi chiese di tenergli da parte la sua biancheria intima. Di indossarla per qualche giorno e poi di

portargliela. Per prima cosa gli portò una camicia da notte che aveva indossato spesso, nera e raffinata, coi bordi di pizzo. Con Bijou sdraiata al suo fianco, l'Africano si coprì il viso con la camicia da notte e ne inalò gli odori. Poi si sdraiò di nuovo, estasiato e silenzioso. Bijou vide che sotto i pantaloni il desiderio incominciava a premere. Si piegò leggermente su di lui e incominciò a slacciare un bottone, poi un altro, poi un terzo, infine gli aprì i pantaloni e cercò il sesso che era puntato verso il basso, imprigionato dalle mutande strette. Dovette di nuovo slacciare dei bottoni. Alla fine vide il baluginio del pene, tutto scuro e liscio. Infilò la mano dolcemente, come se si accingesse a rubarlo. L'Africano, con la testa coperta dalla camicia da notte, non guardava. Bijou tirò lentamente il pene verso l'alto sciogliendolo dalla sua posizione costretta e lo liberò. Ed eccolo balzare su, dritto, liscio e duro. Ma l'aveva appena toccato con la bocca che l'Africano lo allontanò da lei e, presa la camicia da note, tutta stropicciata, la stese sul letto e vi si gettò con tutto il suo corpo, affondandovi il sesso e muovendosi su e giù contro di essa, come se fosse Bijou. Ella lo osservò affascinata dal modo in cui si buttava sulla camicia da notte ignorando lei. I suoi movimenti la eccitavano.

Egli era in preda a una frenesia tale che sudava e dal suo corpo emanava un odore animale intossicante. Bijou gli si gettò sopra ma l'uomo sopportò il suo peso sulla schiena senza curarsi di lei e continuò ad agitarsi contro la camicia da notte. Lo vide affrettare i movimenti, poi interrompersi. Si girò la spogliò molto dolcemente. Bijou pensava che ormai avesse perso l'interesse per la camicia da notte e che avrebbe fatto l'amore con lei. Le tolse le calze, lasciandole le giarrettiere sulla pelle nuda. Poi le sfilò il vestito, ancora caldo del contatto con il suo corpo. Per fargli piacere, Bijou aveva messo delle mutandine nere. E anche queste gliele tolse lentamente, fermandosi a metà strada per guardare la carne d'avorio che ne emergeva, un pezzo del culo, l'inizio della valle delle fossette. E qui la baciò, facendo scorrere la lingua su e giù per la deliziosa fessura, mentre continuava a toglierle le mutandine. Non lasciò un solo punto senza baci, mentre gliele faceva scivolare lungo le cosce, e la seta era come un'altra mano sulla carne di Bijou. Alzando una gamba per liberarsi delle mutandine, offrì all'amante la vista completa del suo sesso, e lui la baciò anche lì. Poi Bijou alzò l'altra gamba e gliele mise entrambe sulle spalle. Egli continuò a baciarla, tenendo le mutandine tra le mani e la lasciò bagnata e ansimante. Poi si staccò da lei per affondare la faccia nelle mutandine e nella camicia da notte, si avvolse il pene nelle calze e si mise il vestito di seta nera sul ventre. Pareva che i vestiti avessero su di lui lo stesso effetto di una mano. Era sconvolto dall'eccitazione.

Bijou cercò di nuovo di toccargli il pene con la bocca, con le mani, ma lui la respinse ed ella rimase sdraiata al suo fianco nuda e smaniosa, testimone del suo piacere. Era provocante e crudele. Poi cercò di baciare il resto del suo corpo, ma lui non reagì alle sue carezze.

Continuò ad accarezzare, a baciare e ad annusare i vestiti finché il suo corpo non incominciò a tremare. Si abbandonò di nuovo, col pene che si agitava nell'aria, senza niente che lo circondasse, che lo tenesse. Fu scosso da un brivido di piacere dalla testa ai piedi, morse le mutandine, le masticò, con il pene eretto vicino alla bocca di Bijou, e tuttavia a lei inaccessibile. Finalmente il pene ebbe un tremito violento e, appena sulla punta apparve la schiuma bianca, Bijou gli si gettò sopra a raccogliere gli ultimi spruzzi. Un pomeriggio in cui Bijou e l'Africano erano insieme e Bijou non riusciva a suscitare nell'amante il desiderio del suo corpo, gli disse esasperata: "Senti, mi sta venendo una vulva ipersviluppata grazie ai tuoi baci e morsi costanti. Tiri le labbra come se fossero capezzoli. Tra un po' mi diventeranno più lunghe." Allora egli prese le labbra tra il pollice e l'indice e le esaminò Le spalancò come i petali di un fiore e disse: "Si potrebbe bucarle e attaccargli un orecchino, come si fa da noi in Africa. Mi piacerebbe fartelo." Continuò a giocare con la vulva che gli si irrigidì sotto le dita, mentre un fluido bianco appariva ai bordi, simile alla schiuma delicata di un'ondina. Egli si eccitò e la toccò con la punta del pene. Ma non la penetrò. Era ossessionato dall'idea di bucare quelle labbra come fossero state i lobi delle orecchie e appendervi un piccolo orecchino d'oro, come aveva visto fare alle donne del suo paese. Bijou non pensava che facesse sul serio e si godeva le sue attenzioni. Ma sul più bello egli si alzò e andò a prendere un ago. Bijou dovette lottare per allontanarlo e scappò via. E fu così che rimase senza amante. Il Basco continuava a tormentarla, suscitando i suoi desideri di vendetta.

Quando lo tradiva era più che contenta. Camminava per la strada e frequentava i caffè piena di appetiti e di curiosità; voleva qualcosa di nuovo, qualcosa che non aveva ancora sperimentato. Sedeva ai caffè e rifiutava gli inviti. Una sera scese per le scale che portavano al lungo fiume. Questa zona della città era illuminata debolmente da lampioni sospesi e i rumori del traffico si udivano appena. Le chiatte ormeggiate non avevano luce e gli occupanti a quell'ora della notte dormivano già.