Prologo - L'Impero dei sensi
Nella semioscurità i suoi occhi neri ci fissano. Sono profondi, intensi, e il sorriso sereno aumenta la forza del suo invito. Avanziamo verso di lei. Nel buio della stanza gradualmente prendono forma altri dettagli del suo volto. I suoi occhi non si staccano da noi. La sua bellezza avvolge ogni nostro pensiero. Colpisce la carnosità delle sue labbra, la pelle morbida, i suoi zigomi alti e pronunciati, la corposità dei suoi capelli scuri, e il suo viso che sembra fatto unicamente di luce soffusa.
Siamo vicinissimi, ormai il nostro respiro accarezza il suo volto. Il suo sguardo all'improvviso ha un sussulto, sembra spegnersi… poi torna a fissarci con quella profonda sicurezza: cosa è successo? A provocare quel sussulto è stato un soffio del vento che ha scomposto la fiamma di un lume che le è accanto. Il vento ora continua a giocare con la fiamma, cambiando la luminosità dei suoi occhi. Ma lei non reagisce… e come potrebbe? Non è una persona… è il volto di Venere dipinto su un affresco. Nel buio sembrava reale.
Il chiarore della lucerna ha creato quest'isola di luce nel buio, con Venere al centro della parete, l'unica in questa stanza immersa nel silenzio e nei profumi di una notte d'estate. Ci muoviamo di pochi passi. Ora siamo in un corridoio illuminato da alcuni, perfetti, raggi di luna. In fondo c'è una stanza. I respiri del vento abbracciano una sottilissima tenda in un ballo lento, sinuoso. È così sottile che riusciamo a intravedere quello che c'è oltre: due amanti abbracciati. Sono scolpiti dalla luce della luna che gioca con i loro corpi, mostrando… ma non svelando. Esattamente come accade al mare di notte: solo la danza delle creste bianche vi rivela i movimenti dell'acqua. E il mare della passione che si muove oltre questa tenda è fatto di lente carezze, lunghi sorrisi, mani che affondano nei capelli, labbra che scorrono sulla pelle addolcita dai raggi di luna. E poi baci, gemiti uniti a respiri profondi che aumentano progressivamente d'intensità e sembrano salire come rampicanti invisibili sulle pareti affrescate.
Ora è lei a prendere il sopravvento. Le sue esili dita accarezzano le ampie spalle del suo uomo… i muscoli delle sue braccia… e poi i suoi occhi fissano quelle grosse vene che sembrano scolpite sulle mani. È troppo, non resiste più: stringe quelle mani come si stringono le redini di un cavallo prima di partire al galoppo, sale su di lui e comincia una lunga corsa nella notte. La luna sembra aver capito e avvolge di luce blu quel corpo sensuale che si sposta con le movenze di una fiamma. Come un pittore, disegna nell'oscurità la donna con pochi tratti di luce: ecco il seno che ondeggia, il profilo dei fianchi su cui ora affondano come artigli le mani dell'uomo, e infine il volto, identico a quello della Venere dell'affresco, che dischiude le labbra carnose, e gradualmente si rivolge alle stelle, ormai preda del fuoco interiore, che la divora tra gemiti e lamenti sempre più alti. Fino a quando gli occhi si chiudono e il volto si contrae in un intenso, lungo, piacevole sforzo d'amore animato da scosse che attraversano tutto il corpo…
I romani amavano quindi come noi? È una domanda che tutti si pongono, soprattutto guardando gli affreschi di Pompei o le statue nei musei. Per inciso, duemila anni fa la posizione "sopra" l'uomo che ha assunto questa donna aveva un nome preciso: mulier equitans, cioè la "donna a cavallo", e non a caso l'abbiamo descritta all'inizio del nostro racconto. Infatti se volete conoscere lo status e la considerazione di una donna in una società antica, molti esperti vi diranno che spesso basta guardare le posizioni sessuali dipinte su vasi o affreschi: mentre la donna greca, per esempio, è sempre in posizione "passiva", succuba dell'uomo, un oggetto in suo possesso, la donna romana è in posizioni che spesso suggeriscono una parità e (raramente) persino un "dominio" sull'uomo. Comunque sempre partecipante al gioco amoroso.
Questo rapporto tra uomo e donna, che non ha precedenti in passato e che si ritrova solo nella nostra epoca e nella nostra società occidentale, è una delle sorprese del mondo romano. Con i suoi distinguo, beninteso, perché siamo sempre in una società antica, in cui l'uomo comanda. Ma ci fa capire quanto fosse "moderno" in molti casi il rapporto di coppia.
Allora, i romani amavano come noi? La risposta la scopriremo in questo nostro viaggio nell'antica Roma. Immaginate di camminare per i suoi vicoli e di arrivare a una piccola piazzetta. Qui incontreremo uno dei personaggi che erano davanti a noi, nell'Introduzione, più esattamente il ragazzo addossato alla colonna. È da qui che parte il nostro viaggio nell'amore. È una giornata qualsiasi nella capitale dell'Impero, un martedì del 115 d.C.