10 - Nei luoghi del piacere
Viaggio nei bassifondi di Roma
ALLA RICERCA DEI LUOGHI DEL PIACERE
Siamo di nuovo tra la gente che affolla le strade. Il nostro obiettivo ora è quello di esplorare il mondo dell'amore a pagamento. Ma dove andare? Nella nostra epoca sapremmo indicare le vie dove stazionano delle prostitute, o le aree dove è più facile trovarle, forse anche locali e night dove per forza di cose se ne devono incontrare. Ma qui, a Roma, nel 115 d.C, dove bisogna andare? C'è un'area? Una via? Un quartiere del sesso? Dove sono le prostitute nelle vie della Roma imperiale? I nostri occhi osservano le persone che incrociamo in questa via, incorniciata da palazzi altissimi, che più salgono in cielo più si spogliano del loro intonaco bianco, mostrando i mattoni rossi e le "intelaiature" incrociate di travi, esattamente come nelle case medievali. Ecco passare tre schiavi con voluminosi pacchi di biancheria sulla testa. Laggiù, a passo lento, due uomini con la toga che discutono. Davanti a una taberna, cioè un negozio, un commerciante ride e scherza con un amico ma tiene sott'occhio un cliente che si aggira in modo un po' sospetto tra le pile di stoffe colorate che ingombrano l'entrata.
La nostra attenzione è richiamata da due ragazzini che s'inseguono tra la folla urtando le persone. All'improvviso virano, come due rondini in volo basso, puntando la lettiga di una matrona che avanza lentamente nella via. I tempi sono calcolati alla perfezione: passano sotto la lettiga come due fulmini e ne escono ridendo, evitando i calci degli schiavi che la trasportano. A raggiungerli sono solo le imprecazioni dello schiavo in testa alla lettiga, che prova a inseguirli per qualche passo. Poco oltre c'è una popina, un bar, con due vigiles, cioè i pompieri, vigili urbani addetti alla sorveglianza notturna delle strade e alla prevenzione degli incendi, che finito il servizio sono seduti a gambe larghe a un tavolo e bevono avidamente delle coppe di vino. Scherzano con la cameriera in piedi accanto al loro tavolo, con il vassoio stretto al petto. Scoppia una risata, poi un'altra, ma alla terza lei si allontana, divincolandosi da una mano troppo indagatrice sotto la sua tunica. Sappiamo che le cameriere dei locali si concedono a pagamento. Ma le prostitute che fanno solo quello di mestiere sono un'altra cosa. Come si riconosce una prostituta tra la gente? Viene verso di noi una donna formosa dall'abito rosso e lo scialle chiaro che le copre la testa. Potrebbe essere lei? In fondo, è sola, formosa, ha un vestito appariscente… Sentendosi osservata, "aggancia" il nostro sguardo insistente. Per un attimo infinito i suoi occhi scuri ci fissano intensamente; si starà chiedendo se ci conosciamo, poi "allunga" il suo sguardo verso il fondo della via e ci passa accanto indifferente, nel tintinnio dei suoi bracciali. Lascia solo la scia del suo profumo, penetrante. Chiaramente non è una prostituta. Eppure siamo vicini alla Suburra, il quartiere più popolare di Roma, dove si trova il Submemmium, la parte più malfamata, il rione "dedicato" proprio alle prostitute (come sembra indicare il nome "vicino" o "sotto le mura", da sub e moenià). Un uomo basso, tarchiato e mezzo pelato, con la tunica stropicciata, ci dà involontariamente la risposta; ha appena finito di fare un'offerta a un piccolo tempietto deponendo del cibo ai piedi della statua di una divinità. Girandosi per andare via, si è fermato, come fulminato. Seguiamo il suo sguardo fisso e carico di interesse verso quella che, a noi, all'inizio sembra solo una macchia vivacemente colorata tra la gente. Mentre si avvicina, la folla che le è davanti gradualmente si apre e appare, in tutta la sua esplosione di colori, una prostituta. Scopriamo che è proprio quella che avevamo visto passare per la piazzetta all'inizio del nostro libro…
A Roma le prostitute si riconoscono al volo, perché hanno, per così dire, una "divisa": sono obbligate per legge a indossare la toga, che è un tipico abbigliamento maschile. E questo per differenziarle dalle matrone. Hanno sempre colori vistosi e sgargianti. Questa ragazza, per esempio, ha una toga azzurro chiaro. I capelli sono tinti con una tonalità arancione shocking, e la tunica che indossa sotto la toga è trasparente, lasciando intravedere seni prorompenti, tenuti fermi a stento da una fascia, che sobbalzano a ogni passo nel suo ampio décolleté. Tiene di proposito la testa alta, gli occhi socchiusi in uno sguardo apparentemente pieno di desiderio. La sua carica erotica si sparge per tutta la via e attira come una calamita gli sguardi maschili. La sua giovane età e il suo fisico perfetto ne fanno una prostituta fuori del comune. Non bisognerà sorprendersi se presto farà un salto di qualità, entrando in un giro dell'alta società. La pelle del suo volto è liscia, chiara e curatissima, molto più di quella delle donne che le passano accanto evitandola con una smorfia di disprezzo. In effetti, le prostitute romane hanno una cura quasi maniacale dell'aspetto, sapendo che ai loro clienti piacciono le "rotondità", ma non cadenti, e soprattutto una bella pelle. Per questo le prostitute sono attente a mantenersi in forma, e usano creme di bellezza e trucchi. Alcune hanno parrucche color arancione o azzurro, delle tinte "simbolo" che indicano il loro mestiere. Naturalmente, non tutte possono permetterselo. Esistono infatti varie classi di meretrici a Roma, da quelle più povere, seminude o vestite di una tunica sporca e lacera, alle cortigiane dell'alta società, i cui vestiti farebbero invidia persino a regine di altre epoche… Sono indumenti costosissimi, che cambiano a seconda dell'occasione e del gusto del cliente. L'abito, in effetti, è uno strumento di lavoro soprattutto per le prostitute di livello inferiore, quelle di strada (come lo è ancora oggi). A sentire Plauto, le prostitute di strada indossano vestiti studiati apposta per attrarre psicologicamente il cliente. Per cui c'è il costume "da regina", "da mendicante", "nobile", "esotica" ecc.
Ma quanti tipi di prostitute esistono a Roma? Che tipo di donne sono, e da dove vengono? È quello che cercheremo ora di scoprire.
NELLA SUBURRA, SCOPRENDO LE VARIE CATEGORIE DI PROSTITUTE
La prostituzione è molto diffusa nell'antica Roma, esattamente come lo è in tutte le civiltà, fino ai nostri giorni. La differenza con oggi è che le prostitute non sono particolarmente malviste, anzi, si riconosce loro un'utilità sociale (pagano anche le tasse, lo vedremo, come in qualsiasi altra professione). Persino Cicerone le difende: "Necessarie sia all'igiene sia alla tranquillità delle donne o dei bambini di nascita libera, le prostitute, a Roma come altrove, svolgono una funzione di salute pubblica".
Nessuno si scandalizza se un uomo o un giovane s'infilano in un postribolo per fare sesso con una prostituta, ma curiosamente è malvisto che un anziano vada con una di esse. In età avanzata non bisogna più farlo, è roba per i giovani, che devono sfogare le loro pulsioni. Un uomo maturo dovrebbe usare la saggezza e non essere più ostaggio degli istinti.
La condizione della prostituta è molto difficile, tranne nei casi delle escort di alto bordo: il maschilismo spinto della società romana e la schiavitù facevano sì che la maggioranza di esse fossero delle donne oggetto, con quasi nessun diritto o tutela e al centro di uno sfruttamento impressionante.
Ci stiamo addentrando nella Suburra, e ci accorgiamo che basta svoltare a un incrocio per vedere all'improvviso come tutto cambia. Le strade sono di terra battuta, con liquami vari al centro. I muri alla base degli edifici sono sporchi e scrostati, con piccoli cumuli di immondizia non facilmente identificabile: stracci, cocci, resti di ortaggi pestati, frammenti di cuoio… rapidissimo, un topo passa come un'ombra da un piccolo cumulo all'altro. Eppure, in questo squallore, la gente passa chiacchierando, senza curarsi della sporcizia, dell'odore pungente e nauseabondo dei liquami, delle mosche… Urla di donna che litiga con qualcuno ci arrivano all'improvviso da un piano alto. Non facciamo in tempo a cercare di distinguere le sue parole perché le sue urla sì sommano a quelle di un venditore ambulante che ci viene incontro nel vicolo, cercando di offrirci delle scope fatte di rami legati. Malgrado sia ancora giovane, è un uomo distrutto: ha il volto bruciato dal sole, solcato da rughe profonde, e un sorriso quasi completamente sdentato. La sua tunica lacera gli copre a malapena il corpo, e cammina a piedi nudi. Mentre si ferma per mostrarci le sue scope, ci accorgiamo che con entrambi i piedi è dentro il rigagnolo dì liquami… ma non se ne cura. Visto il nostro disinteresse, se ne va all'improvviso, gridando la sua merce. Benvenuti nella Suburra…
In fondo al vicolo scorgiamo una tettoia lurida che cade a pezzi, sotto la quale ci sono alcune donne sedute. Hanno vestiti poveri, e l'aspetto trasandato. Alcune sono vecchie, altre ancora grasse con dei nei pelosi e i capelli scarmigliati. Altre sono così poco attraenti da sembrare uomini travestiti da donna. Eppure ci guardano sorridendo, chiedendoci se vogliamo un rapporto sessuale… Sono le cosiddette prostitute da pergula, le ultime nella categoria delle meretrici. Sono quelle troppo vecchie o brutte per attrarre una clientela normale. I loro lenoni (i magnaccia) le offrono ai rifiuti della società, agli ultimi e ai più miserabili. Esercitano tipicamente la loro professione sotto questi ripari nei vicoli e nelle strade dei quartieri popolari, a prezzi irrisori.
PASSEGGIATRICI E PROSTITUTE A DOMICILIO
Proseguiamo. Poco oltre, vediamo una coppia di donne appoggiate a un muro. Hanno entrambe i capelli azzurri, capiamo che devono essere delle prostitute. Un uomo si avvicina a quella più bassa, dalle labbra carnose, e comincia a parlottare. Nel mentre, lei gli accarezza il viso e gli mette una mano attorno alla vita. Stanno certamente pattuendo il prezzo della prestazione… Bastano pochi secondi per accordarsi. Lei lo prende per mano e lo porta poco oltre, tenendo alzato il lembo della toga rosa per non sporcarlo. Fatti pochi metri, scosta una tenda, e appare una semplice stanzetta che dà direttamente sulla strada. È piccolissima, forse due o tre metri quadrati. È quasi interamente occupata da un letto. Il minimo per un amplesso. Queste piccole camere sono molto comuni nel panorama della prostituzione e vengono chiamate cellae meretriciae. Mentre lui si siede sul letto alzando la tunica e mostrando il sesso, lei si china su di lui tirando la tenda, isolandosi dal resto del mondo. Nel frattempo, la sua collega rimasta sola adocchia un bel ragazzo che cammina in mezzo alla strada; come chi deve compiere una rapina gli si avvicina di soppiatto da dietro e lo abbraccia improvvisamente, baciandolo. Il ragazzo ha uno scatto, si divincola e, insultandola, riesce a liberarsi dalla presa. Lei gli risponde a tono, e gli scarica una cascata di parolacce e maledizioni con le mani sui fianchi, alla fine delle quali sputa per terra in direzione del ragazzo. Ma lui è già lontano e, senza girarsi, le mostra il dito medio… La donna riprende a camminare avanti e indietro lungo il muro, in attesa di un altro cliente…
Queste prostitute sono delle ambulatrices, cioè, letteralmente, "passeggiatrici". Operano per strada, adescando clienti nella folla, come può fare un cacciatore con una mandria di prede. Le loro esche sono l'aspetto giovanile e l'aggressività dell'invito, nonché il mostrare, grazie a tuniche maliziose sotto la toga, alcune parti del loro corpo per "accendere" e attirare gli uomini. I luoghi dove consumano gli amplessi sono delle piccole stanze, non distanti da un lupanare, prese in affitto dal lenone.
Le loro colleghe che operano di notte sono chiamate invece noctilucae, mentre quelle che aspettano i clienti sotto le piccole arcate (fornices) di un portico vengono indicate come fornicatrices: è da esse che proviene il nostro verbo "fornicare"…
In realtà, esistono anche altri tipi di prostitute, come quelle che vanno direttamente a domicilio dal cliente: sono quelle che oggi vengono chiamate "squillo". Un nobile, o anche un ricco commerciante, non entrerà mai in un lupanare, che è un luogo essenzialmente per poveri o comunque per uomini appartenenti a ceti bassi (compresi marinai, soldati, liberti, o persino schiavi). Saranno le prostitute che andranno a casa sua. È un po' come ordinare una pizza a casa per non voler andare in pizzeria. Di conseguenza, oltre alla moglie, alla (o alle) concubina(e), alla schiava e all'amante, l'uomo romano a casa sua può fare sesso con un quinto tipo di donna: la prostituta. Ma non si tratta di meretrici dozzinali. Di solito queste prostitute a domicilio sono scelte nei migliori lupanari e sanno cantare, ballare, suonare uno strumento… Quindi non vanno solo a prostituirsi, ma vanno ad allietare i banchetti dell'elite romana, salvo poi, se è richiesto, fare sesso con il padrone di casa o con i suoi ospiti. O con entrambi.
LAESCORT ROMANA: UNO SQUALO
Infine, c'è la categoria più "alta" tra le prostitute. Quella delle escort di lusso. Sono le cortigiane di alto bordo. Si tratta di prostitute estremamente belle, capaci di "fare carriera", sganciandosi dal magnaccia, grazie anche a qualche dote particolare, come l'abilità nel saper cantare, suonare la cetra o sapersi adornare. Ma, soprattutto, hanno modi raffinati e buone maniere. Tutto sta nell'agganciare il "pollo". In questo, la escort aveva un'alleata, un'agente, un "impresario" dolina: la lena. Una volta agganciato l'individuo giusto, grazie a lui la escort comincia a frequentare l'alta società attraverso banchetti, feste, inviti ecc., per poi passare a un altro uomo ricco conosciuto in queste occasioni, più appetibile economicamente o socialmente. Da lui, poi, questa donna-rapace passerà a un altro ancora ecc. Per arrampicarsi sempre più in alto nell'elite romana.
Solitamente queste prostitute hanno nomi d'arte che ricordano donne famose nell'età d'oro della Grecia: Delia, Taide, Laide ecc. E sono delle vere tigri sociali, dotate di un istinto acutissimo nel riconoscere un pollo da spennare, come il discendente un po' ingenuo di una ricchissima famiglia romana, irretendolo con il sesso e la civetteria femminile.
Il risultato è che queste donne, veri e propri squali a nuoto nell'acquario di pesci rossi dell'alta società, sono capaci di far dilapidare interi patrimoni o di accumulare per sé, tra regali, concessioni e proprietà, immensi patrimoni personali. Nessun autore latino è tenero con loro. Plauto, nel Trinummus, descrive l'arrivo di una di queste escort d'alto bordo: "Si presentano con tutta la famiglia al completo: cameriera, massaggiatrice, custode dei gioielli, portatrici di ventaglio, guardiano dei sandali, cantanti, portatrici di cofanetti, messaggeri, predatori del buffet e della dispensa". Plauto fa capire che se da una parte la cortigiana, o escort, ti offre sesso intenso e passionale e compagnia molto raffinata, dall'altra ti dà un mare di guai, a cominciare dalle profonde preoccupazioni di tipo economico. Queste donne si distinguono infatti per un cinismo e una spietatezza impressionanti. Brave nella loro sensualità e femminilità, riescono a far innamorare a turno tanti uomini, che spogliano e divorano "vivi", abbandonandoli poi nella disperazione, senza pietà e senza voltarsi indietro.
DOVE TROVARE LE PROSTITUTE
Mentre proseguiamo per la strada, ci accorgiamo che i luoghi dove si possono trovare le prostitute in epoca romana sono assai più numerosi rispetto a oggi. Se dovessimo fare degli esempi con dei luoghi moderni, allora diremmo che un romano poteva trovare facilmente una prostituta (e farvi sesso) in: ristoranti, bar, enoteche, hotel, stadi di calcio, circuiti di gare automobilistiche, teatri, SPA e centri sportivi, fiere, mercati, festival e concerti di musica, caserme, chiese e cimiteri…
In effetti, in ogni osteria, popina, termopolio, cioè in ogni luogo dove si mangia, il romano sa che oltre al cibo e al vino può fare sesso con una schiava o anche, se lei acconsente, con la donna che lo gestisce o sua figlia (magari, in questo caso, con i clienti più facoltosi, su ordine del proprio patronus). I rapporti vengono consumati in una stanzetta nel retro del locale o al piano superiore. Questi locali per mangiare sono di solito rumorosi, puzzolenti e riempiti di fumo dalla cucina. La clientela è quasi sempre di bassa estrazione, se non addirittura criminale, con risse per aver bevuto troppo o barato nel gioco d'azzardo, come i dadi: benché vietato, era praticato ovunque. A pensarci bene, è proprio la stessa atmosfera dei saloon del Far West, dove, non a caso, ci sono anche delle prostitute che operano al piano superiore. In altre parole, questo volto della prostituzione non è mai cambiato: ancora oggi, in tantissimi luoghi del pianeta, soprattutto nel Terzo Mondo, si ritrovano situazioni identiche.
Le corse delle quadrighe nei circhi, gli spettacoli nell'arena degli anfiteatri e le commedie nei teatri, richiamando tanta gente, attirano non solo commercianti e venditori ambulanti, ma ovviamente anche chi mette in vendita il proprio corpo. Per cercare una prostituta, basta aggirarsi tra le arcate di queste grandi strutture: la troverete sicuramente assieme al suo magnaccia.
Un caso particolare sono le prostitute alle terme. In epoca romana, le terme sono l'equivalente delle nostre palestre con centri benessere e SPA. I servizi offerti sono tantissimi: si può fare attività fisica, massaggi, bere, mangiare, discutere e… fare sesso. La prostituzione (sia maschile sia femminile) è vista come uno dei piaceri associati alle terme: "Bagni, vino e amore corrompono i nostri corpi, ma bagni vino e amore fanno la nostra vita" (Balnea vina Venus corrumpunt corpora nostra, seà vitamfaciunt balnea vina Venus). Era un motto dei romani ritrovato sull'iscrizione tombale di un certo Tito Claudio Secondo, liberto dell'imperatore Claudio, risalente al 50 d.C.
Mentre un nobile non entra nei lupanari per fare sesso con delle prostitute, è perfettamente normale che lo faccia alle terme. Gli impiegati sono solitamente schiavi o liberti. E chi è incaricato di sorvegliare i vostri abiti mentre entrate nelle terme sono prostitute o prostituti: si tratta insomma solo di una copertura! Anche per questo, i gestori delle terme o dei piccoli bagni pubblici di quartiere sono considerati alla stregua dei lenoni. Tuttavia, dentro le terme è possibile trovare prostitute dal lavoro autonomo, cioè freelance…
Esistono persino prostitute itineranti che non hanno una dimora fissa, ma che si spostano assieme ai loro protettori verso fiere, mercati o spettacoli pubblici.
Infine, vicino ai forti e agli accampamenti militari, troviamo sempre delle prostitute, la cui attività pare sia gestita dai soldati stessi in quanto "proprietà" delle legioni.
Un luogo "classico" dove incontrare prostitute sono i cimiteri, nei quali queste donne, chiamate bustuarie, sfruttano il continuo viavai di uomini (i cimiteri, infatti, si trovano sempre lungo le arterie d'entrata delle città) e la possibilità di fare sesso in totale privacy, protetti dalle tombe.
Infine, accanto ai templi, luoghi molto frequentati, se non addirittura all'interno del recinto sacro, troverete sempre delle prostitute, un antico retaggio di culti più antichi, quali quelli fenìci, babilonesi o greci, dove esisteva la prostituzione sacra.
I LUPANARI
Proseguiamo nella via della Suburra. Attorno a noi la povertà si tocca con mano. Si vedono donne sedute su sedie a chiacchierare davanti alle entrate dei grandi caseggiati di edilizia popolare, per lo più fatiscenti. Bambini seminudi, seduti nella sporcizia della strada, con il moccio al naso. Ragazzine che si prendono cura dei fratellini più piccoli perché la madre è assente e il padre non sì è mai fatto vivo. In questi ambienti non circolano lettighe di matrone, non passeggiano ricchi romani in toga. Questo è il "Terzo Mondo" della città di Roma. Qui tutte le regole sociali che abbiamo fino adesso elencato, tutti i tabù dell'alta società, tutti i trucchi di seduzione di Ovidio svaniscono. Qui valgono altre regole, quelle della sopravvivenza. E davanti a noi, nell'indifferenza generale, c'è un lupanare, con alcune prostitute che si pettinano a vicenda sul balcone del primo piano. Sono seminude, ma nessuno se ne preoccupa.
I lupanari fanno parte dell'urbanistica di Roma, non sono tenuti nascosti o segregati in "quartieri del sesso". Sono come i nostri supermercati: spuntano, ben evidenti, là dove si può fare business perché c'è richiesta. E nella Suburra ce ne sono tantissimi, perché, dal momento che la clientela è costituita da uomini di ceto medio-basso, è proprio nei quartieri popolari che si trovano più bordelli.
Ma quale parola dovremmo usare per indicare un bordello in età romana? Lupanare (dal latino lupanar e ovviamente da lupa, che significa "prostituta"), oppure lustrum, stabulimi (che però indica più una locanda sulla strada, mentre in Petronio è proprio un albergo a ore) e nel tardo Impero prostibulum.
Va detto che non tutti i lupanari sono uguali. Alcuni sono lussuosi, altri molto poveri. Di media, in un lupanare lavorano quattro prostitute, ma in quelli grandi sono molte di più, ed esiste un vero e proprio staff, come cuochi, portatori d'acqua, uno stuolo di procacciatori di clienti, e persino un parrucchiere per acconciare le prostitute.
I ROMANI FACEVANO PIÙ SESSO DI NOI?
Quanti lupanari esistono nella Roma imperiale? Possiamo solo fare delle ipotesi, basandoci sulla città di Pompei. Secondo lo studioso Thomas McGinn (che sull'argomento ha scritto un libro molto eloquente: L'economia della prostituzione nel mondo romano), nella città sepolta dall'eruzione dovevano esserci 30-35 tra bordelli e cellae meretriciae su una popolazione di 10-20.000 abitanti. McGinn calcola una media di quattro prostitute /i a bordello, per un totale di 120-140. Ciò significa all'incirca una prostituta ogni 71 o ogni 166 abitanti (a seconda di quali numeri si scelgono), quindi "salomonicamente" scegliamo la metà, cioè una prostituta ogni 100 abitanti circa. Che però erano per la metà donne, di conseguenza si arriva a una prostituta ogni 50 uomini. Dal momento che una prostituta aveva più clienti al giorno, probabilmente una media di cinque, allora è come se scendessimo a una prostituta ogni dieci uomini… Dei quali però molti erano bambini, ragazzini, o anziani che certo non entravano nei lupanari, quindi le proporzioni scendono ulteriormente. Se poi aggiungiamo tutte le prostitute part-time (ne parleremo), le concubine, le escort d'alto bordo, le prostitute delle terme, e quelle delle osterie… Dobbiamo ancora ulteriormente abbassare la cifra… Se poi aggiungiamo anche la girandola di amanti che caratterizzava la società romana in tutti i livelli sociali, e anche i rapporti omosessuali dell'uomo romano, arriviamo a una sola conclusione: si faceva tanto sesso, allora…
Il sesso, insomma, era davvero alla portata di tutti. E se c'erano così tante prostitute e occasioni per fare sesso (concubine, amanti ecc.), dobbiamo concludere che i romani facevano molto, ma molto più sesso di noi, e soprattutto molto più frequentemente.
Questo va a braccetto con la grande libertà sessuale dell'epoca, ma anche con la libertà nella testa della gente: non c'erano ì sensi di colpa che la nostra morale lega al sesso, ai quali bisogna poi aggiungere la paura delle malattie ecc. Queste, naturalmente, sono solo ipotesi, nessuno era lì a contare, ma l'argomento sollevato è davvero sorprendente.
ENTRIAMO NEL LUPANARE
Davanti a noi c'è il tipo di lupanare più comune, di livello medio-basso. È a due piani: al pianterreno si consumano le prestazioni, al primo piano invece vivono le prostitute, nelle loro camere da letto. Ci avviciniamo e scopriamo che sopra l'entrata c'è una lanterna che rende riconoscibile il lupanare anche di notte. E poi un'insegna inequivocabile: sono raffigurate le tre grazie nude e accanto una donna corpulenta seduta: le prostitute e la mezzana… Una scritta completa l'insegna di marmo: AD SORORES UH, cioè "Alle quattro sorelle"… È un'insegna che ora si trova al museo di Berlino, e che proviene verosimilmente proprio da qui, dalla Suburra della capitale. Entriamo. Subito veniamo accolti dall'atmosfera cruda del lupanare. C'è un primo ambiente, una prima sala dove il lenone insieme a qualche ragazza accoglie i clienti, e dove un cliente, volendo, può anche mangiare e bere in attesa del proprio turno. Le ragazze circolano nude. Sono state tutte chiamate a rapporto, perché poco prima di noi è arrivato un cliente che le dovrà scegliere… La mezzana dell'insegna non c'è più. Era un vecchio cartello. Ora il lupanare si è ingrandito e a gestirlo è un uomo, un lenone dagli occhi molto vispi e al tempo stesso spietati. Il lenone le presenta una a una e descrive in quale prestazione sono più brave. I nomi che sentiamo sono tutti orientali e greci. Eppure, i capelli biondi e rossi tradiscono origini ben diverse, ma agli uomini romani dei bordelli di basso livello piace questo "calore" mediterraneo. Le ragazze sono tutte giovanissime, ma non tutte stanno bene. Anzi, alcune sono troppo magre e denutrite, e un paio di loro sono febbricitanti; una, addirittura, pallidissima, si appoggia al muro: non riesce a stare in piedi. Questo è il panorama desolante dei tipici bordelli della Suburra; quelli più poveri, dove le condizioni sono infernali. Per dirla francamente, queste prostitute avranno una carriera breve. Qui le ragazze vivono poco: sono davvero usa e getta. E il lenone lo sa: le sfrutta al massimo spremendole come limoni che poi butta via. A Pompei sono stati ritrovati numerosi graffiti di carattere omosessuale.
Vita da prostituta
Per indicare una prostituta, un romano usa svariati termini:
- lupa, da cui deriva il termine "lupanare";
- meretrix, ovvero "colei che guadagna": questo era il termine utilizzato nei documenti ufficiali;
- scortimi, cioè "la pelle", in senso dispregiativo;
- spurca, cioè "la sozza", anche questo in senso dispregiativo.
Ma chi sono queste ragazze? Sono per lo più schiave, a volte anche liberte. Le prostitute schiave provengono dai mercati di schiavi (a Roma ce ne sono molti, con giorni diversi a seconda del tipo di schiavo venduto, come spiegato nel libro Una giornata nell'antica Roma) o da altre fonti, sempre agghiaccianti. A volte sono state raccolte ancora bambine da mercanti del sesso quando erano state abbandonate dalle famiglie, quindi "esposte" in strada. Oppure, sono state rapite nelle campagne (esattamente come avviene ancora oggi nei Balcani) o sequestrate da pirati. Queste ragazze finiscono poi nei mercati di schiavi in giro per il Mediterraneo (i più grandi sono in Grecia, a Delo c'è quello più famoso). I prezzi variano molto. Marziale ci informa di una ragazza della Suburra venduta per 600 sesterzi (1200 euro attuali); non molto, se consideriamo che l'imperatore Elioga-balo comprò una bellissima schiava per la cifra incredibile di 100.000 sesterzi (200.000 euro circa).
A volte, però, a causa della povertà, sono gli stessi genitori ad avviare alla prostituzione i figli, come abbiamo visto in un capitolo precedente.
Ma quanti anni deve avere una prostituta per "esercitare"? Solitamente la sua "carriera" comincia a 14 anni, ma spesso anche prima. Può finire in un lupanare come quello che stiamo visitando o, se è bella e fortunata, può aspirare a diventare una escort d'alto bordo.
Mentre il cliente esita nella scelta, si affaccia timidamente un ragazzino che si mette accanto alle altre ragazze. È un prostituto, cioè un ragazzo destinato ai rapporti omosessuali. Tutto quello che abbiamo detto per le ragazze prostitute fino adesso vale anche per i ragazzi…
Nel lupanare entra ora una donna vestita come una prostituta, ma in qualche modo "diversa" dalle ragazze in piedi, nude. È più grande di età e ha uno sguardo più vivo. Si avvicina al lenone e gli dà dei soldi, bisbigliandogli qualcosa all'orecchio. Poi esce dal lupanare, discretamente. Anche questa donna è una prostituta, ma di altro tipo: non è una schiava, ma una cittadina romana… Si offre in una cella meretricia a pochi metri da qui. La sua storia è molto comune, qui a Roma. È una vedova, e abbiamo già toccato con mano in un capitolo precedente cosa accade a una famiglia quando muore il marito. In quel caso, una madre prostituiva le figlie. Qui, invece, è lei stessa a prostituirsi part-time. E lo stesso accade anche a donne non sposate ma in difficoltà economiche. Non potrebbero fare un altro mestiere? Il problema è che gli unici mestieri che possono praticare le donne nella società romana, nel campo dell'artigianato, dei gioielli, dei tessuti o del piccolo commercio, non consentono loro di sopravvivere. I conti sono presto fatti. Una giornata di lavoro al telaio, per esempio, forniva una paga di 8 assi (l'equivalente di 4 euro). Se una donna si prostituiva riusciva a guadagnare di più: calcolando una media di 5 rapporti al giorno (ma per le schiave erano anche molti di più) a 3 assi l'uno, la donna guadagnava 15 assi al giorno. Pur considerando che Vi (secondo alcuni Vs) doveva darlo al magnaccia, le rimanevano almeno 10 assi (5 euro) in tasca contro gli 8 (4 euro) che avrebbe incassato filando. In caso di morte prematura del marito, per molte donne libere la prostituzione rimaneva l'unica possibilità di sopravvivenza… con un rischio, però: sebbene facessero le prostitute part-time, rischiavano di finire nelle mani di usurai senza scrupoli (a volte lo stesso lenone nel cui bordello avevano cominciato a prostituirsi) che, in attesa del rimborso del debito, le riducevano a condizione di servitù.
A volte succedeva che delle matrone dell'alta società obbligavano le loro schiave o loro liberte a prostituirsi, in modo da avere una "rendita" costante. In certi casi, allestivano nella propria villa o domus una stanza-lupanare per ricevere i clienti. E non solo loro, ne approfittavano ovviamente il marito e i figli, rendendo la vita della donna un inferno…
Torniamo al nostro lupanare. L'uomo ha deciso: vuole quella ragazza con gli occhi verdi, il bel volto, i fianchi ampi e il sedere voluminoso. Ci accorgiamo che era anche lei presente sulla piazza all'inizio del libro, assieme agli altri. Mai avremmo pensato di trovarla qui e di scoprire che faceva questo mestiere… Il lenone fa un cenno e la ragazza abbassa il viso, rassegnata. Oggi è l'undicesimo cliente. Quanto potrà andare avanti una donna in queste condizioni? Tutti sanno che non potrà durare in eterno, ma il lenone se ne infischia e pretende dal cliente il pagamento anticipato.
Già, quanto dovrà sborsare? Come abbiamo visto, una prestazione media si aggira sui 3 assi. L'asse è una piccola moneta di bronzo (o rame puro rosso): ce ne vogliono quattro per fare un sesterzio. Naturalmente i prezzi variano a seconda della prestazione richiesta, e anche da provincia a provincia. In base alle iscrizioni rinvenute a Pompei, si va da un asse (per le prostitute più povere) fino a 16 assi (8 euro), ma nella maggioranza dei casi il prezzo è compreso tra 2 e 3 assi (1-1,50 euro).
Come abbiamo detto, il tipo di prestazione fa cambiare il prezzo. Sappiamo per esempio che per una fellatio le prostitute richiedono di solito la metà del prezzo di un rapporto completo. A Pompei sono riemerse molte iscrizioni con il prezzo per tale pratica, e questo ha fatto ritenere agli studiosi che la fellatio fosse uno dei rapporti sessuali preferiti dalle prostitute, perché eliminava il rischio di gravidanza.
A Pompei, però, è stata rinvenuta anche un'iscrizione "opposta", cioè quella di un uomo che si offriva alle donne come cunnilingus, cioè per dare loro piacere oralmente. Lo faceva solo per 2 assi (un euro). Era un prostituto o solo un buontempone? Non lo sapremo mai…
I prezzi, naturalmente, non hanno limiti per le escort di lusso, che vengono pagate con gioielli e vestiti preziosi.
Esiste però una pratica curiosa. Invece di pagare una prostituta per una prestazione, un uomo può "noleggiarla" per un mese o un anno come se fosse un'automobile. Si stipula addirittura un contratto per potersi assicurare l’"esclusiva" dei rapporti sessuali con lei. Se lei trasgredisce, perde il compenso. In un certo senso, una prostituta assicura la sua fedeltà e di non tradire mai…
In un universo così variegato come quello della prostituzione, esistono però anche delle regole. Soprattutto fiscali. Le prostitute, infatti, pagano le tasse. Devono versare alle casse imperiali dal 17 al 25 per cento del loro incasso mensile. La prostituta - o, come avveniva nella maggior parte dei casi, il suo protettore - doveva pagare ogni giorno la somma equivalente a un rapporto sessuale.
La prostituta si allontana con il nuovo cliente nel lungo corridoio che porta alla sua cella. Sulla sua schiena e sulle natiche porta ancora i segni della presa e delle manate dell'ultimo cliente. Arrivata in fondo, scosta la tenda ed entra svogliatamente, mettendosi sul letto in posizione, in attesa di essere penetrata. L'uomo chiude la tenda di scatto. In quel momento la mente della ragazza si estrania: sebbene la si senta gemere fino alla sala d'entrata, lo fa solo meccanicamente, senza pensarci. Da un'altra stanza all'improvviso esce un cliente e, avvicinandosi lentamente, giunge fino alla cella dove la prostituta e il suo cliente fanno sesso. Con molta attenzione a non fare rumore abbassa la testa e li osserva attraverso un buco della tenda. È quello per cui ha pagato: vedere altri che fanno l'amore. Non è solo. La prostituta da lui scelta si è inginocchiata davanti a lui e lo aiuta a raggiungere il piacere.
Ci guardiamo attorno. Questo lupanare è sporco, il soffitto è scuro, annerito dal fumo delle lucerne appese, e sui muri, oltre a segni di mani, ci sono scritte incise lasciate probabilmente da clienti in attesa del proprio turno. L'aria di questi luoghi è pesante, fumosa, intrisa di olio combusto delle lucerne; il sudore dei corpi di migliaia di clienti sembra essersi appiccicato ovunque, sulle tende e sulle pareti. Non si capisce come si riesca a fare sesso in questi lupanari, ci sono rumori dappertutto: vicini che fanno sesso, prostitute che passano nel corridoio chiamandosi ad alta voce, clienti che ridono, il lenone che urla… un vero inferno.
Non sempre è così, però. I lupanari hanno degli orari. Sembra che debbano rimanere chiusi fino all'ora nona, cioè le 14-16 circa, a seconda delle stagioni, esattamente quando tutti i negozi e gli uffici chiudono e per la città si riversa un esercito di uomini diretto alle terme, o ovunque si voglia trascorrere il resto della giornata. Il lupanare è una delle scelte.
Non sempre, però, è una buona scelta. Nei lupanari, infatti, le risse sono frequenti, e, visto il livello molto basso della gente che ci va, spesso si incrociano dei criminali. A volte è lo stesso lenone a non farsi scrupoli per scucire dei soldi ai clienti, offrendo tramite la sua prostituta del vino adulterato al cliente per fargli perdere i sensi, in modo da derubarlo completamente. Un altro colpo classico è quello del "finto adulterio": mentre il cliente sta facendo sesso con la prostituta, la tenda si spalanca di colpo ed entra un "finto" marito che, dopo una sceneggiata, chiede soldi al povero malcapitato per non massacrarlo di botte o per non denunciarlo. Insomma, i lupanari possono essere trappole pericolosissime per i clienti, ma anche per le prostitute e i lenoni. Sappiamo di bande di giovani di famiglie nobili che fanno incursioni notturne, sfondando la porta e violentando le prostitute, fino a portarsele via per proseguire il divertimento. Visti i nomi di famiglia che portano, nessuno può fare nulla, né il lenone, né i vigili-pompieri che eventualmente passano di ronda in quel momento.
Usciamo dal lupanare, felici di respirare l'aria viziata della Suburra. Sebbene ci siano liquami ovunque, è sempre più gradevole dell'atmosfera che si respira lì dentro.
Esistono prostituti maschi? E sono per l'uomo o per la donna?
Come abbiamo visto nel lupanare, i prostituti maschi esistono. Sono ragazzini, ai quali la barba e i peli non sono ancora spuntati, e questo ne fa delle prede per i desideri omosessual-pedofili dei maschi romani. Secondo gli storici, però, in età repubblicana la maggior parte dei prostituti maschi serviva per soddisfare le donne. Fu poi con l'Impero che le cose s'invertirono.
I prostituti venivano chiamati in vari modi: spintria (lo stesso nome di quei gettoni che raffiguravano varie posizioni sessuali e che forse, come vedremo tra poco, servivano per effettuare i pagamenti nei bordelli), o exoletus.
Comprensibilmente, vista la mentalità molto "macho" dell'uomo romano, i prostituti maschi erano mal visti e persino declassati socialmente, fino a scomparire quando, verso la metà del III secolo d.C, l'imperatore Filippo l'Arabo mise fuori legge il mestiere.
I prezzi delle loro prestazioni (per quanto risulta da scarsissime notizie) dovevano essere più alti di quelli delle donne, e comunque variavano da caso a caso. Sappiamo però che i prostituti d'alto bordo pretendevano cifre astronomiche, assai più alte delle escort dell'alta società (approfondiremo questo tema nel capitolo dedicato all'omosessualità), mentre nei lupanari i prezzi erano sostanzialmente quelli delle loro colleghe femmine. A Pompei le iscrizioni rinvenute ci informano che una loro prestazione costava 4 assi (2 euro), cioè 1-2 assi in più delle prostitute donne.
I "viados" dell'epoca romana: gli eunuchi
Un discorso speciale meritano gli eunuchi, che, è poco noto, esistevano anche al tempo dei romani e cominciarono progressivamente a diffondersi nell'Urbe con l'espandersi del dominio romano nel Mediterraneo e il contatto con culture e religioni diverse, per esempio il culto orientale di Cibele nel quale i sacerdoti si autoeviravano.
I romani suddividevano gli eunuchi in tre categorie: gli spadones, a cui erano stati tagliati i testicoli; i thlasiae (dal greco "schiaccio"…)/ ai quali i testicoli erano stati schiacciati; e i castrati, che non avevano più né testicoli né pene. Si è tentati inevitabilmente di fare un paragone tra questi uomini e gli attuali viados.
In effetti, gli spadones, sebbene non potessero più generare figli, avevano mantenuto comunque la capacità di essere sessualmente attivi a letto, e spesso finivano per essere molto richiesti soprattutto nelle classi elevate, dove diventavano cortigiani di alto bordo, quasi fossero dei sex toys viventi. La loro sessualità, l'impossibilità di fare figli che disinnescava ogni gelosia maschile, e forse alcune loro caratteristiche fisiche effeminate (se la castrazione era avvenuta in età preadolescenziale) come l'aspetto, la voce ecc., ne facevano delle figure a metà strada tra la virilità del maschio romano e la femminilità delle matrone, avvicinandoli molto alla figura moderna dei viados, che hanno un aspetto esteriore da donna (dai vestiti alle labbra, ai seni in silicone ecc.) ma mantengono intatto l'apparato genitale maschile per avere anche una parte attiva nei rapporti sessuali.
Questa "ambiguità" degli spadones, come degli altri eunuchi in generale, giocava un ruolo molto provocante nell'universo sessuale dell'alta società, quasi gli eunuchi fossero una "variante in più" oltre ai classici partner; una terza figura, oltre all'uomo a alla donna, che univa e mescolava molte loro caratteristiche. La curiosità e la morbosità di uomini e donne faceva il resto, trasformando gli eunuchi in figure molto richieste. D'altronde ne abbiamo visto uno anche noi che attraversava la piazzetta all'inizio del libro. La sua andatura e il suo portamento, sempre ai limiti tra i due sessi, ci avevano colpito. Aveva un passo regale ma spedito: evidentemente andava da un nuovo cliente…
La diffusione degli eunuchi nell'alta società romana raggiunse livelli talmente alti, che l'imperatore Domiziano si vide obbligato a vietare e perseguire per legge la castrazione di uomini.
Ovviamente, anche questo aspetto, come tanti altri trattati nel volume, va preso con la dovuta attenzione: gli eunuchi, per esempio, erano essenzialmente diffusi nell'alta società, e non frequentavano i ceti inferiori, quindi il loro "successo" fu limitato solo a una porzione minore della popolazione, pur essendo quella che comandava.
Esistevano malattie veneree?
Quando un romano andava in un lupanare, rischiava di prendersi qualche malattia? La risposta è sì, ma queste malattie veneree non diventarono mai un'emergenza come per esempio è oggi l'Aids. La loro minor virulenza è dovuta al fatto che non si hanno notizie di epidemie straordinarie, come nel caso della sifilide riportata dai marinai di Colombo dalle Americhe.
Di quali malattie veneree si trattava? Le stesse che esistono oggi.
- La gonorrea (Celso ne descrive perfettamente i sintomi come un'emissione continua di "semenza" dall'organo genitale, fino alla consunzione del paziente e alla sua morte). Era una malattia considerata vergognosa, perché associata a chi eccedeva nelle pratiche sessuali.
- L'ulcera venerea, un'ulcerazione sul pene non dolorosa ma estesa e accompagnata da colorito scuro.
- Altre malattie erano: l'herpes genitaìis, la candidosi, il condiloma (o creste di gallo, che si formano sui genitali o anche sull'ano e che i romani riuscivano ad asportare con piccoli interventi chirurgici), la brucellosi (di origine batterica, colpisce gli animali e raramente l'uomo, provocando anche l'aborto nelle donne incinte: Cassio Dione riporta due epidemie di questa malattia agli inizi della storia di Roma, nel 510 e nel 477 a.C).
Infine, sulla sifilide, non c'è accordo tra gli storici. La maggioranza tende a escluderla; altri, pur ammettendo l'assenza di prove certe, sono più possibilisti, soprattutto su una forma blanda assai meno virulenta di quella che arrivò in Europa con la scoperta dell'America. A sostegno della loro tesi, c'è un passo enigmatico di Celso in cui parla di ulcere solide sui genitali, un sintomo tipico della sifilide.
Pur non essendo malattie veneree, va notato che tra le malattie che colpivano gli apparati riproduttivi di uomini e donne c'erano i tumori. Sorano di Efeso descrive i sintomi del tumore all'utero, ma non essendo possibile intervenire né con medicine né chirurgicamente, le donne erano condannate a morte certa. Sorte diversa invece toccava a una donna colpita da tumore al seno. I romani usavano il nostro stesso termine, tumor, e quello più diffuso era quello al seno: oltre a indicarcelo i tanti ex voto di terracotta a forma di mammella, trovati nei santuari e nei templi, ci sono le descrizioni dei medici romani. Galeno così dice: "Essi insorgono in qualunque parte del corpo e soprattutto nei seni delle donne in menopausa".
La cura principale era… l'intervento chirurgico, con il quale si asportava il nodulo o, a volte, l'intero seno.
Le monete del sesso?
Tra tutti gli oggetti ritrovati e riconducibili al mondo della sessualità dei romani, ce n'è uno che ha sollevato tanti interrogativi. È la spintria, la moneta utilizzata per pagare le prestazioni nei bordelli. In teoria, era vietato usare monete con l'effigie dell'imperatore in questi luoghi, da qui l'uso delle spintriae. Sono "gettoni" di bronzo che hanno su un lato una coppia rappresentata in una posizione sessuale (ogni volta diversa: sono giunte fino a noi nove differenti posizioni) e sull'altro un numero che, a seconda delle monete, va da I a XVI (in cifre romane). Purtroppo, le posizioni sessuali non corrispondono ogni volta alla stessa cifra sul retro della moneta, e questo crea confusione. Si è pensato allora che le cifre indicassero il prezzo in assi della prestazione raffigurata: da 1 asse a 16 assi. Ma non è chiaro. Questi "gettoni" del sesso, da dare all'entrata dei bordelli, sarebbero stati regalati al popolino per conto dell'imperatore o da chi organizzava i giochi negli anfiteatri, lanciandole al pubblico. Ci sono però due problemi. Il primo è che non si è mai trovata una spintria in uno scavo o in un sito romano, neppure a Pompei ed Ercolano, dove si è conservato di tutto; e se erano delle monete da usare nei bordelli, avrebbero dovuto essere piuttosto comuni ed emergere un po' ovunque nei siti. Invece, quelle finora disponibili provengono unicamente dal mercato antiquario, e questo è quanto meno strano. Il secondo problema è che in tutto l'Impero romano e in quasi mille anni di storia di Roma in Occidente, il numero delle spintriae che abbiamo è davvero ridicolo: circa 250… Di esse non sappiamo nulla. Ed è sospetto. Dobbiamo pensare che avessero un altro uso, più limitato (un gioco erotico dell'alta società?). Oppure, la possibilità che siano dei falsi messi sul mercato antiquario in passato, nell'arco di questi ultimi tre secoli, dovrebbe essere presa in considerazione… Rimane comunque un argomento dibattuto e controverso.
Filtri d'amore
Indurre l'amore e aumentare le capacità sessuali è stato per millenni il sogno di tante generazioni, e anche per i romani fu così. Loro distinguevano i filtri in grado di risvegliare l'amore in una persona che si desiderava, e i cibi e le ricette afrodisiaci capaci di riaccendere appetiti e capacità sessuali.
I filtri d'amore, o amatoria pocula, erano molto comuni in epoca imperiale. Ma accanto a una sostanziale tolleranza, c'era anche molta attenzione da parte delle autorità a che non comportassero veri e propri avvelenamenti (qualcosa di simile a una overdose di una droga tagliata male). Sembra che il poeta e filosofo Lucrezio sia proprio rimasto vittima di un avvelenamento da "filtro amoroso", con effetti permanenti e devastanti che lo portarono al suicidio, e così il generale Lucullo, secondo Plinio il Vecchio. Lo stesso Ovidio diceva di evitarli perché "fanno male alla mente e danno la pazzia". E dovevano essere molto comuni, se venne persino promulgata una legge contro gli avvelenamenti.
Ma quali ingredienti si utilizzavano? Dovete pensare a delle ricette di stregoneria. Anche nel modo di procurarseli si ricorreva a pratiche e riti che oggi fanno sorridere, e che ci fanno entrare nel mondo della superstizione romana, come il fatto di cogliere alcune piante di notte con la luna piena, pronunciando particolari incantesimi. S'invocava Mercurio (portatore di misteri), la luna, Venere ecc.
Le sostanze utilizzate erano disgustose. Sentite Orazio: uova e penne di striges (un misterioso uccello notturno che si nutriva di carne umana. Da strix, poi, è derivato il termine "strega". In realtà, si raccoglievano penne di gufi, allocchi e civette) bagnate nel sangue di rospo, ossa strappate a una cagna affamata, erbe velenose provenienti dalla Colchide e dalla Spagna, barba di lupo, denti di serpe. Volevate avere un'erezione sicura? Plinio (molto critico contro quelli che praticavano la magia) riporta gli ingredienti per una pomata da spalmare sul pene: "Fiele di cinghiale (o sego d'asino) mescolato con grasso d'oca, oppure pene d'asino immerso sette volte nell'olio bollente".
Apuleio, nelle sue Metamorfosi, rincara la dose. Ecco gli ingredienti per un filtro d'amore: "Aromi di ogni genere, piccole lamine di piombo con scritte incomprensibili [le famose maledizioni scritte per favorire la malasorte su qualcuno e messe nelle tombe], rottami di navi naufragate, membra di cadaveri, nasi, dita, chiodi strappati dai crocefissi con la carne ancora attaccata, sangue raccolto dagli ammazzati".
Alcuni filtri erano a base di sostanze tossiche, vere e proprie droghe che provocavano stati alterati nella mente di chi li assumeva. Tra questi c'era il giusquiamo, che nella sua varietà nera provoca effetti allucinogeni e narcotici. Alcune sostanze erano pure invenzioni, come l'ippomane, un ipotetico umore vischioso emanato dai genitali di una giumenta in calore.
Diceva Plinio: "Il suo odore, da solo, renderà gli animali, gli uomini e soprattutto le donne, eccitati sessualmente".
Peccato che non esistesse…
Afrodisiaci
Certi alimenti, secondo i romani, avevano spiccate proprietà afrodisiache. Soprattutto quelli la cui forma ricordava un organo sessuale. Ostriche in testa, ma anche le uova, gli asparagi… Stimolavano il coito e la fertilità. Si riteneva che la forma fosse in realtà un segno lasciato apposta dagli dèi.
Ecco una piccola lista di cibi afrodisiaci per i romani.
- Aglio: sacro a Cerere, dea della fertilità, veniva divorato in grandi quantità nei banchetti (immaginate i problemi di alito…). Se pestato assieme al coriandolo fresco e preso nel vino puro sarebbe stato un potente stimolante sessuale.
- Asparago.
- Basilico.
- Lampascioni (o cipollacci): Marziale cita i lampascioni (insieme alla rucola e alla santoreggia) come i tre alimenti maggiormente eccitanti. Ecco il suo feroce epigramma: "Già da tempo, o Luperco, il tuo pene non si drizza più, e tuttavia tu pazzo ti sforzi perché si drizzi. Ma non hanno nessun effetto né la ruchetta né i lampascioni eccitanti, e la lasciva santoreggia non ti dà più nessun aiuto. Con le tue ricchezze hai cominciato a corrompere bocche innocenti. Ma neppure eccitato in tal modo il tuo arnese si sveglia. Come potrebbe uno stupirsi abbastanza o credere che ciò che non si drizza ti costa, o Luperco, molto caro".
- Mandragora: si riteneva che, se mangiata, riuscisse a rendere il proprio amore corrisposto.
- Menta.
- Miele.
- Ortica: era un potente afrodisiaco se si utilizzavano in particolare i semi disciolti nel vino.
- Pepe.
- Pinoli.
- Rucola o ruchetta: se mangiata in abbondanza, "desta Venere" ed eccita i mariti pigri.
- Santoreggia: "l'erba dei satiri".
Seguono gli afrodisiaci animali.
- Aragosta: eccitante per le attività amatorie.
- Interiora e frattaglie di animali con intense attività riproduttive, come tori, galli, montoni, cinghiali. Reni, midollo e cervella favorivano la produzione dello sperma.
- Ostriche e molluschi.
- Piccioni e uova di piccione: per le loro grandi attività amatorie, si riteneva che ingerendone le uova si favorisse il coito.
Contro l'impotenza e la sterilità, invece: l'anice, la carota, il crescione, il finocchio (stimola l'appetito sessuale e aumenta la qualità dello sperma. Impiastri a base di finocchio sui genitali favorirebbero il mantenimento dell'erezione).
Il Viagra dei romani
I romani avevano una pillolina azzurra? Marcello Empirico, scrittore latino vissuto tra il IV e il V secolo d.C, scrisse un trattato sulle medicine recuperando fonti più antiche, da Plinio a Galeno, a Dioscoride ecc., e nel suo trattato descrisse la ricetta per realizzare delle pasticche (globulos) per accendere gli appetiti sessuali: "[Prendere] semi di rucola, lampascioni rossi, pinoli, cime di nardo. Tritarli insieme e mescolarli. Con il ricavato fare delle pastiglie a forma di noce avellana".
Queste pastiglie dell'amore andavano prese a digiuno, disciolte in latte di capra. Si tratta di ingredienti che già abbiamo visto nei cibi afrodisiaci. In realtà non abbiamo alcun dato che ci informi sulla reale efficacia di queste compresse, ma da come questo scrittore ne parlava sembra che ai suoi occhi funzionassero…