XVI

Langley non rispose.

– Io non capisco il perché – gli stava dicendo Valti. – A volte penso che la società dovrebbe avere un Technon proprio. A volte le decisioni mi riescono incomprensibili, anche se sono sempre intese per il meglio. È la guerra se una delle parti riesce ad ottenere l'annientatore. E perché mai dovrebbero avere questo vantaggio i barbari centauriani?

– Già, perché? – mormorò Langley.

– Posso solo dedurne che il sistema solare rappresenta una minaccia molto più grave per noi. Dopo tutto, è una cultura rigida. Se riuscisse a dominare la parte conosciuta della galassia, potrebbe schierarsi contro di noi che non possiamo inserirci nei suoi schemi statici. Forse, alla luce della storia, è meglio che i centauriani dominino per qualche tempo.

– Già – rispose Langley.

Questo mandava all'aria tutto quanto aveva pensato di scoprire.

Sembrava che il Technon non fosse il vero capo dei nomadi spaziali.

Eppure...

– Le dico questo in tutta sincerità – disse Valti. – Sarebbe stato più facile tenerla all'oscuro, ma era un rischio. Se aveste scoperto qualche cosa che avessimo cercato di nascondervi, lei e Saris avreste potuto darci dei fastidi.

È meglio che lei decida liberamente.

– Per il suo aiuto, capitano, le viene offerta una nave equipaggiata con la quale troverà il pianeta che più le piace se non le garbano quelli che noi conosciamo. Né deve pensare di tradire Saris: non starà peggio su Thor che sulla Terra. Certo lei sarà in posizione di trattare e poter provvedere a che gli venga assicurato un buon trattamento. Ma la decisione spetta a lei, comunque.

Troppe cose, tutte assieme erano accadute. Langley scosse la testa. – Mi lasci pensare un poco. E Brannoch e la sua banda? È stato in contatto con loro?

– No. So solo che si pretende che li facciamo uscire dalla torre dell'ambasciata dove sono tenuti agli arresti; dobbiamo provvedere al loro trasporto su Thor. Ho credenziali del Technon che ci consentiranno anche questo, se le useremo a proposito.

– E loro non sono stati in contatto con nessuno?

Sarebbe stato impossibile giudicare attraverso la pesante tuta spaziale, ma Valti doveva aver fatto un'alzata di spalle. – Ufficialmente no. Certo non sono stati in contatto con noi. In pratica, i Thrimkas possono avere la possibilità di comunicare usando frequenze di onda variabili, possono disporre di comunicatori segreti nella loro cisterna dove la polizia non può andare a cercare. Potrebbero aver dato istruzioni ai loro agenti sulla Terra, ma quali ordini abbiano impartito, io lo ignoro. Anche Chanthawar deve saperlo, ma anche lui può fare ben poco, fuorché far uccidere i Thrimkas, ciò che sarebbe contrario a ogni principio in cui i nobili credono. Questi gentiluomini di nazionalità diversa, rispettano i diritti della loro classe, e ciò in previsione di possibili rovesci di fortuna.

– Bene! – Langley rimase immobile, ma incominciava a capire e sentiva il desiderio di rivelare quanto sapeva. Non si era ingannato: il Technon governava la società. Ma vi era, vi doveva essere qualche cosa che complicava tutto e credeva di aver compreso di che si trattava.

– Glielo chiedo ancora, capitano – stava dicendo Valti. – Vuole aiutarci?

– Se no – rispose il capitano beffardo – immagini che il suo disappunto avrà postumi alquanto violenti.

– Mi rincrescerebbe infinitamente – mormorò Valti, toccando il disintegratore che recava alla cintola. – Ma certi segreti sono piuttosto importanti. Tuttavia, accetterò la sua parola se consentirà ad aiutarci. Lei è un uomo di cui ci si può fidare. E poi, guadagnerebbe così poco se ci tradisse!

Langley prese la sua decisione. Era un salto nel buio, ma immediatamente sentì sorgere in sé una gran calma, una sicurezza quasi come se una mano lo sorreggesse. Ora stava muovendosi nuovamente; avrebbe potuto ritrovarsi sull'orlo di un precipizio, ma era fuori dalla folla anonima e riprendeva il suo posto da uomo nella vita.

– Sì – rispose. – Sarò con lei... Se...

Valti attese.

– Gli stessi impegni della prima volta. Marin, quella fanciulla, dovrà accompagnarci; solo che, prima, dovrò rintracciarla. È stata affrancata...

Sarà giù in qualche livello, da qualche parte. Quando sarà nuovamente qui, allora sarò pronto per partire.

– Capitano, potrebbero volerci giorni per...

– Male. Mi dia del denaro e vedrò di fare presto.

– Il colpo è previsto per domani notte. Potrà essere pronto per quell'ora?

– Penso di sì... se il denaro sarà sufficiente.

Valti emise un gemito da spezzare il cuore, ma dalla sua tasca venne fuori il denaro. Era una bella borsa rigonfia quella che Langley si appese alla cintola. Volle anche un disintegratore, piccolo, che celò sotto la tunica.

– Benone, capitano – disse il mercante. – Buona fortuna. L'attendo alle «Due Lune», par le nove, domani sera. Se non...

– Lo so – ribatté Langley, passandosi un dito sulla gola. – Ci sarò.

Valti s'inchinò, rimise a posto l'elmetto e se ne andò per la stessa via per la quale era entrato.

Langley avrebbe voluto gridare per la gioia, ma non aveva tempo nemmeno per quello. Uscì immediatamente; le sale comuni che attraversò erano deserte a quell'ora. Le vie mobili erano affollate, ma nell'elevatore che prese per scendere ai livelli inferiori era solo.

Laggiù vi era confusione di folla e di voci. La folla si accalcava attorno a lui che, in quella gonna sdrucita, otteneva poco rispetto e doveva farsi largo come poteva fra la calca sino ad Etie Town.

Quel quartiere era situato alla periferia della città vecchia, ma era ordinato e pulito e ben presidiato dalla polizia. Pochi esseri umani vi vivevano, o vivevano nei suoi paraggi. Un essere non umano aveva poco desiderio di donne, a meno che non si fosse trattato di una serva. Quello era il luogo più sicuro per una ragazza che era stata cacciata dai livelli superiori. Almeno, era il luogo da cui più logico era incominciare le ricerche.

Era come un dilettante, deluso dalle molte sconfitte riportate in un mondo di professionisti; ma quel sentimento ora svaniva. La grande fermezza della sua determinazione gli dava una sicurezza che quasi lo spaventava. Questa volta, perbacco, nulla avrebbe potuto metterglisi di traverso sul cammino senza essere calpestato.

Entrò in una taverna. Gli avventori erano quasi tutti bipedi dal corpo a scaglie e dalla testa felina che non richiedevano condizioni speciali di temperatura o atmosferiche. Essi lo ignorarono quando attraversò le file di sedili di spugna umida da essi preferiti. La luce era di un rosso cupo e la visibilità era pessima.

Si diresse verso un angolo dove alcuni uomini nella livrea di servi stipendiati stavano bevendo. Essi lo fissarono: doveva essere la prima volta che vedevano un professore in quel luogo. – Posso sedermi? – chiese Langley.

– È già troppo affollato – gridò un uomo dall'aria minacciosa.

– Mi rincresce. Avevo intenzione di pagare da bere ma...

– Oh, bene, allora. Siedi. – Langley non fece caso al silenzio che seguì, anzi, gli giovava. – Sto cercando una donna – incominciò.

– Quattro porte più avanti.

– No. Non è una donna qualunque. Alta, capelli rossi scuri, educazione da livelli superiori. Penso sia venuta qui due settimane or sono. L'ha vista nessuno di voi?

– No.

– Ho intenzione di ricompensare chi mi può dare informazioni. Cento dollari.

Gli occhi dei servi si dilatarono. L'ingordigia traspariva da quei volti e Langley tirò indietro la tunica con gesto distratto per mettere in mostra la borsa ben rigonfia che gli aveva dato Valti, ma anche il disintegratore. Il possesso di quell'arma era una grave violazione delle leggi di polizia, ma nessuno parve desideroso di chiamare gli agenti. – Bene! Se non potete aiutarmi, dovrò tentare da un'altra parte.

– No... Aspetti un poco, signore. Forse possiamo fare qualche cosa per lei. – L'uomo che l'aveva accolto tanto male si volse attorno. – Nessuno di voi la conosce? No? Si può sempre indagare, comunque.

– Certo. – Langley tirò fuori dieci banconote da dieci solari. – Queste sono per le ricerche. Il premio è extra. Ma non se ne farà nulla se non la si troverà in... diciamo tre ore.

Tutti coloro che erano attorno a lui svanirono in un baleno. Langley rimase seduto a rimuginare la propria impazienza. Il tempo passava.

Quanta parte della vita era sprecata nell'attesa! Una ragazza venne a fargli un'offerta ma lui la mandò via e rimase in silenzio, senza nemmeno bere la birra che aveva ordinato. Mai come prima nella sua vita doveva mantenere la mente lucida.

Dopo due ore e diciotto minuti un ometto piccolo entrò nella taverna, trafelato e si fermò al suo tavolo. – L'ho trovata – disse.

Il cuore parve arrestarglisi. Levatosi con calma, fissò l'uomo. – L'hai vista?

– Be', no. Ma una donna che risponde ai connotati è entrata al servizio di uno Slimer, un mercante di Srinis, undici giorni or sono. Me l'ha detto il cuoco, dopo che qualcun altro aveva rintracciato il cuoco per me.

Langley annuì. Aveva avuto ragione: la classe dei servi era la più indicata per affari del genere ed era più efficiente di un reggimento di poliziotti per quelle ricerche, dato il pettegolezzo che era una norma per tutta la categoria. Gli esseri umani erano poco diversi da quelli che aveva conosciuto. Rivolto all'uomo, gli disse: – Andiamo. – E uscì immediatamente.

– E la ricompensa?

– L'avrai quando la vedrò. Cerca di calmarti.

Scesero lungo una strada piena di stranieri. L'ometto si fermò dinanzi a una porta. – Questa è la casa, ma non so come potremo entrarci.

Langley premette il pulsante e la figura di un maggiordomo di proporzioni gigantesche apparve. L'americano era deciso a farsi strada con qualunque mezzo, anche uccidendo il maggiordomo.

– Avete assunto una nuova domestica, recentemente? Una ragazza alta, coi capelli rossi?

– Signore, il mio padrone tiene molto alla propria libertà.

Langley fece scorrere sotto il naso dell'omone un pacchetto di banconote di grosso taglio. – Male. Per me è importante. Voglio solo parlarle.

Entrò, lasciando l'informatore a mordere il freno di fuori. L'aria era spessa e umida, la luce discreta, di un verde che tirava quasi al giallo. Gli stranieri assumevano servi terrestri per ragioni di prestigio, ma dovevano pagare somme discrete per averli. Il pensiero che era stato lui a cacciare Marin in quel postaccio gli fece male.

La ragazza stava in una stanza piena di nebbia; gocce di nebbia si erano condensate sui suoi capelli. Lo fissava senza sorpresa.

– Sono venuto – mormorò Langley.

– Sapevo che saresti venuto.

– Sono... Posso dire quanto mi dispiace?

– Non occorre, Edwy. Dimentica.

Uscirono e si ritrovarono in strada. Langley pagò l'informatore e si fece dare l'indirizzo di un albergo dove condusse Marin tenendola per mano, ma non le disse nulla sino a quando furono soli, al sicuro da orecchi indiscreti. Allora la baciò, aspettandosi che Marin lo respingesse; invece la fanciulla rispose con trasporto.

– Ti amo – sussurrò Langley. Era una sensazione nuova, sorprendente.

Marin sorrise. – Credo sia un affetto reciproco...

Più tardi, Langley le narrò quanto era accaduto. La fanciulla ne fu contenta. – E potremo fuggire? – chiese sottovoce. – Potremo ricominciare una nuova vita? Se tu sapessi quanto l'ho sognato questo momento, sin da quando...

– Non credere che sia semplice. – Il dubbio si rifaceva strada in lui.

Nervosamente, si frenò, ma la sua voce era divenuta aspra. – È una situazione molto complicata. Forse tu potrai aiutarmi a vederci chiaro.

– Ho scoperto la prova che il Technon stesso ha fondato la società e la usa come sistema di spionaggio e di infiltrazione economica. Comunque, questa macchina è celata in una caverna, da qualche parte e non può girare per l'universo e vedere cosa accade. Deve per forza basarsi sulle informazioni fornitele dai suoi agenti. Di questi agenti, alcuni sono ufficiali e sono parte del governo solare, altri sono semiufficiali e sono gli appartenenti alla società; altri sono segreti, e sono le spie al suo servizio su altri mondi.

– Ma vi sono due entità che possono giocare lo stesso gioco, lo sai. C'è un'altra razza nello spazio che ha la stessa mentalità del Technon: una fredda, impersonale mentalità di massa capace di fare un piano con centinaia d'anni d'anticipo, capace di attendere indefinitamente perché un piccolo seme germogli, ed è la razza di Thrim. La loro mentalità li rende capaci di tanto e per loro un individuo non conta perché, in un senso veramente realistico, ogni singolo è solo una cellula del tutto che forma la grande unità. Lo puoi vedere come operarono in seno alla lega nella quale hanno assunto una posizione di comando accedendo a posti chiave con tanta lentezza, gradualmente, che i Thoriani non se ne sono accorti a tutta ora.

– E tu pensi che si siano infiltrati anche nella società? – chiese Marin.

– Lo so benissimo che l'hanno fatto. Non c'è altra risposta possibile. La società non darebbe mai Saris nelle mani di Brannoch se fosse veramente indipendente. Valti ha fatto il possibile per spiegarsi questa contraddizione, ma io ne so più di quanto ne sappia lui. So che il Technon crede di controllare ancora la società e quella non darebbe mai un vantaggio ai Thoriani.

– Ma tu hai detto che l'ha fatto – osservò Marin.

– Uhm... E questa è la spiegazione, come la vedo io. La società comprende molte razze e una queste è la razza di Thrim. Dei Thrimkas potrebbero essere stati trasferiti su altri mondi, dopo aver subìto trasformazioni chirurgiche che li rendessero simili ai nativi. Così divennero membri della burocrazia dei nomadi; seguendo il processo normale ed essendo molto abili, salirono la scala gerarchica sino a giungere in posizione tale da poter apprendere la verità, cioè che il Technon era dietro tutta la messa in scena.

Che scoperta per loro! Forse si erano infiltrati nella società solo con scopi più modesti: assumere il controllo di un altro gruppo umano; ma poi si sono ritrovati con un potere maggiore di quanto avessero osato sperare essendosi infiltrati in posizione tale da poter influire sul Technon. Ora possono alterare i rapporti che la macchina ottiene dalla società; non ogni rapporto naturalmente, ma quelli che interessano. La loro potenza vogliono risparmiarla e temono anche che la macchina abbia dati di comparazione e possa sospettare se calcano la mano. Ma questa è un'occasione importante.

Chanthawar, Brannoch e Valti, tutti quanti agivano alla cieca perché non avevano avuto tempo d'interrogare il Technon; altrimenti, la macchina avrebbe ordinato a Valti di non immischiarsi in questa faccenda o, almeno, di cooperare con Chanthawar. Quando ne venne informata, lo sai anche tu, ordinò che Valti fosse rilasciato.

Ma allora comparvero in scena i Thrimkas. Anche confinati in quella cisterna, imprigionati, essi devono essersi messi in contatto coi loro agenti all'esterno, compresi i Thrimkas più influenti in seno alla società.

Ignoro quale storia sia stata esattamente fornita al Technon. Tirando a indovinare, immagino una storia di questo genere: una nave commerciale è appena tornata ed ha portato notizie di un pianeta di recente scoperta, i cui abitanti hanno le facoltà di Saris. Questi individui sono stati studiati e si è scoperto che non esiste la possibilità di duplicare artificialmente quell'effetto

I Thrimkas sono perfettamente capaci di preparare un simile rapporto, corredandolo di dati scientifici e anche della teoria matematica necessaria.

Io ci scommetterei.

Questo rapporto viene fornito al Technon che lo ritiene opera della società di cui ha cieca fiducia. La decisione è ovvia: lasciate che i centauriani si prendano Saris, lasciate che sciupino il loro tempo investigando un mistero che non ha soluzione. Deve sembrare reale, in modo che Brannoch non sospetti. Così bisogna servirsi di Valti e Chanthawar di tutto.

Bene! Il risultato è che i centauriani ottengono l'annullatore e la prima notizia che ne avrà il Technon di quanto è stato perpetrato, sarà quando la flotta d'invasione raggiungerà la Terra e sarà in grado di rendere vano ogni tentativo di resistenza armata.

Marin tacque per qualche tempo, poi annuì. – Sembra logico.

Completamente. Ora ricordo... Quando ero da Brannoch, giusto prima di venire da te, che lui parlava con quella cisterna. Diceva qualche cosa di Valti, che dava molte noie e che era ora di farlo assassinare, ma la cisterna glielo proibiva. Dobbiamo avvertirne Chanthawar?

– No – rispose Langley.

– Ma vuoi che vincano i centauriani?

– Mille volte no. Non voglio guerre, e lasciar trapelare questa informazione sarebbe come scatenare la guerra. Immagini la fretta di agire per rimediare a tutti i malanni che minacciano la Terra, solo che rivelassimo quanto sappiamo? E vorrebbero colpire alla cieca, per paura di non essere a tempo, eliminerebbero, ucciderebbero e farebbero anche la guerra, magari sperando di prevenire l'avversario.

– Il fatto che lo stesso Brannoch sia tenuto all'oscuro di tutto, che nulla sappia sul conto di questa società di mercanti, dimostra che i Thrimkas non hanno a cuore nemmeno gli interessi della lega di cui fanno parte. Per loro, la lega è solo un mezzo per raggiungere un fine molto più importante e pericoloso.

Langley levò lo sguardo che aveva tenuto basso mentre parlava. – Sino ad ora, mia cara, i miei tentativi di influire sugli avvenimenti sono stati solo deboli tentativi. Ora rischio le nostre vite per quello che credo sia il futuro della razza umana. Sembra piuttosto sciocco, non è vero? Un piccolo uomo che pensa di poter mutare il corso della storia, da solo.

Delusioni del genere hanno provocato molti malanni.

– Tutte le mie speranze si fondano sulla speranza che, questa volta, non si tratta di un errore e che mi sarà possibile fare qualche cosa di utile. Pensi che abbia ragione, pensi che abbia il diritto di tentare?

Marin gli andò accanto e gli mise la guancia contro la sua. – Sì, mormorò. – Sì, mio caro.