La cultura in piazza

L’arte al posto della mafia

DF Fermiamoci. Ecco un bivio: la strada però non è segnata, è tutto secco, sembra bruciato, rischiamo di perderci, ma è la strada giusta. Guardate, c’è un segnale: ecco, per di qua si arriva a Epidauro.

BG Ma ci sono cento chilometri!

DF Io ho recitato in quel teatro, sono settemila posti e forse più. A poca distanza c’erano altre cave dove nel IV secolo a.C. si recitava. In quel tempo tutta la popolazione frequentava i teatri. Soltanto a Milano negli ultimi anni ne sono stati chiusi nove, ai quali vanno aggiunti quelli in restauro eterno. Sono tutti teatri che superano i mille posti, alcuni anche duemila, i più importanti di Milano. Ultimo della serie è il teatro Smeraldo, di 1981 posti: ne faranno un supermercato in pieno centro.

BG A Genova il teatro Margherita ha chiuso da anni, come molti altri teatri, ed è stato trasformato in un supermercato.

DF Ma la gente che si occupa di teatro non è diminuita, non è diminuito l’interesse per lo spettacolo...

Io vado ogni tanto a tenere lezioni alla scuola «Paolo Grassi» di Milano, dove tutti gli anni si svolgono esami di ammissione per i giovani allievi, ma a numero chiuso: con la selezione viene ammesso soltanto il 40 per cento, il resto dei candidati viene respinto non perché manchi di doti o preparazione, ma perché la scuola non ha spazio sufficiente per accogliere quanti si candidano ogni anno. Lo stesso discorso vale per i ragazzi e le ragazze che si presentano per imparare la regia e l’allestimento scenico.

E lo stesso si dica per Brera, l’accademia di pittura, scultura e scenografia. Quando la frequentavo io, cinquant’anni fa, nel palazzo oltre all’accademia c’era anche il liceo artistico. Ma siccome il numero delle iscrizioni aumentava a dismisura, spostarono il liceo armi e bagagli in periferia. E adesso stanno spostando anche le aule dell’accademia in altri edifici adibiti fino a ieri a caserme militari. Finora tutta l’operazione, assurda e priva di logica, è solo sulla carta. Ma l’insegnamento dentro l’accademia è ormai inesistente e questo smembramento naturalmente abbatte il valore e la qualità di tutta la scuola d’arte.

Ci sono un sacco di giovani preparati, di grande talento, desiderosi di essere assunti in Italia, ma gran parte di loro sono costretti ad andarsene all’estero, non solo in Europa ma anche in America e in Australia. In quei continenti trovano abbastanza facilmente imprese disposte ad assumerli. In verità, questa mancanza di offerta è determinata anche dal fatto che gli imprenditori sono rimasti fermi a mezzo secolo fa, non si rinnovano.

BG Le possibilità di creare un volano culturale possono essere molte. Il caso di Favara, in provincia di Agrigento, lo dimostra. Sono andato a vedere la città, ad alto tasso di criminalità giovanile, quindi molto difficile, e ho toccato con mano quello che anche una sola persona può fare. Basta avere idee e volontà. Lì un notaio del luogo ha comprato a sue spese il centro della città che era fatiscente, l’ha rimesso a nuovo, l’ha ristrutturato completamente. Poi ha invitato studenti di tutto il mondo a trascorrere le vacanze a Favara richiedendo come canone d’affitto non denaro ma quadri, dipinti, statue, fotografie da lasciare in eredità al paese. Così il centro di Favara è stato tutto dipinto, illustrato, decorato con opere d’arte, è rifiorito. Ora là dove c’erano solo ruderi sono sorti monumenti pittorici e plastici che rinnovano la civiltà di quel paese. Non solo un’attrazione turistica, ma soprattutto culturale.

DF Sicuramente prima nessuno era a conoscenza di questo posto.

BG Certo. Pensate che a Favara avevano persino chiuso un asilo per mafia. L’asilo! Ora ci vive un gran numero di giovani provenienti da tutto il mondo, parlano venti lingue, e questo avviene in un centro sperduto, che era baraccato, distrutto.

GC Da questi esempi emerge un elemento trascurato, quello della bellezza che abbiamo perso, e mi riferisco al quotidiano, non solo alle opere d’arte e al nostro patrimonio culturale, anche alle vie, alle piazze trasformate in parcheggi di lamiera. Siamo ormai abituati a convivere con luoghi in cui le case sono brutte, le strade sono brutte, le facciate degli edifici sono violentate da manifesti pubblicitari, da graffiti, e annerite dall’inquinamento dovuto alle auto. Case bellissime, d’epoca, liberty, come molte nel centro di Milano, hanno un aspetto lugubre, cimiteriale, senza colori. La bellezza che ci circondava è sparita dalla nostra vista.

DF Dalle case ai musei. Ci si lamenta del fatto che in certi periodi siano poco frequentati, ma se le mostre si pubblicizzano sempre allo stesso modo è ovvio che la gente non le visita. Cosa che non è successa, per esempio, con la mostra dedicata a Gauguin e Van Gogh a Genova. Normalmente gli organizzatori avrebbero pubblicizzato l’iniziativa alla solita maniera: manifesti, qualche articolo sul giornale, invece, prima di allestirla, hanno messo in scena uno spettacolo nel quale gli attori raccontavano la vita e le opere dei due grandi artisti, i loro momenti di crisi, le lotte per affermarsi, i drammi personali e i loro amori. Grazie a questi allestimenti teatrali il pubblico è venuto a conoscenza di fatti e situazioni che lo hanno coinvolto e interessato, avendo così maggiore motivazione a visitare la mostra. Questo spiega perché il numero dei visitatori è triplicato rispetto alle normali previsioni. A mia volta ho imparato la lezione e ho fatto lo stesso con la mostra dei miei quadri a Palazzo Reale, a Milano, e in giro per l’Italia. Bisogna reinventare il modo di informare, cambiare i ritmi, i tempi, la mentalità. Non basta prendere tre guardiani e un paio di guide, aprire il portone, e dire: «Prego, accomodatevi!».

A scuola ci si rompe i coglioni!

DF Poi c’è il problema dei ragazzi e della scuola che spesso non dà loro gli strumenti necessari per orientarsi e capire. Io li vedo che vanno a passeggio alle mostre, distratti. Non gliene frega niente. Per forza: se tu non educhi una persona al suono, al canto, alla pittura, non puoi pretendere che sia interessata all’arte. È una questione di sensibilità, che la scuola dovrebbe insegnare.

BG A scuola i ragazzi si rompono i coglioni!

GC La rete a questo proposito è fondamentale. E la scuola dovrebbe servirsene di più, invece di costringere i ragazzi a fare gli sherpa con chili di libri sulla schiena. Oggi chiunque è in grado di fruire dell’arte, dei grandi musei, delle mostre in modo diretto e consapevole perché internet dà modo di vivere l’arte virtualmente. Tu entri nel Louvre online e hai modo di fare una visita accompagnato da una guida che può soddisfare tutte le curiosità relative a un quadro, un pittore, un’epoca.

DF Però l’incontro diretto è essenziale. Se un attore ti racconta come sono nati i dipinti, le difficoltà incontrate dall’artista, la sua vita, le sue peripezie, la morte, è tutto diverso rispetto a una guida che oggettivamente ti squaderna una serie di informazioni.

GC Assolutamente. Però di Fo ce n’è uno.

DF Non ti preoccupare, ho un contratto con un’impresa di clonazione istantanea, ho già ordinato un centinaio di miei doppi, il contratto è già pronto, entreranno in pista a giorni... al museo delle cere!

BG Ma torniamo alla questione della cultura e dell’insegnamento scolastico. Circa trent’anni fa sono andato in un liceo per incontrarmi con i ragazzi e ho provato a raccontare a modo mio la storia di personaggi famosi. Per esempio parlavo di Beethoven, facevo sentire un brano della sua musica, poi raccontavo chi era, naturalmente col mio linguaggio e la mia gestualità. Insistevo sugli aspetti più strambi del personaggio, dicevo che girava con un frac giallo, che si buttava l’acqua fredda addosso in casa allagando anche le abitazioni dei vicini. Insomma io mi divertivo a raccontare queste storie e loro mi ascoltavano senza annoiarsi. In un giorno ho fatto più di cento sketch in una scuola. Era veramente divertente. Quando raccontavo che Beethoven era sordo, che fischiettava e che tutti gli stavano dietro per copiargli i motivi della sua musica, i ragazzi mi seguivano con curiosità e volevano saperne di più.

E Benvenuto Cellini? Un delinquente, uccise persone, fu imprigionato, sparò un colpo di cannone contro Carlo III di Borbone e lo ammazzò proprio nell’istante in cui stava attraversando il Tevere con la sua carrozza. Tutti i grandi artisti hanno avuto una vita quanto meno strana, da raccontare. Perché ignorarla? Dalla vita si passa alle opere, facendole vedere, facendole sentire, allertando tutti i sensi dei ragazzi.

Contro il potere. Con il teatro si fa politica (e si mangia pure)

DF Beppe viene da una lunga esperienza di teatro in cui la politica coi suoi rappresentanti viene messa in ridicolo. È evidente che entrambi crediamo nel teatro come forma d’impegno innanzitutto civile. Forse è utile ricordare questo aspetto per far capire perché siamo qui a dialogare e che tipo di impegno ci lega. Forse il MoVimento 5 Stelle è figlio anche di questo teatro e di queste nostre storie. Che vengono da lontano. Fatemi fare un salto di qualche secolo.

La Chiesa pensava di distruggere completamente il teatro perché al clero il teatro dava molto fastidio. C’è una lettera incredibile di san Carlo Borromeo, in cui il cardinale spiega che la letteratura, i poeti e gli scrittori non sono da temere. Lo sono invece gli attori, perché questi hanno imparato a parlare alla gente, a mettersi al loro livello, tant’è vero che parlano addirittura la loro lingua, i vari dialetti, e soprattutto i loro spettacoli sono molto divertenti, ma istigano a non rispettare più chi insegna a distinguere il bene dal male, a cominciare dai genitori. Le compagnie vanno in giro, dalle campagne alle città, fanno nascere canzoni e danze, coinvolgono e liberano i gesti di ragazze e ragazzi, mettono in scena storie in cui le figlie scelgono il vero amore andando contro la scelta matrimoniale che i genitori hanno fatto per loro. Inoltre, secondo il cardinale, le compagnie teatrali mettono in discussione il valore della Chiesa, insegnano a disprezzare il clero. Se c’è un personaggio negativo, nella Commedia dell’arte, si tratta quasi sempre di un prete o di un frate.

E allora ecco che Carlo Borromeo ordina al suo clero di impedire ai giovani, e alle fanciulle in particolare, di assistere a questi spettacoli, bandendoli come opere di corruzione e peccato. Non solo, ma impone alle compagnie di lasciare il campo e sparire dalle nostre città. I teatranti, costretti a una diaspora immediata, ottengono all’estero un successo straordinario, anche grazie al grande mestiere che hanno acquisito per anni nei teatri all’italiana. Si presentano in Francia, Germania, Inghilterra mettendo in scena un teatro del tutto nuovo, con macchine sceniche straordinarie che permettono di trasformare in un attimo l’interno di una casa in un bosco e il bosco in una nave che solca il mare in tempesta; il tutto grazie agli argani con i tiri, che sollevano fondali con paesaggi e vedute di città.

La rivoluzione del teatro italiano è data dalla realtà che invade la scena: i rapporti tra i sessi sono espliciti e non giocati esclusivamente sull’allusione. Nel teatro del Medioevo i personaggi femminili sono interpretati da uomini travestiti, «femminielli» che imitano le donne e trasformano ogni atto in finzione scontata, con il rischio di indurre ogni volta una risata che distrugge la realtà, cosa che succedeva spesso nel teatro tradizionale della Francia e dell’Inghilterra. Ma con l’arrivo della Commedia dell’arte italiana ecco che i personaggi femminili sono interpretati da donne autentiche. Questa è la grande novità! Il loro corpo ha seni non posticci e fianchi autentici. I nostri attori hanno sconvolto il teatro europeo anche perché, oltre a mettere in scena donne autentiche, usavano le luci, i costumi, cantavano, ballavano e facevano acrobazie.

BG Un successo internazionale, chissà con quali ripercussioni in Italia.

DF Sì, dalla fine del Quattrocento fin verso il Settecento il teatro italiano si è affermato ovunque. È diventato così famoso che anche la Chiesa, a un certo punto, ha dovuto fare i conti con questo successo e ha dovuto accettare che, dopo generazioni di attori costretti a emigrare, i figli dei figli dei figli tornassero e potessero circolare anche in Italia, naturalmente a determinate condizioni. Se non avessimo avuto la fortuna di vedere i nostri teatranti costretti a una vera e propria diaspora, capace di rinverdire questa gloria stupenda degli italiani, non avremmo salvato il nostro teatro.

Anche oggi, come il clero allora, il nostro potere impone di distruggere ogni creatività sulla scena, di tagliar le gambe a ogni innovazione negando alle compagnie denaro e spazi. Allora bisogna insegnare ai giovani a trovare dei nuovi spazi, andando a esibirsi sulla strada, come fanno in Francia, in Germania, in America. Per cantare, per fare teatro è necessario ritornare alle origini, sui palcoscenici all’aperto. Tant’è vero che i ragazzi che sono andati quest’anno a recitare Mistero buffo in Francia, sono scesi nelle strade, poi hanno invitato la gente a entrare nel teatro in cui recitavano e hanno realizzato il più grande successo del Festival di Avignone. Poi sono tornati in Italia, a Roma, dove un folto gruppo di attori ha occupato un teatro abbandonato, il Valle, e ha coinvolto anche lì il pubblico ottenendo un bel successo.

BG Hai ragione a dire che tutto si lega. La forza politica del teatro è lampante e per questo oggi il teatro, quello libero, è osteggiato dalla politica. Qualsiasi luogo in cui si favorisca lo scarto, il dissenso rispetto ai più, è visto con sospetto e se si può lo si lascia decadere.

DF E dire che un nostro esimio ministro dell’Economia – Monti, no! Tremonti... da noi i Monti si sprecano! – aveva dichiarato: «Con la cultura non si mangia». Eppure l’Italia per secoli ha mangiato ed è cresciuta grazie alla creatività e la fantasia dei suoi abitanti. Ma, attenzione, la questione non è tornare all’antico, bensì conoscere le costanti della storia, poiché ogni volta che si tenta di battersi contro tutto ciò che impedisce di esprimerci in libertà, le forze conservatrici, prima fra tutte la Chiesa, attaccano chi alza la testa, chi va per i fatti suoi, chi non ha paura, chi è solo. Da sempre le novità sono guardate con sospetto da chi è al potere.

GC Ecco perché il MoVimento fa paura: perché è un forte agente di cambiamento.