E qui comincia la rivoluzione

Lavorare meno, vivere meglio

DF Ritorniamo in cammino alla ricerca di un pensiero per una nuova politica.

BG Il tema che ci resta da considerare è quello della disintegrazione del partito padronale. D’altra parte è un fatto stabilito che il sistema partito non sta più in piedi.

DF Siamo costretti, dato che c’è la crisi, a immaginarci un pensiero nuovo, sia di politica sia di economia. Un pensiero!

BG Un pensiero proiettato nel futuro ma di cose concrete, che ci stanno intorno. Per esempio, fra vent’anni si userà il cemento? No, si userà il legno, o meglio il lamellare, ma solo materiali rinnovabili e sostenibili (me lo dice Renzo Piano). Il bambù dura mille anni, il cemento cento, così si può mischiare il bambù col cemento dimezzandone la quantità, e diminuendo della metà le emissioni di CO2. Bisogna coinvolgere architetti, ingegneri, artigiani e specialisti che hanno la voglia e la libertà di cambiare il mondo in cui viviamo. Bastano due righe: entro il 2050 tutta l’energia avrà queste caratteristiche e si comincia a cambiare adesso.

L’energia rispecchia un mutamento di civiltà, non di politica. Non serve soltanto produrre con energie rinnovabili. Bisogna anche produrre di meno. Meno materia, meno energia, meno cose, come studiano all’Università di Wuppertal o all’Università di Zurigo, per arrivare in vent’anni a sostituire con le rinnovabili tutta l’energia prodotta col petrolio, quindi tassando i consumi, i consumi di cazzate. Questa è gente che progetta un frigorifero che resiste cento anni, oggetti durevoli, riparabili e riconvertibili. Spesso dietro all’idea di riciclaggio c’è la convinzione che non si possa riciclare qualsiasi cosa. Sbagliato, si può, basta programmarlo.

GC L’altro giorno stavo guardando il contachilometri della mia vecchia Volvo, che per me è un po’ come se fosse una persona, ogni anno penso di cambiarla ma ci sono affezionato e me la tengo. E siccome quando si guida ci si annoia, ho cominciato a considerare a quanti minuti corrispondono i 270.000 chilometri che ho percorso in tredici anni, da quando ho la macchina. È venuto fuori un numero spaventoso. Allora il problema non è l’auto ibrida che consuma meno, sono io che devo consumare meno tempo, perché mi sto consumando in macchina! E io in macchina non ho nessuna voglia di consumarmi. Io le macchine le voglio abolire.

BG Certo, basti pensare a tutti gli spostamenti obbligati che chi abita in periferia fa ogni giorno per raggiungere il posto di lavoro. Assurdo. Se si sommano tutti i minuti sono anni di vita che vanno via davanti a un volante.

GC Il telelavoro non è una chimera, basterebbe cablare meglio i paesi e le città evitando così che la gente si sposti. Molti potrebbero stare di più in famiglia, coi figli, giocare con loro. Questa sarebbe la vera rivoluzione, non star qui a guardare quanto risparmiare. L’altro giorno è venuto nel nostro ufficio Lester Brown, scrittore, ambientalista e grande pensatore americano, il quale ci ha detto che entro il 2020 o prendiamo delle misure decisive o il pianeta è spacciato. Non possiamo limitarci alla lampada a led o alle domeniche senz’auto. Fare meno non è sufficiente, bisogna cambiare, nel senso che bisogna trovare alternative a questo modello di civiltà.

DF Questa però è una politica che presuppone una pianificazione.

GC Certo, ma è fattibile, le persone vorrebbero vedere attuata questa politica. Chiediamo loro di scegliere: preferite ritornare alle sei del pomeriggio in famiglia, disporre di tempo libero per divertirvi o fare altro o, invece, tornare a casa alle otto di sera dopo due ore di code in auto? Che cosa pensate che vi diranno? Se tu applichi il telelavoro, con agevolazioni fiscali per le imprese o con leggi apposite, riducendo in modo drammatico il traffico, sicuramente metti in crisi le fabbriche di automobili e danneggi le società petrolifere, diminuendo il gettito fiscale della benzina. E qui comincia la rivoluzione. Allora non stiamo più parlando di efficienza ma di qualità della vita, di un altro modello possibile.

Risparmio e qualità

DF Scusate, ma intanto in Africa stanno distruggendo foreste intere con il liquame dello scarto del petrolio e non c’è nessuno che controlli, non gliene frega un cazzo a nessuno, e le popolazioni hanno dovuto emigrare dalle loro terre che solo dieci anni fa erano coperte per migliaia di chilometri da foreste e attraversate da fiumi pullulanti di pesci, e ora è tutto distrutto... Non è che qualche anno fa i potenti della trivellazione non sapessero che in Africa c’era il petrolio, ma sapevano che quel petrolio era duro da tirar fuori. Non soltanto: sporco e con alti costi. Non mi sembra che, come raccontano, il nostro sottosuolo sia trivellabile all’infinito! Parlano di settant’anni di riserva e che solo allora ci sarà il blackout. Ma noi dobbiamo muoverci come se il petrolio dovesse finire domani e non aspettare che il mercato ci dica a un certo punto: stop! Non ne abbiamo più!

BG Il mercato racconta balle.

GC Sì, dovremmo anticipare. La notizia di un forte scioglimento dei ghiacci dell’Artide viene salutata come una grandissima buona notizia...

DF Perché?

BG C’è una foto dall’alto con centinaia di navi in attesa che si rompa l’ultimo istmo, sono già lì, pronte ad avviare nuove perforazioni.

GC La distruzione del pianeta è a buon punto, le occasioni si moltiplicano, non ci si ferma mai, anche la notizia allarmante dello scioglimento dei ghiacci eterni può diventare fonte di guadagno e quindi viene guardata con sollievo anziché con angoscia, come se i dinosauri si rallegrassero alla vista del meteorite che li distruggerà.

DF Cosa gliene frega che si stia andando verso la fine? Quindi avanti tutta, è l’utile che conta!

BG Appunto, e poi il problema è che se finisce il petrolio fra settant’anni il carbone può durarne più di cento. Comunque il petroliere va dove fa più «grano». Perché? Perché può godere di fior di finanziamenti elargiti dai governi per realizzare l’eolico, e lo fa. Quindi è il Sistema che è sbagliato. Non è il tipo di energia che determina il programma ma il profitto che se ne ottiene. Il rischio è che adesso ci riempiano di pale eoliche.

Per tornare alla Germania: come si è mossa quell’economia? Ha fatto un piano, la banca di Stato tedesca lo ha finanziato a interessi zero, prima rata dopo tre anni.

DF Be’, anche noi qualcosa di serio e positivo l’abbiamo fatto. Il problema è che in Italia la mafia ha approfittato di queste agevolazioni rubando miliardi, non milioni, avviando società di comodo e finte, solo per avere soldi.

BG Diciamo al mercato la verità. Per i danni che fa il petrolio e con i costi che sosteniamo, la benzina dovrebbe costare 4 euro e un governo dovrebbe agire di conseguenza. I produttori di auto si dovrebbero adeguare e attivare l’efficienza energetica.

Se ho una macchina che consuma la metà e la benzina costa il doppio, a me non cambia nulla. La tassazione va ripensata in funzione del risparmio energetico, colpendo i prodotti che rovinano la qualità della vita, a cominciare dai derivati del petrolio, gli imballaggi, tutto l’usa e getta. Il 90 per cento del materiale che ci circonda entro un mese va in discarica o si brucia. Vuol dire che la nostra vita è progettata male, se tu la butti via.

Gunter Pauli, l’iniziatore dell’economia blu, imprenditore e scrittore belga, racconta che in Cina un manager ha messo a punto dei sistemi straordinari grazie ai quali lo scarto di un’azienda diventa la materia prima di un’altra e lo scarto di quest’ultima la materia prima di un’altra ancora. In India ha consorziato quasi tutti i macelli, così la carne di scarto prodotta va ad altre aziende che ne fanno vermi per la piscicoltura. E non è finita qui, perché con il fondo delle vasche per la piscicoltura un’azienda riesce a ottenere il terriccio per coltivare i funghi. Non rimane nulla da buttare, tutto è recuperato e trasformato. Quando tre miliardi di persone, tra cinesi e indiani, vorranno avere il nostro stesso tenore di vita, come faremo? Avremo un miliardo e mezzo di macchine in giro? Non è possibile.

DF Intanto la Germania, che prima Grillo citava, si sta attrezzando e non sente la crisi dell’auto...

BG Si parla sempre della Merkel e poco della Germania, di come loro intendano il lavoro e di quello che hanno fatto negli ultimi anni. Intanto, a proposito della Volkswagen, il sindacato è nei consigli di amministrazione e partecipa alle scelte dell’azienda, cosa impensabile da noi, e quando l’euro ha sostituito il marco tutti insieme – imprenditori e sindacati – hanno provato a impostare una politica per gli anni a venire, ipotizzando come si sarebbe evoluto il mercato. Da noi chi cazzo ce l’ha una visione a cinquant’anni di quello che succederà? Come si sposterà mio figlio fra trent’anni? Che tipo di energia userà? Come ci muoveremo? Quante ore lavoreremo? Questa è la politica, non c’è più, cazzo!

DF Il problema sarà lavorare meno per consumare meno energia.

BG Il segno meno dovrebbe essere messo davanti a ogni attività. Meno con meno fa più, invece in Italia sembra che siamo sempre ancorati a un segno più che alla fine diventa un meno e basta. Se riusciamo a consumare meno energia è perché siamo riusciti a migliorare l’efficienza di un motore investendo e progettando meglio e avremo modo, grazie a quel risparmio, di aumentare i consumi con lo stesso costo. Più efficienza uguale più consumi, quelli puliti e non dannosi per l’ambiente e l’uomo.

Dove sono gli economisti?

GC Questa situazione di cui parli una ragione ce l’ha ed è riconducibile alla necessità che il capitale sia sempre remunerato. È la remunerazione selvaggia del capitale che sta mandando tutto a puttane, il supercapitalismo. Se lavori otto ore, dodici ore, quattordici ore tu devi comunque remunerare il capitale. Marchionne va dove vuole per remunerare il capitale. Il capitale, ormai, vince sulla democrazia che sembra essere solo un intralcio, una perdita di tempo. Il capitale ha altri tempi, più veloci, e non vuole regole, mette i suoi rappresentanti nelle istituzioni.

BG Sì, ma allora rileggiamo Marx. Aveva già detto tutto Marx.

GC Le cose sono molto cambiate da allora. Quello che sto dicendo è che anche se tu disponessi di un’energia infinita a disposizione a basso costo, alla fine il capitale vorrebbe lo stesso lucrare su quell’energia infinita e quindi non cambierebbe niente. Devi cambiare la struttura della società, non le dinamiche dell’utilizzo dell’energia. Gli economisti non sembrano capire, e nemmeno i media. Quando dicono «adesso parliamo di economia» e parlano della Borsa, vuol dire che hanno perso il senso delle parole, perché l’economia non è parlare di soldi.

BG L’economia è parlare di cose che si toccano, che si spostano, che si producono, cose concrete, tonnellate di merci messe in movimento grazie a miliardi di tonnellate di petrolio, con tutte le conseguenze nefaste per l’ecosistema. Questa è l’economia! Allora se vogliamo parlare di economia parliamo dell’organizzazione dei trasporti e confrontiamoci con questa assurda schizofrenia. Qualche settimana fa a Genova ho mangiato il pesto: il basilico arrivava dal Vietnam e l’aglio dalla Cina. Come fanno a costare meno? Finché il prezzo del petrolio è tenuto basso, conviene. Ma è schizofrenico! Cominciamo quindi a ragionare sui trasporti e sulle merci. Dobbiamo evitare grandi opere inutili come la Tav e ridisegnare la mappa dei nostri trasporti in funzione di un risparmio energetico e di un’economia locale non basata sullo spreco.

Qui non stiamo parlando di sostituire una classe politica con un’altra, qui stiamo parlando di questioni generali, di problemi mondiali, di come riprogettare la vita, e per fare questo ci vuole un pensiero. Non basta una politica.

DF Proviamo a fare un’altra considerazione. Saprete senz’altro che un miliardo di persone del pianeta non ha mai avuto accesso all’energia, in nessuna forma. Quindi è tagliata fuori da qualsiasi modello di sviluppo come lo intendiamo noi. È gente più infelice, più disperata, più povera di noi? Ho visto recentemente un documentario sull’Amazzonia, la storia di un popolo che dall’interno della foresta dove vive da secoli esce all’estuario del grande fiume e incontra gli uomini bianchi che offrono loro lavoro nel settore della deforestazione. Imparano perfino a guidare e ad azionare i trattori e le grosse motoseghe. A un certo punto imparano a ubriacarsi e ad andare a puttane. Poi all’improvviso spariscono tutti.

Cos’è successo? Se ne sono tornati nel profondo della loro foresta, dove finalmente recuperano la loro dimensione originaria. La cosa incredibile è proprio questa. Noi pensiamo che successo, fortuna e abbondanza di cibo siano sufficienti a creare felicità. Che il progresso ci renda più soddisfatti. Siamo portati a crederlo, ma forse dentro di noi sappiamo che non è così, solo che non sappiamo come fare a fermarci e ripartire.

Un’intelligenza riformulata

BG Ci vuole un’altra età del fuoco. Diceva l’ex ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita, Zaki Yamani: «Non bisogna aspettare che finisca il petrolio: l’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre».

DF Una bella battuta.

BG Le centrali nucleari, come quelle a carbone – che negli Stati Uniti sono state messe fuori legge –, consumano acqua. Il 40 per cento dell’acqua potabile francese è consumata dai 58 reattori nucleari presenti nel paese. Noi il nucleare lo paghiamo sulla bolletta dell’acqua, ma la gente non lo sa.

Se diciamo che il petrolio finisce tra vent’anni non importa a nessuno, perché nessuno ha voglia di guardare più avanti, oltre il confine. Per farlo è necessario andare al di là del binomio problema-soluzione che regola il nostro atteggiamento. Anche questo libro, se presentasse una serie di problemi e in automatico le soluzioni, offrirebbe una ricetta a tavolino, fintamente oggettiva. Dobbiamo riuscire a guardare nel buio della consapevolezza che solo un’intelligenza riformulata può salvarci. Un’intelligenza sulle cose, sul mondo e su noi stessi.

Hai ragione. Nessuno qui vuole dare soluzioni a problemi così complessi. Siamo in un momento di grande trasformazione del pensiero, della politica, dell’economia. La rete sta imponendo alla nostra intelligenza un’accelerazione impensabile fino a qualche anno fa. Il mondo ce l’abbiamo in tasca, lo possiamo conoscere cliccando sul nostro iPhone. Basti pensare che già oggi più di metà dei televisori negli Stati Uniti hanno il WiFi incorporato: anche un pensionato dalla sua poltrona può accedere a internet senza difficoltà.

GC Quello che è avvenuto in Italia per il cellulare con la sua diffusione esplosiva negli anni Novanta sta avvenendo ora per gli strumenti mobili – iPad, tablet, iPhone – di accesso alla rete e questo avrà un forte effetto sulla politica italiana. Siamo all’interno di un processo di grande cambiamento. L’intelligenza sociale sarà modellata sui nuovi strumenti a disposizione.

Tra qualche anno interagiremo con tutti gli oggetti che ci sono in una stanza. La tazzina dalla quale ho bevuto il caffè mi dirà qual era il livello di zucchero all’interno del caffè, qual era la marca del caffè, dov’è stata costruita la tazzina. Se ho già bevuto da quella tazzina, mi riconoscerà e mi dirà: «Buongiorno Roberto, hai già bevuto da questa tazzina in questo luogo». Quella tazzina, poi, sarà collegata alla rete, quindi tutti potranno sapere che ho bevuto da quella tazzina in un dato luogo, che il caffè era di quel tipo, che ho messo un cucchiaino di zucchero.

Lo stesso si potrà fare con un cartello stradale: arriveremo in una città, ci fermeremo davanti a un cartello stradale e gli parleremo, gli chiederemo delle informazioni e lui ci risponderà, magari con la voce del sindaco. Qualunque oggetto sarà collegato alla rete e avrà un’intelligenza propria, che potrà interagire con noi. E questa intelligenza crescerà esponenzialmente perché le informazioni che ogni oggetto avrà gli deriveranno dalla somma di tutte le informazioni presenti in rete.

BG Un mondo quasi fuori dalla logica comune. Fantascienza.

GC Su Facebook tu crei una tua identità. Quando una persona muore, se non ha detto a qualcun altro di cancellarla da Facebook nel suo lascito testamentario...

DF ... continua a vivere.

GC Adesso cominciano a esserci i testamenti digitali, con i quali si può chiedere di essere cancellati da Twitter, Facebook, YouTube al momento della morte oppure lasciare in eredità un account perché magari all’interno di un canale YouTube ci sono video di valore di cui tu sei proprietario. Oggi il testamento digitale non è ancora diffuso, ma presto sarà lo sarà. Al momento sono morti milioni di americani che avevano un account Facebook, così capita che tu continui a parlare con loro ma loro non rispondono.

BG «Che cazzo fai, perché non mi rispondi? Non sei più mio amico? Ti ho fatto qualcosa? Dimmi perché! È una settimana che ti cerco, hai fatto un viaggio?» Questo è morto e tu continui a parlare con lui...

GC Ma il bello è che lui ha dato a te la sua amicizia e te la lascia anche dopo morto.

BG Quindi adesso ci sono le pompe funebri digitali: tu paghi un servizio che ti avvisa se qualcuno dei tuoi amici su Facebook muore. Tu mandi le email, se non risponde ne mandi un’altra, se non risponde di nuovo sei avvisato in automatico: «Non scrivere più a questo che è morto!».

Pensa come si evolverà la vita, la morte... Non muori più. Siamo in mezzo a qualcosa di totalmente nuovo, di incredibile. Casaleggio ormai ci è abituato, lui vive in quel mondo lì, infatti è leggermente più morto di me, nel senso della vita reale.

GC Be’, bisogna intendersi su cos’è la vita... Una volta ho incontrato un mio amico architetto su Second Life, un mondo digitale creato in rete. Gli avevo commissionato un palazzo dell’antica Grecia virtuale, definito nei più piccoli particolari. Ci siamo dati appuntamento sull’isola, era mattina e stava sorgendo il sole. Ci siamo salutati attraverso le nostre due identità digitali e abbiamo ispezionato il palazzo trovando due imperfezioni negli affreschi. Dopo un po’ non ci accorgevamo più di essere in un mondo immaginario.

Entriamo veramente nella fantascienza. Prima parlavamo di intelligenza collettiva. Quello che può fare l’intelligenza collettiva è straordinario! Se mettiamo a fattor comune centinaia e migliaia di cervelli, il risultato può essere eccezionale, ma ora non lo sappiamo ancora. Non siamo abituati: siamo soliti condividere le informazioni con piccoli gruppi di persone.

DF Capisco solo relativamente il mondo che state proiettando. Diverso è quando parliamo di questioni che posso toccare con mano, di cui ho esperienza diretta.

Torniamo coi piedi per terra. Per esempio, il tema del risparmio energetico affrontato prima: la possibilità di costruire case con materiali che garantiscono una tenuta del calore all’interno e il blocco del gelo o, al contrario, del solleone in estate. O quella di costruire abitazioni in territori dove avvengono ciclicamente terremoti. In Umbria, dove abito, questi nuovi metodi stanno cambiando le consuetudini costruttive: i contadini, per esempio, che da secoli costruiscono le case in pietra o in mattoni, vengono a contatto con questi sistemi completamente nuovi e imparano a servirsene risparmiando tempo e denaro. Questo è un cambiamento grosso, che vedi e che impatta sulla vita quotidiana indipendentemente dalla rete.

BG La casa in cui abiti in Umbria è quella che ha costruito tuo figlio Jacopo?

DF Sì, quella di Jacopo: la vengono a vedere e a studiare molti architetti e ingegneri provenienti da vari paesi. È stata realizzata da artigiani che hanno sperimentato materiali e metodi nuovi nel Trentino-Alto Adige acquisendo dai montanari austriaci una straordinaria sapienza nell’assemblaggio edile. Tutto viene costruito a distanza, quindi portato sul posto e assemblato in pochi giorni: dal tetto alle pareti, ai servizi interni, compresi i mobili. Sono tecniche ormai diffuse.

Una conoscenza condivisa

GC Sì, in questo caso tu metti l’intelligenza collettiva al servizio di un problema, per esempio quello del riscaldamento delle case, e lo risolvi. In futuro il nostro cervello sarà planetario. Se il problema è di tutti, viene risolto da tutti coloro che hanno competenze su quel problema, e in tempi molto più brevi.

Anni fa in rete si è formata una comunità di astronomi dilettanti che, pur non disponendo della strumentazione scientifica dei grandi osservatori, è diventata importantissima ed è riuscita a scoprire nuove galassie, supernove, buchi neri attraverso la capacità di unire intelligenze, dati, informazioni. Tre anni fa ho partecipato a una conferenza a San Francisco dove Al Gore parlava di CO2, del riscaldamento della Terra, della crisi alimentare e dell’enorme potenzialità della rete nella risoluzione dei problemi del mondo.

DF Sull’intelligenza collettiva mi trovate completamente entusiasta. Lasciatemi fare ancora un riferimento storico. Non so se ricordate l’accenno che ho fatto sui comacini, cioè i muratori che agivano usando macchine o «macchinamenti», come si diceva al tempo. Ebbene, questi vivevano in comunità con regole interamente collettive dove anche le leggi e le consuetudini esaltavano quella modalità di vita. D’altra parte, Eratostene di Cirene, che ho citato all’inizio, colui che intuì la circonferenza della Terra e la sua distanza dal Sole, non era un’intelligenza singola, isolata, ma viveva con altre centinaia di uomini e anche qualche donna di sapienza e conoscenza eccezionali. Infatti, dal V al III sec. a.C., le scoperte più importanti sui moti del creato e sull’assetto degli astri furono realizzate da scienziati greci e della Magna Grecia che agivano, studiavano e producevano insieme.

Però, una cosa che vi prego di prendere in considerazione, e che penso sia molto importante, è il valore dell’individuo. L’individuo cresce anche grazie alla comunità, ma all’origine ha una propria personale dimensione di creatività che riceve spinte e controspinte delle altre personalità che gli vivono intorno; cioè è un nucleo che, posto in circolo con altri elementi simili ma non uguali, produce atti di intelligenza superiore.

Una delle più grosse scoperte recenti è che ognuno possiede un cervello particolarmente strutturato rispetto ad altri, nella forma e nelle strutture interne. Io mi sono prestato a un esperimento del tutto particolare: l’Università di Pisa mi ha fotografato il cervello per farne uno studio. Mi sono detto: «Oddio, chissà cosa succede? Speriamo che non scoprano il vuoto assoluto!». A parte il lazzo, alla fine mi hanno consegnato una grande foto del mio cervello con tutti i particolari sviluppati in ingrandimenti. Gli scienziati che mi hanno esaminato, nell’illustrarmi le foto, mi indicavano le varianti particolarmente evidenti del mio assetto celebrale e insistevano nello spiegarmi l’enorme diversità che caratterizza la personalità intellettiva, fantastica, emozionale di ognuno in conseguenza di quelle forme quasi grafiche. Quindi non c’è una categoria di cervelli che si ripeta, ma ogni cerebro ha la sua particolare struttura, variante e composizione. Questa unicità straordinaria si allontana dall’altra chiave che stavate enunciando, quella di una serie di macchine pensanti che si uniscono nel moto e arrivano, ragionando insieme, a elaborare collettivamente.

BG Ma l’individualità non scompare, una cosa non esclude l’altra.

DF Voglio dire, meno male che c’è anche quest’altro mondo legato all’individualità che agisce e che realizza pensieri, altrimenti non ci sarebbe la musica, non ci sarebbe l’invenzione della pittura, dell’arte e neanche della matematica. Temo che un giorno si possa pensare: «Tanto c’è lei, la collettività delle intelligenze, farà tutto lei».

GC Ma quell’intelligenza siamo tutti noi. È la condivisione della conoscenza che ci permette di andare oltre il singolo. La conoscenza, messa a fattor comune, porta a trovare una soluzione di ordine superiore. Io sono sempre stato convinto che cento persone ragionino meglio di una sola.

DF Su questo sono pienamente d’accordo...

BG Siamo già dentro una trasformazione di linguaggio, di cultura, di scambio, di pensiero e, volenti o nolenti, andremo a essere qualche cosa di diverso. Che sia meglio o peggio non lo so, lo sapranno i nostri figli, i nostri nipoti. Adesso noi non capiamo bene che cosa sta succedendo, non capiamo l’importanza di poter condividere il sapere con migliaia di persone e che cosa ciò può voler dire in termini politici. Però è chiaro che la trasformazione è epocale, come lo è stata quella del libro, che ha cambiato il modo di fruire la cultura e quindi ha trasformato la società.

Anni fa non ci credevo, nei miei spettacoli spaccavo i computer per dimostrare che erano macchine inutili e dannose, poi mi sono ricreduto, ho capito che la rete aveva il potere di cambiare la mia relazione con il mondo, con il tempo, con lo spazio, con il mio modo di informarmi e di sapere. Questa possibilità il potere politico non l’ha ancora bloccata perché non l’ha ancora capita, la Chiesa neppure, mentre il MoVimento 5 Stelle esiste grazie alla rete.

DF Io adopero moltissimo internet quando comincio a tratteggiare una storia, un personaggio, poi però se non avessi il confronto con altre fonti, con altri mezzi, se non mi confrontassi nel concreto con altre persone che amano la ricerca, farei degli errori gravissimi perché spesso, non sempre, ma spesso quello che è immediato, che trovi subito è grossolano, banale, superficiale.

GC Dipende da che confronto fai. Prendiamo l’Enciclopedia Britannica. Nel libro Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo (Etas 2007), gli autori Don Tapscott e Anthony D. Williams dimostrano come l’Enciclopedia Britannica sia meno attendibile di Wikipedia e perché anche per questa grande opera il tempo è definitivamente trascorso. Una facile profezia. Due anni fa Jorge Cauz, il suo presidente, ha annunciato che l’edizione del 2010 sarebbe stata l’ultima a essere pubblicata in forma cartacea. Il numero di articoli di Wikipedia è di molto superiore a quelli dell’Enciclopedia Britannica, che in percentuale contiene più errori. Alla creazione delle voci di Wikipedia partecipano milioni di persone in tempo reale mentre alla creazione della Britannica forse qualche migliaio, tutte altamente specializzate, è vero, ma confrontarsi con un numero sterminato di contributori e revisori online è impossibile. La battaglia è persa in partenza.

DF Perfetto, hai ragione. Però, a proposito del terremoto dell’Aquila, qualche mese fa sono andato su internet e ho fatto una ricerca sulla storia della città e dei terremoti che si sono, ahimè, susseguiti nei vari secoli. E ho scoperto un fatto straordinario: che la popolazione a un certo punto si era così ridotta ed era diventata talmente misera che, per evitare che la città morisse del tutto, un vescovo decise di lasciar liberi preti e suore di sposarsi e avere figli. È una storia bellissima: tutti questi preti e sante donne che si riproducono per amor di Dio e così salvano la città. La data a cui l’episodio si riferiva era indicata come il 1700, il che mi sembrava strano, troppo vicino a noi. Infatti era uno svarione.

Ho fatto una ricerca presso ciò che si è salvato nelle biblioteche dell’Aquila e ho scoperto che la data esatta va spostata molto più indietro, esattamente al XIV secolo, alla nascita di questa città, e grazie all’«incontro» con il cronista-giullare Buccio di Ranallo ho scoperto che tutta quella storia è molto più complessa. Ecco come sono andati i fatti. Il podestà della città in un primo tempo fece restaurare le mura così da rinchiudere gli abitanti sopravvissuti ma non ci riuscì e, disperato per lo spopolamento dell’Aquila, chiese aiuto al vescovo, il quale s’era già reso conto che i monasteri e i conventi – rimasti in piedi perché costruiti come fortezze – erano stati invasi da cittadini maschi e femmine risparmiati dal cataclisma e che ormai vivevano in una forma di comunione totale, spirituale e fisica, con i frati e le suore. Le comunità miste creano sempre legami e storie d’amore. I bimbi nati da questa convivenza erano numerosi ed erano considerati da tutti miracolose creature di Dio, salvezza della città. Ecco allora che il vescovo, convocati i gestori dei monasteri e i novizi, concesse loro di trovare mogli o mariti fra gli stessi religiosi o di accoppiarsi con i sopravvissuti d’ambo i sessi. Questo per dire che le notizie sulla rete vanno sempre verificate e approfondite, altrimenti si rischia di prendere delle cantonate terribili.

GC Sì, non è che vai su internet e trovi la verità. Su internet trovi una forte approssimazione della verità. Certamente, se cerchi un fatto molto particolare come quello citato, che è quindi controllato da poche persone, la possibilità di errore è più alta.

DF Devo ammettere che prima di scoprire i vantaggi che può dare internet, io impiegavo un mese per acquisire una notizia. Adesso in tre minuti ce l’ho, so però che devo verificarla rivolgendomi a una fonte o a un gruppo di persone che quella notizia l’ha studiata e l’ha liberata da tutte le varianti e, soprattutto, dalle censure, non ultime quelle della Chiesa.

Essere credibili sulla rete

GC Il problema è che stiamo confrontando momenti diversi della diffusione della conoscenza. Dario pensa soprattutto ai libri, ai teatri, agli incontri personali. La diffusione della conoscenza di cui sto parlando io è quella della rete.

DF Vorrei che voi non dimenticaste che cos’è l’apporto della personalità e dello studio. Beppe, per esempio, è un caso unico, assoluto dentro tutto il teatro italiano.

GC Quello che conta nella rete è la credibilità che uno si costruisce. Se tu sei credibile acquisisci in rete un valore superiore.

DF Quando ascolto te, capisco che nei tuoi discorsi c’è dentro una sorta di metafisica della collettività degli individui, del lavoro insieme. Ma la credibilità la raggiungi anche nel rapporto diretto con le persone, quando le incontri e parli. È una conquista faticosa, fatta di esercizio e applicazione, come se dei fili magici attraversassero improvvisamente corpo e cervello. Beppe riesce a parlare a mitraglia prendendo la gente per lo stomaco, per il naso e per i coglioni! Ha la dote straordinaria di entrare e uscire dalle persone e ciò è determinato dalla capacità di essere in tanti luoghi fisici diversi e straordinari grazie allo scontro continuo dei pensieri, delle idee, delle notti sballate che uno ha fatto perché non ha la soluzione e prova a cercarla e gli sembra di non trovarla mai. Ma un modo per arrivare alla gente c’è sempre.

Io salgo sul palcoscenico e Beppe fa come me, è una dote che non so come abbiamo acquisito e scambiato e attraverso chi siamo arrivati ad avere. Non lo so, non lo riuscirò mai a capire. Io salgo sul palco, sento il pubblico come un essere unico: c’è quello che è pazzo, che parla in una maniera strana, che urla, un altro che si siede e fa rumore, quell’altro che ride sulla battuta sbagliata... Piano piano devo uniformarli tutti, devo cercare di prenderli e fare in modo che respirino insieme e che, addirittura, si accordino sul ritmo che io gli do. Loro hanno una chiave, un andamento, e io devo tirarli a me in modo da farli respirare con me. E tu credi che tutto questo si possa fare attraverso la rete?

GC No, questa è un’altra cosa!

DF Il pubblico te lo può dare quel valore di cui parli tu. Certe volte è un parto stare davanti agli spettatori, si soffre. Certe volte fai venti minuti andando a vuoto, come perduto, perché non riesci a intuire chi sono quelli che hai davanti, che cosa capiscono, perché perdono le battute, perché battute che sono sacre, che hanno sempre funzionato, di colpo non funzionano più. Ma poi pian piano vai in questo buio e riesci a trovare il nodo, la chiave, la soluzione, e allora vai via come un treno, prendi velocità e devi subito stare attento. Impari con gli anni a non godere troppo di questa vittoria, perché dopo un po’ ripiombi nel buio verticale e, se non stai attento, ti trovi a essere come il burattinaio che sa muovere con cinquanta dita le marionette senza che però la gente capisca e partecipi.

Non per niente il teatro si chiama «mistero», non è un caso. Mistero buffo vuol dire rappresentazione buffa. Non c’è niente di sacrale dentro, la rappresentazione in sé è il mistero. La formula di questa magia ancora oggi, a 86 anni, non la conosco. Tra pochi giorni vado a recitare, posso morire prima, risorgere, vado avanti, respiro, mi viene una voce stupenda, vado sotto, godo, rido e alla fine il pubblico applaude – spesso entusiasta – e io è come se non avessi fatto niente, non sono neanche sudato. È proprio magia. E questo anche nel pensiero, anche nelle cose. Io vorrei riuscire ad avere la chiarezza che hai tu, Gianroberto, nel recepire e nel catalogare questo fenomeno straordinario che è la rete e che è questa magia, un’altra magia incredibile, per me, incomprensibile alla fine, che non riuscirò mai a capire fino in fondo. Ma ti voglio dire: attento all’altra faccia di tutto un mondo che dura da sempre e che non si può dimenticare, spegnere dall’oggi al domani, se non vuoi rischiare di spegnerti a tua volta.

GC Ma l’intelligenza collettiva non va a scapito delle capacità individuali.

DF Ti dicevo: guarda che c’è quell’altra intelligenza senza la quale tu non saresti niente, perché tu hai questo quid, così dicevano gli antichi, che è importante. Se tu non avessi il quid, non saresti quello che sei, come lui, come me. Cioè l’imponderabile.

BG Ma tu, Dario, vedi la rete come un momento di pianificazione, invece non è così. Si fonda piuttosto sulla condivisione. È un’opportunità per far dialogare e mettere a frutto le grandi intelligenze.

GC Il mondo è magia. Non si può scoprire magia solo in alcuni. Tutto è magia. Non sapendo nulla, tutto è magico.

DF Sì, d’accordo, però ci sono dei valori altissimi che sono illeggibili e altri che sembrano più semplici: sembrano, ma forse non lo sono.

BG Come te, Dario, anche io salgo sul palco e faccio i miei spettacoli per arricchire e cambiare il pensiero di tanta gente. Contemporaneamente Casaleggio fa lo stesso lavoro sulla rete. Sono due piani diversi, ma il fine è unico. Io sono sulla strada, lui è online, sono dimensioni che si compenetrano. E nessuno dei due si pone come leader.