Al suo posto, i figli di Craxi

A qualunque ora, nei giorni di seduta parlamentare, Nicola è là. Accanto alla libreria tedesca di piazza Montecitorio, in piedi accanto alla macchina. Aspetta. Nicola ha gli occhi chiari, vestiti semplici. È un gigante. Tiene le mani incrociate dietro la schiena. Fa due passi avanti e due passi indietro, torna dov’era. Parla pochissimo. È gentile, quando gli chiedi: «Come va, Nicola?», risponde: «Mi fa piacere vederla» e sorride. Tredici anni dopo Nicola è tornato. Non ha cambiato aspetto da allora: è uguale. L’ultima volta che si vide qui attorno fu al Raphaël il giorno delle monetine. C’era naturalmente, era con Bettino come sempre. Nella geografia dei palazzi romani per anni – per una stagione politica intera, una stagione lunghissima – Nicola ha segnalato la presenza di Bettino: lui era fuori quando Bettino era dentro. Fuori dalle riunioni, dai congressi, da Palazzo Chigi, dalle case degli amici, dalle cliniche dove i figli partorivano, dal partito e dai camper. Nicola: l’autista di Craxi. Ora che Stefania è stata eletta alla Camera con Forza Italia ha chiesto a Nicola di fare per lei quello che per tutta la vita ha fatto per suo padre: stare vicino, accompagnare, esserci. Di quel tempo sparito nelle strade di Roma resta solo lui, identico.

Stefania, la figlia di Bettino, vive dentro un universo di simboli: «A Montecitorio mi sono seduta al posto di mio padre, il suo stesso posto nell’emiciclo. La terza volta che un commesso si è rivolto a me chiamandomi “onorevole Craxi” sono scoppiata a piangere». Non per «onorevole» in sé, né per «Craxi» da solo naturalmente. Perché «onorevole Craxi» era lui. La figlia, quel giorno, ha preso il posto del padre. Nel suo nome, col suo nome, il suo posto. Onorevole Craxi. Aveva un garofano rosso all’occhiello del tailleur e Nicola ad aspettarla fuori dalla porta. Nicola che l’ha tenuta in braccio bambina, che l’ha accompagnata con la vecchia Mercedes enorme nei viaggi all’ospedale di Tunisi. Che è stato anni ad Hammamet ad accudire sua madre Anna, che ha portato avanti e indietro in aereo il parmigiano e il caffè, che ha vissuto in villa gli anni che loro chiamano dell’esilio – gli altri dicono latitanza – e che era fuori dalla stanza il giorno dell’operazione: erano solo loro due, Stefania e Nicola, quando Bettino è morto. Ai funerali lo salutavano tutti, i socialisti della diaspora venuti coi charter, lui rispondeva veloce grazie e scappava subito: dalla Signora e dalla sua anziana madre, la nonna di Stefania. Negli anni tunisini Nicola è andato ogni giorno alla capanna sulla spiaggia, quella da cui Craxi guardava il mare e l’orizzonte dell’Italia lontana. L’hanno costruita insieme, la capanna. Stefania ci torna sempre con lui ancora adesso. L’hanno rimessa a posto, canne nuove, foglie ogni anno fresche. Fanno visita alla famiglia di pescatori che vive sulla spiaggia. Loro offrono il caffè e i biscotti, si guarda insieme il mare e non si parla. Nicola guida di ritorno verso Hammamet. Conosce tutte le buche. Conosce tutti i capi di Stato, la gente del mercato, i traditori e i fedeli, gli ambasciatori e i custodi del garage. Per ciascuno ha un aneddoto, ma è difficile che si fidi al punto di concedersi di raccontare. Si capisce che sa dagli sguardi, dai cenni del capo, da mezze parole. Nel viaggio sulla sterrata guida quell’enorme macchina incongrua e dice: «Stefania è una persona unica al mondo, la figlia che tutti vorrebbero avere».

Stefania è una donna adulta ormai. Il suo primo figlio lo ha chiamato col nome di suo padre. «Mentre i medici tunisini dicevano che dovevano amputargli il piede, in Italia scrivevano che aveva un foruncolo. C’è chi ha fatto sondaggi per capire se essergli amico oppure no.» Nel libro che raccoglie le lapidi degli uomini che hanno fatto e disfatto l’Italia, STTL. La terra ti sia lieve, c’è una foto del cimitero sulla sabbia di Hammamet («La mia libertà equivale alla mia vita» c’è scritto sulla tomba) e il racconto di Stefania, questo racconto. «Ho rancori talmente grandi che non c’è posto per rancori piccoli» dice quando le nominano qualcuno dei «traditori». Quando suo padre era vivo lei girava armata. «Per difenderlo.» Quando era un’adolescente aspettava che lui uscisse per decidere come passare il pomeriggio: «La domenica non uscivo con gli amici fino a quando non capivo che mio padre non mi avrebbe portata con sé. Mi ricordo quando prendevamo la metropolitana e andavamo alle corse dei cavalli. Poi, quando è diventato presidente del Consiglio, tutto questo è scomparso. È scomparsa anche l’intimità. Venivo a Roma, andavamo a mangiare al ristorante e con noi c’erano quindici persone». È andata a votare, una volta, e ha scritto «Viva Craxi» sulla scheda. Ha messo insieme tutte le carte, tutte le foto. Ha passato anni a costruire la Fondazione che porta il nome del padre, il logo è un disegno del suo volto. Ha invitato Berlusconi ai convegni, lui c’è andato. Amato, anche. Ha preso una strada diversa da quella del fratello, al bivio della politica si sono divisi. «Non sopporto l’ipocrita divisione fra socialisti buoni e cattivi» ha detto. E poi anche: «Tra quelli che hanno creduto in mio padre solo le donne gli sono rimaste fedeli in politica: per forza, perché sono donne». I sentimenti, intende dire. Si è candidata col centrodestra, suo fratello Bobo col centrosinistra. Prodi ha vinto le elezioni e lei è entrata in parlamento, Bobo no. Bobo che firma con la stessa calligrafia, la stessa «C» grande di Bettino, che parla con la stessa voce. Lo hanno nominato sottosegretario, poi: è andato al governo. Sottosegretario agli Esteri insieme a D’Alema ministro. D’Alema che nei giorni dell’agonia di suo padre era presidente del Consiglio. Quello da cui Bettino si aspettava un gesto formale che gli consentisse di andare a operarsi in Francia, una mossa politica. «Aspetto che faccia qualcosa il ragazzo, ma non ci spero.» Lo chiamava così, D’Alema: il ragazzo. I due fratelli quando si incrociano non si parlano, voltano la testa. Alle cerimonie di famiglia vanno separati e stanno lontani. La madre è ancora ad Hammamet, non tornerà in Italia, vuole essere sepolta accanto al marito. A turno i figli vanno a trovarla.

Stefania ha cambiato fisionomia, negli anni: è diventata il ritratto del padre. Nel libro di foto che ha pubblicato con la Fondazione ce ne sono alcune di lei ragazzina, dei suoi figli bambini fra i piedi di presidenti e ministri, di Bettino quando stava bene e poi male, poi peggio fino alla fine. I vasi coi colori della bandiera italiana, il piede fasciato, la capanna sul mare. Nicola, sempre, nelle foto. Nicola che è tornato a Palazzo e lo trovi lì fuori ad aspettare la bambina, ora che si è fatta grande. Ora che è diventata l’onorevole Craxi, nel suo nome e al suo posto.