Ambivalenza
di Barry N. Malzberg
Titolo originale: Testify
Testimoniate il mio timido e semplice, il mio oscuro ed esitante amore. Parlatene e lasciate che si realizzi, lasciate che quest’amore brancoli per i corridoi, animale intrappolato alla ricerca di una via d’uscita, finché troverà una porta e trasuderà come fango alla luce. È perverso parlare così brutalmente del mio amore, ma d’altra parte...
... Il mio amore è una donna crudele e brutale, brutale e indicibilmente cattiva, tesa unicamente a sferzarmi per spingermi a una maggiore eccitazione. — Uccidi — mi dice sotto le lenzuola, al riparo della notte. — Uccidi gli altri, strappa a mani nude il loro cuore dal petto, guarda il cuore palpitante, schiaccialo davanti ai loro occhi mentre quegli occhi si riempiono della consapevolezza della morte, con il sangue che scorre intorno a loro e poi mentre si raccolgono su se stessi e muoiono, diventano cenere davanti a te... prendi il loro cuore, ancora palpitante con gli ultimi sussulti di vita e scaglialo sulle loro facce, fa’ che la loro ultima immagine sia quella del cuore caldo e morto contro le loro labbra. Fa’ che bacino e riconoscano la loro stessa morte.
E così via. Che linguaggio, per una signora! Eppure il mio amore non è legato alle convenzioni, altrimenti io non proverei quello che provo per lei.
Il mio amore, il mio amore: è dolce eppure terribile, i suoi desideri mi vengono affidati in improvvise vampate di fiducia nella notte in cui riposiamo.
— Non basta che tu strappi il cuore dai loro petti — dice lei — non è abbastanza, questo è l’apice del processo di morte, ma prima dovresti prendere un picchetto incandescente e infilzare gli intestini. Scalda il picchetto in un camino finché è ben caldo, incandescente in ogni punto, e allora, solo allora, mettilo dove deve stare, spingilo a cercare il suo rifugio caldo e segreto nel profondo dei loro corpi, nell’intestino basso, appena sopra le viscere e poi quando cominciano a urlare e a lottare per liberarsene, il cuore...
Non posso proseguire. Registro questi consigli con il cuore pesante, con un profondo senso di terrore, solo per indicare la natura delle idee che mi vengono dal mio amore e che tipo di persona è lei. Non che, davanti a questo, io la ami di meno. Ammetto di essere, in un modo confuso e anche ingenuo, eccitato dalle sue confidenze e giacendo contro il suo corpo, ascoltando il suo sussurro, le immagini di quello che lei pretende da me divampano contro lo schermo della mia vita in technicolor, belle e assolutamente irresistibili, anche se, allo stesso tempo, io sono perfettamente consapevole del loro orrore e non senza un profondo senso di repulsione. Ambivalenza: è di questo che sto parlando. Ambivalenza. Non sono mai stato molto fortunato con le ragazze finché non ho incontrato il mio amore.
Alcuni uomini ottengono quello di cui hanno bisogno con la persuasione: alcuni con il denaro e altri con la perseveranza. Alcuni uomini ottengono quello che vogliono con la forza del loro desiderio e altri per fortuna, e poi c’è ancora una notevole percentuale di uomini che non ottengono affatto quello che vogliono: né omosessuali né asessuati, esistono solo in un sublimato senso di desiderio alla ricerca di un rapporto, ma non succede niente, niente, niente: sono il genere di uomini che si vedono passeggiare sui marciapiedi fuori delle discoteche, uomini che ricevono dei numeri di telefono dagli amici che li presentano come numeri di ragazze disponibili e che poi scoprono che uno dopo l’altro quegli uomini o hanno fatto fiasco oppure parlano un’altra lingua; ce ne sono di uomini così e devo ammettere che anch’io appartenevo a questa categoria. Non era per mancanza di desiderio che le mie avventure con le donne finivano infallibilmente in un disastro; e neppure per latente omosessualità, poiché ero in grado di provare a me stesso, solo nella mia stanza, con tutte le luci dietro i miei occhi che brillavano, di poter fornire prestazioni sessuali, e come! E non era neppure per mancanza di denaro, poiché i documenti riveleranno che io percepivo un eccellente o quanto meno adeguato stipendio nella mia posizione di esaminatore anziano di domande di assunzione al Dipartimento, stipendio che mi avrebbe tranquillamente consentito una molteplicità di relazioni... no, non si può neppure dare la colpa al denaro. Per farla semplice, amici, io non avevo fortuna. Appartenevo a quella categoria di uomini alla cui insulsaggine viene data solo un’occhiata di sfuggita, come a qualche grottesco ornamento di famiglia e solo quando viene mostrata la casa; più è nascosto oppure posto in una luce favorevole più risulta goffo e sgraziato... questo tipo di uomo ero io.
Mi chiedete perché non cercassi soddisfazione nelle prostitute. Vi risponderò rapidamente e con assoluta onestà: io credo che cercare amore nel corpo di una donna che vi si dà per denaro sia un peccato, una bruttura e una profanazione (corruzione? disonore? La retorica mi crea qualche problema) dello Spirito Santo. L’amore per me o si presenta nella sua forma più naturale e spirituale oppure non esiste per niente ed è per questo che non ho mai preso in considerazione, mai neppure considerato, la possibilità di cercare sfogo con una prostituta, anche se avevo un ottimo stipendio al Dipartimento e avrei potuto facilmente permettermi di affittare uno di quei corpi che sempre mi tentavano e mi tormentavano quando attraversavo in fretta la zona bassa della città dove quelle donne si mettono in mostra. Ma sono stato forte. Non mi sarei mai contaminato. Conoscevo la verità della mia condizione, la forza dell’amore che, una volta estrinsecato, io avrei potuto offrire nella più incommensurabile quantità, e così sono stato forte. Io sono stato forte. Non avrei accettato niente che fosse inferiore al mio amore.
E poi ho trovato lei! Ho trovato colei con cui sapevo di poter riscattare tutti gli anni amari e solitari della mia esistenza, colei che li avrebbe giustificati, come la concessione di un dono immenso a chi è stato a lungo privato di tutto rende ogni sofferenza meritevole, una delle condizioni del dono stesso. Dal momento in cui la incontrai mi sentii invaso da quel senso di stupore, sgomento e umiltà che avevo intravisto negli scritti dei grandi poeti, per non parlare degli sfoghi dei peggiori cantautori, e capii di essere completamente ricompensato, e a maggior ragione perché lei comprese immediatamente le profondità del mio bisogno e la sofferenza del mio viaggio e con lei era come se ogni cosa le fosse già nota senza che io dovessi spiegare tutto. Ho sempre avuto delle difficoltà notevoli a districarmi con chiunque nella cosiddetta conversazione di società, non parliamo poi delle belle donne.
Così incontrai il mio amore ed ebbe inizio il nostro idillio e io sapevo che ogni verità e gratificazione stava lì di fronte a me, eppure, una volta che lei ebbe stabilito le sue condizioni, io cominciai, per la prima volta, a interrogarmi sulle dimensioni di quella responsabilità che era stata invocata dalla sua intimità con me.
— Tu dovrai uccidere — mi disse — dovrai uccidere e mutilare e brutalizzare nel modo più orribile e disgustoso non solo per provarmi il tuo amore, ma anche per vendicarti di un mondo sbadato e insensibile che per trentanove anni e sette mesi ha proseguito il suo cammino alla faccia di tutte le tue sofferenze come se non significassero niente. Tu devi dimostrare al mondo per mezzo di queste brutalità che un uomo non può soffrire in questo modo, che il mondo deve pagare un prezzo per il dolore, la colpa e la repressione con cui lo castiga, e così in nome di tutti coloro che sono perduti, sofferenti e soli con il loro bisogno e il loro seme. Tu devi colpire con forza e dare loro una lezione — e poi si addentrò in orrendi particolari, esempi brevi e purgati che si possono trovare nei paragrafi di introduzione di questo memoriale vigoroso ma essenziale e che io evito di ripetere dal momento che mi disgustano, anche se nello stesso tempo mi riempiono, pur conoscendo le conseguenze di questa terribile eccitazione.
— Potresti benissimo iniziare con Roberts — disse. — Roberts sarebbe il tipo giusto con cui cominciare. Roberts rappresenta tutti quelli che ti hanno fatto soffrire e che hanno riso delle tue lotte e non ti hanno mai teso una mano per aiutarti, oltre a questo, se tu vuoi che io venga a letto con te e vuoi che le cose vadano davvero bene tra noi come ti ho promesso, tu lo devi fare come prova di fede.
Così uccisi Roberts. In realtà non avevo scelta, non si ha scelta quando si è coinvolti direttamente, anche se il senso di lotta interna che ho dovuto sostenere per arrivare a questa decisione è stato profondo e ha richiesto giorni. Dovevo uccidere Roberts? Non dovevo ucciderlo? Dovevo chiedere l’aiuto di uno psichiatra? Dovevo confessare a Roberts i miei propositi omicidi e lasciare che le cose seguissero il loro giusto corso? Dovevo dire al mio amore che non ero abbastanza uomo da uccidere per lei? Potete vedere il dilemma e i conflitti interni in cui mi dibattevo ma potete anche vedere che alla fine non ci furono discussioni, che ogni disputa era stata semplicemente una costruzione per resistere all’inevitabile. La realtà è che io desideravo ardentemente di uccidere Roberts. Più di chiunque altro simboleggiava gli insulti e l’umiliazione che dovevo sopportare in silenzio dal momento che non volevo contaminare lo Spirito Santo con rapporti peccaminosi, e quando arrivò il momento ero freddo e impassibile.
Gli tesi un agguato in un vialetto, una sera, dopo che ebbe lasciato il Dipartimento. Novembre inoltrato, le strade già buie alle sei, e Roberts, fanaticamente dedito al proprio lavoro (anche se, disgustoso ipocrita, se ne faceva beffe cercando di darci l’impressione che non gliene importasse niente), che le attraversava cautamente, lentamente, tra i mucchi di neve precoce e i marciapiedi resi scivolosi dalla pioggia, muovendosi con l’andatura pesante e strascicata dell’impiegato statale, e prima che si rendesse anche solo conto di essere stato avvicinato io gli ero addosso, i denti affondati nella sua gola. Lo rovesciai letteralmente. Era molto debole e impreparato all’assalto mentre io, che avevo letto in biblioteca numerose opere sulla difesa personale e che avevo la passione per il mio amore a ispirarmi, ero senza rimorso.
— Questo è per le risate — dissi, e gli praticai un taglio profondo con un piccolo rasoio che avevo astutamente nascosto in una tasca interna per dargli il cosiddetto colpo di grazia quando avesse cominciato a cedere — e questo è per avermi schernito — e gli tagliai con precisione un orecchio — e questo è per quella volta che hai detto che non conoscevi nessuno così strano con le donne. Pensavi che non stessi ascoltando o che non fossi nella stanza, ma in realtà eravamo separati solo da una sottile parete divisoria al gabinetto, un piccolo spessore di legno che divideva il tuo scomparto dal mio e io sentii tutto — e gli tagliai l’altro orecchio. Poi passai agli occhi. Roberts ansimava e si lamentava sotto di me, e mentre lo affettavo, un dito qua, un altro là, un pezzetto del muscolo deltoide qui e una fetta di guancia là, lo sentii unirsi a me nella folle canzoncina che stavo cantando, aggiungendo un allegro se pur sconnesso contrappunto ai briosi se pur confusi versi d’amore (poiché era per amore) con cui svolgevo le mie gioiose mansioni.
Alla fine lui giacque nel vialetto, aperto per tutta la lunghezza del corpo, mentre gioiosi zampilli di sangue aggiungevano una copertura emotiva al suo canto, e a quel punto, con Roberts non più uomo, fu abbastanza facile ucciderlo, cosa che feci in modo particolarmente disgustoso, modo che preferisco non affidare a questo memoriale perché potrebbe colpire alcuni di voi come un po’ eccessivo, anche se devo confessare che sto smussando e sorvolando parecchi particolari scabrosi, come ad esempio quello che fa il mio amore quando mi sussurra i suoi ordini.
Alla fine Roberts morì. Con la bocca piena e il cuore leggero, io lo lasciai là per tornare ai doveri più semplici e più complicati della mia vita che in quel momento comprendevano comprare il giornale della sera, conservare un Aspetto Normale e seguire una Normale Routine fino al momento in cui sarei tornato al mio appartamento e avrei dato al mio amore la prova del mio dono sotto forma del lobo destro di Roberts che, piccola perla scintillante, avevo conservato nel taschino della camicia.
— Molto bene — disse lei. — Sono davvero soddisfatta, hai mostrato un impegno genuino e sincero e ne sono felice, ma temo che non basti. Tu non mi hai ancora dato una prova incontrovertibile del tuo amore.
— Ma sì che te l’ho data — dissi, reso quasi pazzo dalla vista del suo corpo nudo sul letto in una delle sue tante, insolite ed eccitanti pose d’invito, i piccoli seni spinti in avanti, simili a delicate conchiglie, o forse sto solo cercando di dire lobi. In effetti, i suoi seni ricordavano molto i lobi di Roberts.
— Ho fatto tutto quello che hai voluto, subito e bene — e mi chinai su di lei, con desiderio impaziente. Lei mi allontanò con una di quelle sue dolorose, lancinanti strette. Benché io ami il mio amore, la ami in un modo timido e semplice, oscuro ed esitante che durerà nel tempo indipendentemente da quello che succederà, devo ammettere che lei è assetata di sangue e che non tutte le sue abitudini sono irreprensibili.
— C’è un’altra cosa che devi fare per me — disse — e poi mi avrai dato la prova completa del tuo amore.
— Cosa? Cos’è? — dissi io ancora eccitato, anche se, devo ammetterlo, avvertivo un forte dolore giù in basso, un dolore che mi ricordava, come mi ricorda ora, i modi bui e tortuosi della più gentile e bella delle donne.
— Dimmi di cosa si tratta e lo farò, per quanto debba farti notare che il delitto è un crimine serio e io mi sono posto in un azzardo gravissimo facendo quello che ho fatto.
Così le parlai. Ammetto di essere tornato a un modello discorsivo piuttosto involuto, ma il mio amore, a differenza delle altre donne, mi tirava fuori le parole e, per quanto disarmoniche e complicate, io gliele porgevo.
— Dimmi — incalzai.
— Sì — disse lei, distesa sul letto — tu mi devi uccidere.
Io la fissai sbalordito.
— Sì — ripeté annuendo tristemente. — Devi proprio uccidermi, questa è l’ultima richiesta che ti faccio, ed è assolutamente indispensabile. Non devi preoccuparti, io sono immortale e mi ricomporrò dono l’attimo della morte per unirmi ancora a te, ma se amore e morte sono l’esatta equazione del sentimento che è poi quello che Freud e Jung ci insegnano circa la mente inconscia, allora tu devi dimostrare il tuo amore per mezzo dell’inflizione (infleczione?) della morte. E mi aspetto che tu lo faccia.
Poi si appoggiò indietro e chiuse gli occhi.
— Non ne voglio più parlare — disse. — O mi uccidi adesso, dimostrando così il tuo amore e rendendo possibile il rapporto tra di noi, oppure tutto diventa impossibile, e io me ne andrò lontano da te come se nulla fosse mai successo.
Come se nulla fosse mai successo! Penso che sia stato questo a farmi perdere la testa: un conto era uccidere Roberts, e l’avevo fatto con gioia per amor suo, ma sentirmi dire che non solo rischiavo di perderla, ma rischiavo anche la negazione assoluta di quello che era successo tra noi, era per me più insopportabile di qualsiasi dolore che avessi mai provato: tornare a quello che ero stato! Tornare alle privazioni e alle sofferenze dopo aver saputo cosa può essere l’amore! E così le saltai di colpo addosso, prendendo tra le mani la sua gola morbida e lasciando l’impronta dei pollici sul collo, e poi lei mi venne contro, con gli occhi che sbattevano come quelli di un insetto e cominciò a lottare. Non voleva morire facilmente. Dovevo ucciderla lasciando da parte ogni delicatezza.
E così feci. D’altra parte, non c’era altro da fare. Le strinsi il collo finché non sentii i cordoni diventare sabbia sotto le mie dita, sollevai un ginocchio e glielo piantai nell’inguine morbido e gelatinoso, e spinsi con tutto il mio peso finché lei non strillò. Strillò e gridò. Io afferrai la lama di rasoio, e la lama scintillava sotto l’unica, scura lampadina elettrica della mia stanza sotto cui lei si era distesa aspettandomi, e per dimostrarle il mio amore usai il rasoio su di lei come l’avevo usato su Roberts. Fu davvero un delitto di passione; qualsiasi giudice che si rispetti avrebbe detto che conteneva elementi sessuali. In effetti, io raggiunsi, mentre staccavo una parte del mio amore dall’altra (sto cercando una volta di più di purgare questo memoriale per renderlo accettabile), il primo e unico orgasmo di tutta la mia vita. Quel massiccio sternuto della psiche mi fece ridere, e continuai a ridere senza smettere di tagliare, finché lei giacque sotto di me sul letto smembrata in varie parti, con il sangue che scorreva tutto intorno in varie tonalità cupe e brillanti: vene e arterie, arterie e vene e poi le dissi: — Ecco, tutto fatto. Adesso puoi alzarti.
Perché, naturalmente, io mi aspettavo, come aveva promesso, che si ricomponesse.
Non fu così. Non fu così. Lei continuò a giacere là, e di colpo, in non più di trenta secondi e forse meno (sono davvero molto acuto), mi venne in mente che quella stupida baldracca mi aveva mentito, che non sarebbe tornata, che non era immortale, anzi quella stupida, povera baldracca era un’aspirante suicida, e mi aveva indotto a darle quella irrevocabile morte che lei aveva trovato affascinante (non dimenticate le sue feroci, pittoresche fantasie) per tutta la vita, e il pensiero di tutto questo, la consapevolezza mi rese del tutto pazzo, più pazzo di quanto vorrei ammettere.
— Non puoi farmi questo! — dissi. — Noi dovevamo vivere una vita perfetta e idilliaca insieme, dovevamo davvero stare l’uno con l’altra — e così via, confessione e rifiuto mescolati a un’esplosione di accuse a niente e a nessuno. Ma lei non si mosse, e io mi staccai lentamente dal letto, lasciandola lì, e lanciai la lama di rasoio sfavillante contro la parete. La lama cadde come una stella.
— Non puoi farmi questo! — urlai ancora, ma questa volta non fu tanto un grido di ripudio quanto di accettazione, perché sapevo anche troppo bene che lei poteva farmelo. A quel punto la mia rabbia svanì, sostituita da un rimorso così totale che non oso, né allora né adesso, esprimerlo.
— Sei morta per me! — fu tutto quello che dissi. — Sei morta per me — ripetei, poi lasciai in fretta la stanza, senza neppure preoccuparmi di raccogliere le mie povere cose. — Bene, cercherò di fare in modo che la tua morte non sia vana — dissi, e andai allo spaccio a prendere un rasoio nuovo, monolama naturalmente, in modo da poter diffondere per la città la pietà e il terrore, l’applicazione e il prodigio della mia vendetta. Ma allo spaccio il mio aspetto, così insolito, sollevò diverse domande a cui non potei rispondere in modo soddisfacente, e vennero chiamate lì altre autorità, e le mie credenziali del Dipartimento non furono sufficienti, e io cercai di spiegare loro che ero il Vero Vendicatore, ma vollero vedere la mia stanza, e quando la videro...
FINE
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«Who is Sylvia? What is she?», primo verso di una canzone (atto quarto, scena II) contenuta ne I due gentiluomini di Verona (1596), di William Shakespeare. (N.d.R.)