Prefazione
Il est plus facile d’élever un tempie
que d’y faire descendre l’objet du culte.
Samuel Beckett, L’innommable
Concepito come parte della Dialettica negativa, Il gergo dell’autenticità rimase un’opera a sé non solo perché la sua dimensione risultò sproporzionata al resto. Gli elementi di fisiognomica del linguaggio e di sociologia non si adattavano al piano del libro. L’opposizione contro la divisione intellettuale del lavoro esige che questa venga riflessa, non ignorata. E comunque il Gergo è un testo filosofico sia per quanto riguarda i suoi fini che per i suoi temi. Sino a quando la filosofia soddisfo il proprio concetto, era anche materiale. Ritirandosi nell’ideale del suo concetto puro, è venuta meno a se stessa. Questo è però quanto fu elaborato solo in quel libro allora incompleto, mentre il Gergo procede secondo quella cognizione, senza tuttavia fondarla già interamente. Perciò fu pubblicato prima, come una sorta di propedeutica.
L’autore, rispettando così la divisione del lavoro, l’ha certo sfidata al tempo stesso in modo tanto più duro. A chi gli rimproverasse di procedere filosoficamente, sociologicamente ed esteticamente senza distinguere le categorie come vuole la tradizione e senza neanche trattarle separatamente, l’autore dovrebbe rispondere che questa richiesta viene proiettata sugli oggetti dal bisogno di ordine della scienza classificatoria, che poi fa intendere che sarebbero gli oggetti stessi ad avanzarla. L’autore si sente invece tenuto ad abbandonarsi ad essi, piuttosto che schematizzare pedantemente, per rispetto di una norma discutibile addotta dall’esterno, ciò che si determina proprio per il fatto che i momenti, strappati l’uno all’altro dal piatto ideale di metodicità, sono l’uno nell’altro. D’altra parte in una tale unità tematica il nesso esistente tra i suoi lavori particolari potrebbe trasparire di più, per esempio quello tra i lavori filosofici e quelli critico-musicali, del tipo della Critica del musicante in Dissonanze. Le percezioni di natura estetica e le interpretazioni di carattere sociologico, che prendono entrambe spunto dalla difettosa forma linguistica, vengono dedotte dalla falsità del suo stesso contenuto, cioè dalla filosofia in essa implicita.
Desterà irritazione il fatto che i passi di Jaspers e i brani di Heidegger vengono trattati sullo stesso piano di un atteggiamento linguistico che presumibilmente i capiscuola respingerebbero indignati. Il testo del Gergo contiene invece, traendole da una quantità di casi davvero inesauribile, prove sufficienti a dimostrare che anche i capiscuola scrivono come quegli autori minori che essi disprezzano, per avere conferma della propria superiorità. I loro pensieri filosofici mettono in luce ciò di cui il gergo si nutre e di cui esso non parla apertamente per ricavarne una parte della sua forza di suggestione. Se negli ambiziosi progetti della filosofia tedesca della seconda metà degli anni venti si è sedimentata e articolata la tendenza dello spirito oggettivo d’allora che è rimasto immutato, ragion per cui il gergo parla ancor oggi, allora solo nella critica di quei progetti è determinabile oggettivamente la falsità che riecheggia nella mendacia della vulgata. La sua fisiognomica conduce a quel che perde i suoi veli nella filosofia di Heidegger.
Non è una novità che l’elevato venga impiegato come immagine di copertura dell’ignobile: affinché le vittime potenziali restino legate alle briglie. Ma l’ideologia dell’elevato non si dichiara più apertamente, senza che tuttavia la si sia abbandonata. Far vedere questo aiuta forse a evitare il sospetto generico e relativistico di fare ideologia, anch’esso finito pian piano nell’ideologia. L’ideologia tedesca contemporanea evita dottrine bene afferrabili come quella liberale o persino quella elitaria. Essa è passata nel linguaggio. Mutamenti sociali e antropologici ne furono la causa, senza che tuttavia il velo sia stato strappato. Che quel linguaggio di fatto sia ideologia, apparenza socialmente necessaria, si può scoprire immanentemente nella contraddizione tra il suo «come» e il suo «che cosa». Il gergo, nella sua impossibilità oggettiva, reagisce a quella crescente del linguaggio stesso. Il linguaggio o si consegna al mercato, alla chiacchiera, alla volgarità dominante, oppure occupa la sedia del giudice, riveste la toga e rafforza così il privilegio. Il gergo ne è la sintesi felice; realizzandola esso esplode.
Mostrare tutto ciò è già un modo d’intervento pratico. Sebbene il gergo sembri irresistibile nella Germania contemporanea, esso è nella stessa misura gracile e malaticcio; il fatto che sia divenuto l’ideologia di se stesso la fa saltare in aria, non appena lo si riconosca. Se il gergo in Germania smettesse di parlare, si sarebbe fatto un po’ di ciò per cui troppo presto, e a torto, si loda la scepsi, anch’essa cieca. Le persone interessate, che dispongono del gergo come di un mezzo di potere, oppure che devono il proprio prestigio pubblico al suo effetto sociopsicologico, non ne perderanno il vizio. Altri saranno imbarazzati; anche i gregari ligi all’autorità eviteranno il ridicolo, dopo aver percepito che l’autorità nella quale essi cercano un punto fermo è fatta d’argilla. Poiché nella Germania più recente il gergo è la forma attuale della falsità, nella sua negazione determinata potrebbe essere esperita una verità, che si oppone alla sua formulazione positiva.
Sezioni delle prime parti erano già apparse nel terzo fascicolo della «Neue Rundschau» nel 1963.
T.W.A.
Giugno 1967