MODELLO DUE.

Il soldato russo scendeva nervosamente per il fianco accidentato della collinetta. Il fucile imbracciato, la faccia come di pietra, si guardava intorno passandosi ogni tanto la lingua sulle labbra secche o due dita guantate dentro il colletto, per asciugarsi il sudore.

Eric si girò verso il caporale Leone. "Lo pigli tu o lo lasci a me?"

Regolò il mirino per rimettere la faccia del russo al centro della lente, tagliata dalla croce nera.

Leone non rispose subito. Il russo scendeva rapido, quasi di corsa.

"Non sparare. Aspetta" disse Leone. Si irrigidì. "Non credo che ci sia bisogno di noi."

Il russo affrettò ancora il passo, smuovendo cenere e macerie coi grossi stivali.

Raggiunse il fondo della valletta e si fermò a guardarsi in giro. Il cielo era coperto, percorso da nubi di polvere grigia. Qua e là spuntavano dal terreno tronchi smozzicati; il resto era una distesa deserta e appena ondulata, disseminata di oggetti semisepolti e di edifici in rovina che affioravano come teschi ingialliti.

Il russo guardò a destra, a sinistra, poi si girò di scatto. Era inquieto, sentiva che qualcosa non andava. Infine si decise e riprese ad avanzare, più adagio, ma senza cercare di nascondersi Ormai era a poche decine di metri dal bunker.

Eric accarezzava sempre più in fretta il calcio del fucile.

"Sta' calmo" disse Leone. "Non arriverà fin qui. Lo sistemeranno loro."

"Sei sicuro? Per me, l'hanno lasciato venire troppo sotto."

"Sta' tranquillo. Stanno tutti qui intorno al bunker. Ci deve ancora arrivare, alla parte brutta."

Il russo cercava di correre, ma affondava a ogni passo nella spessa coltre di cenere grigia, e non riusciva a tenere il fucile spianato. Si fermò un momento e alzò il binocolo che portava appeso al collo.

"Guarda proprio qui" disse Eric.

Il russo riprese la sua marcia goffa e squilibrata. Ora si distinguevano benissimo gli occhi, come due pietre azzurre, la bocca socchiusa e il mento irsuto. Su uno zigomo ossuto c'era un grosso cerotto con gli orli neri. La giubba era lacera e infangata. La mano sinistra non aveva guanto. Leone toccò Eric col gomito. "Eccone uno che arriva."

Sul terreno grigio era comparso un piccolo oggetto metallico a forma di sfera, che scendeva veloce la collina, dietro il russo. Era uno dei modelli più piccoli. Aveva già messo fuori gli artigli: due lame d'acciaio che roteavano vertiginosamente. Il russo lo sentì arrivare, si voltò di scatto e fece fuoco. La sfera si disintegrò in mille frammenti. Ma ne era già comparsa una seconda, che seguì lo stesso percorso della prima. Il russo sparò di nuovo. Una terza sfera gli si aggrappò a una gamba. Ticchettando e roteando si arrampicò, gli saltò sulla spalla. I due mulinelli delle lame scomparvero nella gola del soldato.

Eric lasciò andare il fucile. "Be', è fatta!" disse. "Quei maledetti così mi danno i brividi.

Certe volte penso che era meglio quando non li avevamo."

"Se non li inventavamo noi, ci pensavano i russi."

Leone, con le mani che tremavano, accese una sigaretta. "Cosa ci veniva a fare quel russo, da queste parti? E poi da solo. Nessuno che lo coprisse."

Il tenente Scott uscì dalla galleria che portava nel bunker. "Cos'è successo? S'è visto qualcosa sullo schermo."

"Un Ivan."

 

49

"Uno solo?"

Eric gli fece posto alla feritoia. Ora si vedevano molte sfere brulicare sul cadavere,opachi globi metallici affaccendati a macellare il russo in piccoli pezzi, che avrebbero poi portato via.

"Sono tanti, eh?" mormorò Scott.

"Arrivano come mosche."

Scott distolse gli occhi. "Non capisco cos è venuto a fare quel russo, fin qui. Lo sanno bene che qua da noi c'è pieno di artigli."

Un robot di dimensioni maggiori, un lungo tubo con oculari sporgenti, aveva raggiunto le sfere e ne dirigeva le operazioni. Ormai rimaneva ben poco del soldato. L'orda di artigli continuava con metodo a portar via i resti.

"Signor tenente" disse Leone "se permette, andrei a dare un'occhiata."

"Per fare?"

"Forse quello portava qualcosa, chi lo sa?"

Dopo averci pensato su, Scott alzo le spalle. "D'accordo, ma stai attento."

"Ho la piastrina." Leone si toccò la fascetta di metallo che gli cingeva il polso. "Non c'è pericolo."

Prese il fucile e si avviò cautamente verso l'uscita del bunker passando fra i blocchi di cemento rinforzati da sbarre d'acciaio piegate e contorte.

Fuori, l'aria era fredda. Leone prese a camminare nel soffice tappeto di cenere, verso i resti del soldato nemico. Una folata di vento lo investì.

Gli artigli si ritraevano al suo passaggio e rimanevano immobili. Chissà cos'avrebbe dato il russo per possedere una piastrina come quella...

Emettendo fortissime radiazioni, neutralizzava gli artigli e li metteva fuori uso. Perfino il grosso robot dagli occhi sporgenti si ritrasse rispettosamente all'avvicinarsi di Leone.

L'uomo si chinò sui resti del cadavere. La mano guantata era chiusa a pugno, e dentro c'era qualcosa. Leone riuscì a dischiudere le dita e trovò un tubetto di alluminio, sigillato e lucido.

Se lo mise in tasca e tornò verso il bunker. Alle sue spalle gli artigli tornarono in vita, rimettendosi subito al lavoro. Ogni sfera metallica portava la sua piccola parte di carico.

Leone affrettò il passo, rabbrividendo.

Quando mostrò il tubetto a Scott, questi chiese: "L'hai trovato addosso al morto?".

"Sì, l'aveva in mano" rispose Leone, svitando il coperchio. "Guardi lei, signor tenente."

Scott prese il tubetto e guardò dentro; poi lo capovolse, e battendolo contro la palma ne fece uscire un foglietto strettamente arrotolato.

"Che cos'è, tenente?" disse Eric.

Scott si era avvicinato alla luce, dopo avere svolto il piccolo rotolo.

Dal tunnel, nel frattempo, erano arrivati altri ufficiali, tra cui il maggiore Hendricks.

"Maggiore" disse Scott "guardi qui."

Hendricks lesse il foglietto. "L'ha portato quel russo avvistato poco fa?"

"Sì. Era una staffetta."

"Dov'è?"

"L'hanno preso gli artigli."

Il maggiore Hendricks rispose con un borbottio incomprensibile.

"Guardate" disse poi, passando il foglietto in giro. "Credo sia proprio quello che aspettavamo."

"Allora vogliono discutere la resa..." commentò Scott. "Accettiamo?"

"Non tocca a noi decidere" disse Hendricks, mettendosi a sedere.

"Dov'è l'ufficiale addetto alle comunicazioni? Voglio parlare con la Base Lunare."

 

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L'ufficiale sistemò con cautela l'antenna esterna, scrutando il cielo per vedere se qualche astronave russa fosse in vista.

"E' strano" disse Scott a Hendricks "che i russi abbiano cambiato idea così all'improvviso.

Gli artigli sono in funzione già da un anno e solo adesso, tutt'a un tratto, quelli decidono di iniziare le trattative."

"Forse gli artigli sono riusciti a penetrare nei loro bunker..."

"La settimana scorsa, uno degli artigli più grandi, quelli che hanno i supporti per camminare, è sceso in un bunker russo e ne ha sbarrato l'ingresso" disse Eric.

"Come fai a saperlo?"

"Me l'ha detto uno. Il robot e tornato con... con dei pezzetti grossi così."

"Pronta la Base Lunare, signore" disse l'ufficiale addetto alle comunicazioni.

Sullo schermo apparve il viso del monitore lunare la cui divisa impeccabile contrastava con quelle lacere degli uomini del bunker. Era perfino sbarbato.

"Base Lunare" disse.

"Qui comando avanzato L-Wistle. Mi faccia parlare col generale Thompson."

La figura del monitore scomparve per lasciare il posto ai lineamenti gravi del generale Thompson. "Che c'è, maggiore?"

"I nostri artigli hanno preso una staffetta lussa che portava un messaggio. Non so se sia il caso di accettare la proposta di quella gente... In passato hanno già teso tranelli del genere."

"Cosa dice il messaggio?"

"I russi vogliono che mandiamo un ufficiale superiore, da solo, a parlare con loro. Non hanno specificato l'argomento del colloquio. Dicono che motivi urgenti rendono consigliabile un abboccamento con un rappresentante delle N.U."

Mostrò il messaggio perché il generale potesse leggerlo sullo schermo, poi chiese: "Cosa dobbiamo fare?".

"Mandi un uomo."

"Ma non sarà un trucco?"

"Può darsi, ma la posizione del comando che hanno dato è esatta. E comunque vale la pena di provare."

"Manderò un ufficiale, e al suo ritorno le comunicherò i risultati."

"Va bene, maggiore" disse Thompson, e interruppe la comunicazione.

"Vado io" esclamò Leone, mentre Hendricks ripiegava il foglio.

"Vogliono un ufficiale superiore" disse Hendricks. "E poi sono mesi che non esco, e forse un po' d'aria mi farà bene."

"Non crede che sia pericoloso?"

L'altro guardò fuori. Ormai non restava più nulla del russo: si vedeva soltanto uno degli artigli che, dopo essersi ripiegato su se stesso, affondava nella cenere come un granchio nella sabbia.

"Mi preoccupa una cosa sola" disse il maggiore. "Ma finché ho la piastrina so di essere al sicuro. Però quegli orribili ordigni hanno un non so che... Insomma, li detesto. Vorrei che non li avessimo mai inventati. Sono terribilmente spietati..."

"L'avrebbero fatto i russi."

"Comunque" concluse Hendricks "sono indispensabili per vincere la guerra. E adesso è meglio che parta, se voglio arrivare prima di notte."

 

Con un profondo sospiro, uscì nella pianura grigia e accidentata. Dopo pochi passi si fermò, accese una sigaretta e si guardò intorno. Per miglia e miglia, tutto era desolazione e morte; cenere e rovine di edifici diroccati e anneriti. Si vedeva anche qualche albero, di 51

cui restava solo il tronco, e, sopra, l'eterna nuvolaglia di cenere grigia che impediva la vista del sole.

Il maggiore Hendricks proseguì. A un tratto sentì qualcosa scattare Alla sua destra: un artiglio che stava facendo la posta a un topo. In mancanza d'altro, i congegni si accontentavano anche di roditori.

Quando ebbe raggiunto la sommità della collina, Hendricks guardò col binocolo: le linee russe si trovavano a poche miglia di distanza, e si scorgeva l'avamposto da cui certamente era venuta la staffetta.

Un robot piatto, con lunghe braccia ondulate, gli passò accanto e scomparve in un mucchio di macerie. Hendricks lo seguì con lo sguardo: non ne aveva ancora visti, di quel tipo. Chissà quanti altri di cui ignorava l'esistenza venivano continuamente sfornati dalle enormi fabbriche sotterranee...

Il maggiore gettò il mozzicone della sigaretta e si rimise in marcia, ripensando alle varie fasi del conflitto che aveva reso indispensabile l'invenzione di armi tanto crudeli.

Inizialmente, l'Unione Sovietica aveva riportato grandi successi, e parte dell'America del Nord era sparita dalla faccia della Terra. Naturalmente si erano avute rappresaglie,ma,altrettanto naturalmente, non erano servite a salvare Washington. Già durante il primo anno di guerra il governo americano si era trasferito sulla Base Lunare.

Del resto, c'era ben poco da fare su Terra: l'Europa non esisteva più, ridotta a un cumulo di rovine su cui crescevano ciuffi di canne scure, e tutta l'America del Nord era diventata inabitabile. Solo pochi milioni di persone avevano trovato scampo nel Canada e nell'America del Sud.

Durante il secondo anno di guerra erano entrate in scena massicce formazioni di paracadutisti sovietici forniti di attrezzature antiradiazioni. Così anche gli ultimi resti dell'industria americana si erano trasferiti su Luna, e su Terra non erano rimasti che reparti isolati del distrutto esercito americano. Nessuno sapeva con esattezza dove si trovassero quei superstiti, che si accampavano dove potevano, spostandosi solo di notte, nascondendosi fra le macerie, nelle cantine, nelle fogne, in compagnia dei topi e dei serpenti. Pareva che l'Unione Sovietica avesse vinto: a eccezione di alcune salve sparate da Luna, gli americani mancavano d'armi con cui combattere i russi, che così andavano e venivano a loro piacimento, senza che nessuno potesse opporsi.

Ma quando erano apparsi i primi artigli, la situazione si era capovolta.

Dapprima, gli ordigni, goffi e lenti, venivano distrutti dai russi non appena sbucavano dalle loro gallerie sotterranee; ma poi si erano perfezionati, diventando più veloci ed efficienti. Su tutta Terra c'erano adesso fabbriche adibite esclusivamente alla loro produzione; fabbriche sotterranee, naturalmente, nascoste sotto le linee sovietiche.

Le fabbriche avevano sfornato nuovi tipi di artigli, alcuni volanti, dotati di una sensibilità particolare. Erano stati progettati dai tecnici della Base Lunare, che cercavano di renderli sempre più complessi e flessibili. Gli ordigni avevano cominciato a procurare molti fastidi ai russi: dapprima se ne erano rimasti nascosti nella cenere e nelle macerie, in attesa di balzare addosso al primo soldato che passava; poi avevano preso a invadere i bunker del nemico, penetrando attraverso le aperture di aerazione. Bastava una sola di quelle piccole sfere armate di roteanti lame d'acciaio per seminare morte e distruzione in un bunker. Con un'arma simile in azione, il conflitto non sarebbe durato ancora a lungo... Anzi, forse era già finito, e per questo i russi volevano parlamentare. Ormai erano passati sei anni, sei anni di una guerra micidiale che aveva fruttato solo distruzione e morte per tutti. Cosa avevano guadagnato i russi?

Rappresaglie nucleari... rappresaglie batteriologiche... e adesso i robot, gli artigli... Gli artigli erano "vivi". Non erano affatto macchine come le altre, per quanto lo si volesse 52

negare. Ruotavano, strisciavano balzavano dai nascondigli di cenere per assalire gli uomini, cui squarciavano la gola. Erano stati creati per questo: era il loro compito. Difatti lo eseguivano alla perfezione, specie negli ultimi tempi, da quando erano stati creati i nuovi modelli, completamente autonomi e in grado di riparare da sé i propri guasti.

Solo le piastrine a radiazione potevano tenere lontani quei flagelli, e proteggere i soldati delle Nazioni Unite. Ma se qualcuno avesse smarrito la piastrina sarebbe stato perduto; perciò gli uomini si tenevano alla larga dagli artigli e lasciavano a loro il compito di continuare la guerra. A quanto pareva, se l'erano cavata molto bene.

Gli ultimi modelli erano talmente perfezionati che non c'era da stupirsi se, come pareva, ormai la guerra era vinta...

Il maggiore Hendricks accese una seconda sigaretta. La vista della regione desolata lo deprimeva. In mezzo a quel mare di cenere, a quella foresta di macerie, gli pareva di essere l'ultimo uomo rimasto in vita su Terra. Alla sua destra si ergevano i resti di una città: pochi muri smozzicati, e cumuli di detriti. Hendricks gettò il fiammifero spento, e affrettò il passo... Ma subito si fermò, impugnando il fucile. Gli era parso...

Da un mucchio di sassi sbucò una figura che gli si fece incontro esitante.

"Alt!" intimò Hendricks, allarmato.

Il ragazzo si fermò, e il maggiore abbassò l'arma. L'altro lo fissava in silenzio. Era piccolo, e dimostrava circa otto anni ma forse ne aveva di più, perché i pochi bambini superstiti erano quasi tutti rachitici. Indossava un vecchio giubbetto azzurro, macchiato e stinto, e un paio di calzoni corti. Aveva i capelli lunghi, sporchi, che gli coprivano la fronte e le orecchie, e stringeva al petto qualcosa.

"Che cos'hai lì?" domandò brusco l'ufficiale.

Il ragazzo mostrò l'oggetto: era un orso di pezza.

"Tienilo pure" fece Hendricks, con un sospiro di sollievo.

Il ragazzo tornò a stringersi l'orso al petto.

"Dove abiti?"

"Là."

"Fra quelle rovine?"

"Sì."

"Sottoterra?"

"Sì."

"In quanti siete?"

"Quanti? Cosa?"

"In quante persone siete?"

Il ragazzo non rispose.

"Non vivi mica solo, no?"

Il ragazzo fece segno di sì con la testa.

"Come fai a tirare avanti?"

"C'è roba da mangiare."

"Che genere di roba?"

"Diverse cose."

Hendricks lo esaminò a lungo.

"Quanti anni hai?"

"Tredici."

Pareva impossibile, ma probabilmente era vero: il bambino, o ragazzo che fosse, aveva gambe e braccia sottilissime, e la pelle, quando Hendricks gli toccò un braccio, era secca e screpolata. Gli occhi, grandi e scuri, mancavano di qualsiasi espressione.

 

53

"Sei cieco?" gli domandò Hendricks.

"No, riesco a vedere qualche cosa."

"Come fai a evitare gli artigli?"

"Gli artigli?"

"Sì, quelle cose rotonde di metallo."

"Non capisco."

Forse in quei paraggi non ce n'erano. Molte zone non ne erano infestate: in genere si raccoglievano intorno ai bunker abitati, essendo costruiti in modo da venire attratti dal calore degli esseri viventi.

"Bene, e adesso dove vai?" disse Hendricks. "Torni... a casa?"

"Non posso venire con lei?"

"Con me? Io devo far molta strada... Parecchi chilometri, e ho fretta." Diede un occhiata all'orologio. "Devo arrivare a destinazione prima di sera."

"Voglio venire anch'io."

Hendricks frugò nel tascapane. "Prendi" disse, porgendogli dei viveri in scatola. "Prendi e vattene. No?"

Il ragazzo non rispose.

"Fra un paio di giorni ripasserò di qui, e se ti troverò ti porterò con me. D'accordo?"

Il ragazzo non aprì bocca.

"Allora?"

"Voglio venire con lei."

"E' lontano..."

"Posso camminare."

Hendricks non sapeva cosa decidere: due persone sole costituivano un ottimo bersaglio, e il ragazzo non gli avrebbe consentito di marciare veloce. Ma se fosse tornato seguendo un'altra strada, e se il piccolo era davvero solo...

"E va bene! Vieni pure."

Il ragazzo gli si mise a fianco. Hendricks riprese la marcia. "Come ti chiami?" domandò dopo un poco.

"David Edward Derring."

"E i tuoi genitori?"

"Sono morti."

"Come?"

"Nell'esplosione."

"Quando?"

"Sei anni fa."

"E tu sei sempre stato solo, da allora?"

"No, c'erano altre persone. Ma poi se ne sono andate anche loro."

Hendricks lo guardò. Aveva un'espressione indifferente, lontana. Ma ormai quasi tutti i ragazzi erano così: calmi, stoici, preda di uno strano fatalismo. Niente li stupiva; accettavano senza discutere gli avvenimenti.

 

"Cammino troppo in fretta?" domandò Hendricks.

"No."

"Come hai fatto a vedermi?"

"Aspettavo."

"Aspettavi?" ripeté Hendricks perplesso. "Chi?"

"Di prendere qualche cosa."

"E cioè?"

 

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"Roba da mangiare."

"Ah!" Il pensiero che un ragazzo di tredici anni fosse costretto a vivere di topi, talpe, vecchio scatolame guasto... Un ragazzo solo tra le rovine di una città morta, circondata da zone intensamente radioattive, con il pericolo degli artigli e degli aerei nemici sempre pronti a sganciare bombe...

"Dove andiamo?" domandò David.

"Nelle linee russe."

"Russe?"

"Dai nemici. Quelli che hanno cominciato la guerra..." Il bambino annuì, ma il suo volto rimase inespressivo. "Io sono americano" spiegò Hendricks.

Silenzio. Continuarono a camminare a quel modo, il maggiore avanti e David che si trascinava appresso, stringendo al petto l'orsacchiotto. Verso le quattro del pomeriggio si fermarono per mangiare. Hendricks accese il fuoco in una cavità, fra alcuni massi di cemento, e lo alimentò con canne e frammenti di legna raccolti qua e là. Le linee russe non erano più molto lontane, e davanti all'ufficiale e al ragazzo si stendeva una valle che un tempo era ricca di alberi da frutto e di viti. Ma di tutte quelle ricchezze restavano solo pochi tronchi anneriti e le montagne che chiudevano in lontananza l'orizzonte. Il vento sollevava mulinelli di cenere che andava poi a posarsi sulle canne, sulle macerie degli edifici, sui resti di una strada.

Hendricks preparò il caffè e scaldò un po' di carne in scatola.

"Tieni" disse, porgendo a David pane e carne. Il ragazzo se ne stava inginocchiato accanto al fuoco, ma quando vide il cibo lo rifiutò scuotendo la testa.

"No."

"Non ne vuoi?"

Hendricks non insistette. Probabilmente David non era più abituato a cibo di quel genere. Era strano, quel ragazzino, ma c'erano tante cose strane, al mondo. La vita era cambiata, e non sarebbe tornata mai più quella di prima.

Il maggiore mangiò, bevve il caffè, e, quando ebbe terminato, calpestò il fuoco per spegnerlo.

David si alzò a sua volta, fissando l'uomo con i suoi occhi tondi.

"Andiamo" gli disse Hendricks.

"Bene."

Si rimisero in cammino. L'ufficiale teneva pronto il fucile, perché ormai erano vicini al nemico. Poteva darsi che i russi fossero sinceri, ma era meglio essere pronti. Si guardò intorno e vide come al solito soltanto cenere e macerie, tuttavia sapeva benissimo che a breve distanza c'era un bunker. L'avamposto era sepolto, e probabilmente solo un periscopio, alcune bocche da fuoco e un'antenna

affioravano dal terreno.

"Manca molto?" domandò David.

"No. Sei stanco?"

"No."

"E allora perché me lo chiedi?"

David non rispose. Continuò a camminare in silenzio. Aveva le gambe grigie di cenere e il viso attraversato da strisce grigiastre. Il grigio, del resto sembrava il colore naturale della sua pelle; e non c'era da meravigliarsi, dato che, come tutti gli altri ragazzi, doveva essere cresciuto nelle cantine e nelle fogne.

Hendricks rallentò il passo, per esaminare con il binocolo il deserto che gli stava avanti.

Dov'era il nemico? Forse era già in agguato...

 

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Si sentì correre un brivido lungo la schiena: forse aveva già i fucili puntati, e si preparava a sparare, come avevano fatto gli americani con la staffetta russa...

Si asciugò il sudore che gli bagnava la faccia, poi si fece forza e riprese a camminare.

Davanti a lui si allungava un costone su cui spuntavano i resti di un filare di alberi coperti di vite selvatica. I russi si erano nascosti lì? Sarebbe stato un magnifico osservatorio, quello, perché dominava tutta la pianura sottostante. Hendricks si arrestò.

"Siamo arrivati?" chiese David.

"Quasi."

"Perché si è fermato?"

"Non voglio correre rischi."

Poi il maggiore riprese a camminare, adagio, con cautela. Il costone era adesso alla sua destra, quasi a strapiombo su di lui. Il senso di pericolo aumentava. Se lassù ci fosse stato un russo, lui non avrebbe avuto possibilità di scampo. Agitò un braccio: qualcuno avrebbe risposto a quel segnale, se non si trattava di un tranello...

"Stammi vicino" disse a David.

"Vicino?"

"Sì, dobbiamo essere prudenti. Vieni."

Ma David si fermò a pochi passi da lui, con l'orso sempre stretto al petto.

"Fa' come vuoi, allora" disse Hendricks, spazientito. In quel momento apparve sul costone un uomo avvolto in un mantello grigioverde: un russo. Dietro al primo ne spuntò un secondo. Ambedue imbracciarono il fucile. Subito una terza figura, più piccola e pure vestita di grigioverde, li raggiunse. Una donna.

Con voce tremante, Hendricks gridò: "Fermatevi! Sono...". Ma i due uomini non lo lasciarono neppure finire. Spararono. Dietro di lui si udì un lieve "pop", e un'ondata di calore lo lambì, facendolo cadere a terra. Hendricks sentì gli occhi, il naso, e la bocca pieni di cenere; poi, tossendo, si rialzò in ginocchio. Allora si trattava proprio di un tranello. Era finita. I due soldati e la donna stavano scendendo il pendio, diretti verso di lui, nella cenere alta. Hendricks era stordito, gli doleva la testa e riuscì a fatica a imbracciare il fucile. L'aria era di un odore disgustoso, come di acido bruciato.

"Non spari" disse uno dei russi, in un inglese storpiato.

Poi i tre raggiunsero l'americano e lo circondarono. "Abbassi il fucile, Yank."

Hendricks era stupito. Tutto si era svolto con rapidità tale da stordirlo completamente. Il nemico l'aveva catturato, e forse aveva anche ucciso il ragazzo...Si volse, e i suoi timori furono confermati: David era morto. I suoi resti erano sparsi sul terreno.

I russi esaminarono il maggiore con curiosità. Hendricks si mise a sedere, asciugandosi il sangue che gli colava dal naso, e sputando cenere. Scosse la testa, per schiarirsi le idee, e mormorò: "Perché? Perché l'avete ucciso?".

"Perché?" ripeté uno dei soldati, aiutandolo a rimettersi in piedi.

"Guardi."

Ma Hendricks chiuse gli occhi.

"Guardi!" ripete ancora una volta il soldato. "Guardi e faccia presto. Non c'è tempo da perdere."

Hendricks guardò e rimase a bocca aperta.

"Ha visto? Capisce, adesso?"

Dal corpo di David uscivano rotelle di metallo, cavi e relè. Uno dei russi diede un calcio a quei resti, e una lastra di plastica si staccò, mentre altri congegni rotolavano fuori. La parte anteriore della testa era saltata via, mettendo a nudo i fili sottilissimi, le minuscole valvole,gli interruttori che formavano il cervello artificiale.

 

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"E' un robot" spiegò uno dei soldati. "Abbiamo visto che la pedinava."

"Mi pedinava?"

"Sì, fanno sempre così. Seguono gli uomini, per riuscire a penetrare nei bunker."

"Ma..." tentò di protestare Hendricks, ancora sbalordito.

"Venga." Lo sorressero lungo il pendio, che la cenere rendeva scivoloso. La donna raggiunse per prima la sommità e si volse a guardarli.

"Dov'è l'avamposto?" domandò Hendricks. "Sono venuto per negoziare con i sovietici..."

"L'avamposto non c'è più. Se ne sono impadroniti "loro". Adesso le spiegheremo."

Intanto erano giunti in cima al pendio. "Noi siamo gli unici superstiti" dissero i soldati. "Gli altri erano tutti nel bunker."

"Da questa parte... Giù di qui." La donna sollevò una lastra di metallo incastrata nel terreno. "Entrate."

Hendricks si infilò nella botola e i tre lo seguirono giù per una scala a pioli. Quando furono entrati tutti, la donna rimise a posto la lastra, badando che fosse ben assicurata.

"Meno male che l'abbiamo vista" disse uno dei soldati. "Quasi ce la faceva..."

"Mi dia una sigaretta" lo interruppe la donna, rivolta a Hendricks. "Sono settimane che non fumo un'americana."

Il maggiore le porse il pacchetto, e lei, dopo avere estratto la sigaretta, lo passò ai compagni. In un angolo del locale basso e angusto brillava una lampada; al di là di una tenda tutta strappata, si intravedeva una seconda stanza, con una branda e alcuni abiti appesi al muro. I quattro presero posto intorno a un tavolo su cui stava una pila di piatti sporchi.

"Noi eravamo qui quando c'è stata la carneficina" cominciò a spiegare uno dei soldati, togliendosi l'elmetto e lisciandosi i capelli biondi. "Sono il caporale Rudi Maxer,polacco, arruolato da due anni nell'esercito sovietico." Porse la mano a Hendricks, che, dopo un attimo di esitazione, la strinse.

"Maggiore Joseph Hendricks" si presentò a sua volta.

"Klaus Epstein" disse il secondo soldato, che era piccolo e scuro, con folti capelli lunghi.

"Sono austriaco. Non ricordo nemmeno più quando sono stato arruolato. Noi tre, e cioè io, Rudi e Tasso" aggiunse indicando la donna "ci trovavamo qui, e per questo ci siamo salvati. Tutti i nostri compagni erano nel bunker."

"E loro sono entrati?"

Epstein accese una sigaretta. "Prima uno solo, uguale a quello che lei ha seguito. E'

stato lui a portare dentro gli altri."

"Uguale a quello che mi ha seguito? Perché? Ce ne sono anche di tipo diverso?"

"Sì. David, il ragazzino con l'orso di pezza, è il Modello Tre, il più efficace."

"E gli altri come sono?"

Epstein si frugò nell'interno della giubba. "Ecco" disse, posando sul tavolo un pacco di fotografie legate con uno spago. "Guardi."

Hendricks sciolse lo spago.

"Ora capirà" disse Rudi Maxer "perché i russi volevano parlare con voi. Ci siamo accorti di quello che stava succedendo solo una settimana fa. I vostri artigli avevano creato, di loro iniziativa, nelle fabbriche sotterranee, dietro le nostre linee, altri tipi perfezionatissimi di robot. Dando agli artigli la possibilità di riprodursi e di riparare da sé i propri guasti, li avete resi sempre più autonomi. Siete voi i responsabili di quanto è successo poi..."

Hendricks esaminò le foto: erano state scattate in fretta, e apparivano sfocate e confuse. Nelle prime si vedeva David: David che camminava da solo, lungo una strada. Poi l'americano vide altri due, tre ragazzi: erano tutti identici a David, con l'orso di pezza e l'aria patetica.

 

57

"Guardi le altre" disse Tasso.

Le altre foto mostravano un soldato alto e robusto seduto sul ciglio di una strada con un braccio al collo, un moncherino di gamba proteso in avanti e una rudimentale stampella accanto a sé. Di questi falsi mutilati,su una delle foto, ce n'erano cinque: perfettamente identici.

"Questo è il Modello Uno: il Soldato Ferito" spiegò Klaus, raccogliendo le fotografie. "Lei sa che gli artigli sono stati creati per assalire gli esseri umani. Ogni nuovo modello è migliore dei precedenti, e se prima i robot assalivano solo chi si avventurava allo scoperto, poi hanno imparato a infiltrarsi anche nei nostri ricoveri.

Ma finché erano solo "macchine", sfere di metallo munite di lame e antenne, si potevano identificare con facilità. Bastava vederli per capire che erano stati creati per uccidere..."

"Il Modello Uno ha sterminato tutta la nostra ala orientale" spiegò Rudi. "Arrivava un soldato ferito, e i nostri lo lasciavano entrare. Appena entrato, lui si metteva all'opera...

Non sapevano, e facevano attenzione solo alle sfere. Anche quando abbiamo intuito la verità..."

"Pensavamo che fosse quello l'unico tipo di robot perfezionato" interruppe Klaus Epstein.

"Nessuno ha pensato che ce ne fossero altri."

"Nel vostro settore da chi siete stati distrutti?"

"Dal Modello Tre, il David con l'Orsacchiotto. Ha funzionato ancora meglio del Soldato Ferito" disse Klaus, con un sorriso amaro. "I soldati si fidano sempre dei ragazzi. Li hanno fatti entrare nei bunker per nutrirli e... E' stato un massacro."

Senza volerlo, Hendricks toccò la propria piastrina. "Credete che possano..."

"Le vostre piastrine a radiazione non hanno alcun effetto su loro. Per loro, russi, polacchi, tedeschi, americani, sono tutti uguali. L'idea fondamentale è la stessa: snidare e uccidere creature viventi ovunque possano trovarle."

"Sono attratti dal calore" spiegò Klaus. "Non è questo il principio su cui vi siete basati nella costruzione dei primi esemplari? Ma quelli venivano respinti dalle radiazioni delle vostre piastrine. I nuovi, invece, no."

"Qual è l'altro Modello?" domandò Hendricks. "C'è il David, il Soldato Ferito... e poi?"

"Non lo sappiamo." Klaus indicò il muro su cui erano inchiodate due targhette metalliche, contorte e scheggiate.

"La prima" disse Rudi "apparteneva a un Soldato Ferito, che siamo riusciti a distruggere mentre tentava di entrare qui."

Sulla piastra era inciso 3-5. Sull'altra invece si leggeva: 1-5. Klaus spiegò che l'avevano trovata su un David. "Ora capisce" disse "perché dev'esserci un Modello 2. Forse non è più in uso, ma deve esistere, se ci sono il Modello 1 e il Modello 3."

"Lei è stato fortunato" osservò Rudi. "Il David l'ha seguita senza neanche toccarla. Forse pensava che l'avrebbe condotto in un bunker.”

Dopo un lungo silenzio, Tasso disse: "Mi dia un'altra sigaretta. Mi ero quasi dimenticata quanto siano buone!".

Era notte. Il cielo si era fatto cupo, e la perenne nube di cenere impediva di vedere le stelle. Klaus sollevò lentamente la lastra perché Hendricks potesse sbirciare fuori.

"Laggiù" disse Rudi, indicando un punto nel buio "c'era il bunker in cui vivevamo. E' solo un caso che io e Klaus non ci trovassimo là, stamattina, quando sono arrivati i robot..."

"Proprio stamattina" disse Klaus "il nostro governo aveva preso la decisione di trattare con voi. Appena ce l'ha trasmessa vi abbiamo spedito la staffetta. L'abbiamo vista dirigersi verso le vostre linee, e l'abbiamo protetta finché ci è stato possibile...”

 

58

"L'uomo spedito come staffetta si chiama Alex Radrivsky. Lo conoscevamo tutti e due. E'

partito verso le sei, appena spuntato il sole. Verso mezzogiorno io e Klaus ci siamo concessi un'ora di libertà. Siamo sgusciati di nascosto dal bunker. Nessuno ci ha visti. Così siamo venuti qui. Una volta, in questa zona c'era una borgata. Questa cantina apparteneva a una grossa fattoria. Sapevamo che Tasso viveva qui. Altri venivano a trovarla. Oggi toccava a noi."

"Stavamo salutandola per tornare al rifugio" proseguì Klaus "quando abbiamo visto che il bunker era circondato da una folla di ragazzini che stringevano al petto un orsacchiotto. Ci siamo subito resi conto di quello che stava accadendo, perché il Commissario ci aveva già mostrato le foto del Soldato Ferito, e di quei ragazzini con l'orsacchiotto ce n'erano a centinaia, tutti uguali... Parevano formiche...Siamo riusciti a distruggerne un paio e anche a fotografarne qualcun altro, prima di richiudere la botola..."

Il maggiore Hendricks continuava a guardare nel buio.

"Si può sollevare completamente la lastra?" domandò.

"Sì. Altrimenti, come potrebbe far funzionare il suo trasmettitore?"

Hendricks sollevò lentamente il piccolo apparecchio che portava appeso alla cintura e lo avvicinò all'orecchio. Il metallo era freddo e umido. Soffiò nel microfono e ne estrasse la breve antenna. Un lieve ronzio gli risuonò nell'orecchio. "Credo che abbiate ragione" disse.

"La trascineremo dentro, se succede qualcosa" promise Klaus.

"Va bene."

Hendricks aspettò un momento. Appoggiò il trasmettitore alla spalla.

"Interessante, eh?"

"Cosa?"

"Quei nuovi tipi di robot. E' probabile che ormai siano penetrati anche nelle nostre linee.

Chissà forse stiamo assistendo alla nascita di una nuova razza che sostituirà l'uomo..."

"Dopo l'uomo non ci saranno altre razze viventi" disse Rudi.

"No? E perché?"

"Questi sono assassini meccanici. Li avete creati per distruggere, e non sanno fare altro."

"Così sembra adesso. Ma in seguito? Quando la guerra sarà finita e gli uomini saranno tutti morti, i robot cominceranno forse a rivelare le loro vere capacità."

"Ne parla come se fossero esseri viventi."

"Non lo sono?"

"Sono macchine" insisté Rudi. "Sembrano persone, ma sono macchine."

"Metta in funzione il trasmettitore, maggiore" sollecitò Klaus. "Non possiamo restare troppo allo scoperto."

Hendricks chiamò il comando, e rimase in attesa della risposta. Ma non udì nulla.

Controllò accuratamente l'apparecchio: funzionava benissimo.

"Scott" gridò nel microfono. "Scott, mi sente?"

Silenzio. Allungò al massimo l'antenna, e ripeté la chiamata.

Nessuna risposta, solo un lieve crepitio di energia statica.

"Non sento nulla. Forse loro mi stanno ascoltando, ma non possono rispondere."

"Dica che si tratta di un caso d'emergenza."

"Potrebbero pensare che mi avete costretto voi a chiamarli."

Tornò a trasmettere, esponendo in poche parole la situazione, ma nemmeno questa volta ottenne una risposta.

"Ci sono zone ad alta radiazione che intralciano le trasmissioni" disse Klaus dopo un po'.

"Può darsi che si tratti di questo."

 

59

Hendricks chiuse il trasmettitore: "Può darsi... A meno che mi sentano ma non vogliano rispondere. Probabilmente neanch'io avrei risposto, se una staffetta mi avesse chiamato dalle linee sovietiche per raccontarmi una storia simile. Avrei creduto a un tranello..."

"Può anche darsi che sia già troppo tardi."

Hendricks assentì con un cenno.

"Meglio scendere e chiuderci dentro" osservò Rudi nervosamente. "Non dobbiamo correre rischi inutili."

Ritornarono in cantina, dove l'aria stagnava pesante.

"Credete proprio che siano tanto svelti?" domandò Hendricks. "Ho lasciato il bunker a mezzogiorno, solo dieci ore fa. E' possibile che... che abbiano già finito?"

"Sa bene come funzionano gli artigli a sfera. Sono velocissimi, con quelle lame simili a rasoi..."

"Già" fece Hendricks, mettendosi a passeggiare su e giù inquieto.

"Cos'è?" domandò Rudi.

"La Base Lunare. Se fossero arrivati là... Dio mio!"

"La Base...?"

"No. E' impossibile!" esclamò Hendricks. "Non ci credo."

"Cos'è questa Base Lunare? Ne abbiamo sentito parlare, ma solo vagamente. Com'è la situazione attuale?"

"I rifornimenti ci arrivano dalla Luna, dove si è rifugiato il nostro governo, insieme con la popolazione superstite. Solo così abbiamo potuto tirare avanti. Se i robot trovassero il modo di arrivarci..."

"Basterebbe che ci riuscisse uno solo. Poi farebbe salire gli altri, a centinaia... Avrebbe dovuto vederli. Sono identici, come le formiche."

"Un socialismo perfetto" disse Tasso."L'ideale della perfetta uguaglianza..."

"Basta" l'interruppe Klaus, di malumore.

Hendricks si era rimesso a passeggiare su e giù per la stanzetta. Gli altri stettero a guardarlo per un po', poi Tasso si alzò e sollevò la tenda, passando nell'altro locale. "Vado a fare un sonnellino" disse.

La tenda cadde alle sue spalle. Rudi e Klaus erano sempre seduti, e fissavano Hendricks.

"Qui siamo al sicuro, ma non possiamo rimanerci per sempre. Non abbiamo viveri sufficienti."

"Se uscissimo..."

"Ci prenderebbero subito. Non potremmo andare molto lontano. Quanto dista il suo bunker, maggiore?"

"E se "loro" l'avessero già invaso?" obiettò Klaus.

Rudi alzò le spalle. "In questo caso, torneremo qui."

Hendricks si fermò. "Credete davvero che siano già penetrati nelle linee americane?"

"Non saprei, ma è probabile. Sono molto ben organizzati, e sanno alla perfezione quello che devono fare. Una volta scatenati, sono come uno sciame di cavallette. Devono agire senza indugi, rapidamente. Il loro successo dipende dalla rapidità, oltre che dalla segretezza. Contano sulla sorpresa. Una volta cominciato, vanno fino in fondo..."

"Capisco" mormorò Hendricks.

"Maggiore!" chiamò Tasso dall'altra stanza.

"Cosa?" rispose lui, scostando la tenda.

Tasso lo fissava pigramente dalla branda su cui stava sdraiata. "Ha ancora qualche sigaretta?"

Hendricks andò a sedersi su uno sgabello, davanti alla ragazza. "No" rispose, dopo essersi frugato in tutte le tasche. "Non ne ho più nemmeno una."

 

60

"Peccato!"

"Di che nazionalità è?"

"Russa."

"Come mai è arrivata fin qui?"

"Qui?... Come?"

"Una volta questa terra si chiamava Normandia e faceva parte della Francia. E' venuta al seguito delle truppe?"

"Perché vuole saperlo?"

"Così, solo per curiosità." La guardò. Lei si era levata la giubba, e l'aveva gettata ai piedi della branda. Era giovane e snella; non doveva avere più di vent'anni.

I suoi lunghi capelli erano sparsi sul cuscino, e i grandi occhi scuri fissavano l'uomo, indifferenti.

"A che cosa sta pensando?" gli domandò.

"A niente. Quanti anni ha?"

"Diciotto." Tasso continuava a fissarlo, imperscrutabile, con le mani intrecciate dietro la testa. Indossava i calzoni e la camicia

grigioverdi della divisa russa. Portava un pesante cinturone con la cartucciera e una scatoletta di pronto soccorso.

"Appartiene all'esercito sovietico?"

"No."

"Dove ha preso l'uniforme?"

"Me l'hanno data."

"Quanti anni aveva quando è arrivata qui?"

"Sedici."

"Appena?"

"Come sarebbe a dire?" replicò lei, socchiudendo gli occhi.

Hendricks si passò una mano sul mento. "La sua vita sarebbe stata molto diversa, se non fosse scoppiata la guerra. E' venuta qui a sedici anni... per vivere in questo modo!"

"Dovevo pur vivere."

"Non le sto facendo la morale."

"Anche la sua vita sarebbe stata diversa" mormorò Tasso, allungando un braccio per sfilare uno stivale. Quando se lo fu tolto, lo lasciò cadere a terra. "Adesso non vorrebbe andare nell'altra stanza, maggiore? Ho sonno."

"Sarà un problema per noi quattro, vivere qui. Avete solo questi due locali?"

"Sì."

"Com'era grande, in origine, la cantina? Ci sono altri locali, magari pieni di macerie?

Potremmo sgombrarne uno."

"Forse ce ne sono, ma io non lo so." Lei tolse il cinturone, poi cominciò a sbottonare la camicia. "E' sicuro di non avere più sigarette?"

"Avevo solo quel pacchetto."

"Peccato. Forse ne troveremo nel suo bunker." Lei si sfilò l'altro stivale, poi allungò la mano verso la lampada. "Buonanotte."

"Vuole proprio dormire?"

"Sì."

La stanza piombò nel buio, e Hendricks si avviò tentoni verso la tenda. Ma appena entrato in cucina, si fermò di botto.

 

61

Rudi era appoggiato al muro, pallidissimo, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Dalle sue labbra non usciva alcun suono. Klaus gli stava davanti e gli puntava la rivoltella contro lo stomaco.

"Cosa..." mormorò Hendricks.

Klaus lo interruppe. "Stia zitto, maggiore, e prenda la pistola."

L'ufficiale prese l'arma. "Cosa c'è?"

"Lo tenga d'occhio anche lei" disse l'altro, facendogli cenno di avvicinarsi. "Qui, accanto a me, svelto."

Rudi voltò la testa verso Hendricks, passandosi la lingua sulle labbra. Aveva gli occhi sbarrati e la fronte madida. "Maggiore" ansimò "è impazzito! Lo fermi."

"Insomma, cosa succede?" insisté l'americano.

Fu Klaus a rispondere. "Ricorda quello che dicevamo a proposito dei tre Modelli?

Conoscevamo il primo e il terzo, ma non il secondo... Ora conosciamo anche quello!"

Premette il grilletto, e dalla pistola uscì una vampata accecante che avvolse Rudi.

"Maggiore" concluse Klaus "ecco il Modello Due."

Tasso scostò la tenda. "Che cos'hai fatto?"

Klaus staccò gli occhi dal cadavere carbonizzato che era scivolato sul pavimento. "Ecco il Modello Due,Tasso.Adesso che abbiamo identificato anche questo, il pericolo è minore."

La ragazza guardò i resti di Rudi, e commentò gelida: "Lo hai ucciso?"

"Ucciso? Ma non è un uomo. Lo stavo osservando da un po' di tempo, ma solo stasera ne ho avuto la certezza" spiegò l'uomo, ripulendo nervosamente la pistola. "Siamo stati fortunati... Magari fra un'ora ci avrebbe..."

"Maggiore" disse la ragazza, inginocchiandosi vicino ai resti fumanti. "Guardi anche lei.

Ci sono solo ossa e brandelli di carne."

Hendricks si inginocchiò a sua volta. Il cadavere era indubbiamente quello di un essere umano, e un'ampia pozza di sangue chiazzava il pavimento.

"Niente rotelle né valvole né relè" commentò Tasso, alzandosi. Fissò Klaus. "Devi spiegarci perché l'hai fatto!"

Klaus si lasciò cadere su una seggiola, pallidissimo.

"Fuori! Sputa fuori!" insisté rabbiosa la ragazza. "Perché l'hai ucciso?"

"Aveva paura" spiegò Hendricks. "Tutto quello che è successo gli ha fatto perdere la testa."

"Può darsi."

"E allora?"

"Io invece credo che lui avesse un altro motivo per uccidere Rudi."

"Sarebbe?"

"Forse Rudi aveva indovinato qualcosa..."

"Che cosa?" domandò Hendricks.

"Sapeva di lui. Di Klaus."

L'uomo alzò gli occhi verso il maggiore e gridò: "Non capisce cosa sta cercando di insinuare? Crede che io sia un esemplare del Modello Due. E dice che ho fatto apposta a uccidere Rudi..."

"Altrimenti, perché l'avresti ucciso?" insisté Tasso.

"Te l'ho detto" replicò Klaus. "Credevo che fosse un robot."

"Perché?"

"Lo teneva d'occhio... Aveva dei sospetti."

"Perché?"

"Mi pareva di avere visto qualcosa di strano in lui... e di averlo sentito... ronzare."

"Gli crede?" domandò Tasso a Hendricks, dopo un lungo silenzio.

 

62

"Sì."

"Io no. Sono convinta che abbia ucciso Rudi per uno scopo preciso." La ragazza afferrò il fucile appoggiato in un angolo. "Maggiore..."

"No" disse Hendricks. "Smettiamola. Uno basta! Abbiamo tutti paura, come Klaus. Se lo uccidessimo, ci comporteremmo come lui."

Klaus gli lanciò un'occhiata piena di gratitudine. "Grazie. Avevo paura, lei mi capisce, no? Adesso è lei ad avere paura, e mi vuole uccidere."

"No. Non morirà più nessuno. Ora voglio tentare ancora di trasmettere"

disse Hendricks, avviandosi verso la scaletta. "Se proprio non riesco a mettermi in comunicazione, domattina andremo al mio bunker."

"Vengo con lei" disse Klaus, alzandosi in fretta.

L'aria della notte era fredda e Klaus l'aspirò profondamente, riempiendosi i polmoni.

Mentre Hendricks azionava il trasmettitore, Klaus si piazzò di guardia, col fucile spianato.

"C'è riuscito?" domandò dopo un poco.

"Non ancora."

"Tenti ancora. Spieghi quel che è successo."

Hendricks provò di nuovo, ma senza successo. "E' inutile. Non mi sentono, o non vogliono rispondere. Oppure..."

"Oppure non esistono più."

"Proverò per l'ultima volta" aggiunse Hendricks. "Scott, mi sente? Si udì il solito crepitio di energia statica, poi, debolissima, giunse finalmente la risposta.

"Qui parla Scott."

Klaus si avvicinò a Hendricks. "E' il suo comando?"

"Scott... Mi sente?"

"Sì." La voce era quasi impercettibile.

"Ha ricevuto il mio messaggio? E' tutto normale al bunker? Non è entrato nessuno?"

"E' tutto normale."

"Hanno tentato di entrare?"

La voce divenne ancora più debole "No."

Hendricks si volse a Klaus. "Va tutto bene."

"Sono stati attaccati?"

"No. Scott, la sento appena. Siete riusciti ad avvertire la Base Lunare?"

Nessuna risposta.

"Scott, mi sente?"

Silenzio.

"Non si sente più nulla. Deve essere proprio per via delle zone radioattive..."

Dopo un poco, Klaus domandò: "Ha riconosciuto la voce? Era davvero uno dei suoi?"

"Era troppo debole per poterla identificare."

"Quindi non è sicuro."

"No."

"Allora potrebbero essere anche..."

"Non lo so. Scendiamo e chiudiamoci dentro."

Ritornarono in silenzio nella cantina soffocante, dove Tasso li aspettava, impassibile.

"Allora?" domandò.

"Che cosa ne dice, maggiore?" chiese Klaus a Hendricks. "Era uno dei suoi ufficiali... o uno di "loro"?"

"Non lo so."

"Allora siamo al punto di prima."

 

63

Hendricks fissava il pavimento, accigliato. "Dobbiamo andare a vedere, per essere sicuri."

"Del resto, qui abbiamo pochi viveri, e non potremmo restare a lungo."

"A quanto pare, non c'è altra scelta."

"Ma insomma, cos'è successo?" domandò Tasso. "E' riuscito a parlare con i suoi?"

"Sì, ma non posso dire con certezza se chi ha risposto sia uno dei miei uomini, oppure uno di "loro". Comunque, restando qui non lo sapremo mai." Diede un'occhiata all'orologio, e concluse: "Andiamo a dormire. Domani dobbiamo alzarci presto".

"Presto?"

"Col fresco, è più facile evitare gli artigli" rispose Hendricks.

La mattina era fredda ma limpida. Il maggiore Hendricks esaminò la campagna col binocolo.

"Vede niente?" domandò Klaus.

"No."

"Riesce a scorgere i nostri bunker?"

"Da che parte sono?"

"Di lì." Klaus indicò la direzione.

Tasso, che stava uscendo dalla cantina, domandò: "Nessuna novità?".

"No" rispose Klaus. "Non si riesce a vedere niente. Andiamo. E' meglio non restare qui."

I tre ridiscesero il pendio, scivolando sulla cenere morbida. Qualcosa guizzò su un masso. Si fermarono, allarmati.

"Che cos è?" chiese Klaus.

"Una lucertola."

L'animaletto correva fra la cenere, di cui aveva il colore.

"Perfetto adattamento all'ambiente" commentò Klaus. "Questo prova che le teorie di Lisenko erano esatte."

Terminata la discesa, si fermarono di nuovo.

"Andiamo" disse Hendricks, dopo che si furono guardati attorno. "La strada è lunga."

Klaus gli si affiancò, mentre Tasso stava alla retroguardia con la pistola spianata.

"Maggiore, volevo domandarle una cosa. Dove ha incontrato il David che l'ha seguita fin qui?" chiese l'uomo.

"Lungo la strada, su un mucchio di macerie."

"Che cosa le ha detto?"

"Non ha parlato molto. Ha detto che viveva solo."

"E lei non ha notato niente di strano? Niente da cui si potesse sospettare..."

"Che fosse una macchina? No, niente."

"Un'imitazione perfetta da ogni punto di vista, insomma" disse Klaus.

"Siete stati voi Yank a fabbricarle così" intervenne Tasso. "Le avete create per distruggere solo i nemici, ma adesso distruggeranno tutti gli esseri viventi."

Hendricks fissò Klaus. "Perché mi ha fatto tutte quelle domande?"

"Così. Per niente di speciale" mormorò l'altro.

"Sta pensando che il Modello Due potrebbe essere lei" dichiarò Tasso, imperturbabile.

"La sta tenendo d'occhio."

Klaus arrossì. "E perché no? Avevamo inviato una staffetta agli americani, e gli americani ci hanno mandato lui. Forse hanno pensato che da noi si sarebbe potuto divertire."

Hendricks rise controvoglia. "Vengo da un bunker delle N.U., e c'erano molti uomini con me."

 

64

"Oppure viene da un'altra parte" continuò Klaus "ma ha colto quest'occasione per introdursi nelle linee sovietiche e..."

"Le linee sovietiche erano già state distrutte, invase e occupate prima della mia partenza. Non lo dimentichi."

"Questo non prova niente, maggiore" osservò Tasso.

"E perché?"

"A quanto ci risulta, tra un Modello e l'altro non esistono rapporti. Ciascuno proviene da una fabbrica diversa, e quindi non è probabile che lavorino insieme. Lei avrebbe anche potuto decidere di penetrare nelle linee sovietiche senza sapere che gli altri Modelli si erano già messi all'opera. Forse ne ignorava persino l'esistenza."

"E come mai è tanto informata su tutto questo?"

"Li ho visti lavorare. Li ho osservati mentre si impadronivano dei bunker sovietici."

"Il maggiore ha ragione" disse Klaus. "Sembri molto informata, per il pochissimo che hai visto..."

Tasso si mise a ridere. "Sospetti di me, adesso?"

"Smettetela" tagliò corto Hendricks, e proseguirono per un po' in silenzio."

"Dobbiamo fare tutta la strada a piedi?" domandò a un certo punto Tasso. "Non sono abituata a camminare. Com'è desolante!" commentò, indicando la distesa di cenere che li circondava.

"E' così da per tutto" disse Klaus.

"In fondo, sarebbe stato meglio che mi fossi trovata nel vostro bunker, quando sono arrivati i robot."

"Se non ci fossi stato io, con te ci sarebbe stato qualcun altro" mormorò Klaus.

Tasso rise, mettendosi le mani in tasca. "Credo proprio di sì..."

Continuarono a camminare, fissando la vasta pianura coperta di cenere che si stendeva davanti a loro.

Il sole stava per tramontare. Hendricks avanzava lentamente, precedendo Tasso e Klaus.

Erano arrivati in cima allo stesso pendio sul quale, la mattina del giorno prima, era comparsa la staffetta russa. Hendricks si gettò a terra, guardando col binocolo, ma non scorse niente, solo cenere e qualche albero smozzicato. Cinque metri più in là c'era l'ingresso del bunker da cui lui era partito, ma non si notava il minimo segno di vita.

"Dov'è?" domandò Klaus, accostandosi all'americano.

"Laggiù" indicò il maggiore, passandogli il binocolo. Nubi di cenere si allargavano nel cielo serale. Stava facendo buio, ma il crepuscolo sarebbe durato ancora un paio d'ore.

"Non vedo nulla" disse Klaus.

"Laggiù, vicino a quell'albero, accanto al mucchio di mattoni. L'ingresso del bunker è a destra dei mattoni."

"Se lo dice lei..."

"Voi due copritemi le spalle. Tenetemi d'occhio finché sarò arrivato al bunker."

"Vuole andare da solo?"

"Con la piastrina a radiazioni, io non ho niente da temere, ma intorno al rifugio ci sono migliaia di artigli, nascosti sotto la cenere come granchi. Voi due non riuscireste mai a cavarvela."

"Già."

"Camminerò lentamente, e appena scoprirò qualche cosa..."

"Se "loro" sono nel bunker, non riuscirà a scappare in tempo. Sono più svelti di quanto possa immaginare."

"E allora cosa dovrei fare?"

 

65

"Non lo so. Provi a chiamare, a farli uscire allo scoperto. Così potrà regolarsi meglio."

Hendricks staccò subito il trasmettitore dalla cintura e alzò l'antenna.

"Vado" mormorò.

Klaus fece segno a Tasso di avvicinarsi.

"Ha voluto andare da solo" disse. "Lo copriremo stando qui. Se lo vedi fare un balzo indietro, spara immediatamente. Sai quanto sono veloci."

"Non sei molto ottimista!"

"No."

"Non scenda nel bunker, finché non sarà sicuro che ci siano ancora i suoi uomini!"

raccomandò Klaus a Hendricks, che si era incamminato lentamente. "Chiami e li faccia uscire."

A pochi passi dal rifugio, Hendricks si portò il microfono alla bocca.

"Scott! Mi sente?"

Silenzio.

"Scott! Sono Hendricks. Mi sente? Sono all'ingresso del bunker. Può vedermi."

Nessuna risposta. Il maggiore avanzò di un passo, e un artiglio uscì dalla cenere, gli si avventò contro. Ma si ritrasse subito. Altri artigli sbucarono fuori, ma tutti rimasero lontani da Hendricks.

"Scott!" tornò a chiamare l'ufficiale. "Sono proprio sopra il bunker."

Attese, col fucile in mano e il ricevitore all'orecchio, ma percepì solo un lieve crepitio di energia statica.

Poi, lontanissima, una voce metallica disse: "Qui parla Scott". Era una voce fredda e neutra, impossibile da identificare.

"Scott, ascolti, sono proprio qui. Riesce a vedermi?"

"Sì."

"Va tutto bene lì? Non è successo niente di strano?"

"Va tutto bene."

"Esca, allora. Vorrei vederla qui fuori, prima di scendere."

"Venga giù lei."

"Le ordino di salire! Vuole ubbidire?"

"Scenda lei."

Seguì un lungo silenzio, poi Hendricks disse: "Mi faccia parlare con Leone".

Un'altra pausa, punteggiata dal crepitio delle scariche, e infine una voce sottile, metallica, identica all'altra, disse: "Qui Leone".

"Sono Hendricks. Mi trovo sopra il bunker. Voglio che uno di voi venga fuori."

"Impossibile. Scenda lei."

"Come? Ti ho dato un ordine."

Silenzio. Hendricks si guardò intorno con circospezione, riabbassò l'antenna, e riagganciò il trasmettitore alla cintura; poi, impugnando il fucile, avanzò di un passo e posò il piede sul primo gradino che portava all'ingresso.

Immediatamente, due David con l'Orsacchiotto gli si fecero incontro, identici nei visi inespressivi. Hendricks sparò, distruggendoli, ma altri già uscivano dal bunker...

Lui si voltò e si mise a correre verso il pendio, da cui Klaus e Tasso avevano già cominciato a sparare. La cenere pullulava di sfere metalliche, ma Hendricks non vi badò. Si fermò per sparare di nuovo contro la schiera dei robot che l'inseguiva, avanzava verso di lui. In quel momento, dietro i residui dei David disintegrati comparve sulla soglia del rifugio un'altra figura, e Hendricks la fissò attonito: era un soldato con un braccio al collo, che si appoggiava a una stampella.

 

66

"Maggiore!" gridò Tasso. "Attenzione!" Il soldato ferito incominciò ad avanzare, circondato dall'orda di David, e l'ufficiale si riscosse dallo stupore: un esemplare del Modello Uno! Gli sparò addosso, e l'automa esplose in una miriade di cavi e ingranaggi.

Hendricks continuò a sparare, arretrando.

Klaus intanto mirava alle sfere metalliche che stavano risalendo il pendio. Tasso si era spostata verso destra, al riparo di alcuni pilastri di cemento che facevano parte di un edificio distrutto.

"Venga qui!" gridò al maggiore, continuando a sparare contro i robot.

"Grazie" mormorò Hendricks, ansimando, quando la ebbe raggiunta. Senza rispondere, lei lo spinse dietro un pilastro, mentre estraeva qualcosa dal cinturone. L'ufficiale ebbe appena il tempo di vedere che si trattava di una bomba. La ragazza, togliendo la sicura, gli ordinò:

"Chiuda gli occhi e si getti a terra!".

La bomba, scagliata con mano sicura, compì una lunga traiettoria e andò a cadere davanti all'ingresso del bunker, dove erano comparsi altri due Soldati Feriti. Uno dei due si chinò a raccattarla, e l'ordigno esplose. Hendricks fu gettato al suolo dall'ondata d'urto dell'esplosione. Vide confusamente Tasso, ritta dietro un pilastro, che decimava con calma e metodo gli automi superstiti.

Klaus, rimasto solo in cima al pendio, stava ancora lottando con le sfere che lo avevano circondato.

"Andiamo!" ordinò la ragazza a Hendricks.

"Ma lui... è ancora lassù."

"Andiamo." Tasso lo trascinò lontano, voltandosi ogni tanto per tenere d'occhio l'uscita del bunker. Un David emerse dalla cortina di fiamme, e la donna lo annientò. Non ne comparvero altri.

"Ma Klaus..." balbettò ancora Hendricks.

"Venga con me!"

"Continuarono ad arretrare, finché furono certi che non vi fossero automi all'inseguimento, né altri artigli nascosti sotto la cenere. La ragazza si fermò e disse: "Ora possiamo riprendere fiato".

Hendricks si lasciò cadere su un mucchio di macerie. "Abbiamo lasciato Klaus solo, lassù."

Tasso non rispose. Stava ricaricando la pistola.

"L'ha abbandonato apposta..." disse Hendricks.

Lei esaminò con la solita imperturbabilità le macerie che li circondavano, come se stesse cercando qualcosa. Ma cosa? Intorno non si vedevano che cenere e rovine.

"Insomma, si può sapere..." cominciò Hendricks.

"Zitto!" gli intimò la ragazza, puntando la pistola. Il maggiore seguì lo sguardo di Tasso, e vide una figura, lacera e barcollante, che si stava avvicinando. Di tanto in tanto si fermava, come a riprendere le forze, poi ricominciava a camminare.

Era Klaus.

"Klaus!" gridò Hendricks, balzando in piedi. "Come ha fatto a..." Tasso sparò, e il maggiore fece un balzo indietro. Il colpo aveva centrato Klaus in pieno petto, e dallo squarcio uscivano cavi e ingranaggi. Fece ancora qualche passo, poi si abbatté inerte sulla cenere.

"Adesso capisce perché aveva ucciso Rudi" disse la ragazza.

Hendricks si rimise a sedere. Aveva le idee confuse. Non capiva più niente, non riusciva nemmeno a pensare.

"Vede?" insisté l'altra. "Ha capito?"

 

67

Lui non rispose. Gli sembrò che tutto roteasse intorno, e che il buio inghiottisse ogni cosa. Chiuse gli occhi, e non sentì più nulla. Quando rinvenne, era tutto dolorante. Cercò di mettersi a sedere, ma un braccio e una spalla gli dolevano tanto che tornò ad accasciarsi, gemendo.

"Resti sdraiato" mormorò Tasso, chinandosi su di lui, appoggiandogli una mano morbida e fresca sulla fronte.

Era notte, e si vedeva qualche stella tra gli squarci delle nubi di cenere. Hendricks stringeva i denti per il dolore, mentre la sua compagna lo vegliava, impassibile. Aveva acceso il fuoco, con un po' di legna e di canne secche. Intorno, tutto era silenzio.

"Allora era lui il Modello Due!" mormorò Hendricks.

"L'avevo sempre sospettato."

"E perché non l'ha distrutto prima?"

"E' stato lei a impedirmelo" replicò Tasso, sedendosi vicino al fuoco.

Estrasse la pistola, l'aprì, e cominciò a pulirla con cura. "E' un'arma magnifica" disse."E

anche quella bomba ha funzionato benissimo."

"Ma che bomba era?" chiese Hendricks.

"Un ordigno speciale, creato dai russi per distruggere i vostri robot" spiegò lei con un'alzata di spalle. "Avevate sottovalutato la nostra capacità tecnica. Senza quella bomba,maggiore,noi due non esisteremmo più."

Allungò le gambe per scaldarsi al fuoco e aggiunse: "Strano, però, che non abbia capito chi fosse Klaus, dopo l'assassinio di Rudi..."

"Credevo che l'avesse ucciso per paura, gliel'ho detto."

"Davvero? Sa, maggiore, che per un po' ho sospettato anche di lei, perché mi ha impedito di farlo fuori?"

"E adesso crede che siamo al sicuro?"

"Sì, finché non arriveranno rinforzi da altre zone" rispose Tasso, terminando di pulire l'arma.

"Abbiamo avuto fortuna..." mormorò Hendricks.

"Già."

"Grazie di avermi salvato."

Lei non rispose. Lo fissò con occhi che scintillavano al riverbero del fuoco. Hendricks si guardò il braccio: non riusciva a muoverlo, e sentiva acute fitte alla spalla.

"Come sta?" domandò Tasso.

"Devo avere un braccio rotto."

"Nient'altro?"

"Sì... dolori al torace... Potrei avere qualche lesione interna..."

"Avrebbe dovuto gettarsi a terra, quando ho lanciato la bomba."

Hendricks non disse niente. Guardò Tasso che versava il caffè da una tazza in un recipiente metallico con l'orlo basso. La ragazza gli portò il recipiente.

"Grazie." Lui si tirò un po' su per bere. Deglutire era difficile. Poi gli si rovesciò lo stomaco. Appoggiò il recipiente sul terreno. "Non mi va giù nient'altro."

Tasso bevve il resto del caffè. Passò del tempo. Le nubi di cenere si muovevano nel cielo scuro sopra di loro. Hendricks si riposò, svuotando la mente da ogni pensiero. Più tardi si accorse che Tasso era china su di lui, e lo fissava.

"Che c'è?"

"Si sente un po' meglio?"

"Sì, forse."

"Sa, maggiore, che se non l'avessi trascinata via avrebbe fatto la fine di Rudi?"

"Lo so."

 

68

"E non vuole sapere perché l'ho salvata? Avrei potuto lasciarla là."

"Perché non l'ha fatto?"

"Perché dobbiamo andarcene di qui" disse Tasso, attizzando il fuoco con un fuscello.

"Nessun essere umano può vivere qui. Quando arriveranno i robot di rinforzo, non avremo una sola probabilità di cavarcela. Ho riflettuto a lungo, mentre lei era privo di sensi.

Possiamo disporre di circa tre ore, prima che arrivino."

"E vuole che io la porti via di qui?"

"Proprio così."

"Strano" fece Hendricks, dopo un lungo silenzio.

"Strano cosa?"

"Che si rivolga a me per andar via di qui. Che cosa dovrei fare, secondo lei?"

"Raggiungere la Base Lunare."

"E come?"

"Ci sarà bene un modo..."

Hendricks scosse la testa. "No. Non c'è nessun modo, che io sappia."

Tasso non disse niente. Per un attimo, il suo sguardo fisso perse un po' della sua sicurezza. La ragazza abbassò gli occhi e girò di scatto la testa. Poi si tirò in piedi. "Ancora un po' di caffè?"

"No."

"Come preferisce." Tasso bevve in silenzio. Lui non vedeva più il suo viso. Restò sdraiato a terra, immerso nei propri pensieri. Cercò di concentrarsi, ma pensare era difficile. Gli faceva ancora male la testa, e si sentiva avvolto da una nube di stordimento.

"Sì, forse un modo c'è" disse all'improvviso.

"Davvero?"

"Quanto manca all'alba?"

"Un paio d'ore."

"Dovrebbe esserci un razzo, nelle vicinanze. Non l'ho mai visto, ma so che esiste."

"Un razzo che potrebbe portarci sulla Luna?"

"Sì. Era rimasto a disposizione del nostro bunker per i casi di emergenza" rispose lui, passandosi una mano sulla fronte.

"Che cosa c'è?"

"Mi sento la testa confusa. Non riesco a pensare... Deve essere stata la bomba."

Tasso gli si inginocchiò accanto, fissandolo. "E' vicino, quel razzo? Dove si trova?"

"Sto cercando di ricordare."

Lei gli strinse un braccio, affondò le dita nella carne.

"Vicino?" parlava con voce dura, inflessibile. "Dove può essere? Nascosto sottoterra?"

"Sì, in un magazzino."

"E come potremmo trovarlo? C'è un segno di riconoscimento? Qualche lettera in codice?

Un simbolo?"

"No" rispose Hendricks, con uno sforzo. "Mi pare che non ci sia nessun simbolo... Ma non riesco a ricordare... Mi lasci riposare un po'."

"Va bene."

Tasso si alzò, e Hendricks richiuse gli occhi. Lei si allontanò, camminando con le mani in tasca, tirando calci di tanto in tanto a qualche ciottolo. Il cielo cominciava a scolorirsi. Era ormai prossima l'alba.

Tasso continuava a girare intorno al fuoco, impaziente, con la mano sull'impugnatura della pistola, mentre il maggiore giaceva immobile, con gli occhi chiusi. Il cielo era tutto grigio, ormai, e si poteva distinguere la distesa ininterrotta di cenere e di rovine che si stendeva tutt'intorno.

 

69

L'aria era fresca, frizzante. Di lontano, giunse il richiamo di un uccello.

"E' l'alba?" mormorò Hendricks, riaprendo gli occhi.

"Sì."

Lui tentò di sollevarsi. e disse: "Voleva sapere qualcosa, mi pare. Non mi aveva fatto una domanda?".

"Ora ricorda?"

"Sì."

"Come si può riconoscere il nascondiglio?" domandò la ragazza con voce dura.

"Un pozzo. Un pozzo in rovina. Il razzo è lì sotto."

"Lo troveremo" asserì lei con un sospiro di sollievo. Guardò l'orologio, e aggiunse: "Ci resta un'ora, maggiore. Crede che faremo in tempo?".

"Mi aiuti ad alzarmi."

La ragazza rimise la pistola nel fodero e gli porse una mano. "Non sarà facile" disse.

"Non si preoccupi, non è lontano" rispose Hendricks.

Si misero in marcia mentre i primi raggi del sole illuminavano la landa desolata, su cui svolazzavano alcuni uccelli.

"Vede niente?" domandò Hendricks. "Ci sono artigli?"

"No, non ancora."

Oltrepassarono le fondamenta di una casa distrutta, da cui sbucò un'orda di topi. Tasso fece un balzo indietro.

"Qui, una volta, c'era un grosso centro agricolo" disse Hendricks.

Stavano percorrendo una strada piena di crepe, nelle quali crescevano ciuffi di canne. A destra si ergeva un camino di pietra, intatto.

"Stia attenta" disse Hendricks.

Ai loro piedi si apriva una cantina scoperchiata. Si vedevano i resti di una caldaia e alcune tubazioni arrugginite.

"Di qui" mormorò Hendricks. "Dobbiamo fare il giro."

Rasentarono le lamiere contorte di un immenso serbatoio, e il contatore inserito nel cinturone di Hendricks si mise a ticchettare minacciosamente. Il serbatoio era stato distrutto da un'esplosione nucleare. Più avanti, il cammino si fece meno difficoltoso.

"Laggiù" disse Hendricks, indicando i resti di un muricciolo circolare su cui erano appoggiate delle tavole.

Era il pozzo. L'ufficiale vi si avvicinò con passo malfermo.

"E' sicuro che sia questo?" domandò Tasso.

"Sì."

Hendricks sedette sul muretto, ansimando e tergendosi il sudore dalla faccia. "Avevano lasciato il razzo a disposizione del nostro bunker" disse.

"Il comandante del bunker era lei?"

"Sì."

"E il razzo dov'è?"

"Proprio qui, sotto di noi" disse l'ufficiale, indicando le rovine.

"C'è una cellula fotoelettrica che risponde soltanto a un impulso trasmesso da me... Così almeno mi avevano detto."

Non aveva finito di parlare, che un "clic", seguito da altri rumori, uscì dai detriti che riempivano il pozzo. Il fondo si aprì e dalla cenere uscì una struttura metallica: il muso del razzo.

"Eccolo!" indicò Hendricks.

 

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L'apparecchio era piccolo, e stava sospeso in un'incastellatura di cavi metallici mezzo sfasciata. Una pioggia di cenere e di mattoni precipitò sulla cavità dalla quale era uscito. Il maggiore si avvicinò, scostò i cavi, e aprì il portello. Dentro si scorgevano il sedile e il pannello dei comandi.

"Non sono abituata a pilotare razzi" dichiarò Tasso, che si era avvicinata per guardare.

"Non ha importanza" rispose Hendricks. "Ci penserò io."

"Davvero? Ma non vede che c'è un sedile solo,maggiore? Quest'apparecchio non può portare più di una persona."

Hendricks esaminò meglio l'interno della cabina. La ragazza aveva ragione. C'era posto per una sola persona."

"Capisco..." disse finalmente. "Vuole partire lei."

"Certo."

"Perché?"

"Perché lei non è in condizioni di pilotare. Potrebbe morire durante il tragitto. E' ferito, e non riuscirebbe a raggiungere la Base."

"Davvero interessante... Ma, vede, io conosco la sua posizione, e lei no. Potrebbe volare per mesi e mesi senza trovarla. E' molto ben nascosta, e se non si sa esattamente dove si trova..."

"Correrò il rischio. Del resto, lei mi dirà dov'è. Ne va della sua vita."

"Come?"

"Se riesco a raggiungere la Base senza perdere troppo tempo, potrò mandare qualcuno a prenderla. In caso contrario, lei è perduto."

Hendricks reagì immediatamente. Cercò di lanciarsi sulla ragazza, ma lei aveva già estratto la pistola. Impugnandola per la canna, gli assestò un colpo a una tempia.

Hendricks cadde privo di sensi.

"Maggiore, si svegli!" Tasso gli stava sopra, e lo colpiva nelle costole con la punta di uno stivale.

L'uomo riaprì gli occhi, gemendo.

"Mi ascolti" riprese lei, chinandosi con l'arma puntata. "Ho fretta, non c'è tempo da perdere. Il razzo è pronto, ma devo sapere dove si trova la Base."

Hendricks scosse la testa.

"Avanti, parli!"

L'altro non aprì bocca.

"Risponda!"

"No."

"A bordo ci sono molte provviste, maggiore. Volerò per settimane intorno a Luna, e finirò per trovare la Base da sola. Lei, fra mezz'ora, sarà morto. La sua unica speranza di sopravvivere..." Tasso s'interruppe. Su un pendio, poco lontano, qualcosa si stava muovendo. La ragazza fece fuoco, e qualcosa rotolò fra la cenere. Lei sparò ancora, e l'artiglio, distrutto, si disintegrò.

"Vede? Era il primo. Fra poco arriveranno gli altri."

"Tornerà davvero a prendermi?"

"Sì, appena possibile. Ma deve fidarsi di me. Non c'è altra soluzione."

"Va bene. Guardi qui" disse Hendricks alla fine. Prese un sasso appuntito e cominciò a disegnare una rudimentale mappa lunare sulla cenere. "Qui c'è la catena degli Appennini.

La Base si trova a duecento chilometri da questa estremità della catena, ma non so esattamente dove. Nessuno lo sa, qui sulla Terra. Sorvolando gli Appennini, faccia delle segnalazioni, prima con un razzo verde e uno rosso, e poi con altri due rossi. Il monitore della base risponderà al segnale e la guiderà con una serie di impulsi magnetici."

 

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"E come si pilota il razzo?"

"I comandi sono automatici. Basta chiudere il portello dall'interno, e il razzo partirà immediatamente verso Luna. E' già tutto disposto perché entri in un'orbita determinata, a circa cento miglia dalla superficie."

"Ho capito." Tasso salì sull'apparecchio e si sistemò sul sedile.

"Peccato che non possa venire, maggiore. Questo apparecchio era destinato a lei, e non può servirsene..."

"Mi lasci la pistola."

La ragazza estrasse l'arma dalla fondina. "Non si allontani troppo di qui, altrimenti non riusciremo a trovarla."

"No, rimarrò nelle vicinanze del pozzo."

Tasso si dispose a richiudere il portello."È proprio un bell'apparecchio, maggiore. Molto ben fatto. Voi Yank siete davvero ottimi tecnici."

"Mi dia la pistola!" ripeté Hendricks.

"Addio, maggiore." Lei gettò la pistola lontano, e lui si affrettò, barcollando, a raccoglierla. Mentre si chinava, sentì il portello richiudersi. Si udì un rombo assordante e il razzo uscì dalla gabbia di metallo, fondendo i cavi. Un attimo dopo, scompariva fra le nubi di cenere.

Hendricks rimase a fissare la scia fiammeggiante, finché tutto tornò normale, e si fece nuovamente silenzio. Allora decise di muoversi per esplorare le vicinanze. Anche se dalla Base fossero venuti davvero a salvarlo, non sarebbe stato certo per oggi...

Una lucertola guizzò fra la cenere, ed egli si fermò, irrigidendosi.

Ma subito l'animaletto scomparve. Il sole era ormai alto in cielo; faceva caldo, Hendricks sudava e aveva la gola secca. Qualche centinaio di metri più avanti, scorse una figura che giaceva immobile sulla cenere. Estrasse la pistola. Poi ricordò: erano i resti di Klaus, il Modello Due. Anche da una certa distanza riusciva a distinguere le rotelle e i cavi che scintillavano al sole.

S'avvicinò alla forma inerte e la toccò col piede. Il cranio era scoperchiato, e dentro si distinguevano i sottilissimi cavi, fini come un capello, e le valvole in miniatura che avevano costituito il cervello del robot. Spargendo intorno i resti col piede, Hendricks mise a nudo la piastra di identificazione del robot.

Restò a fissarla annichilito: portava scritto "4-5"...

Modello Quattro. Klaus era stato un Modello Quattro. Ma allora, il Modello Due? Chi... Chi...

Balzò in piedi, irrigidendosi. Stava arrivando qualcuno. Numerose figure avanzavano in fila, calpestando la cenere con passo ritmico, dirette verso di lui.

Hendricks si accasciò, puntando la pistola. Il sudore gli colava dalla fronte, e ondate di panico lo sommergevano, mentre le figure si avvicinavano sempre più. La prima era un David. Quando il robot vide l'uomo, accelerò il passo. Lo seguivano altri due ragazzini, perfettamente uguali a lui: venivano avanti silenziosi, con il volto inespressivo e l'orsacchiotto di pezza tra le braccia.

Hendricks sparò, e i primi due volarono in pezzi. Il terzo continuò ad avanzare. Dietro c'era un'altra figura: un Soldato Ferito, e...

E dietro il Soldato Ferito venivano due Tasso, che camminavano fianco a fianco vestite in divisa russa, col cinturone pesante, i capelli lunghi, i grandi occhi inespressivi.

I robot erano vicinissimi, ormai.

Il David lasciò cadere l'orso, che continuò ad avanzare per suo conto. Le dita di Hendricks si contrassero sul grilletto e l'orso si disintegrò,mentre le due Tasso continuavano a venire avanti implacabili, sulla cenere grigia.

 

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L'avevano quasi raggiunto, quando lui sparò ancora, annientandole.

Ma un altro gruppo di Tasso si stava già avvicinando. Erano cinque o sei, e avanzavano in fila. Hendricks pensò con disperazione che aveva affidato a una di loro il razzo, indicando la posizione della Base Lunare... Per colpa sua, i robot avrebbero raggiunto e distrutto anche la Base.

Allora non si era sbagliato sulla bomba. Era stata costruita grazie a una conoscenza perfetta degli altri modelli, del Modello David e del Modello Soldato Ferito. E del Modello Klaus. Non era stata creata da esseri umani. Era stata creata da una delle fabbriche sotterranee, lontano da ogni contatto con esseri umani.

Fissò il volto familiare delle Tasso, la camicia grigioverde, il cinturone, la bomba.

La bomba...

Quando le Tasso gli furono sopra, un ultimo, ironico pensiero alleviò la fine del maggiore Hendricks: la bomba era stata fabbricata dal Modello Due per distruggere gli altri... Al solo e unico scopo di distruggere gli altri...

Perché i robot, evidentemente, stavano già cercando di distruggersi a vicenda...

Titolo originale: "Second Variety". (1957).

Traduzione di Beata della Frattina.

 

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