Incidenti nel running
Il podismo rappresenta una delle tipologie di attività fisica più praticate nella popolazione adulta e gli spazi e gli eventi dedicati alla corsa sono sempre più diffusi. Tra i motivi del successo: la facilità di pratica, l’accessibilità non ristretta a poche fasce sociali e il fatto di rappresentare uno dei sistemi per raggiungere una buona efficienza fisica, che sappiamo strettamente collegata con lo stato di salute e l’aspettativa di vita. Allo stesso tempo, il podismo presenta un rischio di infortuni relativamente alto, con un’incidenza variabile, in base agli studi, tra il 20 e il 79% dei praticanti. Dato che la popolarità del podismo continua ad aumentare, questo comporta anche un probabile incremento delle lesioni correlate e quindi la necessità di prestare una sempre maggiore attenzione a quelli che possono essere considerati i principali fattori di rischio, anche sesso-specifici, e ai possibili interventi di prevenzione.
Le lesioni acute sono un’evenienza rara nel podismo e sono rappresentate da lesioni muscolari, distorsioni di ginocchio o caviglia e lesioni cutanee come vesciche e abrasioni. Circa l’80% delle patologie è rappresentato da lesioni da sovraccarico, derivanti da uno squilibrio di carico di allenamento e capacità di sopportarlo da parte dei tessuti. Tale squilibrio richiede tempo per manifestarsi e proprio per questo diventa di fondamentale importanza ai fini preventivi l’identificazione dei fattori di rischio. Il tempo di insorgenza o manifestazione di una patologia, anche acuta ma ancor di più da sovraccarico, deriva dall’interazione di tre fattori:
- Le caratteristiche strutturali, che rappresentano il fattore predisponente interno.
- L’esposizione a fattori di rischio esterni, quali ambiente, terreno di allenamento, equipaggiamento.
- Il fattore scatenante, che fa dall’essere suscettibile si scateni la lesione.
Le lesioni interessano prevalentemente la regione lombare e gli arti inferiori, con una distribuzione abbastanza bilanciata tra gamba, coscia e piede. La struttura specifica più coinvolta è il ginocchio, che mostra una incidenza variabile tra 7 e 50%. Aree meno comuni di lesione sono la caviglia e il complesso anche-bacino.
Frequenti anche gli infortuni rappresentati dalla sindrome da stress del comparto mediale-tibiale, dalla tendinopatia achillea e dalla fascite plantare, mentre negli ultramaratoneti sono diffuse tendinopatia achillea e sindrome femoro-rotulea.
Le strutture anatomiche dotate di una scarsa perfusione ematica, come tendini e cartilagine, sono particolarmente a rischio di lesioni da sovraccarico in quanto presentano tempi di adattamento più lenti rispetto a quelli muscolari all’aumento dei carichi di lavoro e alle variazioni “esterne” quali superfici, percorsi, scarpe.
Alcuni autori suggeriscono che la strategia per evitare o ridurre le lesioni dovrebbe essere non tanto quella di minimizzare lo stress applicato ai tessuti, quanto piuttosto ottimizzare quantità e frequenza del carico di allenamento, tenendo in considerazione sia le diverse caratteristiche biologiche dei tessuti sia quelle individuali e portando a definire i livelli ottimali di carico specifico.
Analizzando il diverso comportamento in base al sesso dei praticanti, si osserva che le donne presentano un rischio di infortunio più basso rispetto agli uomini. I fattori che, in maniera generica, incrementano il rischio nel sesso femminile sono rappresentati da un’età più avanzata, precedente partecipazione a sport non assiali quali ciclismo e nuoto, la partecipazione a maratone nell’anno precedente, allenarsi sull’asfalto, una distanza settimanale di allenamento elevata (48-63,8 km) e l’uso dello stesso paio di scarpe per periodi superiori ai quattro mesi.
Gli uomini presentano invece un generico incremento del rischio se ricominciano a correre dopo un periodo prolungato di inattività, hanno un’esperienza di corsa inferiore a due anni e una distanza di allenamento settimanale superiore a 64 km.
I fattori di rischio per le lesioni nel podista possono essere suddivisi in modificabili e non modificabili. L’identificazione di quelli modificabili rappresenta ovviamente il punto di partenza su cui lavorare per strutturare gli interventi preventivi, mentre quelli non modificabili sono importanti per le valutazioni di stratificazione del rischio.
Fattori di rischio non modificabili
Non è chiaro quanto un’alta frequenza di reinfortunio sia dovuta all’incompleta guarigione della lesione originale o a un problema biomeccanico non corretto. In realtà una precedente lesione che sia andata incontro a una guarigione completa (quindi con recupero completo della mobilità, forza e propriocezione della struttura interessata), non dovrebbe presentare un aumentato rischio di nuova lesione, mentre un’alterazione permanente strutturale o biomeccanica o una disfunzione del sistema sicuramente porta a un aumentato rischio di future lesioni.
Fattori di rischio modificabili
Allenamento. Un’alta frequenza di allenamenti settimanali rappresenta, per alcuni autori, una maggiore suscettibilità di incorrere in lesioni; tuttavia, allo stesso tempo anche allenarsi una sola volta alla settimana può condurre a patologie da sovraccarico, specie nelle donne. Questo probabilmente perché una frequenza così bassa determina uno stress dei tessuti senza però rappresentare uno stimolo adeguato per i fenomeni di adattamento. Questi report evidenziano la necessità di individualizzare il carico di allenamento, avendo allo stesso tempo in mente la difficoltà nello stabilire una correlazione precisa tra carico e rischio di infortunio.
Ortesi o inserti plantari. I podisti che utilizzano ortesi o comunque inserti plantari sembrano presentare una maggiore predisposizione verso le lesioni, anche se il dato potrebbe essere “alterato” dal fatto che i podisti con maggiori problemi predisponenti verso gli infortuni sono quelli che ricevono più frequentemente e precocemente la prescrizione di ortesi. Tuttavia, considerando l’importante ruolo globalmente svolto dalla biomeccanica del piede nell’insorgenza delle lesioni nel podista, questi riscontri non paiono a favore di una generica efficacia delle ortesi plantari nel compensare i difetti strutturali e funzionali.
Le cause
I fattori di rischio per le lesioni nel runner possono essere raggruppati in tre aree principali, secondo due diverse modalità. La prima, in linea con il modello di Meeuwisse, prevede:
- Fattori di rischio interni: comprendenti età, sesso, fattori anatomici e altri aspetti non genetici, ma anche composizione corporea, livello di preparazione fisica, schemi motori, stato di salute (comprese precedenti lesioni). Tutti questi fattori determinano la predisposizione del soggetto verso l’infortunio.
- Fattori di rischio esterni: rappresentati essenzialmente da calzature (o genericamente attrezzatura ed equipaggiamento), ambiente esterno (compresi terreno e condizioni meteo). Questi fattori rendono l’atleta da predisposto a suscettibile.
- Fattori scatenanti: principalmente situazioni di allenamento o gara o alterazioni biomeccaniche.
Secondo un altro modello i fattori di rischio possono essere suddivisi in:
- Fattori personali: che includono età, sesso, caratteri antropometrici e altri fattori a imprinting genetico.
- Fattori correlati con allenamento o gara: comprendenti sedute di allenamento settimanali, distanza percorsa, calzature.
- Fattori collegati allo stile di vita e allo stato di salute: abitudine al fumo, abitudini alimentari, presenza di altre patologie, precedenti infortuni.
Il concetto che emerge da entrambe le classificazioni, e che le accomuna, è che l’infortunio, sia acuto o cronico, deriva sempre dall’interazione di più fattori, anche non correlati e spesso in parte non modificabili.
Analizzando separatamente i singoli aspetti, sono state trovate1 evidenze limitate che età avanzata, specifici aspetti anatomici (quali dismetrie, ginocchio varo, altezza), uso abitudinario di alcol o farmaci o patologie concomitanti fossero direttamente correlate, sia nel sesso maschile sia femminile, con un aumentato rischio di lesioni.
L’esistenza di una lesione risalente ai dodici mesi precedenti sembra invece rappresentare di per sé un rischio di nuovo infortunio, anche se la valutazione delle pregresse lesioni, in termini sia di localizzazione sia di tempi di occorrenza, non è univoca tra i vari studi. Altri autori indicano una correlazione non solo con pregresse lesioni ma anche con la tipologia di allenamento, con sedute rivolte alla velocità associate a un maggior rischio e sedute di interval training invece con una riduzione dello stesso; tuttavia l’associazione potrebbe non essere da considerarsi di per sé causativa.
Tipi di lesione e cause specifiche
Come già indicato, le lesioni nel runner sono principalmente lesioni da sovraccarico (overuse), che si realizzano per uno squilibrio tra il carico imposto (per quantità, modalità e frequenza) e le capacità dei tessuti di adattarsi.
La sindrome da stress tibiale mediale, conosciuta anche come “periostite”, è caratterizzata da dolore che si manifesta lungo il bordo interno della tibia ed è considerata dalla maggior parte degli studi come una delle patologie da sovraccarico più diffuse. Una possibile causa è lo stress ripetuto esercitato da tibiale posteriore, soleo e flessore lungo delle dita sul margine tibiale. Altri autori indicano come fattore determinante l’insufficiente capacità di rimodellamento osseo a fronte dello stress ripetuto provocato non solo dalla contrazione muscolare ma anche dalla forza di reazione verticale dal terreno che si ha nella fase di atterraggio. Uno studio prospettico indica come potenziali fattori di rischio per questa patologia un varismo di ginocchio accentuato, la frequenza di uso di tipi di scarpe diverse e frequenti sedute di interval training. Tuttavia, nessuno studio ha evidenziato una relazione di causa effetto diretta per questa patologia.
Il carico eccessivo e ripetuto generato dal complesso soleo-gastrocnemio, tale da superare la tolleranza fisiologica del tendine di Achille, è considerato lo stimolo principale responsabile dello sviluppo della tendinopatia con degenerazione del tendine.
Uno studio retrospettivo ha indicato la corsa su terreni sabbiosi e gare su distanze comprese tra 1500 e 5000 metri come fattori che aumentavano il rischio di tendinopatia achillea. Questo può essere dovuto al fatto che la corsa sulla sabbia richiede una maggiore spinta, così come gare sulle distanze più brevi si associano a uno stile di corsa con maggior carico sull’avampiede, in quanto questo permette di ridurre i tempi di appoggio e di aumentare la velocità di corsa.
Il tendine rotuleo rappresenta un’altra struttura sottoposta a carichi elevati e ripetuti durante la corsa. La tendinopatia rotulea è riportata con una discreta frequenza tra i podisti amatoriali che percorrono fino a 50 km settimanali, anche se non appare comune tra i maratoneti. Non è chiaro se ciò sia da attribuire a una maggiore esperienza di corsa, con conseguenti migliori schemi neuromotori, o a un miglior adattamento al carico. Studi effettuati sugli ultramaratoneti mostrano come sia molto probabile che la tendinopatia rotulea si sviluppi, anche con esordio acuto, quando i podisti si sottopongono a più di cinque giorni consecutivi di attività.
La fascite plantare è considerata una delle più comuni patologie del piede ed è caratterizzata da un processo degenerativo della fascia plantare, con dolore sotto carico localizzato sul tubercolo calcaneale mediale. Sicuramente sembra rappresentare la patologia più frequente nei podisti master, e il meccanismo causale è identificato con l’incapacità della fascia di sopportare il carico applicato durante la corsa.
Durante la fase di contatto al suolo della corsa, il calcagno rappresenta il primo punto di contatto e si trova a dover assorbire un carico corrispondente a tre volte il peso corporeo. La capacità di assorbire e trasmettere questo carico dipende dalla resilienza della fascia plantare, dal cuscinetto adiposo plantare e dall’attività dei muscoli intrinseci del piede. Con l’avanzare dell’età o con sovraccarico ripetuto e prolungato la capacità di assorbimento della fascia plantare e del cuscinetto adiposo diminuisce e questo può almeno in parte spiegare perché i corridori più anziani sviluppano con maggior facilità la fascite plantare rispetto ad altri tipi di lesioni.
Alcuni studi identificano la sindrome femoro-rotulea come la patologia più diffusa tra i runner, ma le principali review non concordano con tale dato. Questa patologia sembra abbastanza diffusa nei partecipanti alle ultramaratone, dove arriva a rappresentare la terza patologia per prevalenza. La causa determinante è identificata prevalentemente con un anomalo scorrimento (tracking) della rotula associato alle elevate forze compressive generate dalla contrazione del quadricipite. Uno studio prospettico sui maratoneti ha definito come principali fattori di rischio per lo sviluppo della sindrome femoro-rotulea la partecipazione per la prima volta a una maratona, l’uso di farmaci e un basso chilometraggio settimanale di allenamento. Un altro studio ha mostrato analogamente come l’aumento della distanza e delle ore di allenamento settimanali possa essere considerato un fattore protettivo nei confronti delle patologie del ginocchio nei maratoneti. Bisogna tuttavia anche sottolineare come l’inquadramento del “corretto” scorrimento rotuleo e dei rapporti diretti tra “maltracking” e insorgenza della sindrome femoro-rotulea non siano di facile e univoca definizione: se da una parte i problemi di scorrimento rotuleo hanno probabilmente un ruolo nella sindrome femoro-rotulea, dall’altra non è ben definito un normale scorrimento femoro-rotuleo e alcuni studi hanno portato i ricercatori a credere che l’anomalia sia normale, in quanto le capacità di adattamento delle nostre strutture sono elevate.
La tendinopatia dei muscoli estensori (o flessori dorsali) della caviglia è un’altra patologia comune tra gli ultramaratoneti, mentre lo è molto meno tra coloro che percorrono distanze più brevi.
Prevenzione
Negli ultimi decenni è stato ampiamente accettato il concetto che la maggior parte delle lesioni nei podisti si sviluppino come conseguenza di ripetuti sovraccarichi strutturali. Tuttavia, troppo spesso ci si è concentrati su un solo sottostante meccanismo causale, di tipo biomeccanico o antropometrico, o su una sola variabile all’interno di questi meccanismi. Per comprendere pienamente il perché dello svilupparsi di una patologia legata alla corsa, e quindi sviluppare un efficace piano di prevenzione, risulta di fondamentale importanza abbandonare un approccio riduzionista monodisciplinare ed essere pienamente consapevoli della natura multidisciplinare di queste patologie.
Ciò implica prendere in considerazione i fattori biomeccanici, clinico/antropometrici e di allenamento correlati e valutare non solo la somma degli effetti ma anche la sinergia, positiva e negativa, dei vari fattori. Devono essere analizzati anche aspetti apparentemente distanti, quali per esempio la presenza di diabete per le ripercussioni sulla funzionalità dei tendini e delle fasce connettivali in genere, o i disturbi della vista (non solo relativi all’acuità ma anche di accomodazione) o dell’occlusione per gli effetti sulla attivazione e la fatica dei muscoli posturali.
Importante ricordare però sempre che nessuna variabile biomeccanica, antropometrica o clinica può determinare da sola l’insorgenza della patologia: il fattore causale determinante è sempre la corsa, che sia allenamento o gara.
Da un punto di vista biomeccanico o funzionale, è ormai ampiamente riconosciuta l’importanza dell’allenamento adeguato della muscolatura stabilizzatrice del core: adeguato non solo in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi, considerando la specificità biomeccanica e spazio-temporale dell’attività svolta (maratona, ultramaratona e trail non hanno le stesse esigenze funzionali) e dell’atleta in causa.
Recentemente sono stati elaborati degli inquadramenti causali che introducono il carico di allenamento come elemento centrale e necessario nel determinarsi delle lesioni nel runner. Le variazioni nel carico di allenamento sono ormai considerate come la variabile di esposizione primaria nello sviluppo di una lesione in molti sport oltre al podismo, quali calcio e basket. In particolare, il rapporto acuto/cronico è considerato un sistema specifico per pesare le variazioni del carico allenante. Rappresenta il rapporto tra il carico della settimana in corso (acuto) diviso quello medio della settimana in corso più le tre precedenti (cronico). Vari studi mostrano come un rapporto inferiore a 0,8 o superiore a 1,3 risulti associato a una maggior frequenza di lesioni, confermando la primaria importanza del monitoraggio del carico nella prevenzione delle lesioni.
Take home message
- I distretti più frequentemente sede di lesione nel podista sono rappresentati dal ginocchio, dalla porzione mediale della tibia e dal tendine di Achille, senza che sia possibile stabilire una relazione specifica tra infortunio e un fattore determinante.
- L’infortunio nel runner è quasi sempre legato a un sovraccarico dei tessuti, conseguenza di uno squilibrio tra le capacità di adattamento/rigenerazione e il carico imposto. Questi due fattori hanno alle spalle una serie di variabili sia intrinseche (legate quindi direttamente all’atleta) sia estrinseche (caratteri dell’allenamento, calzature eccetera). Per questo si rende necessario una individualizzazione del programma tanto di allenamento quanto di prevenzione, qualsiasi sia il livello dell’atleta, tenendo conto delle sue caratteristiche funzionali specifiche e di quelle dell’attività svolta.
- Tra i fattori intrinseci non devono essere trascurati quelli legati al controllo visivo e all’occlusione, ma deve essere sempre tenuto ben presente che il fattore determinante è rappresentato dalla corsa stessa, per cui il monitoraggio dei carichi di allenamento risulta fondamentale in qualsiasi intervento di prevenzione e riatletizzazione post infortunio.
1. R.N. Van Gent et al., Incidence and determinants of lower extremity running injuries in long distance runners: A systematic review, «British Journal of Sports Medicine», agosto 2007, vol. 41 (8), pp. 469-480.