Le ultime Strolgherìe

 

Le profezie della Strolga, Giorgio, via via, le riconobbe esatte.

L'Albina Savi, caritatevole, aveva completato l'opera dell'Ada Vitali: liberargli la testa, prima di tornare a sbatterla contro il muro del mondo. Giorni di spensierata leggerezza, stupefazioni come giochi di prestigio, puerili sogni di burla e vaghezie di quelle che, raccontate ai bambini, fanno apparire gli spiritelli...

Alla fine, risvegliandosi da quei giochi e consolazioni di un affetto sincero, Giorgio non avrebbe saputo distinguere il vero dal falso.

Anche questo accade, per chi ha l'acqua alla gola, in quella terra di acque strambe.

... E c'era ancora chi, come l'Ermes Michelotti, lo spretato di Mirasole, credeva nel Gran Dio dei Buffi. Dopo la scomunica, aveva trasformato un casale in chiesetta bizzarra. I suoi sermoni erano di un'ilarità condivisa. Comprensibile che avesse un buon seguito di fedeli. L'Ermes appariva invitando: "Inginocchiatevi e, pregando, sorridete". Poi scostava una tenda rossofiamma, mostrando una testa scolpita in pietra, secoli prima, da un ignoto marmista di Po.

L'altare dello spretato e, appunto, la raffigurazione del Gran Dio dei Buffi.

- L'anima è fatta di sante burle, - predicava l'Ermes. - E la vera fede consiste nel mantenerle amabili nella vita eterna, perché anche il Signore ama distrarsi con noi, a volte, dalle infinite disgrazie... Che peccato mortale, nei Vangeli: Cristo non lo fanno mai ridere, con una bella risata squillante, nemmeno un sorriso di traverso -. Concludeva: - L'Albero della Conoscenza ostenta troppi demoni e delitti. Figurazioni falsificate. Al contrario, esso gronda di angeli allegri simili a clown, che la Chiesa ci impedisce di vedere, perché ci preservano dall'Apocalisse... Il Dies Irae è una risata universale!

... E Giorgio stava rincasando, una notte, attraverso le sabbie di Donada, che si stendevano a perdita d'occhio, irte di montagnole, sconfinando nei nuvoloni, e cielo e terra si confondevano, se il vento alzava spirali alte come torri. L'orizzonte si afferrava, a tratti, dai punti accesi che erano i finestrini del treno che, si diceva, portava a Roma.

Giorgio prendeva da quella parte allorché si ricordava che, da bambino, si avventurava nei sabbioni di Donada o del Po della Pila, cercando ansiosamente la madre, quando lei spariva verso i suoi misteri e miraggi, con l'ansia di averla persa per sempre. Anche allora, saliva e scendeva per le piramidi sabbiose, nel sole bruciante o nel vento impetuoso, gridando con la gola stretta dall'angoscia: "Chimera!... Chimera!... Non abbandonarmi". Poi la madre, magari, se la ritrovava dentro casa, tranquilla, come se non si fosse mai mossa, che scoppiava a ridere vedendolo bianco di sabbia dalla testa ai piedi, mentre colmava i vasi di ninfee, ancora bagnate dal fiume. Notando l'ansia del figlio, che si era angosciato per nulla, Chimera gli spiegava che l'amore, quando è il solo che abbiamo, e profondo, fa brutti scherzi, muta persino la felicità in dolore. Raccomandava:

- Non scambiare mai pero per pomo!... Chissà se fu pero o pomo, la voce che gli arrivò dall'alto, con amichevole ironia, nel vento che s'era dato una calmata:

- Oilà, Donati!

Giorgio alzò gli occhi alla luna piccola, anch'essa in momentanea pace, e, scendendo dalla luna, inquadrò la figura ritta sulla montagnola di fronte, con le mani in tasca, una sigaretta spenta all'angolo della bocca.

- Merlin! - esclamò, poi rammentando le parole della Strolga. - Posso ancora chiamarti così o mi dispensi querele?

- Per te, sono sempre Merlin, - e l'altro scoppiò a ridere, continuando: - Chi non muore, si rivede. E tu, se ben ricordi, non sei morto allora, dentro quel casale, perché c'era il Ravasini Luigi, io, il tuo salvatore... La tua storia è cominciata con me, grazie a me, altrimenti nessuno avrebbe potuto raccontarla. Perciò è giusto che si ritorni al punto mio... Che già a quel tempo ero un bel talento, non credi?, se riuscivo a rubare le bombe a mano dal cinturone dei tedeschi, facendoli ridere con mosse da pagliaccio, rompendomi le uova in testa come il professore dell'Angelo Azzurro, e canticchiandogli LìliMarlene con accento perfetto nella loro lingua.

Giorgio si stupì di averlo riconosciuto con prontezza. La sabbia, che ne ricopriva il vestito di ottimo taglio, formava infatti, sul volto di Merlin, una maschera da clown, composta come di pietruzze che luccicavano sotto la luna. Gli occhi di faina, tuttavia, lasciavano capire che era in spirito, nel suo spirito migliore. Quando gli saltò davanti dalla montagnola, Giorgio gli obiettò:

- Tu, quella notte, mi hai rubato solo tabacco dalle tasche. Questo, si, me lo ricordo bene.

Merlin alzò le spalle, riuscendo ad accendersi una sigaretta con uno dei suoi abili guizzi da baro, perché il vento aveva ripreso lena:

- Uno stratagemma. Per distrarti dal dolore che provavi... D'altra parte, un talento è abituato all'ingratitudine umana.

Prese a far strada con un ampio gesto intorno, e senza preamboli:

- Questa che puoi ammirare è una succursale, diciamo, della mia Impresa "Reperti Storici e Affini", -fece apparire, con un altro gesto dei suoi, il proprio biglietto da visita. - Ditta non denunciata ufficialmente ai pubblici registri, s'intende, dato che anch'io, finora, non sono stato denunciato.

- Ma che si può fabbricare, Merlin, in questo inferno di sabbia?

- La sabbia non fabbrica e non crea, certo, ma nasconde, eccome se nasconde bene. A volte, tesori infossati nei secoli. A volte, che so, la "Valigia di Mussolini" che giaceva sepolta qui, e io, anche da ladro specializzato in refurtiva storica, ho l'orecchio fino, l'orecchio di Toscanini, capace di afferrare quella nota stonata rispetto alla logica pecorona dei più, appena percettibile, una nota che suona come una risatina sommessa...

- Dai, Merlin, a chi la racconti? Se n'è favoleggiato, di quella valigia, e forse, chissà, da qualche parte esiste davvero. Ma chi l'ha trovata mai?

Merlin si accese un'altra sigaretta, sempre da prestigiatore, nel vento che incalzava più forte:

- Il sottoscritto Ravasini Luigi! Col mio fiuto e le informazioni di dovere.

Strinse il braccio di Giorgio, si confidò con cautela, come se qualcuno avesse potuto carpire segreti in quel deserto d'anime:

- Era il mio chiodo fisso. Ma nessuno mi credeva, perché tutti hanno la testa tua, coi paraocchi. Ripetevano: come può essere finita in questo mare di niente, la famosa valigia di cuoio che Mussolini portava con sé al momento della sua cattura a Dongo? I giornali, come dici, ci favoleggiavano sopra, e per alcuni si trovava in America, per altri a Mosca, o addirittura depositata nell'Archivio Centrale dello Stato... Ma io amo questa terra e so che è più provvidenziale dell'America, di Mosca, per non parlare degli Archivi statali, che sono pieni solo di merda impolverata... - Parlò a se stesso: - Perciò gliela ridevo: è qui, vi dico, con tutto quello che il Duce si portò via fuggendo: sterline, oro, carteggi... Compreso il grande segreto di Hitler, che avrebbe potuto cambiare il corso della guerra.

Giorgio si augurò che non la tirasse per le lunghe. Merlin si girò di scatto, facendo schizzare la sigaretta verso la luna:

- Insomma, è colpa mia se l'ho trovata proprio io, e con quella ho cominciato a mettermi in grande, perché le sterline e l'oro li ho investiti nella Ditta, e i carteggi poi... Fanno la fila per trattare con me, gli emissari segreti... Emissari del Menga, gli rido in faccia: facce ipocrite da boia, pronti ad ammazzare per un pezzo di carta ingiallita, e poi il delinquente sarei io... Dovunque la si giri, questa patria nostra che ha già la coda fra le gambe, tutte SS, te le ricordi? Dovrebbe stare per: Servizi Segreti. Invece per me suona: Strozzini Stronzi della politica...

"Matto perso!" prese ad esclamare fra sé Giorgio. Mentre l'altro proseguiva, accendendosi sigarette: - Questa è Storia, caro mio. E da allora ho capito che rubando al sottoterra della Storia ciò che la Storia aveva trafugato e nascosto, specie in queste terre e acque battute, sempre, da ogni popolo invasore, predatore e da dinastie macchiate da furtività sanguinarie, anch'io avrei potuto, a mio modo, entrare nella Storia, contribuendo alla conoscenza dei suoi capolavori d'arte e dimostrando che esistono davvero i tesori del Pirata Morgan... "Matto da legare!"

- E in queste sabbie, un giorno, innalzeremo il mio monumento.

"Più matto di quanto potessi pensare. Ma questa è una Strolgheria, dove ci si deve aspettare che anche i cani volino. E poi che ho da perdere, a questo punto, a farmi quattro risate dietro un matto perso, io che mi sono perso proprio perché fra i pochi a non essere matto?"

Giudizio che Giorgio fu costretto a correggere quando Merlin, perdendo amabilmente tempo con lui, e chissà perché (influssi della Strolgaì), prese a invitarlo a casa sua, dicendogli:

- Dammi la tua fiducia, e non rispondermi che non puoi perché rischi che non te la restituisca. Sarebbe una battuta troppo facile.

Era una villa, piuttosto. Arredata con gusto. Ogni mobile, ogni oggetto, reperti storici di valore. Merlin andò illustrando, a Giorgio esterrefatto, i suoi preziosi estratti da fiume mare e terra, fino a introdurlo in un corridoio dal cui fondo veniva una luminosità dorata. Si inoltrarono verso la vetrinetta dove stava sempre accesa una lampada votiva. Rischiarava, dal basso, un supporto a forma di testa umana, collocato in una nicchia, di quelli che servono per appoggiarvi le parrucche. Dalla testa finta, e sul fondo di velluto azzurro, scendeva una treccia che si attorcigliava come un serpente, superba per il suo biondo oro e la sua lunghezza.

A Giorgio, estatico, Merlin spiegò con orgoglio:

- Il pezzo per me più pregiato. La treccia che fu di Matilde di Canossa, ai tempi della sottomissione di Enrico IV a Gregorio VII... Diciamo che anch'io, per quanto presuntuoso come tutti i talenti, sono andato a Canossa... Come hai fatto tu, finendo prima dall'Albina Savi, e poi da me.

Fu con un gesto capriccioso della mano, che Merlin esclamò:

- Ah, Matilde, Matilde! La fola massima di Po... Femmina come poche, e gran puttana come tutte... Il che la dice lunga, se partiamo dal principio degli Scolastici: femina lapsus humani generis!

Stupefatto, Giorgio, anche dal suo sapere. E Merlin spiegò:

- Oggi anche un ladro, specie del mio ramo, dev'essere acculturato. Un tempo c'erano il grimaldello e le dita d'angelo per indovinare la combinazione della Viennese, la cassaforte... Ora, per aprire le porte, serve la falsa cultura, rubata alla cultura vera, con la quale uno passa da genio, mentre il genio autentico lo fanno passare da coglione, e lasciano che si spenga nella sua cella dell'incomprensione.

Giorgio gli chiese notizia della moglie e del figlio, di cui si parlava. Merlin scosse la testa, con un mezzo sorriso di compatimento:

- Cosa dovrei raccontarti, per vederti ridere di nuovo? Che ho sposato una tale e quale Matilde di Canossa, il mio idolo, che conserva il limpido incarnato delle Madonne antiche che puoi ammirare intorno, pur avendo cavalcato e indotto alla sua Canossa sessuale mille amanti di rango e facoltosi, ai cui cazzi degni del sottoterra l'ho rubata, invitandoli poi tutti al mio matrimonio da Ballo in maschera, con tanto di cartoncino filettato d'oro?... E ce n'era una folla, di quei Crescinmano a straccetto e senz'anima, li, ad applaudirci: industriali, banchieri, capintesta d'ogni razza, possidenti... E lanciavano manciate di riso, a simbolo del loro stesso ridere demente, e gridavano "Evviva gli sposi! Siate sposi fedeli e fecondi"... Ma erano le loro ultime, meschine ironie. Perché non solo gliel'avevo rubata, la Favorita del Serraglio, ma qualunque balordata da femmina avesse poi combinato la Matilde, nessuno avrebbe potuto dire di averla rubata a me, ladro per eccellenza, che dimostravo di sapere e di approvare alla grande... Loro, miserabili ladri di sesso, peggio dei ladri di polli... Un ragazzetto sbucò dalla penombra dorata e scappò via. Reperto, l'unico, un po' di sghimbescio, non troppo favorito né dall'arte, né dalla natura:

- E che dovrei dirti di questo mio figlio, che adoro?... Che l'ho chiamato Mercurio, e lui, se ha un po' di gobba, è per il peso di questo nome che deve sopportare?... Ma Mercurio, come sai, fu il dio dei ladri, e, come sostiene il mito, fuggì ancora in fasce dal padre Zeus, rubando cinquanta giovenche dalle mandrie di Apollo, nascondendole in modo che nessuno potesse ritrovarle. Lo vedi, lo vedi come tutto torna?...

Giorgio si lasciò andare su una sediola autentica del Seicento. Allora Merlin gli si piantò davanti, sfogandosi con rabbia:

- Ma vero o falso che sia ciò che ti sto raccontando, anche per tirarti un po' su di morale, in tutto questo non c'è meno ambigua follia, sporca follia, che nel matrimonio della tua Bianca Ghirardini, di cui mi hai parlato la prima volta dentro il casale di Motteggiana, come l'unica consolazione nel tuo delirio di dolore?... - Afferrò le mani di Giorgio: - Ascoltami! Pensa a chi soffre di calcoli nel cuore... C'è persino gente che paga sicari per affondare apposta le navi in mare, e poi si fa milioni a palate col recupero dei relitti, con regolare licenza dello Stato... Almeno io non metto in gioco la vita di nessuno. Al contrario. Io volo, volo! E la Storia vola con me, che vado dicendo alle sue anime chiuse nelle tenebre e nei sepolcri: "Lazzaro, esci!" Io le faccio rinascere le vite, sono come una levatrice di creature dal grembo della terra, che conserva memoria dei primi uragani e il dolce stupore per le prime albe straordinarie... E ti assicuro, amico mio, che perlomeno là sotto un po' di onestà sopravvive fra le tombe.

... E andavano, i due, fra le distese degli aironi rossi, che di colpo si alzavano in volo, lasciando dietro di sé sabbie di una bianchezza abbagliante e facendo dei cieli cupole color sangue... Andavano a mangiare e bere sotto le pergole. Merlin sollevava il bicchiere:

- Alle fole d'ironia!

Giorgio, che dal vinello si sentiva sospinto e sospeso come un aliante, faceva altrettanto. Finché Merlin, un giorno, annunciò:

- Domani ti porto nella Nave di Comacchio. Col suo favoloso carico!

I giornali avrebbero voluto descriverla come una delle più suggestive scoperte del secolo, ma il Ravasini Luigi, che aveva voce in capitolo coi Capintesta della Regione, spesso con lui conniventi, ottenne che fosse tenuta lontana la stampa, che scatena putiferio e magari inchieste perniciose.

La giornata era di primavera e, fra una folla assiepata sugli argini, la Nave si sollevò dal fondo delle acque con mirabili tinte sul blu e sull'oro, installandosi contro il sole che la irradiò nella volta del cielo. Perfetto il suo stato di conservazione, di straordinario interesse il carico di bordo: vasellame prezioso, gemme, scritture, templi in miniatura, che contenevano la mitica "aura": lo spirito intelligente dei morti, che continua a viaggiare nella vita.

Merlin aspettò che si facesse notte. Poi disse a Giorgio:

- Andiamo. Con passo calmo.

Fra guardiani appisolati dal sonno delle cospicue mance ricevute, penetrarono nella Nave e si aggirarono fra le sue meraviglie, che Merlin illustrò da esperto, immedesimandosi nel sognante tragitto che la Nave aveva compiuto nel suo tempo remoto. Quindi si inginocchiò al centro, rivelando:

- La bellezza va sempre pregata, non solo in una donna, e ringraziata d'esistere nelle cose.

Giorgio lo vide chiudere gli occhi, piegare indietro la testa, per assaporare intensamente il respiro della magnificenza che lo circondava, e che pareva ringraziarlo di averla riportata alla luce con il tremolio riflesso, come un mormorare di labbra, dai mille ori e gemme. Quindi Merlin si alzò e invitò Giorgio:

- Ecco. Tutto è a tua disposizione. Approfittane. Puoi camparci tre vite di rendita, se vuoi.

Ma Giorgio non ne approfittò. Proprio perché, come aveva predetto l'Albina Savi, lui restava, pur senza una lira e un lavoro, quello che era e sarebbe stato. Oltre al fatto che le Strolgherie caritatevoli non falliscono mai, ed è ingiusto sfatarle.

I due si abbracciarono. Con una sincerità vera, che li commosse. Merlin accennò ai templi aurei in miniatura:

- Esistono ancora terre remote, dove uno entra in quei templi e ritrova se stesso e un po' di felicità. Ti auguro di raggiungerle, quelle terre...

- Addio, Merlin. E grazie.

Ma, fatti pochi passi, una forza fortemente terrena spinse Giorgio a fermarsi, a intendere nell'aria una rivelazione non ancora manifesta, a girarsi: allora Merlin gli apparve come era accaduto la prima volta, nel casale di Motteggiana, un povero relitto uguale agli altri prigionieri, anche se ostentava più cinismo dei compagni, come loro buttato in un lurido giaciglio, forse sul punto di essere sparato. Un Merlin che non aveva ancora scoperto nessuna valigia di Mussolini, non possedeva alcuna treccia di Matilde di Canossa, né una moglie che aveva sposato in quanto simile al suo idolo di femmina, tanto: lapsus per lapsus... Il Merlin che, anziché chiedergli un po' di tabacco, gli confessava con gli occhi rossi:

- Tutto ciò che ti ho raccontato, e faccio... E perché ho il terrore di finirci io infossato nei sabbioni di Donada, senza che nessuno, un giorno, sia capace di ritrovarmi, per riportarmi alla luce.

Riafferrò una mano di Giorgio:

- Io ho paura di morire, amico.... E le voci, le voci. Chissà di chi, nella vegetazione. Forse di nessuno. O forse era il venticello:

"Lo sai che l'universo, in principio, aveva la grandezza di un pisello?... Che le galassie si scontrano?... Che la natura è come Sheherazade, ossia racconta storie su storie?... Che esiste l'enigma dei pianeti giganti?... Stai bene attento a come leggi il cielo. Perché la realtà che si tocca rimarrà per sempre divisa in due parti diverse come la notte e il giorno. L'importante è restare nel mezzo, sul filo di un rasoio che non ti taglia, ma ti sfiora, persino a volte ti accarezza, e ti illumina... Ma si mantiene, sappilo, un rasoio!"

Finché...

Il vero della stupefazione tornò a incidersi nel suo corpo, nel vivo delle sue ferite, a scuoterlo come un batticuore.

Giorgio era là che si tuffava nel sottobosco del lungofiume, e c'erano rondoni che saettavano via, di striscio, quasi volessero colpirlo come folgori felici. Si arrestò di colpo. Un daino lo fissava immobile a una certa distanza. In quella zona, accadeva di imbattersi nei daini. Ma l'apparizione si fece sconcertante.

Il giovane animale gli stava manifestando, con occhi mansueti, la profonda nostalgia che provava per i vivi, un'ansietà di comunicare. Il muso, tuttavia, Giorgio non riusciva a distinguerlo con la nitidezza che pure avrebbe dovuto consentire la relativa distanza che li separava. Lo vedeva circonfuso da un alone dorato, e subito pensò di essersi imbattuto in un'altra Strolgheria, in una creatura irreale, piovuta dal cielo.

Scrutando, scoprì che stavolta era il contrario. Il giovane daino era, più che mai, una creatura di terra e di foresta, lo era drammaticamente e al punto da lasciare sgomenti per la spietatezza che può avere la foresta umana. La bestia era stata sparata da un cacciatore, che l'aveva mancata di un soffio. La pallottola l'aveva centrata in un orecchio. E ora il foro del proiettile lasciava filtrare un raggio di sole che spioveva fra gli alberi fitti.

Un raggio, splendente, che dava idea del divino. Mentre era il segno dell'immensa desolazione che il daino provava, un segno del suo dolore.

Di una brutale verità anche uno dei titoli, a molte colonne, dei giornali che Giorgio sfogliò una mattina. Dimenticati ormai i misfatti del Triangolo Rosso, la stampa era passata ad altri delitti, più conformi alla normalità della vita.

Giorgio lesse, in prima pagina: "Il delitto degli amanti diabolici".

A Bocca di Ganda, dove gli argini si specchiano nelle lanche deserte e affondano fra distese di canneti, era stata notata un'automobile di lusso. Ferma fra i resti di barche sfasciate. Da fuori, non si vedeva nulla, i finestrini essendo incrostati di brina. Dapprima, i rari passanti tirarono dritto, pensando ai "fatti loro" che, in quei luoghi appartati, si concedevano quanti potevano permettersi un'auto simile. Ma certi fatti all'aperto, benché piacevoli, non durano due notti e due giorni, perciò qualcuno si preoccupò di informare chi di dovere.

All'interno, era stato rinvenuto il cadavere dell'Emilio Bonafini, figlio del Cavaliere del lavoro Athos: "Costruzioni Stradali Idrauliche, Pietrischi, Bitumi, Calcestruzzi". Un foro di proiettile nella tempia destra. Sparato da una pistola a canna corta di piccolo calibro, trovata nel sedile accanto al posto di guida, come scivolata dalla mano del morto, con le impronte sue sull'impugnatura: messinscena di un suicidio, che appariva maldestra e grossolana, disposta da chi era stato incalzato dalla fretta o frastornato dal tumulto per il crimine commesso.

Giorgio seguì gli eventi successivi al ritrovamento, ammucchiando le cronache di cui sottolineava titoli e sottotitoli, nonché certi passi degli articoli:

... "Anche in questo angolo dì mondo, uno dì quei supergialli che sembrano appassionare tanto gli italiani del dopoguerra".

"Dopo gli omicidi brutali mascherati dalle false bandiere dell'ideologia, che seminavano le strade di orrore, un delitto passionale, tipicamente emiliano".

"Una torbida storia di sesso? Oppure di loschi traffici?"

"Bianca Ghirardini, moglie della vittima, mantide o capro espiatorio?"

"... Secondo logica, la colpevolezza della donna è un assurdo. Ma caratteristica dei grandi delitti è proprio l'assurdo".

"Fabrizio Mora, l'amante : pronto ad essere marito di tutte le mogli facoltose e moglie di tutti i facoltosi mariti".

"Non sono un'assassina".

"Bianca Ghirardini, angelo o demone?... La sua apparenza si presta agli aggettivi più facili e scontati. Il corpo: sinuoso, è ovvio. La sua sensualità: prorompente, è ovvio. Gli occhi: ovviamente fra il verde e il grigio, assetati degli occhi altrui. Durante gli interrogatori, tuttavia, la donna appare assente, come disinteressata agli sviluppi del caso che pure la vede protagonista. Difficile accertare se esista, in lei, il calcolo della perfidia. Consiste anche in questo il suo fascino indiscutibile, che era una trappola per gli uomini (il Bonafini se ne innamorò al punto di aprire generosamente il portafoglio all'amante Fabrizio Mora, purché non la staccasse da lui)... La Ghirardini ripete: - E vero, non amavo mio marito. Il matrimonio mi è stato imposto. È vero, ed era noto a tutti: avevo per amante Fabrizio Mora. Ma non ho ucciso nessuno -. Ripete agli inquirenti: - Non abbiate pudori nei miei confronti".

"Il Bonafini, da pochi mesi, aveva cambiato il testamento: tutto alla moglie. Perché? Forse manipolato. Ma da chi?"

"... Il Mora potrebbe essere stato indotto a uccidere il Bonafini per entrare indirettamente in possesso della sua fortuna. Infatti, si vantava in pubblico: la Bianca? Quella me la gioco come voglio: per me va fuori di testa e se schiocco le dita, sarebbe pronta a fare qualsiasi cosa, anche ad ammazzare".

 

Da un interrogatorio di Fabrizio Mora: "Bianca Ghirardini era innamorata di lei..." "Essere innamorati non significa perdere la testa. E poi mi chiedo: se era davvero innamorata, perché pretendeva di continuo la parte del mio corpo dove sono più dotato, e non è certo il cervello, lo riconosco? Di quello che pensavo io non gliene importava nulla, e mi ordinava "Zitto!" qualunque idea o opinione esprimessi".

"E lei, era innamorato della Ghirardini?" "Riconosco che sapeva come soddisfarmi. Ma dire innamorato, è troppo. Tutti sanno che potevo farmi le femmine più ambite, non solo da queste parti, ma in città di mezza Italia".

"Forse, era innamorato dei suoi soldi..." "Un controsenso. Stavo con Bianca perché aveva un'arte particolare nel fare l'amore, e non è da tutte. Insomma, mi piaceva. Per il resto, avevo a disposizione amanti molto più ricche di lei, nel giro dei grandi industriali del nord. Volete la lista?" "Non ci interessa".

"O avete paura, piuttosto, di renderla pubblica?" "Buon gusto e discrezione, non paura. Però abbiamo accertato che le amanti indubbiamente facoltose che lei vanta, sono in buona misura donne attempate, per essere magnanimi... E da loro, lei si faceva pagare le sue prestazioni sessuali".

"La vostra è diffamazione bella e buona. Se mi gratificavano con qualche regalo, era più che comprensibile, visto come le gratificavo io, con il mio dono. Uno scambio di regali, come di solito avviene fra due amanti... E questa è la lista!" "Se la tenga".

"D'accordo. Riconosco che scotta. Ma, da uomo innocente e sereno, vi do un consiglio. Voi vi state lasciando abbagliare da un certo tipo di scandalo da cinema, come la gente, l'opinione pubblica, che non sono assetate d'altro, anche se poi mettono in croce tipi come me... E così state trascurando altre piste, dove agiscono ben altri tipi, che si fanno giustizieri e ammazzano non certo per ragioni sessuali e passionali".

"Una pista non trascurabile. Il feroce mondo dell'Usura".

"... Che il Mora veda giusto con certe sue allusioni? Attilio Ghirardini, il padre di Bianca, secondo voci attendibili indubbiamente ras dell'Usura, avrebbe coinvolto, come complice del suo giro, il genero Bonafini, forse assassinato per vendetta da una delle infinite vittime dello strozzinaggio".

"Trovate confessioni scritte dall'industriale ucciso".

"... Il Bonafini, benché ritenuto marito per burla, adorava la moglie. La faceva vivere nell'agiatezza e, pur di non perderla, chiudeva gli occhi su tutto. In un'agenda di lavoro, stranamente, egli appuntava: Bianca è meravigliosa. Ma Bianca mi fa impazzire... Un altro appunto: non sopporto più il suo amore per un altro uomo... Frasi che potrebbero accreditare l'ipotesi del suicidio, all'inizio troppo frettolosamente scartata".

"Un trio a luci rosse finito nel rosso del sangue?" "Gli enigmi del Triangolo Rosso si dissolvono nell'enigma del Triangolo Rosa?"

"... Emilio Bonafini, chiamato scherzosamente dagli amici più intimi Sluma, avrebbe organizzato giochi erotici, assistendo alle prestazioni della moglie a favore di altri. Gli inquirenti sono venuti in possesso di fotografie scattate durante atti osceni ed esibizioni pornografiche di Bianca Ghirardini col Fabrizio Mora... Chi le ha scattate? Se non è stato il Bonafini, chi le ha nascoste, per incastrarlo, in un cassetto segreto del suo studio alla villa?... Il gioco di specchi di questo delitto non ha fine".

Da un interrogatorio di Fabrizio Mora.

"... Che al Bonafini piacesse farlo con altri, non saprei dire. Per quanto mi riguarda, quelle foto sono state scattate a mia insaputa. Tuttavia ammetto, per mia esperienza, che a molti uomini piace farlo con le proprie mogli, adducendo a pretesto che, da ciò che vedono coi propri occhi, non si sentono traditi, tantomeno esclusi... Hanno persino idea di riscattarsi dalle umiliazioni occulte che subiscono, senza capire che così facendo si umiliano mille volte di più, si umiliano a morte... Forse il Bonafini si è davvero sparato, per vergogna. Oppure Bianca si è stancata di stare al gioco e di vivere nella finzione. Non ha retto più... Provava, per quel marito, ripugnanza fisica. Mi confessava: dormire con lui nello stesso letto mi fa ribrezzo, se mi tocca è un inferno..."

Da un interrogatorio di Attilio Ghirardini, padre di Bianca.

"È vero che lei ha coinvolto suo genero nei traffici dell'Usura?"

"La mia ricchezza non è fatta di dolori altrui. In certi casi, sono semplicemente un benefattore che, se può dare una mano a un amico, la dà... Io non ho mai perseguito interessi a strozzo, ma interessi umani, lasciando piena libertà a chi aveva la delicatezza di dimostrarmeli. E in cambio, dando, non pretendendo. Forse in questo, solo in questo, ho sbagliato: anche con mia figlia Bianca. Sono stato di manica troppo larga, permettendole di fare tutto ciò che voleva".

"Quindi esclude che il Bonafini possa essere stato ucciso per una vendetta. Magari trasversale, contro di lei?"

"Non lo escludo. Ma se di vendetta si è trattato, l'Usura non c'entra. Per rancore e invidia, piuttosto, per qualche rivale in affari. Bassezze che sono cominciate fin da quando è cominciata la mia fortuna economica... Maledetti soldi, ai quali non ho mai badato più di tanto, perché è così che si fanno i soldi, quando rischi alzando le spalle, e di un affare ti dici: vada come deve andare... Poi, certo, scopri che hai fiuto, che sei nato per questo, e fai centro".

"C'è una lista di testimonianze. Disgraziati messi a strozzo da lei fino alla disperazione, costretti persino a venderle le proprie donne, al posto del denaro che non potevano restituirle... Una lista di donne che lei costringeva a darle se stesse, per pagare, in tal modo, quegli interessi che lei definisce umani".

"Lo provino. Le dicerie non sono prove! E per quanto riguarda Bianca, ignoravo completamente che vivesse in quel modo, in quegli ambienti... Se sono vere le dichiarazioni del Mora, e non vedo perché dovrei dubitarne, io da questo momento la disconosco come figlia! Ho sempre avuto dei principi, io. E credo nella morale di Dio".