Amaryl rimase immobile, sentendosi un po’ ferito. Non gli andava che si criticasse il prodotto del Primo Radiante... neppure da parte di una bambina di dodici anni che non sapeva neppure che cosa fosse.

E mentre rimaneva là immobile, non aveva neppure lontanamente il sospetto che la rivoluzione psicostorica fosse iniziata.

4

Quello stesso pomeriggio, Amaryl si recò nell’ufficio di Seldon all’Università di Streeling. Già questo, di per sé, era strano, perché Amaryl non lasciava quasi mai il suo ufficio (nemmeno per parlare con un collega che si trovasse alla fine del corridoio).

— Hari — disse Amaryl, con la fronte corrucciata e con un’aria sbalordita. — È

successo qualcosa di strano: una cosa davvero bizzarra.

Seldon guardò Amaryl con una certa amarezza. L’amico aveva solo cinquantatré anni, ma sembrava molto più anziano, curvo, consumato fino a sembrare trasparente.

Quando vi era costretto, si sottoponeva agli esami dei medici e tutti gli consigliavano di smettere di lavorare per qualche tempo (alcuni dicevano per sempre), e di riposarsi.

Solo questo, avevano detto i medici, poteva migliorare la sua salute. Seldon aveva scosso la testa. — Allontanatelo dal suo lavoro, e morirà ancora prima... e per di più infelice. Non abbiamo scelta.

Poi Seldon si accorse che, perso in quei pensieri, non aveva prestato attenzione a ciò che Amaryl stesse dicendo. Disse: — Mi spiace, Yugo. Sono un po’ distratto.

Potresti ripetere?

Amaryl disse: — Ti sto dicendo che è successa una cosa molto strana. Bizzarra.

— Cos’è successo?

— È stata Wanda. È venuta a trovarmi... molto triste e preoccupata.

— Perché?

— A quanto pare, a causa della nuova bambina.

— Ah, sì — disse Hari, con ben più di una sfumatura di colpevolezza nella voce.

— Ha detto così, e si è messa a piangere sulla mia spalla... a dire il vero, Hari, ho pianto un po’ anch’io. Poi mi è venuto in mente di divertirla mostrandole il Primo Radiante. — Amaryl esitò, come se stesse scegliendo con molta cura le sue prossime parole.

— Vai avanti, Yugo. Cos’è capitato?

— Be’, ha ammirato tutte le luci e io ne ho ingrandita una parte, per essere precisi la Sezione 42R254. La conosci?

Seldon sorrise. — No, Yugo: non ho memorizzato tutte le equazioni come fai tu.

— Dovresti — disse severamente Amaryl. — Come puoi fare un buon lavoro se...

Ma non importa. Ciò che sto tentando di dirti, è che Wanda ne ha indicata una parte e ha detto che non era giusta: non era bella.

— Perché no? Tutti noi abbiamo i nostri gusti personali.

— Sì, certo, ma io sono rimasto a pensarci, ed ho passato un po’ di tempo a rivederla, e... Hari, c’era davvero qualcosa che non andava. La programmazione era inesatta e l’area, l’area esatta che Wanda aveva indicato, non serviva a nulla. E, a dire il vero, non era affatto bella.

Seldon si raddrizzò piuttosto rigidamente, aggrottando la fronte. — Fammi capire bene, Yugo. Ha indicato qualcosa, a caso, ha detto che non fosse giusto, ed aveva ragione?

— Sì. Ha indicato, ma non a caso; è stata molto selettiva.

— Ma è impossibile.

— Ma è successo. Ero presente.

— Non sto dicendo che non sia vero, sto dicendo che sia stata solo una fortunata coincidenza.

— Ne sei sicuro? Credi che, pur con tutta la tua conoscenza della Psicostoria, saresti capace di dare una sola occhiata ad una nuova serie di equazioni e di dirmi che una piccola parte non sia esatta?

Seldon disse: — Be’, allora, Yugo, come mai hai ingrandito quella particolare sezione delle equazioni? Che cosa ti ha spinto a scegliere quel pezzo da ingrandire?

Amaryl si strinse nelle spalle. — Questa è stata una coincidenza, se la vuoi definire così. Ho solo armeggiato coi controlli.

— Non può essere stata una coincidenza — bofonchiò Seldon. Per qualche istante rimase immerso nei suoi pensieri, poi pose la domanda che fece fare un passo in avanti alla rivoluzione psicostorica iniziata da Wanda.

Disse: — Yugo, non avevi mai avuto dubbi su quelle equazioni prima di allora?

Avevi qualche motivo per credere che ci fosse qualcosa di sbagliato?

Amaryl torturò la cintura del suo abito monopezzo con aria imbarazzata. — Be’, credo di sì. Vedi...

Credi di sì?

— Ne sono certo. Ricordo che quando le stavo impostando – sai, era una nuova sezione – le mie dita sembravano incepparsi sul programmatore. Allora mi sembrava tutto esatto, ma immagino di aver continuato a preoccuparmi dentro di me. Ricordo anche di aver pensato che non avesse un aspetto del tutto soddisfacente, ma avevo altre cose da fare ed ho lasciato perdere. Però dopo, quando Wanda ha indicato esattamente l’area in questione, ho deciso di controllarla... in caso contrario, avrei attribuito tutto ad una fantasia infantile.

— E hai ingrandito proprio quel frammento delle equazioni da mostrare a Wanda.

Come se continuasse a roderti la mente inconscia.

Amaryl alzò le spalle. — Chi lo sa.

— E poco prima, eravate a contatto ravvicinato, vi stavate abbracciando, stavate piangendo tutti e due.

Amaryl alzò di nuovo le spalle, con l’aria di essere ancora più imbarazzato.

Seldon disse: — Credo di sapere cos’è successo, Yugo: Wanda ha letto la tua mente.

Amaryl sobbalzò come se fosse stato morso. — Questo è impossibile!

Lentamente, Seldon disse: — Un tempo conoscevo una persona che possedeva strani poteri mentali di questo tipo... — (e pensò tristemente a Eto Demerzel, o, come era stato conosciuto per migliaia di anni, R. Daneel) — ... solo che lui era in un certo senso più che umano. Ma la sua abilità di leggere nella mente, di percepire i pensieri degli altri, di persuadere la gente ad agire in un certo modo, quella era una abilità mentale, che non aveva niente a che fare con la sua natura non-umana. Credo che, in qualche modo, anche Wanda abbia questa capacità.

— Non posso crederci — disse testardamente Amaryl.

— Io posso — disse Seldon — ma non so cosa farne. — Udì vagamente il rumoreggiare di una rivoluzione nella ricerca psicostorica... ma solo molto vagamente.

5

— Papà — disse Raych, leggermente preoccupato — sembri stanco.

— Proprio così — disse Hari Seldon — mi sento stanco. Ma tu, come stai?

Raych aveva quarantaquattro anni ed i suoi capelli iniziavano ad ingrigire, ma i baffi rimanevano folti e scuri e conservavano un aspetto molto dahlita. A volte Seldon si domandava se non si ritoccasse i baffi con qualche tintura, ma sarebbe stata la cosa sbagliata da chiedere.

Seldon disse: — Hai finito per un po’ di tenere conferenze?

— Per qualche tempo. Non per molto. E sono felice di essere a casa e di poter vedere la bambina, Manella, Wanda... ed anche te, papà.

— Grazie, ma ho delle novità per te. Raych, niente più conferenze: avrò bisogno di te qui.

Raych si rabbuiò. — Per cosa? — In due diverse occasioni era stato incaricato di compiere missioni delicate, ma quelli erano i tempi della minaccia Joranumita. Per quanto ne sapesse, ora la situazione era calma, specialmente con il tracollo della Giunta e l’insediamento di un insipido Imperatore.

— Si tratta di Wanda — disse Seldon.

— Wanda? Cosa c’è che non vada in Wanda?

— Niente, ma dovremo estrapolare il suo genoma completo – questo vale anche per te e Manella – ed eventualmente per la nuova bambina.

— Anche per Bellis? Cosa sta succedendo?

Seldon esitò. — Raych, sai che tua madre ed io abbiamo sempre pensato ci fosse qualcosa di adorabile in te, qualcosa che ispirasse affetto e fiducia.

— So che lo pensavate. Lo ripetevate abbastanza spesso quando tentavate di farmi fare qualcosa di difficile. Ma sarò franco con te: io non l’ho mai sentito.

— No, però hai saputo conquistare me e... Dors. — (Aveva difficoltà a pronunciare quel nome anche se erano passati quattro anni dalla sua distruzione.) —

Hai conquistato Rachelle di Wye. Hai conquistato Joranum. Hai conquistato Manella.

Come spieghi tutto questo?

— Intelligenza e fascino — disse Raych sogghignando.

— Non hai mai pensato di poter essere in contatto con le loro... le nostre... menti?

— No, non ci ho mai pensato. E ora che lo dici, penso che sia un’ipotesi ridicola...

Con tutto il dovuto rispetto, naturalmente, papà.

— Cosa faresti se ti dicessi che Wanda sembra aver letto nella mente di Yugo in un momento di crisi?

— Una coincidenza, direi, od una fantasia.

— Raych, io conoscevo una persona che poteva manipolare le menti con la stessa facilità con la quale tu ed io sappiamo parlare.

— Chi era?

— Non posso parlartene, però credimi sulla parola.

— Be’... — disse Raych dubbioso.

— Sono andato alla Biblioteca Galattica, a controllare casi simili. C’è una storia curiosa, che risale a circa ventimila anni fa e pertanto al nebbioso periodo delle origini dei viaggi iperspaziali. Riguarda una giovane donna, non molto più vecchia di Wanda, capace di comunicare con un intero pianeta che ruotasse intorno ad un sole chiamato Nemesis8.

— Certo è una fiaba.

Certo. Ed è anche incompleta. Ma le somiglianze con Wanda sono stupefacenti. Raych disse: — Papà, cos’hai in mente?

— Non ne sono sicuro, Raych. Devo conoscere il genoma, e devo trovare altre persone come Wanda. Ho idea che certi giovani, non spesso, ma occasionalmente, nascano con simili poteri mentali, ma poi per questo motivo finiscano col trovarsi nei guai e allora imparino a mascherarli. E mentre crescono, la loro abilità, il loro talento, viene sepolto nelle profondità delle loro menti... come in un gesto inconscio di autoconservazione. Senza dubbio nell’Impero, o anche solo fra i quaranta miliardi di persone che vivono su Trantor, devono esserci altri individui simili, come Wanda, e se conosco il genoma che cerco, posso confrontarlo con quello dei potenziali candidati.

— E cosa faresti di loro se li trovassi, papà?

— Ho idea che siano ciò di cui io abbia bisogno per l’ulteriore sviluppo della Psicostoria.

Raych disse: — E siccome Wanda è la prima di quel tipo che conosci, tu vorresti farne una psicostorica?

— Forse.

— Come Yugo... Papà, no!

— Perché no?

— Perché voglio che cresca come una ragazza normale e diventi una donna normale. Non permetterò che tu la metta davanti al Primo Radiante o a come chiami quello strumento, per farla diventare un monumento vivente alla sua matematica.

8 Autocitazione. Asimov si riferisce al proprio romanzo Nemesis del 1989. ( N.d.R. ) Seldon disse: — Può anche darsi che non si arrivi a questo, Raych, ma dobbiamo avere il suo genoma. Tu sai che da migliaia di anni si proponga che ogni essere umano faccia registrare il proprio genoma. È solo il costo che impedisce a questa pratica di diventare generalizzata: nessuno ne mette in dubbio l’utilità. Di sicuro ne vedrai anche tu i vantaggi. Se non altro, conosceremo le tendenze di Wanda nei confronti di svariati disordini fisiologici. Se avessimo avuto il genoma di Yugo, sono certo che ora non sarebbe quasi morente. Sicuramente possiamo arrivare fino a questo punto.

— Be’, forse, papà, ma non oltre. Sono pronto a scommettere che Manella sarà molto più decisa di me.

Seldon disse: — Bene. Ma ricordati, basta con le conferenze: ho bisogno di te qui a casa.

— Vedremo — disse Raych, e se ne andò.

Seldon rimase seduto, dubbioso sul da farsi. Eto Demerzel, l’unica persona che lui sapesse capace di manipolare le menti, avrebbe saputo cosa fare. Dors, con la sua conoscenza non-umana, avrebbe potuto saperlo a sua volta.

Lui, invece, aveva solo una vaga visione di una nuova Psicostoria... ma niente di più.

6

Non fu un’impresa facile ottenere il genoma completo di Wanda. Tanto per iniziare, il numero di biofisici attrezzati per quel tipo di operazione era piuttosto ridotto, e quelli che esistevano erano sempre impegnati.

Seldon non poteva nemmeno parlare apertamente delle sue necessità, per poter interessare i biofisici. Era assolutamente essenziale, riteneva Seldon, che la vera ragione del suo interesse per i poteri mentali di Wanda venisse tenuta segreta a tutta la Galassia.

E se era necessaria un’altra difficoltà, il processo era tremendamente dispendioso.

Seldon scosse il capo e disse a Mian Endelecki, il biofisico che stava consultando:

— Perché è così costoso, dottoressa Endelecki? Non sono un esperto del campo, ma a quanto ne sappia il processo è del tutto computerizzato, ed una volta ottenuto un frammento di cellule dell’epidermide, il genoma può essere completamente costruito e analizzato in pochi giorni.

— Questo è vero. Ma fare in modo che una molecola di acido desossiribonucleico si dipani per tutti i suoi miliardi di nucleotidi, con ogni purina e pirimidina al proprio posto, è il meno; è veramente la parte meno difficile, professor Seldon. Poi viene il problema di studiarli uno alla volta e di confrontarli con un campione generale.

«Ora, in primo luogo occorre tenere presente che, anche se abbiamo registrazioni di genomi completi, essi rappresentino una minuscola frazione di tutti i genomi esistenti, quindi non possiamo sapere esattamente fino a che punto siano generali.

Seldon chiese: — Perché ne possedete così pochi?

— Per numerosi motivi. Il costo, per esempio. Poche persone sono disposte a spendere denaro a questo scopo, a meno che non abbiano fondate ragioni per credere che vi sia qualche aberrazione nel loro genoma. E se non hanno più che valide ragioni, sono riluttanti a farsi analizzare per paura di trovare qualcosa di anomalo.

Allora, siete proprio deciso a voler fare analizzare il genoma di vostra nipote?

— Sì, senz’altro. È incredibilmente importante.

— Perché? Mostra segni di anomalie metaboliche?

— No, non ne mostra alcuna... caso mai il contrario, se conoscessi l’opposto di

“anomalia”. La considero una persona alquanto insolita e voglio sapere che cosa esattamente la renda insolita.

— Insolita in che senso?

— Mentalmente, ma mi è impossibile entrare nei dettagli, poiché io stesso non comprendo del tutto il fenomeno. Forse ci riuscirò dopo aver ottenuto il suo genoma.

— Quanti anni ha?

— Dodici. Tra poco ne avrà tredici.

— In questo caso, avrò bisogno del permesso dei genitori. Seldon si schiarì la voce. — Potrebbe essere difficile ottenerlo. Sono suo nonno, non basterebbe il mio permesso?

— Per quanto mi riguarda, non avrei problemi. Ma, sapete, ci sono anche delle leggi: non vorrei perdere la mia licenza ad esercitare.

Seldon dovette avvicinare di nuovo Raych. Anche questa volta fu un’impresa difficile, perché Raych protestò nuovamente che lui e sua moglie Manella volessero che Wanda vivesse un’esistenza normale; cosa sarebbe successo se il suo genoma fosse risultato anormale... sarebbe stata isolata per poter essere esaminata e studiata come un animale da laboratorio? Hari, nella sua fanatica dedizione al Progetto psicostorico, l’avrebbe costretta ad una vita consacrata solo al lavoro e priva di qualsiasi divertimento, isolandola dalle altre persone della sua età? Ma Seldon era insistente.

— Fidati di me, Raych. Non farei mai niente per danneggiare Wanda. Ma dobbiamo farlo. Devo conoscere il genoma di Wanda. Se ciò che sospetto è vero, potremmo essere sul punto di alterare il corso della Psicostoria, del futuro della Galassia stessa!

E così, Raych fu convinto, ed in qualche modo ottenne anche il permesso di Manella. Ed insieme, i tre adulti portarono Wanda nell’ufficio della dottoressa Endelecki.

Mian Endelecki li accolse sulla porta del suo ufficio. I suoi capelli erano candidi ma il viso non mostrava tracce di anzianità.

Guardò la bambina, che entrò con un’aria incuriosita, ma senza alcun segno di paura o preoccupazione. Poi rivolse lo sguardo ai tre adulti che l’avevano accompagnata.

Disse con un sorriso: — Madre, padre, e nonno... ho ragione?

Seldon rispose: — Pienamente ragione.

Raych aveva un’aria scontrosa, e Manella, con il viso leggermente gonfio e gli occhi rossi, sembrava stanca.

— Wanda — iniziò la dottoressa — ti chiami così, non è vero?

— Sì, signora — disse Wanda con la sua voce cristallina.

— Ti dirò esattamente quello che sto per farti. Usi la mano destra, immagino.

— Sì, signora.

— Bene. Allora, spruzzerò su una piccola parte del tuo avambraccio sinistro un po’ di anestetico. Sembrerà una ventata di aria fresca. Nient’altro. Poi ti gratterò via un po’ di pelle... solo un pezzettino. Non sentirai male, non ci sarà sangue, non ne resterà il segno. Quando avrò finito, ci spruzzerò sopra un po’ di disinfettante. Ci vorranno solo pochi minuti. Sei d’accordo?

— Certo — disse Wanda tendendo il braccio.

Quando ebbe finito, Mian Endelecki disse: — Inserirò il frammento sotto il microscopio, sceglierò una cellula adatta, e metterò al lavoro il mio genoanalizzatore computerizzato. Registrerà ogni nucleotide, ma ce ne sono miliardi. Ci vorrà quasi tutta la giornata. È tutto automatico, naturalmente, così non dovrò stare seduta a guardare, ed è inutile che anche voi lo facciate.

«Una volta preparato il genoma, ci vorrà ancora più tempo per analizzarlo. Se volete un lavoro completo, ci vorranno due settimane. È per questo che si tratta di una procedura costosa. Il lavoro è difficile e lungo. Vi chiamerò quando avrò finito.

Si girò come se avesse finito con la famiglia, e si mise a lavorare con la macchina luccicante sul tavolo di fronte a lei.

Seldon disse: — Se doveste scoprire qualcosa di strano, mi avvertirete immediatamente? Voglio dire, se scoprite qualcosa nella prima ora non aspettate di finire tutta l’analisi: non tenetemi col fiato sospeso.

— Le possibilità di trovare qualcosa nella prima ora sono molto scarse, professor Seldon, ma vi prometto che mi metterò subito in contatto con voi se sarà necessario.

Manella agguantò Wanda per il braccio e la condusse fuori trionfalmente; Raych li seguì trascinando i piedi. Seldon rimase indietro e disse: — Tutto questo è più importante di quanto pensiate, dottoressa Endelecki.

Mian Endelecki annuì dicendo: — Qualunque sia il motivo, professore, farò del mio meglio.

Seldon uscì, le labbra serrate. Perché mai avesse pensato che in qualche modo il genoma potesse essere estratto in cinque minuti, e che una semplice occhiata sarebbe bastata a trovare la soluzione, proprio non riusciva a capirlo. Adesso avrebbe dovuto aspettare per settimane, senza sapere nemmeno cosa avrebbero potuto scoprire.

Strinse i denti. La nuova creatura appena nata dal suo cervello, la Seconda Fondazione, si sarebbe mai realizzata, od era solo un’illusione destinata a restare sempre tale?

7

Hari Seldon entrò nell’ufficio della dottoressa Endelecki con un sorriso nervoso sul volto.

Disse: — Dottoressa, avevate detto un paio di settimane. Ormai è passato più di un mese.

Mian Endelecki annuì. — Mi spiace, professor Seldon, ma volevate un esame accurato ed è proprio quello che ho cercato di ottenere.

— E allora? — L’ansia sul volto di Seldon non scomparve. — Cosa avete trovato?

— Circa un centinaio di geni difettosi.

— Cosa? Geni difettosi. Dite sul serio, dottoressa?

— Certo. Cosa c’è di strano? Non esistono genomi che non contengano almeno un centinaio di geni difettosi; di solito, anzi, sono molto più numerosi. Sapete, non è affatto così grave come sembra.

— No, non lo so: siete voi l’esperta, dottoressa, non io.

La dottoressa Endelecki sospirò e si spostò sulla sedia. — Non sapete nulla di genetica, vero, professore?

— No, non ne so nulla: non si può sapere tutto.

— Avete perfettamente ragione. Io, per esempio, non so nulla di questa... come la chiamate?... questa vostra Psicostoria.

Mian Endelecki si strinse nelle spalle, poi continuò: — Se voleste spiegarmi qualcosa dovreste iniziare dal principio, ed io, probabilmente, non capirei lo stesso nulla. Quanto alla genetica...

— Sì?

Solitamente un gene imperfetto non implica niente. Esistono dei geni imperfetti, così imperfetti e così cruciali, che sono all’origine di terribili malattie.

Tuttavia sono molto rari. La maggior parte dei geni imperfetti, semplicemente, non lavora con una assoluta precisione. Sono come delle ruote leggermente fuori asse. Un veicolo continuerebbe a funzionare, ondeggiando un poco, ma continuerebbe a marciare.

— È questo che ha Wanda?

— Sì. Più o meno. Dopo tutto, se ogni gene fosse perfetto, noi tutti avremmo lo stesso identico aspetto e ci comporteremmo nello stesso identico modo. Sono le differenze tra i geni che producono persone diverse.

— Ma non peggiorerà con l’età?

— Sì. Noi tutti peggioriamo con l’età. Ho notato che zoppicavate quando siete entrato. Come mai?

— Un po’ di sciatica — bofonchiò Seldon.

— L’avete avuta per tutta la vita?

— No di certo.

— Ecco, alcuni dei vostri geni si sono deteriorati col tempo ed ora zoppicate.

— E cosa succederà a Wanda col tempo?

— Non lo so. Non sono in grado di prevedere il futuro, professore; credo che si tratti del vostro campo. Comunque, se dovessi cercare di indovinare, direi che non accadrà niente di strano a Wanda – almeno geneticamente – tranne l’accumularsi dell’età.

Seldon disse: — Ne siete sicura?

— Dovete credermi sulla parola. Volevate conoscere il genoma di Wanda, e avete corso il rischio di scoprire cose che forse è meglio ignorare. Ma posso dirvi che, a mio parere, non esistono i presupposti perché le possa accadere qualcosa di terribile.

— I geni imperfetti... dovremmo ripararli? Possiamo ripararli?

— No. In primo luogo, sarebbe molto costoso. E poi, è probabile che non rimarrebbero corretti. Ed infine, la gente è contraria.

— Ma perché?

— Perché sono contrari alla scienza in generale. Questo dovreste saperlo meglio di chiunque altro, professore. Temo che la situazione attuale, specialmente dopo la morte di Cleon, favorisca la rinascita del misticismo. La gente non crede alla riparazione dei geni con metodi scientifici. Preferirebbero curare le malattie imponendo le mani o con qualche tipo di cerimoniale oscuro. Francamente, mi è piuttosto difficile continuare il mio lavoro: guadagno molto poco.

Seldon annuì. — A dire il vero, comprendo benissimo questa situazione. La Psicostoria è in grado di spiegarla ma, onestamente, non credevo che la situazione stesse peggiorando così in fretta. Sono stato troppo preso dal mio lavoro per notare le difficoltà che mi si accumulavano intorno. — Sospirò. — Da più di trent’anni assisto al lento sgretolarsi dell’Impero Galattico, ed adesso che ha iniziato a crollare così rapidamente non riesco ad immaginare come potremo fermarlo in tempo.

— State tentando di fare questo? — Mian Endelecki sembrava divertita.

— Sì, ci sto provando.

— Buona fortuna... Ma torniamo alla vostra sciatica. Sapete, cinquant’anni fa avremmo potuto curarla. Ora non più.

— Come mai?

— Be’, gli strumenti necessari sono scomparsi da tempo; le persone che li sapevano usare sono occupate in altri campi. La medicina è in declino.

— Come tutto il resto — rifletté Seldon. — Ma torniamo a Wanda... Ho la sensazione che sia una ragazza con un cervello diverso dagli altri. Cosa vi dicono i geni del suo cervello?

Mian Endelecki si appoggiò allo schienale della sua sedia. — Professor Seldon, sapete quanti geni siano coinvolti nel funzionamento del cervello?

— No.

— Vi ricordo che tra tutti gli aspetti del corpo umano, le funzioni cerebrali siano le più complesse. A dire il vero, per quanto ne sappiamo, non esiste nulla in tutto l’universo che sia più complicato del cervello umano. Quindi, non sarete sorpreso se vi dico che ci siano migliaia di geni che abbiano un ruolo ben preciso nel funzionamento del cervello.

— Migliaia?

— Esattamente. E si può esaminare questi geni senza trovare niente di strano. Vi prendo in parola per quanto riguarda Wanda. È una bambina insolita con un cervello fuori dal comune, ma non vedo niente nei suoi geni che mi possa dire qualcosa del suo cervello... tranne, ovviamente, che sia normale.

— Sapreste individuare altre persone i cui geni incaricati delle funzioni mentali siano uguali a quelli di Wanda, che abbiano per così dire lo stesso “schema mentale”?

— Ne dubito fortemente. Anche se un altro cervello fosse molto simile al suo, ci sarebbero sempre enormi differenze nei geni. È inutile cercare somiglianze... Ditemi, professore, cosa c’è in Wanda che vi faccia ritenere che abbia una mente così insolita?

Seldon scosse la testa. — Mi dispiace: è una cosa di cui non posso parlare.

— In questo caso, sono sicura di non poter trovare niente per voi. Come avete scoperto che ci fosse qualcosa di insolito nel suo cervello... se di questo potete parlare?

— Per caso — mormorò Seldon. — Per un semplice caso.

— Allora, dovrete trovare altri cervelli come il suo affidandovi ancora al caso.

Non si può fare altro.

Su entrambi scese il silenzio. Infine, Seldon disse: — Non c’è altro che possiate dirmi?

— Temo di no. Tranne che vi spedirò la mia parcella.

Seldon si alzò con uno sforzo. La sua sciatica gli faceva molto male. — Be’, allora grazie, dottoressa. Mandatemi la parcella e la pagherò.

Hari Seldon lasciò l’ufficio della dottoressa, chiedendosi cos’altro poteva fare ora.

8

Come ogni intellettuale, Hari Seldon aveva sempre utilizzato liberamente la Biblioteca Galattica. La maggior parte delle volte ne aveva usufruito a distanza, grazie al computer, ma a volte l’aveva visitata, più per sottrarsi alle pressioni del Progetto Psicostoria che per altro. Negli ultimi due anni, da quando aveva formulato per la prima volta il piano di trovare altre persone come Wanda, aveva ottenuto un ufficio privato nell’edificio, in modo da poter accedere prontamente al vasto agglomerato di dati presente nella Biblioteca. Aveva anche preso in affitto un piccolo appartamento in un Settore adiacente, sotto la cupola, per poter raggiungere a piedi la Biblioteca quando le sue continue ricerche laggiù gli impedissero di tornare nel Settore di Streeling.

Ora, tuttavia, le cose erano cambiate, e voleva incontrare Las Zenow. Era la prima volta che lo incontrava faccia a faccia.

Non era cosa facile organizzare un incontro personale con il Bibliotecario Capo della Biblioteca Galattica. L’idea che lui stesso aveva della natura e del valore del suo incarico era piuttosto alta, e si diceva frequentemente che quando l’Imperatore stesso voleva consultare il Bibliotecario Capo, doveva visitare la Biblioteca ed aspettare il suo turno.

Seldon, comunque, non ebbe problemi. Zenow lo conosceva bene, anche se non l’aveva mai visto di persona. — È un onore, Primo Ministro — lo salutò.

Seldon sorrise: — Certo sapete che non occupo più questa carica da sedici anni.

— L’onore del titolo è ancora vostro. Inoltre, il vostro contributo è stato decisivo per liberarci dalla brutale tirannia della Giunta. La Giunta, in numerose occasioni, aveva violato la sacra regola di neutralità e di disponibilità universale della Biblioteca.

(Ah, pensò Seldon, questo spiega la prontezza con cui mi ha ricevuto.)

— Semplici dicerie — disse ad alta voce.

— Ed ora ditemi, professore — chiese Zenow, che non seppe trattenersi dal lanciare uno sguardo alla cronofascia sul muro — cosa posso fare per voi?

— Bibliotecario Capo — iniziò Seldon — non sono venuto a chiedervi una cosa facile. Ciò che desidero è un maggiore spazio nella Biblioteca. Vorrei il permesso di far entrare alcuni miei colleghi. Vorrei il permesso di iniziare un lungo e complicato progetto della massima importanza.

La faccia di Las Zenow assunse un’espressione preoccupata. — Chiedete molto.

Potete spiegarmi l’importanza di questo progetto?

— Sì. L’Impero si sta disintegrando.

Ci fu una lunga pausa. Poi Zenow disse: — Ho sentito parlare delle vostre ricerche sulla Psicostoria. Mi è stato detto che prometta di poter rivelare il futuro. State parlando di previsioni psicostoriche?

— No. Non abbiamo ancora perfezionato la Psicostoria a tal punto da poter parlare del futuro con sicurezza. Ma non avete bisogno della Psicostoria per sapere che l’Impero si stia disgregando: potete vederne le prove voi stesso.

Zenow sospirò. — Il mio lavoro mi assorbe totalmente, professor Seldon. Sono come un bambino quando si tratti di affrontare questioni politiche e sociali.

— Potete, se lo volete, consultare le informazioni contenute nella Biblioteca.

Guardate il vostro stesso ufficio... è pieno all’inverosimile di ogni genere di informazioni provenienti da tutto l’Impero.

— Ho paura di essere sempre l’ultimo a tenermi aggiornato su questi fatti — e qui Zenow sorrise tristemente. — Conoscete il vecchio proverbio: il figlio del ciabattino non ha scarpe. Tuttavia, mi sembra che l’Impero sia stato ricostituito. Abbiamo ancora un Imperatore.

— Solo di nome, Bibliotecario Capo. Nella maggior parte delle province esterne, il nome dell’Imperatore viene pronunciato solo di quando in quando, e per banali motivi di protocollo. I Mondi Esterni hanno il totale controllo dei loro programmi e, cosa più importante, controllano le forze armate locali che sono al di fuori della portata dell’Autorità Centrale. Se l’Imperatore dovesse cercare di esercitare il suo potere al di fuori dei Mondi Interni, fallirebbe. Dubito che passeranno più di vent’anni, alla Periferia, prima che qualcuno dei Mondi Esterni dichiari la propria indipendenza.

Zenow sospirò ancora. — Se avete ragione, viviamo nel periodo peggiore che l’Impero abbia mai visto. Ma cosa ha a che fare tutto questo col vostro desiderio di un ufficio e di un gruppo di lavoro qui nella Biblioteca?

— Se l’Impero si sgretola, la Biblioteca Galattica potrebbe non sfuggire alla catastrofe generale.

— Oh, ma deve riuscirci — disse ansiosamente Zenow. — Abbiamo vissuto tempi difficili anche prima, ed è sempre risultato implicito a tutti che la Biblioteca Galattica su Trantor, come deposito di tutta la conoscenza umana, dovesse rimanere intatta. E

sarà così anche in futuro.

— Potrebbe non essere così. Avete detto voi stesso che la Giunta abbia violato la sua neutralità.

— Non gravemente.

— Potrebbe essere più grave la prossima volta, e non possiamo permettere che questo deposito di tutta la conoscenza umana sia danneggiato.

— Come potrebbe impedirlo una vostra maggiore presenza fra queste mura?

— Non potrebbe. Ma il progetto che mi interessa sarà in grado di farlo. Voglio creare un grande Enciclopedia che raccolga tutte le conoscenze di cui l’umanità avrà bisogno per ricostruire se stessa, nel caso avvenga il peggio... una Enciclopedia Galattica, se così vogliamo chiamarla. Non abbiamo bisogno di tutto ciò che la Biblioteca contiene: molte informazioni sono banali. Le biblioteche provinciali sparse in tutta la Galassia potrebbero essere a loro volta distrutte, ed in ogni caso, se sopravvivessero, tutte le informazioni, tranne quelle locali, sono ottenute tramite un collegamento computerizzato con la Biblioteca Galattica. Ciò che intendo creare, allora, è un’opera completamente autonoma e che contenga, nella forma più concisa possibile, le informazioni essenziali di cui l’umanità abbia bisogno.

— E se anche la vostra opera venisse distrutta?

— Spero che non accada. È mia intenzione trovare un pianeta lontano, ai confini della Galassia, un pianeta dove potrò trasferire i miei Enciclopedisti per farli lavorare in pace. Fino a quando non troverò un luogo simile, comunque, vorrei che il nucleo del gruppo lavorasse qui e potesse usare le risorse della Biblioteca, per poter decidere cosa sarà necessario al Progetto.

Zenow fece una smorfia. — Comprendo le vostre intenzioni, professor Seldon, ma non sono sicuro che si possa fare.

— Perché no, Bibliotecario Capo?

— Perché essere Bibliotecario Capo non mi rende un monarca assoluto. Ho un Consiglio Direttivo piuttosto numeroso... una specie di corpo legislativo, e non credo di poter fare approvare questo progetto.

— Sono sbalordito.

— Non è il caso. Vedete, non sono un Bibliotecario Capo molto popolare. Il Consiglio si batte, da qualche anno, per un accesso limitato alla Biblioteca; fino ad ora ho resistito. Il Consiglio non digerisce il fatto che io vi abbia concesso l’uso di un piccolo ufficio privato.

— Accesso limitato?

— Esattamente. L’idea è che se qualcuno ha bisogno di informazioni, dovrebbe mettersi in contatto con un Bibliotecario e questi provvedere a trovare ciò che sia stato richiesto. Il Consiglio non vuole che la gente abbia libero accesso alla Biblioteca ed utilizzi i computer direttamente. Dicono che le spese necessarie per la manutenzione dei computer e delle altre attrezzature della Biblioteca stiano diventando proibitive.

— Ma è impossibile. Esiste la tradizione millenaria di una Biblioteca Galattica aperta a chiunque.

— È vero, ma negli ultimi anni i fondi destinati alla Biblioteca sono stati ridotti numerose volte, e non riceviamo più tutto il denaro che un tempo avevamo. Sta diventando molto difficile mantenere in buono stato le nostre attrezzature.

Seldon si strofinò il mento. — Ma se i vostri stanziamenti stanno diminuendo, immagino che dovrete diminuire i salari e licenziare qualcuno, od almeno non assumere nuovi dipendenti.

— Avete capito perfettamente.

— Ma in questo caso come potrete assegnare nuovi compiti ad un personale già in diminuzione, chiedendo loro di ottenere tutte le informazioni che il pubblico richiederebbe?

— L’idea del Consiglio è che non dovremmo cercare tutte le informazioni richieste dal pubblico, ma solo quelle che noi considereremo importanti.

— Così non solo abbandonereste la Biblioteca aperta, ma anche la Biblioteca universale.

— Ho paura di sì.

— Non posso credere che un Bibliotecario sia capace di tanto.

— Non conoscete Gennaro Mummery, professor Seldon. — Dinanzi allo sguardo vacuo di Seldon, Zenow continuò: — Vi state domandando chi sia, non è vero? È il capo di quella fazione del Consiglio che vuole chiudere la Biblioteca. Un numero sempre maggiore di membri del Consiglio si sta schierando dalla sua parte. Se permettessi a voi ed ai vostri colleghi di insediarvi nella Biblioteca come un gruppo indipendente, alcuni membri del Consiglio che attualmente non sono schierati con Mummery – ma che sono contrari al controllo di una benché minima parte della Biblioteca da parte di non-Bibliotecari – potrebbero decidere di votare al suo fianco.

In quel caso, sarei costretto a lasciare l’incarico di Bibliotecario Capo.

— Ora ascoltatemi — disse Seldon con improvviso fervore. — Tutta questa faccenda di chiudere la Biblioteca, di renderla meno accessibile, di rifiutare tutte le informazioni... l’intera questione degli stanziamenti in declino... tutto questo è un segno della disintegrazione imperiale. Non siete d’accordo?

— Mettendola in questo modo, forse avete ragione.

— Allora, permettetemi di parlare al Consiglio. Lasciatemi spiegare che cosa potrebbe tenere in serbo il futuro, e quello che voglio fare. Forse riuscirò a convincerli, così come spero di aver convinto voi.

Zenow rifletté un istante. — Sono disposto a lasciarvi tentare, ma certo sapete che potrebbe anche non funzionare.

— Devo correre questo rischio. Vi prego di occuparvi di tutto il necessario e di informarmi quando e dove potrò incontrare il Consiglio.

Seldon lasciò l’ufficio di Zenow infastidito. Tutto quello che aveva detto al Bibliotecario Capo era vero... e di ben scarsa importanza. Il vero motivo per cui avesse bisogno dell’uso della Biblioteca rimaneva nascosto.

In parte, quel motivo restava nascosto perché lui stesso non comprendeva chiaramente l’uso che ne avrebbe fatto.

9

Hari Seldon sedeva accanto al letto di Yugo Amaryl... pazientemente, con tristezza. Yugo era totalmente consumato. La medicina non poteva ormai più fornirgli alcun aiuto, anche se lui avesse acconsentito a usufruirne, cosa che non avrebbe mai fatto.

Aveva solo cinquantacinque anni. Seldon stesso ne aveva sessantasei ed era ancora in buona salute, tranne per le stoccate della sciatica, o qualunque altra cosa fosse, che occasionalmente lo rendevano zoppo.

Gli occhi di Amaryl si aprirono. — Sei ancora qui, Hari?

Seldon annuì. — Non ti lascio.

— Finché non morirò?

— Sì. — Poi, con un sussulto di dolore, disse: — Perché l’hai fatto, Yugo? Se tu avessi vissuto con più buon senso, adesso avresti ancora altri venti, trent’anni da vivere.

Amaryl sorrise debolmente. — Vivere con più buon senso? Vuoi dire fare delle pause? Andare a fare il turista? Divertirmi con cose inutili?

— Sì. Sì.

— Così avrei continuato a desiderare di ritornare al mio lavoro, o avrei imparato a godere nello sprecare il mio tempo, e negli altri venti o trent’anni di cui stai parlando non avrei fatto alcun progresso. Guardati.

— Cosa c’è che non va?

— Per dieci anni sei stato Primo Ministro sotto Cleon. Quanto ti sei occupato della scienza allora?

— Ho passato circa un quarto del mio tempo con la Psicostoria — disse gentilmente Seldon.

— Esageri sempre. Se non fosse stato per me, che continuavo a picchiare duro, i progressi della Psicostoria si sarebbero arrestati di colpo.

Seldon annuì. — Hai ragione, Yugo: di questo ti sono grato.

— E prima e dopo che hai cominciato a dedicare metà del tuo tempo ai doveri amministrativi, chi era che faceva – ed ha fatto – tutto il lavoro? Eh?

— Tu, Yugo.

— Esatto. — I suoi occhi si chiusero ancora. Seldon disse: — Però ti sei sempre mostrato disposto ad assumerti quei doveri amministrativi se fossi vissuto più a lungo di me.

— No! Volevo essere a capo del Progetto per continuare a spingerlo nella direzione giusta, ma avrei delegato a qualcuno tutte le cartacce.

Il respiro di Amaryl stava diventando affannoso, ma poi lui si scosse e i suoi occhi si aprirono fissando Hari. Disse: — Cosa succederà alla Psicostoria quando non ci sarò più? Ci hai pensato?

— Sì. E voglio parlartene. Potrebbe farti piacere. Yugo, credo che la Psicostoria stia per subire una rivoluzione.

Amaryl corrugò leggermente la fronte: — Ed in che modo? Come idea non mi piace.

— Ascoltami. L’idea è stata tua. Anni fa, mi hai detto che avremmo dovuto creare due Fondazioni. Separate... isolate e sicure, e disposte in modo tale da formare i nuclei di un eventuale Secondo Impero Galattico. Ricordi che è stata una tua idea?

— Le equazioni psicostoriche...

— Lo so. Suggerivano una simile possibilità. Ci sto lavorando proprio adesso, Yugo. Sono riuscito a scavarmi una nicchia nella Biblioteca Galattica...

— La Biblioteca Galattica. — La fronte di Amaryl si corrugò ancora di più. —

Quella gente non mi piace. Sono un branco di idioti tronfi e pomposi.

— Il Bibliotecario Capo, Las Zenow, non è così cattivo, Yugo.

— Hai mai incontrato un Bibliotecario di nome Mummery, Gennaro Mummery?

— No, ma ne ho sentito parlare.

— Un essere umano miserabile. Una volta abbiamo litigato, perché lui aveva detto che io non avessi rimesso al suo posto giusto qualcosa. Non avevo fatto niente del genere, Hari, e mi infuriai sul serio. All’improvviso, fu come se fossi tornato a Dahl...

C’è da dire una cosa sulla cultura dahlita, Hari, ed è che come fonte di invettive è un’autentica miniera. Ne ho usata qualcuna contro di lui, poi gli ho detto che stava interferendo con la Psicostoria e che sui libri di storia sarebbe stato indicato come un infame farabutto. Però, non ho detto proprio “farabutto”. — Amaryl ridacchiò debolmente. — L’ho lasciato senza parole.

Di colpo, Seldon comprese quale poteva essere l’origine dell’astio di Mummery nei confronti degli estranei e, più probabilmente, della Psicostoria, ma non disse nulla.

— Il fatto è, Yugo, che tu volevi due Fondazioni in modo che, se una fosse fallita, l’altra avrebbe potuto continuare, ma noi siamo andati oltre.

— In che modo?

— Ricordi che Wanda sia riuscita a leggere nella tua mente ed a notare che ci fosse qualcosa di sbagliato nelle equazioni del Primo Radiante?

— Sì, certo.

— Be’, troveremo altri come lei. Avremo una Fondazione che sarà composta in massima parte da scienziati fisici, che custodiranno il sapere dell’umanità e serviranno da nucleo del Secondo Impero. E ci sarà una Seconda Fondazione formata solo da psicostorici – da mentalici, psicostorici in grado di toccare le menti – che potranno lavorare sulla Psicostoria in modo pluri-mentale, facendola avanzare più rapidamente di quanto potrebbero dei pensatori individuali. Sarà il gruppo che introdurrà gli ultimi aggiustamenti mano a mano che passerà il tempo, capisci?

Sempre sullo sfondo, ad osservare: saranno i guardiani dell’Impero.

— Meraviglioso! — disse debolmente Amaryl. — Meraviglioso! Vedi che ho scelto il momento giusto per morire? Non mi rimane altro da fare.

— Non dire così, Yugo.

— Non farne un dramma, Hari. Sono troppo stanco per lavorare ancora. Grazie...

grazie... per avermi detto — la sua voce diventava sempre più debole — della rivoluzione. Mi rende... felice... felice... feli...

E queste furono le sue ultime parole.

Seldon si piegò sopra il letto. Le lacrime gli pungevano gli occhi e scivolavano lungo le guance.

Un altro vecchio amico scomparso. Demerzel, Cleon, Dors, ed ora Yugo...

lasciandolo sempre più vuoto e solo con l’avanzare della vecchiaia.

E la rivoluzione che aveva permesso ad Amaryl di morire felice poteva anche non avverarsi. Seldon sarebbe riuscito ad utilizzare la Biblioteca Galattica? Sarebbe stato in grado di trovare altre persone come Wanda? Ma, fattore più importante, quanto ci sarebbe voluto?

Seldon aveva sessantasei anni. Se solo avesse potuto iniziare quella rivoluzione quando ne aveva trentadue, al suo arrivo su Trantor...

Ora poteva essere troppo tardi.

10

Gennaro Mummery lo stava facendo aspettare. Era una scortesia premeditata, addirittura un’insolenza, ma Hari Seldon rimase calmo.

Dopo tutto, Seldon aveva un grande bisogno di Mummery ed irritandosi con lui avrebbe solo fatto del male a se stesso. Anzi, Mummery sarebbe stato deliziato dall’ira di Seldon.

Così Seldon rimase calmo ed attese, e finalmente Mummery entrò. Seldon l’aveva già visto, ma solo di lontano. Quella era la prima volta che si trovavano insieme da soli.

Mummery era basso e paffuto, con un viso rotondo ed una barbetta scura. Portava sempre un sorriso stampato sul viso, ma dalla mancanza di pieghe divertite intorno alle labbra, Seldon sospettava che fosse solo una maschera fissa priva di significato.

Tutt’al più serviva a rivelare i denti ingialliti, e l’inevitabile berretto di Mummery era di un giallo simile con una linea marrone che serpeggiava tutt’intorno.

Seldon provò una punta di nausea. Ebbe la netta impressione che Mummery gli sarebbe riuscito antipatico, anche in assenza di altri eventuali motivi.

Mummery disse, senza alcun preliminare: — Bene, professore, cosa posso fare per voi? — Guardò la cronofascia sul muro ma non porse alcuna scusa per essere arrivato in ritardo.

Seldon disse: — Vorrei chiedervi, signore, di porre fine alla vostra ostilità in merito alla mia presenza nella Biblioteca.

Mummery allargò le mani. — Siete qui da due anni. Di che ostilità state parlando?

— Fino ad ora, la parte del Consiglio che voi rappresentate ed i membri con le vostre stesse opinioni non sono riusciti a mettere in minoranza il Bibliotecario Capo, ma ci sarà un’altra riunione il mese prossimo e Zenow mi ha detto di essere incerto sul risultato.

Mummery alzò le spalle. — Anch’io sono incerto. Il vostro contratto d’affitto – se possiamo chiamarlo così – potrebbe anche essere rinnovato.

— Ma ho bisogno di ben altro, Bibliotecario Mummery. Vorrei portare con me alcuni colleghi. Il Progetto che attualmente mi occupa – la preparazione di tutto il materiale che sarà necessario alla compilazione di una Enciclopedia veramente speciale – non è una cosa che possa fare da solo.

— Di sicuro i vostri colleghi possono lavorare dove vogliono: Trantor è grande.

— Dobbiamo lavorare nella Biblioteca. Sono una persona anziana, signore, ed ho fretta.

— Chi può resistere all’avanzata del tempo? Non credo che il Consiglio vi permetterà di portare qui dei colleghi. Un tentativo di mettere radici, professore?

(«Sì, è proprio questo», pensò Seldon, ma non disse una parola.) Mummery disse: — Fino a questo momento non sono riuscito ad impedirvi di restare qui dentro, professore. Fino a questo momento. Ma credo che riuscirò a tenere fuori i vostri colleghi.

Seldon capì che non stava approdando a nulla. Aprì di una tacca il rubinetto della franchezza. Disse: — Bibliotecario Mummery, sicuramente il vostro astio nei miei confronti non è personale. Certo comprendete l’importanza del lavoro che stia svolgendo.

— Volete dire la vostra Psicostoria? Via, ci state lavorando da tanto tempo... da più di trent’anni. Cosa avete ottenuto?

— Il punto è questo: ora si potrebbe ottenere qualcosa.

— Allora lasciate che sia l’università ad ottenerla. Perché dovrebbe essere la Biblioteca?

— Bibliotecario Mummery, ascoltatemi. Voi volete chiudere la Biblioteca al pubblico. Volete infrangere una lunga tradizione. Come potete avere il coraggio di fare una cosa simile?

— Non è il coraggio che ci serve: sono i fondi. Di sicuro il Bibliotecario Capo è venuto a piangere sulla vostra spalla raccontandovi i nostri guai. Gli stanziamenti sono in diminuzione, i salari ridotti, la manutenzione necessaria è assente. Cosa possiamo fare? Dobbiamo tagliare i servizi, e non possiamo certo permetterci di fornire a voi ed ai vostri colleghi uffici ed attrezzature.

— La situazione è stata riferita all’Imperatore?

— Suvvia, professore, state sognando. Non è forse vero che la vostra Psicostoria vi dica che l’Impero si stia deteriorando? Ho sentito dire che ormai vi chiamano

“Corvo” Seldon, qualcosa che, così credo, si riferisca ad un mitico uccello del malaugurio.

— È vero che stiamo entrando in un periodo buio.

— E credete che la Biblioteca sia immune a questi tempi negativi? professore, la Biblioteca è tutta la mia vita e voglio che continui, ma non sarà in grado di farlo se non riusciamo a trovare qualche modo per far bastare i nostri fondi in diminuzione...

E voi venite qui aspettandovi una Biblioteca accogliente con voi come semplice beneficiario. No, professore, così non può andare.

Seldon disse, disperatamente: — E se trovassi io i fondi che vi servono?

— Davvero? E come?

— Potrei parlare all’Imperatore. Sono stato Primo Ministro: mi riceverà e mi darà ascolto.

— E vorreste avere fondi da lui? — Mummery rise.

— Se ci riesco, se aumento gli stanziamenti, potrò fare entrare i miei colleghi?

— Prima procurateci i fondi — disse Mummery — poi vedremo. Ma non credo che ci riuscirete.

Sembrava essere molto sicuro di sé, e Seldon si chiese quante altre volte – e quanto inutilmente – la Biblioteca si fosse già appellata all’Imperatore.

Si chiese anche se la sua richiesta sarebbe stata accolta.

11

L’Imperatore Agis XIV non aveva alcun diritto di fregiarsi di quel nome.

Lo aveva adottato quando era salito al trono con la deliberata intenzione di collegarsi alla Dinastia Agis che aveva regnato duemila anni prima... in particolare ad Agis XIII, che durante un regno durato quarantadue anni aveva saputo mantenere l’ordine in un Impero prospero con mano ferma ma non tirannica.

Agis XIV non assomigliava a nessuno dei vecchi Imperatori Agis... sempre che le registrazioni olografiche dell’epoca fossero degne di fiducia. Ma d’altra parte, a dire la verità, Agis XIV non assomigliava neppure al suo ologramma ufficiale che veniva fatto circolare fra la popolazione.

Con una punta di nostalgia, Hari Seldon pensava spesso che il suo vecchio Imperatore, Cleon I, nonostante tutti i suoi difetti e le debolezze, aveva certamente avuto un aspetto imperiale.

Agis XIV non ne possedeva neppure l’ombra. Seldon non lo aveva mai visto a distanza ravvicinata, ma i pochi ologrammi che gli erano capitati sotto gli occhi erano scandalosamente manipolati. L’ologrammatore imperiale conosceva il suo mestiere e lo svolgeva bene, pensò tristemente Seldon.

Agis XIV era basso, con un viso poco attraente ed occhi leggermente sporgenti che non brillavano d’intelligenza. La sua sola qualifica per il trono era una parentela collaterale con Cleon.

A suo credito, tuttavia, bisognava riconoscere che non tentava di recitare il ruolo del possente Imperatore. Circolava voce che gradisse farsi chiamare “Cittadino Imperatore”, e che solo la decisa – nonché oltraggiata – opposizione dell’intero personale del Palazzo e della Guardia Imperiale gli impedisse di entrare nella cupola e di andarsene a zonzo per le strade di Trantor. A quanto pareva, dicevano le stesse voci, lui avrebbe voluto stringere la mano ai cittadini ed udire, in prima persona, le loro lamentele.

(Un punto a suo favore, pensò Seldon, anche se non glielo avrebbero mai permesso.)

Con un mormorio vago e un inchino, Seldon disse: — Vi ringrazio, sire, per avere acconsentito a ricevermi.

Agis XIV possedeva una voce limpida e forte, piuttosto bella, che contrastava totalmente con il suo aspetto. Disse: — Un ex Primo Ministro merita certo alcuni privilegi, anche se devo complimentarmi con me stesso per il sorprendente coraggio di cui sto dando prova accettando di incontrarvi.

C’era una sfumatura divertita in quelle parole, e Seldon si rese bruscamente conto che un uomo poteva non sembrare intelligente e tuttavia esserlo ugualmente.

— Coraggio, sire?

— Ma certo. Non vi chiamano forse Corvo Seldon?

— Ho udito per la prima volta questa associazione, sire, solo l’altro giorno.

— Sembra che il riferimento riguardi la vostra Psicostoria, che stando alle voci predica la caduta dell’Impero.

— Ne indica soltanto la possibilità, sire...

— Così hanno abbinato il vostro nome a quello di un mitico uccello di malaugurio. Tuttavia, io penso che l’uccello del malaugurio siate voi.

— Spero vivamente di no, sire.

Andiamo, andiamo. Le registrazioni negli archivi parlano chiaro. Eto Demerzel, il vecchio Primo Ministro di Cleon, rimase colpito dal vostro lavoro e guardate cosa è gli successo... ha dovuto abbandonare il suo incarico e andarsene in esilio. Lo stesso Imperatore Cleon rimase impressionato dal vostro lavoro, e cosa gli successe? Fu assassinato. La Giunta Militare rimase impressionata a sua volta dal vostro lavoro ed indovinate cosa accadde? Furono tutti spazzati via. Persino i Joranumiti, si dice, furono impressionati dal vostro lavoro e, guarda un po’, vennero distrutti. Ed adesso, Corvo Seldon, venite a farmi visita. Cosa posso aspettarmi?

— Be’, nulla di male, sire.

— Lo penso anch’io, poiché a differenza di tutti gli altri che ho menzionato, il vostro lavoro non mi impressiona affatto. Ora ditemi perché siete qui.

Agis XIV ascoltò attentamente, e senza interrompere, mentre Seldon spiegava l’importanza di creare un progetto destinato a preparare una Enciclopedia che preservasse il sapere umano nel caso che le peggiori prospettive si avverassero.

— Ecco, ecco — disse infine Agis XIV — quindi siete davvero convinto che l’Impero cadrà.

— È una possibilità fondata, sire, e sarebbe imprudente rifiutarsi di prenderla in considerazione. Da un lato vorrei impedire la caduta se mi fosse possibile, dall’altro attutirne gli effetti se ciò risultasse superiore alle mie forze.

— Corvo Seldon, se continuerete a ficcare il naso in queste faccende sono convinto che l’Impero cadrà, e che nulla potrà salvarlo.

— Le cose non stanno in questi termini, sire. Chiedo solo il permesso di lavorare.

— Oh, questo lo avete, ma non riesco a capire che altro vogliate da me. Perché mi avete raccontato questa storia dell’Enciclopedia?

— Perché vorrei lavorare nella Biblioteca Galattica, sire, o meglio, per essere più preciso, vorrei che altri lavorassero là dentro con me.

— State pur certo che non vi sbarrerò il passo.

— Questo non basta, sire: voglio che ci aiutiate.

— In quale modo, ex Primo Ministro?

— Con fondi. La Biblioteca deve ricevere sovvenzioni, altrimenti chiuderà i battenti al pubblico e mi sfratterà.

— Crediti! — Una nota di stupore si insinuò nella voce dell’Imperatore. — Siete venuto a chiedermi crediti?

— Sì, sire.

Agis XIV si alzò con un certa agitazione. Seldon si alzò subito a sua volta, ma Agis gli fece cenno di tornare a sedersi.

— Sedete. Non trattatemi come un Imperatore. Non volevo questo lavoro, ma mi hanno costretto ad accettarlo. Ero il parente più prossimo alla famiglia imperiale e tutti si sono messi a rintronarmi le orecchie dicendo che l’Impero avesse bisogno di un Imperatore. Così adesso sono qui, e non conto un bel nulla.

«Crediti! Pensate che io abbia crediti! Parlate sempre della disintegrazione dell’Impero. State pensando a come accadrà? Pensate a ribellioni? Ad una guerra civile? A disordini qua e là? No: voi pensate ai crediti. Vi rendete conto che non riesco a riscuotere tasse da almeno metà delle nostre province? Fanno ancora parte dell’Impero – viva l’Impero e lunga vita all’Imperatore – ma non pagano le tasse ed io non ho la forza necessaria per riscuoterle. E se da queste province non riesco ad ottenere crediti, allora non fanno veramente parte dell’Impero, no?

«Crediti! L’Impero ha un deficit cronico di dimensioni impressionanti. Non riesco a pagare più nulla. Credete che ci siano fondi per la manutenzione dei giardini imperiali? A malapena. Sono costretto a tagliare continuamente le spese. Devo lasciare che il Palazzo vada in rovina. Devo lasciare che il numero dei dipendenti diminuisca per l’età.

«Professor Seldon... se da me volete crediti, non ho nulla da darvi. Dove posso trovare fondi per la Biblioteca? Dovrebbero essermi grati se ogni anno, nonostante tutte queste difficoltà, riesca ancora a spremere qualcosa per loro.

Terminando di parlare, l’Imperatore sollevò le mani con i palmi in su, quasi a voler sottolineare il vuoto desolante dei forzieri imperiali.

Hari Seldon era sbalordito. Disse: — Tuttavia, sire, anche se vi mancano i crediti avete pur sempre il prestigio imperiale. Non potete ordinare alla Biblioteca di permettermi di conservare là il mio ufficio, e di consentire l’accesso ai miei colleghi che collaborano a questa opera di importanza vitale?

Al che Agis XIV tornò a sedersi di nuovo, come se – ora che l’argomento non fossero più i crediti – non fosse più così agitato.

Disse: — Voi saprete che, per lunga tradizione, la Biblioteca Galattica è autonoma dallo Stato almeno quanto lo sia il suo autogoverno. La Biblioteca segue le proprie regole fin dai tempi di Agis VI, il mio illustre omonimo – (sorrise) – che tentò di assumere il controllo delle sue nuove funzioni e fallì. Se il grande Agis VI fallì nel suo tentativo, credete che io potrei avere migliore fortuna?

— Non vi chiedo di usare la forza, sire. Semplicemente di esprimere un vostro cortese desiderio. Sono certo che saranno lieti di fare cosa gradita all’Imperatore accettando un suo desiderio, finché le funzioni vitali della Biblioteca non vengano sfiorate.

— Ahimè, professor Seldon, quanto poco sapete della Biblioteca. Non devo fare altro che esprimere un desiderio, per quanto cortese ed innocente, per essere certo che loro procederanno, con il massimo sdegno, nella direzione opposta. Sono molto sensibili al più piccolo segno di controllo imperiale.

Seldon disse: — Allora cosa posso fare?

— Be’, forse posso darvi una mano. Mi è appena venuta in mente una cosa. Sono pur sempre un membro del loro pubblico e, se lo desidero, posso visitare la Biblioteca Galattica. Si trova sui terreni del Palazzo, quindi una mia visita non violerà il protocollo. Ebbene, voi verrete con me e ci comporteremo in modo ben visibile a tutti come due ottimi amici. Non chiederò loro nulla, ma se noteranno che ce ne andiamo in giro a braccetto, forse qualche membro del loro prezioso Consiglio Direttivo potrà sentirsi meglio disposto nei vostri riguardi... E questo, purtroppo, è tutto ciò che possa fare.

Ed un Seldon profondamente deluso si chiese se sarebbe bastato.

12

Las Zenow disse, con una sfumatura di rispetto quasi reverente nella voce: — Non sapevo che foste in termini di così intima amicizia con l’Imperatore, professor Seldon.

— Perché non dovrei? Come Imperatore è un uomo molto democratico, ed era interessato alle mie esperienze di Primo Ministro ai tempi di Cleon.

— Ha provocato una forte impressione su tutti noi. Erano parecchi anni che un Imperatore non entrava nelle nostre sale. Di solito, quando ad un Imperatore serve qualcosa dalla Biblioteca...

Posso immaginarlo. La chiede a gran voce e deve essergli portata immediatamente, come se fosse una cosa dovuta.

— Una volta venne suggerito — disse Zenow, ormai in vena di chiacchierare —

di fornire all’Imperatore un sistema computerizzato nel suo Palazzo, collegato direttamente con il sistema della Biblioteca, per evitargli di dover attendere la risposta alle sue richieste. Fu ai vecchi tempi, quando i fondi non mancavano, però la proposta non venne approvata.

— Davvero?

— Oh, certo. Quasi l’intero Consiglio convenne che ciò avrebbe permesso all’Imperatore di entrare in modo eccessivo nel cuore della Biblioteca, minacciando la nostra autonomia.

— E adesso questo Consiglio, che non è disposto a piegarsi nemmeno per onorare un Imperatore, acconsente a lasciarmi restare nella Biblioteca?

— Per il momento, sì. Circola la sensazione – ed io ho fatto del mio meglio per incoraggiarla – che se non ci mostriamo gentili verso un amico personale dell’Imperatore, le probabilità di un aumento negli stanziamenti potrebbero svanire del tutto, e così...

— E così i crediti, od addirittura la vaga prospettiva di crediti futuri, ha fatto sentire il suo peso.

— Temo proprio di sì.

— E posso portare dentro i miei colleghi?

Zenow assunse un’aria imbarazzata. — Temo di no. L’Imperatore è stato visto camminare con voi, non con i vostri colleghi. Mi dispiace, professore.

Seldon alzò le spalle e si sentì avvolgere da un’ondata di cupa malinconia. In ogni caso, non aveva colleghi da portare con sé. Per un certo periodo aveva sperato di individuare altre persone come Wanda, ma aveva fallito. Anche a lui sarebbero serviti fondi per organizzare una ricerca adeguata. Ed anche lui, purtroppo, non aveva un soldo.

13

Trantor, la capitale dell’Impero, era cambiata notevolmente dal giorno in cui Hari vi avesse posto piede per la prima volta arrivando da Helicon. Hari si chiese se non fosse la sua memoria offuscata di vecchio a rendere così sfavillante il ricordo dell’antica Trantor. O forse era stata l’esuberanza giovanile... come avrebbe potuto un giovanotto appena arrivato da un mondo provinciale come Helicon non lasciarsi impressionare dalle torri e dalle cupole luccicanti, dalle pittoresche masse di persone che sembravano affollare Trantor giorno e notte?

Ora, pensò tristemente Hari, le strade erano quasi deserte, anche alla piena luce del giorno. Bande girovaghe di delinquenti controllavano diverse zone della città, lottando fra di loro per la conquista di nuovi tenitori. Il servizio di sicurezza si era ridotto ai minimi termini; le scarse forze rimaste avevano il loro da fare a custodire il Palazzo e i suoi dintorni, nonché a trasmettere ripetute lamentele all’Ufficio Centrale.

Naturalmente, all’arrivo delle chiamate di emergenza venivano inviati agenti, ma la sicurezza arrivava sulla scena solo dopo che il crimine fosse stato commesso...

ormai non erano più in grado di proteggere i cittadini di Trantor. Una persona usciva a proprio rischio e pericolo, e il rischio era senz’altro considerevole. Eppure Hari Seldon correva ancora quel rischio, sotto forma di una passeggiata quotidiana, come se sfidasse le forze che stavano distruggendo il suo amato Impero a distruggere lui.

E così Hari Seldon camminava, zoppicante e pensieroso.

Non aveva funzionato nulla. Nulla. Non era riuscito ad isolare lo schema genetico che rendesse Wanda unica, e senza di quello, non poteva individuare altri come lei.

La capacità di Wanda di leggere nella mente si era affinata considerevolmente nei cinque anni trascorsi da quando lei aveva identificato il difetto nel Primo Radiante di Yugo Amaryl. Wanda era “speciale” in più di un modo. Era come se, dopo essersi accorta che la sua capacità mentale la separasse dalle altre persone, lei avesse deciso di comprenderla, di imbrigliare la sua energia, di indirizzarla. Entrando nell’adolescenza era maturata, abbandonando le risatine infantili che l’avevano resa tanto cara ad Hari, ed al tempo stesso gli era diventata ancora più cara per la sua determinazione nel volerlo aiutare nel suo lavoro con i poteri del suo “dono”. Perché Hari Seldon aveva parlato a Wanda dei suoi piani per una Seconda Fondazione, e lei si era impegnata a realizzare quel progetto con lui.

Oggi, però, Seldon era di pessimo umore. Stava giungendo alla conclusione che l’abilità mentale di Wanda non lo avrebbe portato da alcuna parte. Non aveva crediti per proseguire il suo lavoro... niente crediti per individuare altri come Wanda, né per pagare i suoi collaboratori del Progetto Psicostoria a Streeling, né per organizzare l’importantissimo Progetto Enciclopedia alla Biblioteca Galattica.

E adesso?

Continuò a camminare verso la Biblioteca Galattica. Avrebbe fatto meglio a prendere un gravitaxi, ma voleva camminare, zoppicante o meno. Gli serviva tempo per pensare.

Udì un grido... — Eccolo! — ... ma non vi prestò attenzione.

Si levò di nuovo: — È lui! Psicostoria!

Quella parola lo costrinse a sollevare gli occhi... Psicostoria?

Un gruppo di giovinastri si stava avvicinando a lui.

Istintivamente Seldon appoggiò la schiena al muro e sollevò il suo bastone. —

Cosa volete?

Loro scoppiarono a ridere. — Crediti, vecchio: hai dei crediti?

— Può darsi, ma perché li volete da me? Avete detto “Psicostoria”: Sapete chi sono?

— Certo, sei Corvo Seldon — disse il giovane alla testa del gruppo. Sembrava soddisfatto ed a suo agio.

— Sei un bastardo — gridò un altro.

— Cosa farete se non vi consegno i crediti?

— Ti pesteremo — disse il capo. — E ce li prenderemo.

— E se vi consegno i miei crediti?

— Ti pesteremo lo stesso! — E tutti si misero a ridere.

Hari Seldon levò più alto il suo bastone. — State lontani. Tutti quanti.

Ormai era riuscito a contarli. Erano in otto.

Sentì un nodo amaro in gola. Una volta, lui e Dors Venabili erano stati attaccati da dieci teppisti e non avevano incontrato problemi a liberarsene. A quell’epoca lui aveva solo trentadue anni, e Dors... era Dors.

Adesso era diverso. Fece ondeggiare il bastone.

Il capo dei teppisti disse: — Ehi, il vecchio vuole attaccarci. Cosa facciamo?

Seldon si guardò rapidamente attorno. Non c’erano agenti della sicurezza in vista.

Faceva tutto parte del deterioramento sociale. Il pubblico veniva lasciato senza protezione. Qualche sporadica persona passava sull’altro lato del viale, ma era inutile chiamare aiuto. Tutti affrettavano il passo e giravano al largo. Nessuno avrebbe corso il rischio di farsi coinvolgere in un pasticcio simile.

Seldon disse: — Il primo che si avvicina si ritrova con la testa rotta.

— Davvero? — Il capo si avvicinò rapido ed afferrò il bastone. Ci fu una breve colluttazione ed il bastone venne strappato dalla mano di Seldon. Il capo lo gettò da un lato.

— E adesso, vecchio?

Seldon si rattrappì contro il muro. Poteva solo aspettare i loro colpi. Gli si affollarono intorno, tutti ansiosi di colpirlo almeno una volta o due. Seldon sollevò le braccia per cercare di proteggersi. Era ancora capace di effettuare qualche torsione...

in certe condizioni. Se avesse avuto di fronte un avversario, od anche due, forse sarebbe riuscito a torcere il proprio corpo, evitando i loro colpi e rispondendo. Ma non contro otto; di sicuro non contro otto aggressori.

Tentò, a ogni buon conto, di spostarsi in fretta da un lato per scansare i colpi, e la sua gamba destra, quella con la sciatica, cedette. Seldon cadde e capì di essere del tutto impotente.

Allora udì una voce stentorea che gridava: — Cosa succede qui? State indietro, banda di teppisti! Indietro o vi ammazzo tutti!

Il capo disse: — Bene, un altro vecchio.

— Non tanto vecchio — disse il nuovo venuto, e mollò al giovinastro un manrovescio che gli imporporò metà del viso.

Seldon disse, sorpreso: — Raych, sei tu.

La mano di Raych fece un cenno. — Restane fuori, papà. Pensa solo ad alzarti e ad allontanarti.

Il capo della banda, strofinandosi la guancia, disse: — Ti ammazzeremo per questo.

— No, non ammazzerete nessuno — disse Raych, estraendo un coltello di fattura dahlita, lungo e scintillante. Un secondo coltello lo seguì, e Raych si ritrovò con una lama in ogni mano.

Seldon disse, debolmente: — Porti ancora i tuoi coltelli, Raych?

— Sempre — disse il figlio. — Nulla mi farà mai perdere questa abitudine.

— Te la faccio perdere io — disse il capo, estraendo un fulminatore.

Ma troppo veloce perché l’occhio potesse coglierne il guizzo, uno dei coltelli volò nell’aria e colpì la gola del capo. Lui emise un suono ansimante, poi una specie di gorgoglio e piombò a terra, mentre gli altri sette guardavano con occhi spalancati.

Raych gli andò vicino e disse: — Rivoglio il mio coltello. — Lo estrasse dalla gola del teppista, tagliando la carne nell’operazione, e lo asciugò sulla camicia del giovane. Mentre lo faceva, mise un piede sul suo polso, si chinò e raccolse il fulminatore.

Raych infilò il fulminatore in una delle sue tasche capaci e disse: — Non mi piace usare un fulminatore, branco di buoni a nulla, perché a volte manco il bersaglio. Però non sbaglio mai con un coltello. Mai! Il vostro compare è morto. Voi ve ne state lì fermi in sette. Intendete restare ancora lì fermi, o volete squagliarvela?

— Prendiamolo! — urlò uno dei teppisti, e i sette si lanciarono in avanti.

Raych fece un passo indietro. Un coltello lampeggiò e poi anche l’altro, e due teppisti si arrestarono di colpo, entrambi con una lama piantata nell’addome.

Ridatemi i miei coltelli — disse Raych, estraendoli sempre con quel movimento di taglio e asciugandoli sugli abiti delle vittime.

— Questi due sono ancora vivi, ma non dureranno a lungo. Restate solo voi cinque ancora in piedi. Volete attaccare di nuovo, o preferite andarvene?

I cinque superstiti si voltarono, e Raych gridò loro: — Raccogliete il vostro morto ed i morenti. Io non li voglio.

I teppisti si caricarono frettolosamente i tre corpi sulle spalle, poi fecero dietro-front e se la diedero a gambe.

Raych si chinò a raccogliere il bastone di Seldon. — Ce la fai a camminare, papà?

— Non molto bene — disse Seldon. — Mi sono storto una caviglia.

— Be’, allora sali sulla mia auto. Cosa ci facevi a piedi da queste parti, comunque?

— Cosa c’è di strano? Mi piace passeggiare. Non mi è mai successo nulla.

— Così hai aspettato finché qualcuno si è fatto coraggio. Sali in auto, ti darò un passaggio fino a Streeling.

Raych programmò i comandi della vettura, poi disse: — Peccato non aver avuto Dors con noi. La mamma li avrebbe attaccati a mani nude, stendendoli morti tutti e otto nel giro di cinque minuti.

Seldon sentì le lacrime pungergli le palpebre.

— Lo so, Raych, lo so. Credi che io non senta la sua mancanza ogni giorno?

— Scusami — disse Raych sottovoce.

Seldon chiese: — Come hai saputo che fossi nei guai?

— Me lo ha detto Wanda. Mi ha detto che parecchie persone malvagie ti stavano tendendo un agguato, mi ha detto dove fossero, e così sono partito subito.

— Non hai avuto dubbi su quello che ti diceva?

— Nemmeno uno. Ormai su di lei ne sappiamo abbastanza per capire che abbia stabilito una specie di contatto con la tua mente e con tutto ciò che ti riguardi.

— Ti ha detto quante persone volevano aggredirmi?

— No. Ha detto solo “parecchie”.

— E tu sei venuto completamente solo, Raych?

— Non avevo il tempo di radunare una squadra d’emergenza, papà. E poi, uno di me era più che sufficiente.

— Sì, lo è stato. Grazie, Raych.

14

Adesso erano a Streeling, e la gamba di Seldon era allungata su un poggiapiedi.

Raych lo fissò con occhi cupi: — Papà — iniziò — d’ora in poi non devi più camminare da solo per le strade di Trantor.

Seldon aggrottò la fronte. — E perché, solo a causa di un singolo incidente?

— Chiamarlo incidente... Non sei più in grado di badare a te stesso. Hai settant’anni e la tua gamba destra non riesce più a sostenerti in caso di emergenza.

Inoltre, hai dei nemici...

— Nemici!

— Sì, papà. E lo sai. Quei topi di fogna non stavano aspettando una persona qualsiasi. Non cercavano un semplice passante da derubare. Si sono assicurati che fossi tu, gridando “Psicostoria”. E ti hanno chiamato bastardo. Perché credi che lo abbiano fatto?

— Non lo so.

— Questo perché vivi in un mondo tutto tuo, papà, e non ti rendi conto di ciò che stia succedendo a Trantor. Credi che i trantoriani non sappiano che il loro mondo stia scendendo la china molto rapidamente? Credi che non sappiano che la tua Psicostoria stia predicendo questo declino da anni? Non ti passa mai per la mente che potrebbero imputare al messaggero il contenuto del suo messaggio? Se le cose vanno male – e stanno andando male – molti possono pensare che tu ne sia il responsabile.

— Questo non posso crederlo.

— Perché credi che alla Biblioteca Galattica esista una fazione decisa a sbatterti fuori? Non vogliono trovarsi in mezzo quando sarai linciato da una folla inferocita.

Così... devi badare a quello che fai. Non puoi andartene in giro da solo. Dovrò accompagnarti io, oppure dovremo assumere delle guardie del corpo. Sarà necessario, papà.

Seldon aveva un’aria tremendamente infelice.

Il tono di Raych si ammorbidì. — Ma non per molto, papà — disse. — Ho trovato un nuovo lavoro.

Seldon sollevò lo sguardo. — Un nuovo lavoro. Di che genere?

— Insegnante, in una Università.

— Quale?

— Santanni.

Le labbra di Seldon tremarono. — Santanni! Ma è a novemila parsec da Trantor. È

un mondo provinciale all’altro capo della Galassia.

— Esattamente. È per questo che voglio andare là. Ho passato tutta la mia vita su Trantor, papà, ed ormai mi sono stancato. Nessun altro mondo in tutto l’Impero si sta deteriorando con la stessa rapidità di Trantor. È diventato un gigantesco covo di criminali e non c’è più nessuno che ci protegga. L’economia perde colpi, la tecnologia cade a pezzi. Santanni, invece, è un mondo ancora prospero, e voglio trasferirmi là per costruirmi una nuova vita insieme a Manella, Wanda e Bellis.

Partiremo tutti fra circa due mesi.

— Tutti quanti!

— Anche tu, papà. Anche tu: non ti lasceremmo mai da solo su Trantor. Verrai con noi su Santanni.

Seldon scosse il capo. — Questo è impossibile, Raych. Lo sai.

— Perché è impossibile?

Lo sai perché: il Progetto. La mia Psicostoria. Mi stai chiedendo di abbandonare il lavoro di tutta la mia vita?

— Perché no? Ti ha abbandonato.

— Sei pazzo.

— No, affatto. Dove vorresti arrivare? Non hai fondi e non riesci a trovarne. Su Trantor non c’è più nessuno disposto ad aiutarti.

— Per quasi quarant’anni...

— Sì, lo riconosco. Ma dopo quasi quarant’anni hai fallito, papà: fallire non è un delitto. Hai tentato con tutte le tue forze e ti sei spinto molto avanti, ma adesso devi affrontare un’economia in disfacimento, un Impero in declino. È proprio ciò che stai predicendo da tutto questo tempo che alla fine ti blocca. Quindi...

— No, non mi fermerò: in qualche modo riuscirò ad andare avanti.

— Ascolta cosa si può fare, papà. Se vuoi davvero fare il testardo, allora porta con te la Psicostoria. Ricomincia su Santanni. Forse là troverai finanziamenti, ed entusiasmo, per continuare il tuo lavoro.

— E gli uomini e le donne che hanno lavorato così fedelmente per me?

— Oh, idiozie, papà. Loro ti stanno lasciando perché non puoi più pagarli. Rimani qui un altro paio d’anni e ti ritroverai solo... Andiamo, papà. Credi che mi faccia piacere parlarti in questo modo? È perché nessuno ha mai voluto farlo, perché nessuno ha mai avuto il coraggio di farlo, se adesso ti trovi in questa situazione.

Cerchiamo di essere onesti l’uno con l’altro. Quando cammini per le strade di Trantor e vieni aggredito per il solo fatto di essere Hari Seldon, non credi che sia venuto il momento di accettare almeno una briciola di verità?

— Lascia perdere la verità: non ho intenzione di lasciare Trantor.

Raych scrollò la testa. — Ero sicuro che ti saresti impuntato, papà. Hai due mesi di tempo per cambiare idea. Pensaci, d’accordo?

15

Da parecchio tempo Hari Seldon non sorrideva più. Continuava ad occuparsi del Progetto come aveva sempre fatto, spingendo al massimo lo sviluppo della Psicostoria, facendo piani per la Fondazione, studiando il Primo Radiante.

Ma non sorrideva, e badava solo a concentrarsi sul suo lavoro senza provare alcuna sensazione di un successo imminente. Anzi, tutto gli sembrava circonfuso da un alone di ormai prossimo fallimento.

Quel giorno era seduto nel suo ufficio all’Università di Streeling, quando entrò Wanda. Lui alzò gli occhi e si sentì allargare il cuore. Wanda era sempre stata speciale. Seldon non avrebbe saputo dire in quale momento esatto lui e gli altri avessero cominciato ad accettare le sue dichiarazioni con qualcosa di più del solito entusiasmo; gli sembrava che fosse sempre stato così. Da bambina gli aveva salvato la vita con la sua sorprendente scoperta della “morte alla limonata”, e durante tutta l’infanzia aveva dimostrato che, in chissà quale modo, lei sapesse certe cose.

Benché la dottoressa Endelecki avesse dichiarato che il genoma di Wanda fosse normale sotto ogni aspetto, Seldon era ancora persuaso che sua nipote possedesse capacità mentali di gran lunga superiori a quelle dei comuni esseri umani. Era anche convinto che nella Galassia, od addirittura su Trantor, dovessero esistere altri come lei. Se solo fosse riuscito a individuarli, a scoprire questi “mentalici” (come lui li definiva nell’intimità dei suoi pensieri), quale grandioso contributo avrebbero potuto fornire alla Fondazione. Ed il potenziale di una tale grandezza era interamente imperniato sulla sua bellissima nipote. Seldon la fissò, incorniciata dal vano della porta, e si sentì spezzare il cuore. Fra pochi giorni, lei se ne sarebbe andata.

Come avrebbe fatto a sopportare la sua assenza? A diciotto anni compiuti era una splendida ragazza. Lunghi capelli biondi, un viso leggermente largo, ma con la tendenza a sorridere. Sorrideva anche adesso, e Seldon non se ne stupì. Era sul punto di partire per Santanni e verso una nuova vita.

Seldon disse: — Allora, Wanda, ormai mancano pochi giorni.

— No. Non lo credo proprio, nonno.

Lui la fissò. — Come?

Wanda si avvicinò e gli prese la testa fra le braccia. — Non vado su Santanni.

— Tuo padre e tua madre hanno cambiato idea?

— No, loro partiranno.

— E tu non parti con loro? Perché? Dove andrai?

— Resterò qui, nonno. Con te. — Gli strinse affettuosamente la testa. — Povero nonno!

— Ma non capisco. Perché? Loro te lo permettono?

— Vuoi dire mamma e papà? Non esattamente. Ne abbiamo discusso per settimane e settimane, ma alla fine ho vinto io. Cosa c’è di male, nonno? Loro andranno su Santanni, potranno stare insieme... ed avranno anche la piccola Bellis.

Ma se io vado con loro e ti lascio qui, tu non avrai nessuno. Non credo che riuscirei a sopportarlo.

— Ma come sei riuscita a convincerli?

— Be’, sai... ho dato una spinta.

— Cosa significa?

— È la mia mente. Posso vedere cosa c’è nella tua e nelle loro, e con il passare del tempo riesco a vederlo sempre più chiaramente. E poi riesco a spingerle a fare ciò che voglio.

— Come riesci a farlo?

— Non lo so. Ma dopo un po’, loro si stancano di essere spinte e accettano di lasciarmi fare a modo mio. Così resterò con te.

Seldon la fissò con una specie di amore impotente. — È magnifico, Wanda. Ma Bellis...

— Non preoccuparti di Bellis: lei non ha una mente come la mia.

— Ne sei certa? — Seldon si mordicchiò il labbro inferiore.

— Certissima. E poi, anche mamma e papà devono avere qualcuno.

Seldon avrebbe voluto rallegrarsi, ma sentiva di non poterlo fare apertamente.

C’erano Raych e Manella. Che ne sarebbe stato?

Disse: — Wanda, e i tuoi genitori? Come puoi essere così spietata con loro?

— Non sono spietata. Mi capiscono, si rendono conto che debba rimanere con te.

— Come ci sei riuscita?

— Ho spinto — disse semplicemente Wanda — ed alla fine loro hanno visto le cose a modo mio.

— Puoi arrivare a tanto?

— Non è stato facile.

— E lo hai fatto perché... — Seldon fece una pausa.

Wanda disse: — Perché ti voglio bene. Certo. E perché...

— Sì?

— Devo imparare la Psicostoria. Ormai ne conosco già le basi.

— Dalla tua mente. Dalle menti di altri che lavorano al Progetto, e soprattutto da quella dello zio Yugo prima che morisse. Ma fino a questo momento sono soltanto nozioni sfilacciate. Voglio imparare tutto, nonno, e voglio un Primo Radiante tutto per me. — Il suo viso si illuminò e le parole si susseguirono rapide, con tono appassionato. — Voglio studiare la Psicostoria in ogni suo dettaglio. Nonno, tu sei piuttosto vecchio e stanco. Io sono giovane ed ansiosa di mettermi al lavoro. Voglio imparare tutto quello che mi sia possibile, per poter continuare quando...

Seldon disse: — Be’, sarebbe una cosa splendida se tu riuscissi a farlo, ma non abbiamo più fondi. Ti insegnerò tutto quello che posso, ma... non potremo fare nulla.

— Questo lo vedremo, nonno. Lo vedremo.

16

Raych, Manella e la piccola Bellis erano nella sala partenze dello spazioporto.

L’ipernave si preparava al decollo, e i tre avevano già consegnato il loro bagaglio.

Raych disse: — Papà, vieni con noi.

Seldon scosse il capo. — Non posso.

— Se cambi idea, avremo sempre un posto per te.

— Lo so, Raych. Siamo stati insieme per quasi quarant’anni... e sono stati anni bellissimi. Siamo stati fortunati ad incontrarti.

— Il fortunato sono io. — Raych aveva gli occhi pieni di lacrime. — Non credere che io non pensi alla mamma ogni giorno.

— Sì — mormorò Seldon distogliendo addolorato lo sguardo. Quando suonò il campanello dell’imbarco, Wanda stava ancora giocando con Bellis.

Salirono tutti a bordo, dopo un ultimo straziante abbraccio di Wanda con i suoi genitori. Raych si girò un’ultima volta per salutare Seldon e cercò di ostentare un sorriso tirato.

Seldon lo salutò, e con un braccio cercò a tentoni le spalle di Wanda.

Lei era la sola persona che gli fosse rimasta. Ad uno a uno, nel corso della sua lunga vita, aveva perduto tutti i suoi amici e tutti coloro che aveva amato. Demerzel se n’era andato, per non fare più ritorno; il vecchio Imperatore, Cleon, se n’era andato; la sua adorata Dors se n’era andata; il suo fedele amico Yugo Amaryl se n’era andato; ed adesso Raych, il suo unico figlio, se n’era andato anche lui.

Gli rimaneva soltanto Wanda.

17

Hari Seldon disse: — Fuori è una serata splendida... Vivendo sotto una cupola, chiunque si aspetterebbe un tempo così bello tutte le sere.

Wanda disse, con tono indifferente: — Se il tempo fosse sempre bello, nonno, alla fine ci stancheremmo. Qualche cambiamento fra una notte e l’altra ci fa bene.

— Forse a te, Wanda, perché sei giovane. Hai ancora molte, moltissime notti davanti a te. Io no. Voglio che tutte le sere siano splendide come questa.

— Oh, nonno, non sei poi così vecchio. La tua gamba è migliorata e la tua mente è lucidissima come sempre: io lo so.

— Certo. Continua pure. Fammi sentire meglio. — Poi aggiunse, con tono sconsolato. — Voglio fare quattro passi. Voglio camminare in questa splendida serata, ed andare fino alla Biblioteca.

— Cosa ti serve alla Biblioteca?

— Al momento, nulla. Voglio solo camminare. Ma...

— D’accordo. Ma?

— Ho promesso a Raych che non mi sarei avventurato in città senza una guardia del corpo.

— Raych non è più qui.

— Lo so — borbottò Seldon — ma una promessa è una promessa.

— Non ha specificato chi dovesse essere la guardia del corpo, vero? Andiamo a fare una passeggiata ed io sarò la tua guardia del corpo.

— Tu? — Seldon sogghignò.

— Sì, io. Mi offro seduta stante volontaria per il servizio. Preparati, ed andremo a fare una passeggiata.

Seldon ne fu divertito. Visto che la gamba di recente gli doleva molto meno, per un attimo pensò di fare a meno del suo bastone, ma d’altro canto ne aveva uno nuovo, con l’impugnatura riempita di piombo. Come bastone sarebbe risultato più robusto e più pesante del vecchio, e se la sua unica guardia del corpo doveva essere Wanda pensò che avrebbe fatto meglio a portarlo con sé.

La passeggiata si rivelò deliziosa e Seldon fu soddisfatto di aver ceduto alla tentazione... finché non arrivarono ad un certo luogo.

Seldon sollevò il bastone con un misto di ira e rassegnazione, dicendo: — Guarda lassù!

Wanda sollevò gli occhi. La cupola era illuminata come tutte le altre sere, per creare un effetto da tramonto appena iniziato. Naturalmente, con il procedere della sera, diventava sempre più scura.

Ciò che Seldon stava indicando, comunque, era una striscia buia nella cupola: un’intera sezione di luci era spenta.

Seldon disse: — Quando sono arrivato su Trantor, una cosa del genere sarebbe stata impensabile. C’erano operai che lavoravano in qualsiasi momento, occupandosi delle luci. Allora la città funzionava, ma adesso sta crollando a pezzi in tanti minuscoli modi e quello che mi angustia soprattutto è che a nessuno sembra importare. Perché non vengono inviate petizioni al Palazzo Imperiale? Perché non ci sono adunanze di cittadini indignati? È come se l’intera popolazione di Trantor se ne stesse a guardare il crollo della città senza fare nulla, salvo poi prendersela con me perché io dico che stia succedendo proprio questo.

Wanda disse, sottovoce: — Nonno, ci sono due uomini dietro di noi.

Avevano raggiunto l’area in ombra sotto la sezione spenta della cupola, e Seldon chiese: — Stanno solo passeggiando?

— No. — Wanda non li guardò neppure. Non era necessario. — Seguono te.

— Non puoi fermarli... spingere sulle loro menti?

— Ci provo, ma sono in due e ben decisi. È come... come spingere contro un muro.

— Quanto sono distanti?

— Circa tre metri.

— Si avvicinano?

— Sì, nonno.

— Avvertimi quando saranno ad un metro da me. — Fece scivolare la mano lungo il bastone fino a impugnarlo per l’estremità più sottile, lasciando oscillare libera quella appesantita con il piombo.

Ora, nonno! — sibilò Wanda.

E Seldon si girò, mulinando il bastone. Colpì con la forza di un maglio la spalla di uno degli uomini alle sue spalle, che cadde con un urlo sul marciapiede contorcendosi.

Seldon disse: — Dov’è l’altro uomo?

— È fuggito.

Seldon chinò lo sguardo sull’uomo a terra, e gli posò un piede sul petto. Disse: —

Frugagli nelle tasche, Wanda. Qualcuno deve averlo pagato e mi piacerebbe trovare la sua tessera di credito... forse riuscirò ad identificare da dove vengano. — Poi aggiunse, pensieroso: — Volevo colpirlo alla testa.

— Lo avresti ucciso, nonno.

Seldon annuì. — Era quello che volevo fare. Per questo mi vergogno della mia intenzione. Fortunatamente l’ho mancato.

Una voce severa disse: — Cosa succede? — Una figura in uniforme arrivò di corsa, sudata. — Voi, datemi quel bastone!

— Oh, agente — disse mite Seldon.

— Potrete raccontarmi la vostra versione più tardi. Ora dobbiamo chiamare un’ambulanza per questo poveretto.

— Questo poveretto — disse Seldon, con tono più iroso — stava per aggredirmi.

Ho agito per autodifesa.

— Vi guardavo — disse l’agente. — Ho visto tutto. Questo tipo non vi ha toccato neppure con un dito. Vi siete girato e l’avete colpito senza alcuna provocazione: qui non si tratta di autodifesa, ma di aggressione e percosse.

— Agente, vi dico che...

Wanda disse, con voce dolce: — Agente, se volete avere la cortesia di ascoltarci...

L’agente disse: — Voi potete andare a casa, signorina.

Wanda raddrizzò le spalle. — Questo potete levarvelo dalla testa, agente. Dove va mio nonno, vado anch’io. — I suoi occhi lampeggiarono, e l’agente borbottò: — Be’, allora venite anche voi.

18

Ora Seldon era irritato per davvero. — In tutta la mia vita non ero mai stato arrestato. Un paio di mesi fa otto uomini mi hanno aggredito. Sono riuscito a cavarmela solo grazie all’aiuto di mio figlio, ma nel frattempo si è fatto vivo qualche agente della sicurezza? Qualche passante si è fermato per aiutarmi? No. Questa volta, sono meglio preparato e stendo a terra un uomo che stava per assalirmi. C’era qualche agente nei paraggi? Certo. E ha arrestato me. Anche questa volta c’erano dei passanti che guardavano la scena, e si sono divertiti un mondo vedendo un vecchio che veniva portato in cella per aggressione e percosse. In che genere di mondo viviamo?

Civ Novker, l’avvocato di Seldon, sospirò e disse pacato: — Un mondo corrotto, ma non preoccuparti: non ti succederà nulla. Ti farò uscire dietro cauzione e, naturalmente, in seguito dovrai comparire dinanzi ad una giuria di tuoi pari, ma il massimo che rischi, nella peggiore delle ipotesi, sono alcune parole di rimprovero dalla corte. La tua età e la tua reputazione...

— Lasciamo perdere la mia reputazione — disse Seldon ancora irritato. — Sono uno psicostorico, ed al momento questa è una parola oscena: saranno lieti di vedermi finire in prigione.

— Niente affatto — disse Novker. — Può anche darsi che alcuni imbecilli ce l’abbiano con te, ma farò in modo che nessuno di loro venga incluso nella giuria.

Wanda disse: — Dobbiamo sul serio sottoporre mio nonno a tutto questo? Non è più un giovanotto. Non possiamo semplicemente presentarci davanti al magistrato ed evitare un processo con una giuria?

L’avvocato si voltò verso di lei. — Certo, è possibile. Ma solo un pazzo lo farebbe. Oggi i magistrati sono persone con poca pazienza, stravolte dal loro potere, che preferirebbero sbattere in carcere per un anno una persona piuttosto di doverla ascoltare: nessuno si presenta spontaneamente dinanzi a un magistrato.

— Io penso che dovremmo farlo — disse Wanda.

Seldon disse: — Be’, Wanda, credo che dovremmo dare retta a Civ... — ma mentre pronunciava queste parole, sentì una forte contorsione nell’addome. Era la

“spinta” di Wanda. Seldon disse: — D’accordo, se insisti.

— Non può insistere — disse l’avvocato. — Non lo permetterò.

Wanda disse: — Mio nonno è vostro cliente: se lui vuole che facciate qualcosa a modo suo, dovete seguire i suoi desideri.

— Posso sempre rifiutarmi di rappresentarlo.

— Bene, allora andatevene — disse bruscamente Wanda — e noi affronteremo il magistrato da soli.

Novker rifletté, poi disse: — E sta bene... visto che siete così decisi. Rappresento Hari da anni ed immagino che non l’abbandonerò proprio ora... Però vi avverto, è probabile che Hari finirà col vedersi appioppare una condanna al carcere, ed io dovrò faticare come un matto per fargliela togliere, sempre che ciò sia possibile.

— Io non ho paura — disse Wanda.

Seldon si morse un labbro, e l’avvocato si voltò verso di lui. — Che ne pensi?

Vuoi lasciare che sia tua nipote a decidere per te?

Seldon rifletté qualche istante, poi ammise, con sorpresa dell’anziano avvocato:

— Sì. Sì, lo voglio,

19

Il magistrato osservò arcigno Seldon mentre lui raccontava la sua storia.

Poi il magistrato disse: — Cosa vi fa pensare che quell’uomo avesse intenzione di aggredirvi? Vi ha colpito? Vi ha minacciato? Vi ha forse fatto temere in qualche modo per la vostra incolumità fisica?

— Mia nipote si è accorta che si stava avvicinando ed era certa che intendesse aggredirmi.

— Ma questo, signore, non può certo bastare. Non c’è altro che siete in grado di dirmi prima che io emetta la sentenza?

— Be’, insomma, aspettate un momento — disse Seldon indignato. — Non passate alla sentenza così in fretta. Pochi mesi fa sono stato aggredito da otto uomini che sono riuscito a respingere solo con l’aiuto di mio figlio. Quindi, come vedete, avevo motivo di pensare che potessi essere aggredito di nuovo.

Il magistrato sfogliò i suoi incartamenti. — Aggredito da otto uomini. Avete denunciato il fatto?

— Non c’erano agenti della sicurezza nei dintorni, nemmeno uno.

— Questo è irrilevante: lo avete denunciato?

— No, signore.

— E perché?

— Prima di tutto, perché temevo di invischiarmi in lunghe procedure legali. Visto che avevamo respinto quegli otto teppisti ed eravamo sani e salvi, mi è sembrato inutile andare in cerca di altri guai.

— Come siete riusciti a respingere otto uomini... solo voi e vostro figlio?

Seldon esitò. — Mio figlio si trova ormai su Santanni, quindi è al di fuori della giurisdizione trantoriana. Posso dirvi che aveva due coltelli dahliti ed era esperto nel loro uso. Ha ucciso un uomo e ne ha feriti gravemente altri due. Il resto è fuggito, portando con sé il morto e i feriti.

— Ma non avete denunciato la morte di un uomo ed il ferimento di altri due?

— No, signore. Per la stessa ragione di prima. Ed abbiamo lottato per difenderci.

Comunque, se potete rintracciare il morto ed i feriti, avrete le prove che siamo stati aggrediti.

Il magistrato disse: — Rintracciare un morto e due feriti anonimi e senza volto?

Siete al corrente che su Trantor vengano trovate morte più di duemila persone ogni giorno... e solo per ferite da coltello? A meno che questi casi non ci vengano segnalati subito, non possiamo fare nulla. La vostra storia di una precedente aggressione non ha alcun valore. Ciò che dobbiamo fare è valutare gli eventi di oggi, che sono stati denunciati e che hanno avuto un agente della sicurezza come testimone.

«Quindi, consideriamo la situazione che ci si presenta. Perché pensate che quell’uomo stesse per aggredirvi? Solo perché vi stava passando vicino? Perché sembravate vecchio ed indifeso? Perché avevate l’aria di portare addosso una grande quantità di crediti? Che cosa pensate?

— Io penso, magistrato, che il motivo fosse il mio nome.

Il magistrato guardò le sue carte. — Siete Hari Seldon, professore all’Università di Streeling. Per quale motivo la vostra identità dovrebbe indurre qualcuno ad aggredirvi?

— A causa delle mie opinioni.

— Le vostre opinioni. Be’... — Il magistrato sfogliò automaticamente alcune carte. Di colpo si fermò ed alzò gli occhi, fissando Seldon. — Un momento... Hari Seldon. — Un lampo di riconoscimento gli illuminò il viso. — Siete quel fanatico della Psicostoria, non è vero?

— Sì, magistrato.

— Mi dispiace. Non ne so nulla, tranne il nome e il fatto che ve ne andiate in giro predicendo la fine dell’Impero o qualcosa del genere.

— Non è esattamente così, magistrato. Ma le mie opinioni sono diventate impopolari perché si stanno rivelando vere. Io credo che sia per questa ragione che ci siano persone disposte ad aggredirmi, o, com’è più probabile, che siano pagate per farlo.

Il magistrato fissò Seldon, poi chiamò al tavolo l’agente che aveva operato l’arresto. — Avete controllato l’identità dell’uomo che è rimasto ferito? Ha precedenti?

L’agente si schiarì la voce. — Sì, signore. È stato in carcere parecchie volte, per aggressione e rapina.

— Oh, è un recidivo, allora? Ed il professore ha precedenti?

— No, signore.

— Così qui abbiamo un uomo vecchio ed innocente che riesce a respingere un noto criminale, e voi arrestate il vecchio innocente. È così?

L’agente rimase silenzioso.

Il magistrato disse: — Potete andare, professore.

— Vi ringrazio, signore. Posso riavere il mio bastone? Il magistrato schioccò le dita all’agente che consegnò a Seldon il bastone.

— Ma ricordate una cosa, professore — disse il magistrato. — Se userete di nuovo quel bastone, sarà meglio che siate assolutamente certo di poter dimostrare che si sia trattato di autodifesa. Altrimenti...

— Sì, signore. — Ed Hari Seldon lasciò la stanza del magistrato appoggiandosi pesantemente al suo bastone, ma a testa alta.

20

Wanda singhiozzava amaramente, col viso rigato di lacrime e gli occhi rossi e gonfi.

Hari Seldon le era accanto, battendole affettuosamente sulle spalle, senza sapere con esattezza come confortarla.

— Nonno, sono un miserabile fallimento. Credevo di poter spingere la gente, e ci riuscivo quando a loro non importava essere spinti troppo, come mamma e papà, ed anche allora impiegavo molto tempo. Avevo persino escogitato una specie di sistema di valutazione, basato su una scala da uno a dieci... una sorta di misuratore della potenza di spinta mentale. Ma sono stata troppo presuntuosa. Credevo di essere un dieci, od almeno un nove. E invece mi accorgo che, al massimo, merito un sette.

Il pianto di Wanda era cessato, ed ora tirava su col naso ogni tanto mentre Hari le accarezzava una mano. — Di solito... di solito non incontro difficoltà. Se mi concentro, posso sentire i pensieri della gente, e quando voglio, posso spingerli. Ma quei due farabutti! Li ho sentiti, certo, ma non sono riuscita a fare nulla per spingerli via.

— Avevo l’impressione che te la fossi cavata molto bene, Wanda.

— Ed invece no. Avevo una fan... una fantasia. Pensavo che qualcuno avrebbe potuto arrivarti alle spalle e che con una poderosa spinta sarei riuscita a farli fuggire.

In questo modo sarei stata la tua... guardia del corpo. Ecco perché mi sono offerta di... di accompagnarti. Solo che non è andata così. Quei due uomini si sono avvicinati e non ho saputo fare nulla.

— Ma sì, lo hai fatto. Hai costretto il primo uomo ad esitare. Ciò mi ha fornito l’occasione di voltarmi e colpirlo.

— No, no. Io non c’entro. Ho potuto solo avvertirti che fosse là, e tu hai fatto il resto.

— Però il secondo uomo è scappato.

— Perché tu hai abbattuto il primo. Io non ho fatto nulla. — Scoppiò di nuovo in un pianto di frustrazione. — E poi il magistrato... Mi sono concentrata su di lui.

Pensavo che sarei riuscita a spingerlo e che ti avrebbe lasciato libero subito.

— Infatti mi ha lasciato libero, e praticamente quasi subito.

— No. Ti ha sottoposto a quell’umiliante interrogatorio ed ha visto la luce solo quando si è accorto di chi fossi. Io non ho alcun merito, ho sbagliato tutto. Potevo farti finire in un mare di guai.

— No, mi rifiuto di accettarlo, Wanda. Se le tue spinte mentali non hanno funzionato così bene come ti aspettavi, è stato solo perché operavi in condizioni di emergenza. Non avresti potuto evitarlo. Comunque, Wanda, ascolta... mi è venuta un’idea.

Notando il suo tono eccitato, lei alzò gli occhi: — Che genere di idea, nonno?

— Be’, qualcosa di questo tipo, Wanda... Probabilmente ti sarai resa conto che dobbiamo trovare dei fondi. La Psicostoria non può continuare senza crediti, e io non sopporto l’idea che tutto finisca nel nulla dopo tanti anni di duro lavoro.

— Anch’io non la sopporto. Ma come possiamo trovare i crediti?

— Ecco, voglio chiedere di nuovo udienza all’Imperatore. L’ho già incontrato una volta ed è un brav’uomo, mi piace. Ma non sta, come si suol dire, nuotando nell’oro.

Tuttavia, se ti porto con me e se tu provi a spingerlo – delicatamente – può darsi che lui riesca a trovare una fonte di finanziamenti da qualche parte, quel tanto che basti a farmi continuare finché non avrò pensato a qualcosa d’altro.

— Credi davvero che funzionerà, nonno?

— Non senza di te. Ma con te... forse. Avanti, non vale la pena di fare un tentativo?

Wanda sorrise. — Lo sai che farò qualunque cosa tu mi chieda, nonno. E poi, è la nostra sola speranza.

21

Non fu difficile vedere l’Imperatore. Gli occhi di Agis XIV brillavano divertiti mentre salutava Hari Seldon. — Salve, vecchio amico — disse. — Siete venuto a portarmi un po’ di sfortuna?

— Spero di no — disse Seldon.

Agis aprì la fibbia del pesante manto ricamato che portava e, con un grugnito spossato, lo gettò in un angolo della stanza dicendo: — E tu resta lì.

Sbirciò Seldon scrollando il capo. — Odio quell’affare. È pesante come il peccato e caldo come una fornace. Devo sempre indossarlo quando mi sommergono di parole senza senso, standomene piantato là come un’immagine scolpita. È semplicemente orribile. Cleon era nato per portarlo ed aveva il fisico adatto. Io non lo sono e non ce l’ho. Ma la sfortuna ha voluto che fossi suo terzo cugino da parte di mia madre, quindi avevo i titoli per diventare Imperatore. Sarei lieto di vendere la mia parentela per un modica cifra. Vi interessa diventare Imperatore, Hari?

— No, no, nemmeno per sogno — disse Seldon ridendo.

— Ma, ditemi, chi è quella magnifica fanciulla che oggi avete portato con voi?

Wanda arrossì, e l’Imperatore disse divertito: — Non dovete lasciarvi imbarazzare dalle mie parole, mia cara. Una delle poche prerogative che possieda l’Imperatore è il diritto di dire tutto ciò che voglia. Nessuno può obiettare o discutere. Possono dire soltanto: “sire”. Comunque, non voglio alcun “sire” da voi. Odio quella parola.

Chiamatemi Agis. Non è nemmeno il mio vero nome. È la mia etichetta Imperiale e devo ancora abituarmici. Quindi... ditemi come vanno le vostre cose, Hari. Cosa vi è successo dall’ultima volta che ci siamo visti?

Seldon disse, succinto: — Sono stato aggredito due volte.

L’Imperatore sembrò esitare, indeciso se fosse uno scherzo oppure no. — Due volte? — disse. — Sul serio?

Il viso dell’Imperatore si incupì mentre Seldon gli raccontava la storia delle due aggressioni. — Immagino che non ci fosse un agente nei dintorni quando quegli otto vi hanno minacciato, vero?

— Neppure uno.

L’Imperatore si alzò dal suo scranne e fece segno ai suoi ospiti di restare seduti.

Cominciò a camminare avanti e indietro come se cercasse di sbollire la sua irritazione. Poi si girò e fissò Seldon.

— Per migliaia di anni — iniziò — quando succedeva qualcosa di simile, la gente diceva «Perché non facciamo appello all’Imperatore?» o magari «Perché l’Imperatore non fa qualcosa?» E, alla fine, l’Imperatore poteva fare qualcosa, e faceva qualcosa, anche se non sempre era la cosa più intelligente da fare. Ma io... Hari, sono impotente. Sono del tutto impotente.

«Oh, certo, c’è il cosiddetto Comitato per la Sicurezza Pubblica, ma quelli sembrano più preoccupati per la mia incolumità che per quella pubblica. È un vero miracolo se ora possiamo permetterci questa udienza, poiché non siete affatto popolare presso il Comitato.

«Non c’è nulla che io possa fare per nessuno. Sapete cos’è successo alle prerogative dell’Imperatore dopo la caduta della Giunta e la restaurazione del – ah! –

potere imperiale?

— Credo di averne un’idea.

Invece scommetto che non l’avete... pienamente. Adesso abbiamo la democrazia. Sapete cosa sia la democrazia?

— Certo.

Agis aggrottò la fronte. Poi disse: — Scommetto che la riteniate un’ottima cosa.

— Penso che possa essere un’ottima cosa.

— Ecco, ci siamo. Non è un’ottima cosa: ha completamente stravolto l’Impero.

«Supponiamo che io voglia ordinare la presenza di più agenti per le strade di Trantor. Ai vecchi tempi avrei preso un foglio di carta preparato per me dal Segretario Imperiale e l’avrei firmato con uno svolazzo... e ci sarebbero stati più agenti.

«Ora non posso fare nulla del genere. Devo sottoporre ogni mio desiderio all’Assemblea Legislativa. Cioè, a settemilacinquecento fra uomini e donne che cominciano subito a starnazzare in gruppi separati come altrettanti branchi di oche non appena viene proposto un suggerimento. Prima di tutto, dove trovare i fondi?

Non si possono avere, diciamo, altri diecimila agenti senza dover pagare altri diecimila salari. E poi, supponendo di aver accettato in qualche modo l’idea... chi sceglierà i nuovi agenti? Chi li controllerà?

«Ogni membro dell’Assemblea insulta un suo collega, lo aggredisce, discute, tuona e si rasserena, ed alla fine... non si conclude nulla. Hari, non potrei neppure intervenire per una cosa insignificante come la riparazione delle luci nel settore di cupola danneggiato che avete notato. Quanto costerà la riparazione? Chi se ne occupa? Oh, le luci saranno riparate, certo, ma potranno volerci dei mesi. Questa è la democrazia.

Hari Seldon disse, torcendo le labbra: — Da quanto ricordo, l’Imperatore Cleon si lamentava sempre di non poter fare ciò che volesse.

— L’Imperatore Cleon — ribatté Agis spazientito — ha avuto due ottimi Primi Ministri, prima Demerzel e poi voi stesso, ed entrambi vi siete dati da fare per impedire a Cleon di commettere qualche follia. Io dispongo di settemilacinquecento Primi Ministri, ognuno dei quali è folle dalla testa ai piedi... Ma di sicuro, Hari, non siete venuto qui a lamentarvi delle vostre due aggressioni.

— No, è vero. Per qualcosa di molto peggio. Sire... Agis... mi servono crediti.

L’Imperatore lo fissò. — Dopo tutto quello che vi ho detto, Hari? Non ho crediti...

Oh, sì, ci sono i fondi che servono a coprire le spese del Palazzo, naturalmente, ma per poterli ottenere devo sempre fronteggiare i miei settemilacinquecento legislatori.

Se credete che io possa andare da loro e dire: «Voglio fondi per il mio amico, Hari Seldon», e se pensate che otterrei un solo quarto di tutto ciò che chieda nell’arco di almeno due anni, siete impazzito. Non succederà.

Si strinse nelle spalle e disse, più dolcemente: — Non fraintendetemi, Hari. Vorrei aiutarvi, se solo lo potessi. In particolare vorrei aiutarvi per vostra nipote.

Guardandola, provo l’impulso di concedervi tutti i fondi che vorreste... ma non è possibile.

Seldon disse: — Agis, se non trovo altri fondi, la Psicostoria finirà nel nulla...

dopo quarant’anni di duro lavoro.

— In quarant’anni non è approdata a nulla, quindi perché preoccuparsi?

— Agis — insistette Seldon — in questo momento non posso più fare nulla. Sono stato aggredito proprio perché sono uno psicostorico. La gente mi considera un profeta di distruzione.

L’Imperatore annuì. — Siete un uccello di malaugurio, Corvo Seldon. Ve lo avevo già detto, ricordate?

Seldon si alzò faticosamente. — Sono finito, allora.

Anche Wanda si alzò, a fianco di Seldon, arrivando con la testa appena alla spalla del nonno: continuava a fissare strenuamente l’Imperatore.

Mentre Hari si voltava per andarsene, l’Imperatore disse: — Un momento.

Aspettate. Ho appena ricordato alcuni versi che un tempo avevo imparato a memoria: Male incoglie alla terra, e di incalzanti mali è preda,

laddove la ricchezza s’accumuli e la gente decada.

— Che cosa significa? — chiese Seldon abbattuto.

— Significa che l’Impero si deteriora continuamente e sta crollando a pezzi, ma ciò non impedisce a certe persone di arricchirsi. Perché non vi rivolgete a qualcuno dei nostri facoltosi imprenditori? Loro non devono affrontare legislatori e possono, se lo vogliono, firmarvi semplicemente un assegno.

Seldon spalancò gli occhi. — Ci proverò.

22

— Signor Bindris — disse Hari Seldon, allungando una mano per stringere quella dell’uomo che gli stava davanti. — Sono davvero lieto di potervi conoscere. È stato gentile da parte vostra acconsentire a ricevermi.

— Perché no? — disse cordialmente Terep Bindris. — Io vi conosco bene. O

meglio, conosco molte cose su di voi.

— Fa piacere saperlo. Ne deduco che sappiate anche della Psicostoria, allora.

— Oh, certo, quale persona intelligente non ne ha sentito parlare? Non che io ne capisca qualcosa, ovviamente. E chi è questa giovane signora che vi accompagna?

— Mia nipote, Wanda Seldon.

— Una bellissima signorina — disse Bindris radioso. — Per qualche strano motivo sento che non riuscirei a dire di no a qualsiasi suo desiderio.

Wanda disse: — Credo che stiate esagerando, signor Bindris.

— No, dico sul serio. Prego, accomodatevi e ditemi cosa possa fare per voi. —

Fece un ampio gesto col braccio, indicando che potevano sedersi su due enormi poltrone, rivestite di broccato e fin troppo imbottite, di fronte alla sua scrivania. Le poltrone – come pure la scrivania decorata, la porta con i due battenti scolpiti che aprendosi erano scivolati silenziosamente nelle pareti, e il lucente pavimento di ossidiana dell’ufficio – erano di eccellente fattura, tuttavia, anche se l’ambiente appariva imponente ed in grado senz’altro di fare colpo, Bindris non aveva affatto quell’aria. A prima vista, quell’ometto cordiale non sarebbe mai sembrato una delle principali potenze finanziarie di Trantor.

— Siamo qui, signor Bindris, dietro suggerimento dell’Imperatore.

— L’Imperatore?

— Sì. Lui non era in grado di aiutarci, ma ha pensato che un uomo come voi potesse farlo. Il problema, ovviamente, sono i crediti.

Il sorriso di Bindris si smorzò. — Crediti? — disse. — Non capisco.

— Ebbene — disse Seldon — per quasi quarant’anni la Psicostoria è stata finanziata dal Governo. Tuttavia, i tempi cambiano e l’Impero non è più quello di una volta.

— Sì, questo lo so.

— L’Imperatore non dispone dei fondi necessari per finanziarci, oppure, anche se li trovasse, non riuscirebbe a farli approvare dall’assemblea legislativa. Pertanto, mi ha suggerito di rivolgermi ad uomini d’affari che, in primo luogo, dispongono ancora di una certa ricchezza e, in secondo luogo, possono semplicemente firmare un assegno.

Ci fu una pausa abbastanza lunga, poi finalmente Bindris disse: — Temo che l’Imperatore non sappia molto del mondo degli affari... Quanti crediti volete?

— Signor Bindris, stiamo parlando di un’impresa enorme. Avrò bisogno di diversi milioni.

— Diversi milioni?

— Proprio così.

Bindris aggrottò la fronte. — Ma stiamo parlando di un prestito? Quando contate di poterli restituire?

— In tutta sincerità, signor Bindris, credo che non riuscirei mai a restituire una somma del genere. Sto cercando una donazione.

— Anche se volessi darvi questi crediti – e badate, per qualche strana ragione vorrei proprio farlo – non potrei. L’Imperatore può avere il suo corpo legislativo, ma io ho i membri del mio consiglio di amministrazione. Non posso concedere una donazione di questa entità senza il permesso del mio Consiglio, e loro non mi autorizzeranno mai.

— Perché no? La vostra società è enormemente ricca. Per voi, pochi milioni non significherebbero nulla.

— Come battuta è buona — disse Bindris — ma temo che al momento la nostra società stia affrontando un periodo di recessione. Non così grave da provocarci problemi seri, ma sufficiente a renderci piuttosto infelici. Se l’Impero è in piena decadenza, anche le sue singole parti non versano in condizioni molto migliori. Non siamo in grado di donarvi quei milioni... mi dispiace veramente.

Seldon rimase seduto in silenzio, e Bindris sembrava sulle spine. Alla fine scosse il capo e disse: — Sentite, professor Seldon... vorrei davvero aiutarvi, non fosse altro che per la giovane signora che vi accompagna. Ma proprio non è possibile....

Tuttavia, non siamo l’unica grossa impresa di Trantor. Provate da qualcun altro, professore. Forse avrete più fortuna altrove.

— Va bene — disse Seldon, alzandosi in piedi con uno sforzo. — Proveremo.

23

Gli occhi di Wanda erano pieni di lacrime, ma l’emozione che le provocava non era il dolore, bensì la furia.

— Nonno — disse — non riesco a capire. Non ce la faccio proprio. Negli ultimi giorni siamo stati da quattro diverse società. Ognuna si è comportata con noi in modo più brusco e scostante di quella precedente. La quarta ci ha praticamente sbattuti fuori. E da allora, non siamo più riusciti a farci ricevere da nessuno: non vogliono più lasciarci entrare.

— Non è poi un mistero così grande, Wanda — disse gentilmente Seldon. —

Quando siamo stati da Bindris, lui non conosceva il motivo della nostra visita e si è mostrato amichevole finché non gli ho chiesto una donazione di pochi milioni di crediti. Allora è diventato molto meno amichevole. Immagino che si sia sparsa la voce sulle nostre intenzioni, così ogni volta il trattamento è stato sempre meno amichevole... ad un punto tale che ora non vogliono nemmeno riceverci. Perché dovrebbero? Non hanno intenzione di darci i fondi che ci servono, quindi perché sprecare tempo con noi?

L’irritazione di Wanda si ritorse contro lei stessa. — Ed io cos’ho fatto? Me ne sono rimasta seduta al tuo fianco, senza combinare nulla.

— Non direi proprio — disse Seldon. — Bindris è rimasto colpito da te. Io credo che volesse davvero darmi quei crediti, soprattutto a causa tua. Lo stavi spingendo ed hai ottenuto un risultato.

— Un risultato insufficiente. E poi, l’unica cosa che gli interessava era il fatto che fossi carina.

— Non carina — mormorò Seldon. — Bella. Molto bella.

— E adesso cosa facciamo, nonno? — chiese Wanda. — Dopo tutti questi anni, la Psicostoria crollerà.

— Immagino — disse Seldon — che in un certo senso sia una conseguenza inevitabile. Da quasi quarant’anni predico la caduta dell’Impero, ed ora che ciò si sta verificando la Psicostoria cadrà insieme all’Impero.

— Ma la Psicostoria salverà l’Impero, almeno in parte.

— Io so che ne è capace, ma non posso costringere il mondo a credermi.

— Vuoi lasciarla crollare così, senza reagire?

Seldon scrollò la testa.

— Cercherò di impedire che ciò accada, ma ti confesso che non so davvero in quale modo.

Wanda disse: — Mi eserciterò. Deve esistere un sistema per rendere più forte la mia spinta, che mi renda più facile costringere la gente a fare ciò che voglio.

— Se solo questo fosse possibile...

— Adesso cosa farai, nonno?

— Be’, non molto. Un paio di giorni fa, mentre mi stavo recando dal Bibliotecario Capo, ho incontrato tre uomini che discutevano della Psicostoria e per qualche ragione ho trovato molto simpatico uno di loro. L’ho invitato a venirmi a trovare e lui ha accettato. L’appuntamento è per questo pomeriggio nel mio ufficio.

— Lo farai lavorare per te?

— Mi piacerebbe... se avessi abbastanza crediti per pagarlo. Può avere delle pretese superiori alle mie possibilità. Ma parlargli non mi costerà nulla. Dopo tutto, cos’altro potrei perdere?

24

Il giovanotto arrivò esattamente alle quattro OST (Ora Standard Trantoriana), e Seldon sorrise: amava le persone puntuali. Posò le mani sulla scrivania e si preparò ad alzarsi, ma il giovanotto disse: — Vi prego, professore, so che avete una gamba malandata. Non è necessario che vi alziate.

Seldon disse: — Grazie, giovanotto. Comunque, questo non significa che non potete sedervi anche voi. Accomodatevi, prego.

Il giovanotto si tolse la giacca e sedette.

Seldon disse: — Dovete scusarmi, ma quando abbiamo fissato questo appuntamento ho dimenticato di chiedere il vostro nome... che sarebbe...?

— Stettin Palver — disse l’altro.

— Ah. Palver. Palver! È un nome che mi suona familiare.

— Dovrebbe, professore. Mio nonno si vantava spesso di avervi conosciuto.

— Vostro nonno... Ma certo. Joramis Palver. Era di due anni più giovane di me, ricordo. Ho cercato di convincerlo ad unirsi a me nello sviluppo della Psicostoria, ma ha rifiutato. Diceva che non sarebbe mai riuscito ad imparare abbastanza matematica per essere utile. Peccato! Come sta il vecchio Joramis, a proposito?

Palver disse, con tono solenne: — Temo che il vecchio Joramis abbia seguito la sorte che in genere è comune ai vecchi: è morto.

Seldon provò una fitta. Di due anni più giovane di lui... ed era morto. Joramis era stato un vecchio amico, ma i loro contatti si erano talmente diradati da consentire alla morte di farsi avanti all’insaputa di Seldon.

Hari rimase immobile e silenzioso per qualche istante, poi mormorò: — Mi dispiace.

Il giovanotto alzò le spalle. — Ha avuto una vita piena.

— E voi, giovanotto, dove avete studiato?

— All’Università di Langano.

Seldon corrugò la fronte. — Langano? Correggetemi se sbaglio, ma non è su Trantor, vero?

— No. Volevo provare a vivere su un mondo diverso. Le università su Trantor, come indubbiamente saprete benissimo, sono tutte troppo affollate. Volevo trovare un posto dove poter studiare in pace.

— E cosa avete studiato?

— Niente di speciale: storia. Ma come storico è piuttosto difficile trovare un buon lavoro.

(Un’altra fitta, anche peggiore della prima: Dors Venabili era stata una storica.) Seldon disse: — Ma siete tornato su Trantor. Come mai?

— Crediti. Un lavoro.

— Come storico?

Palver rise. — Neanche per sogno. Manovro una specie di palanchino meccanico.

Non è esattamente un’occupazione professionale.

Seldon osservò Palver con una punta di invidia. I contorni delle braccia e del torace del giovanotto erano messi in risalto dalla tela sottile della camicia. Aveva buoni muscoli. Seldon non aveva ma potuto fare sfoggio di una simile muscolatura.

Seldon disse: — Immagino che all’università siate stato membro della squadra di pugilato.

— Chi, io? Mai. Sono un torcitore.

— Un torcitore! — Seldon sentì un gioioso tuffo al cuore. — Siete originario di Helicon?

Palver rispose con un certo disprezzo. — Non occorre venire da Helicon per essere un buon torcitore.

No, pensò Seldon, ma è da Helicon che vengono i migliori.

Comunque, non disse nulla in merito.

Invece, disse: — Bene, vostro nonno non si è unito a me: voi che ne dite?

— Della Psicostoria?

— Quando ci siamo incontrati, vi ho sentito parlare con gli altri e ho apprezzato il vostro modo intelligente di discutere della Psicostoria. Allora, volete unirvi a me?

— Come ho detto, professore, ho già un lavoro.

— A manovrare un palanchino. Andiamo, andiamo.

— Rende bene.

— I crediti non sono tutto.

— Però sono abbastanza. Mentre voi, d’altro canto, non potete pagarmi molto.

Sono quasi certo che siate a corto di fondi.

— Cosa ve lo fa pensare?

— Sto tirando a indovinare, certo... Ma mi sbaglio?

Seldon serrò le labbra, poi disse: — No, non vi sbagliate, e non posso pagarvi molto. Mi dispiace. Immagino che questo ponga fine al nostro colloquio.

— Un momento, un momento. — Palver sollevò le mani. — Non così in fretta, vi prego. Stiamo ancora parlando della Psicostoria. Se lavoro per voi mi insegnerete tutto in proposito, esatto?

— Naturalmente.

— In questo caso i crediti non sono tutto, sono d’accordo. Farò un patto: voi mi insegnate tutta la Psicostoria che potete e mi pagate quello che vi è possibile, ed io cercherò di cavarmela in qualche modo. Che ve ne pare?

— Splendido — disse Seldon gioioso. — Mi sembra un’ottima idea. C’è un’altra cosa, però.

— Oh?

— Sì. Negli ultimi mesi sono stato aggredito due volte. La prima volta mio figlio è accorso a difendermi, ma adesso lui è emigrato su Santanni. La seconda volta mi sono difeso con il mio bastone dall’impugnatura riempita di piombo. Ha funzionato, ma mi hanno trascinato dinanzi ad un magistrato con l’accusa di aggressione e percosse...

— Perché queste aggressioni? — lo interruppe Palver.

— Non sono popolare. Da parecchio tempo predico la caduta dell’Impero, ed adesso che si sta verificando ne sono considerato il principale responsabile.

— Capisco. Ora, che c’entra questo con quell’altra cosa che avete menzionato?

— Voglio che siate la mia guardia del corpo. Siete giovane, robusto e, quel che più conta, siete un torcitore: esattamente quello di cui ho bisogno.

— Credo che si possa fare — disse Palver con un sorriso.

25

Guardate qui, Stettin — disse Seldon, mentre loro due facevano una passeggiata nelle prime ore della sera in uno dei quartieri residenziali di Trantor nelle vicinanze di Streeling. Il vecchio indicò il ciarpame – rifiuti assortiti gettati dalle vetture terrestri di passaggio, o lasciati cadere da passanti sbadati – che costeggiava il marciapiede. — Ai vecchi tempi — continuò Seldon — non avreste mai visto tanta sporcizia. La sicurezza civile era sempre vigile, le squadre della manutenzione municipale si occupavano ventiquattr’ore al giorno di tutte le aree pubbliche. Ma, cosa ben più importante, nessuno avrebbe mai pensato di scaricare in giro i suoi rifiuti in questo modo. Trantor era la nostra casa e ne andavamo fieri. Oggi, invece...

— Seldon scrollò la testa tristemente, con rassegnazione, e sospirò. — È... — Si interruppe bruscamente.

— Tu laggiù, giovanotto! — gridò Seldon ad un ragazzo dall’aria trasandata che pochi istanti prima li aveva superati andando in direzione opposta. Stava masticando una caramella che aveva appena infilato in bocca, e la carta era stata gettata a terra senza neppure un’occhiata verso il basso. — Raccogli quella carta e gettala in un cestino — ammonì Seldon mentre il giovane lo fissava con occhi astiosi.

— Raccoglila tu — ringhiò il ragazzo, poi si voltò per proseguire lungo la sua strada.

— È un altro segno del crollo di questa società, come aveva previsto la vostra Psicostoria, professor Seldon — disse Palver.

— Sì, Stettin. Tutt’intorno a noi l’Impero sta crollando, un pezzo dopo l’altro.

Anzi, è già crollato... non c’è più modo di tornare indietro. Apatia, decadenza ed avidità hanno tutte giocato un ruolo nel distruggere questo Impero un tempo glorioso.

E che cosa prenderà il suo posto? Perché...

Qui Seldon si interruppe, notando l’espressione sul viso di Palver. Il giovanotto sembrava ascoltare attentamente... ma non le parole di Seldon. Aveva la testa inclinata da un lato ed un’espressione assente. Era come se Palver aguzzasse l’udito per sentire qualche suono che lui solo poteva percepire.

Ritornò di colpo alla realtà. Con una rapida occhiata tutt’intorno, Palver prese Seldon per un braccio. — Svelto, Hari, dobbiamo andarcene. Stanno arrivando... —

Poi il silenzio della sera fu spezzato dal suono duro di passi che si avvicinavano veloci. Seldon e Palver si girarono ma era già troppo tardi; una banda di aggressori era già loro addosso. Questa volta, però, Hari Seldon era preparato. Mulinò subito il suo bastone facendogli compiere un lungo arco intorno a sé ed a Palver. A questa mossa i tre attaccanti, due ragazzi ed una ragazza, tutti teppisti adolescenti, scoppiarono a ridere.

— Così non hai voglia di renderci le cose più facili, eh, vecchio? — sbuffò il ragazzo che sembrava essere il capo. — Non importa, io ed i miei amici vi faremo secchi in un paio di secondi. Vi... — All’improvviso il capo si ritrovò a terra, vittima di un Torci-calcio piazzato magistralmente al suo addome. I due teppisti rimasti cambiarono posa, preparandosi all’attacco, ma Palver fu più rapido. Anche loro vennero abbattuti prima ancora di capire che cosa li avesse colpiti. E tutto finì con la stessa rapidità con cui era iniziato. Seldon se ne stava leggermente da un lato, appoggiandosi pesantemente al bastone e tremando al pensiero di essersela cavata per un soffio. Palver, ansimando appena per l’attività fisica, osservava la scena. I tre aggressori erano stesi immobili sul marciapiede deserto sotto la Cupola che si andava oscurando.

— Forza, allontaniamoci alla svelta! — ripeté Palver, solo che questa volta non avrebbero dovuto fuggire da un branco di aggressori.

— Stettin, non possiamo andarcene — protestò Seldon. Indicò i tre potenziali rapinatori privi di conoscenza. — In pratica sono poco più che bambini. Forse stanno morendo. Come possiamo lasciarli in queste condizioni? Sarebbe disumano... e l’umanità è esattamente ciò che ho tentato di proteggere con il mio lavoro di tutti questi anni. — Seldon batté il bastone a terra per enfatizzare le sue parole, con gli occhi scintillanti di convinzione.

— Sciocchezze — ribatté Palver. — Ciò che è veramente disumano è il modo in cui farabutti come questi depredano cittadini innocenti come voi. Credete che loro sarebbero stati a pensarci due volte? Vi avrebbero infilato un coltello in pancia per rubarvi fino all’ultimo credito... e prima di scappare vi avrebbero mollato qualche calcio! Si riprenderanno anche troppo presto, e strisceranno via per leccarsi le ferite.

Oppure, qualcuno li troverà e chiamerà la sicurezza.

«Insomma, Hari, cercate di riflettere. Dopo quello che è successo l’ultima volta, se vi troverete coinvolto in un altro pestaggio correrete il rischio di perdere ogni cosa.

Vi prego, Hari, dobbiamo fuggire!

Dopo di che, Palver afferrò Seldon per un braccio e Seldon, dopo un’ultima occhiata alle sue spalle, si lasciò condurre via.

Mentre i passi dei due fuggiaschi sfumavano in lontananza, un’altra figura sbucò dal suo nascondiglio dietro una vettura abbandonata. Ridacchiando fra sé, il ragazzo dagli occhi astiosi mormorò: — E poi vieni a dire a me che cosa sia giusto o sbagliato, professore... — Poi girò sui tacchi e corse a chiamare un agente della sicurezza.

26

— Ordine, voglio ordine in aula! — mugghiò con voce assai poco femminile il Giudice Tejan Popjens Lih. L’udienza pubblica preliminare che riguardava il professor “Corvo” Seldon ed il suo giovane complice, Stettin Palver, aveva suscitato scalpore ed interesse fra la popolazione di Trantor. Quello era l’uomo che aveva predetto la caduta dell’Impero, il crollo della civiltà, che esortava gli altri a ritornare all’età d’oro della giustizia e dell’ordine... lo stesso uomo che, secondo un testimone oculare, aveva ordinato il brutale pestaggio di tre giovani trantoriani senza alcuna provocazione apparente. Ah, certo, prometteva di rivelarsi un’udienza spettacolare, che avrebbe senza dubbio portato a un processo ancor più spettacolare.

Il giudice premette un pulsante su un pannello incassato nel suo banco e un sonoro gong echeggiò nell’aula gremita. — Voglio ordine — ripeté il Giudice alla folla ormai silenziosa. — Se necessario farò sgombrare l’aula. È un avvertimento che non sarà ripetuto.

Il Giudice era una figura imponente nella sua toga scarlatta di magistrato.

Originaria di Lystena, uno dei Mondi Esterni, il Giudice Lih possedeva una carnagione caratterizzata da un lieve colorito azzurrognolo, che diventava più scuro quando lei si animava e praticamente purpureo quando era davvero irritata. Circolava voce che, persino dopo tutti i suoi anni passati in tribunale, nonostante la sua reputazione di grande esperta giudiziaria e la fama di essere una delle più qualificate interpreti del Diritto Imperiale, Lih fosse sempre leggermente vanitosa della colorata immagine che forniva, con il rosso vivo della toga che faceva risaltare il turchese pallido della sua pelle.

Nondimeno, il Giudice Lih aveva la reputazione di non essere affatto tenera con coloro che infrangevano le leggi dell’Impero; era uno dei pochi magistrati rimasti che sapessero far applicare il codice civile senza tentennamenti.

— Ho sentito parlare di voi, professor Seldon, e delle vostre teorie circa la nostra prossima distruzione. Ho anche parlato con un collega magistrato che recentemente si è occupato di un altro caso in cui siete stato coinvolto, quello nel quale avete colpito un uomo con il vostro bastone dall’impugnatura riempita di piombo. Anche in quel caso avete sostenuto di essere vittima di un’aggressione. Le vostre motivazioni traevano spunto, a quanto pare, da un precedente episodio analogo, non denunciato, nel quale voi e vostro figlio sareste stati aggrediti da otto teppisti. Con la vostra dichiarazione di autodifesa, professor Seldon, siete riuscito a convincere il mio stimato collega, anche se un testimone oculare ha testimoniato in modo diverso.

Questa volta, professore, dovrete cercare di essere molto più convincente.

I tre teppisti che accusavano Seldon ridacchiarono sulle loro sedie al tavolo della parte civile: esibivano un aspetto molto diverso da quello avuto la sera dell’aggressione. I due ragazzi erano puliti e ben pettinati ed indossavano tute ad un pezzo unico di taglia abbondante; la ragazza portava una tunica finemente pieghettata. Tutto sommato, se uno non guardava (o ascoltava) troppo da vicino, i tre fornivano una quadretto rassicurante della gioventù trantoriana.

L’avvocato di Seldon, Civ Novker (che rappresentava anche Stettin Palver) si avvicinò al banco della corte. — Vostro onore, il mio cliente è uno stimato membro della comunità trantoriana. È stato un Primo Ministro la cui reputazione è ancora viva in tutta la Galassia. Conosce personalmente il nostro Imperatore Agis XIV. Quale possibile beneficio poteva trarre il professor Seldon da un’aggressione a tre giovani innocenti? Egli è uno dei più attivi sostenitori di tutto ciò che possa servire a stimolare la creatività intellettuale della gioventù trantoriana... il suo Progetto Psicostoria accoglie numerosi studenti volontari; è anche un membro amato e stimato del corpo docente dell’Università di Streeling.

« Inoltre... — Qui Novker fece una pausa, spazzando con gli occhi l’aula affollata quasi a voler dire: Aspettate di sentire questo... poi vi vergognerete di aver dubitato anche per un solo istante della sincerità del mio cliente — il professor Seldon è una delle rarissime persone private legate ufficialmente alla prestigiosa Biblioteca Galattica. Ha ottenuto un accesso illimitato alle risorse della Biblioteca per la preparazione di quella che lui definisce un’Enciclopedia Galattica, un autentico peana9 alla civiltà imperiale.

«Ora io vi chiedo, come può l’integrità di un uomo simile essere messa in discussione in questo modo?

Con un ampio gesto del braccio Novker indicò Seldon che, seduto al tavolo degli imputati con Stettin Palver, aveva un’aria decisamente a disagio. Le sue guance erano rosse per quelle lodi così insolite (dopo tutto, negli ultimi tempi il suo nome era stato 9 Nell’antica Grecia, il peana era un canto lirico corale in onore del dio Apollo. Successivamente, in età ellenistica, venne esteso anche a personaggi illustri. Con l’andar del tempo, è diventato per estensione un termine che indica un ode celebrativa in generale. ( N.d.R. ) oggetto più spesso di risate irridenti che di lodi sperticate), e la sua mano tremava leggermente sull’impugnatura scolpita del suo fidato bastone.

Il Giudice Lih osservò Seldon, per nulla impressionata dalle parole dell’avvocato.

— Già, quale beneficio l’imputato potrebbe trame, signor Novker...? Anch’io mi sono posta questa domanda. Nelle ultime notti sono rimasta sveglia a tormentarmi il cervello cercando un movente plausibile. Perché un uomo della levatura del professor Seldon avrebbe dovuto incorrere, senza alcuna provocazione, nel reato di aggressione e percosse quando lui stesso è uno dei nostri più accaniti critici del cosiddetto

“crollo” dell’ordine civile?

«Ma poi ho avuto un’intuizione. Forse, nella sua frustrazione per non essere creduto, il professor Seldon sente di dover provare ai mondi dell’Impero che le sue funeste predizioni si stiano veramente avverando. Dopo tutto, ecco qui un uomo che ha trascorso la sua intera carriera prevedendo la caduta dell’Impero, e gli unici esempi che può additare sono alcune lampade bruciate nella cupola, qualche inconveniente occasionale nei trasporti pubblici, un taglio nei finanziamenti pubblici qua e là... nulla di veramente drammatico. Ma un’aggressione portata alla sua persona, magari due, o addirittura tre... questa sì che sarebbe una prova.

Il Giudice Lih si appoggiò allo schienale della sua poltrona ed incrociò le mani dinanzi a sé, un’espressione soddisfatta sul viso. Seldon si alzò, appoggiandosi al tavolo come sostegno. Con un grande sforzo si avvicinò al banco della corte, allontanando con un gesto il suo avvocato ed avanzando a fatica sotto lo sguardo di acciaio del Giudice.

— Magistrato, vi prego di consentirmi di dire poche parole in mia difesa.

— Certo, professor Seldon. Dopo tutto, questo non è un processo, ma un’udienza preliminare per ascoltare tutti i fatti, le accuse e le teorie pertinenti al caso, prima di decidere se sia necessario procedere con un processo. Ho semplicemente espresso una mia teoria; ora sono davvero interessata a sentire quel che abbiate da dire.

Seldon si schiarì la voce prima di iniziare. — Ho dedicato tutta la mia vita all’Impero. Ho servito fedelmente ogni Imperatore fin dai tempi di Cleon I. La mia scienza della Psicostoria, ben lungi dall’essere portatrice di distruzione, è stata creata con il solo scopo di servire come mezzo di salvezza. Attraverso il suo uso noi possiamo prepararci a qualsiasi corso la nostra civiltà voglia prendere. Se, come io credo, l’Impero continuerà a crollare, la Psicostoria ci aiuterà a posare le fondamenta di una civiltà nuova, e migliore, fondata su tutto ciò che di buono esista nella vecchia.

Amo i nostri mondi, i nostri popoli, il nostro Impero... quale interesse avrei a contribuire all’illegalità che diminuisce ogni giorno la sua forza?

«Non so dire altro. Dovete credermi. Io, un uomo di intelletto, di equazioni, di scienza... vi sto parlando col cuore.

Seldon si girò e fece lentamente ritorno alla sua sedia accanto a quella di Palver.

Prima di sedersi cercò con gli occhi Wanda, seduta nell’ala del pubblico. Lei fece un debole sorriso e gli strizzò l’occhio.

— Col cuore o meno, professor Seldon, questa decisione richiederà molta riflessione da parte mia. Abbiamo ascoltato i vostri accusatori, abbiamo ascoltato voi ed il signor Palver. Ora mi serve la testimonianza di un’altra parte in causa. Vorrei sentire Rial Nevas, che si è presentato come testimone oculare di questo incidente.

Mentre Nevas si avvicinava al banco dei testimoni, Seldon e Palver si scambiarono uno sguardo allarmato: era il ragazzo che Hari aveva ammonito appena prima dell’aggressione.

Lih stava ponendo al giovane una domanda. — Volete descriverci con esattezza, signor Nevas, ciò a cui avete assistito la sera in questione?

— Be’ — iniziò Nevas, fissando Seldon con i suoi occhi cupi — me ne stavo andando in giro per i fatti miei quando ho visto quei due — ... si girò e indicò Seldon e Palver... — sull’altro lato del marciapiede, che venivano verso di me. Poi ho visto quei tre ragazzi. — (Un altro cenno col dito, stavolta verso i tre seduti al tavolo della parte civile.) — Il vecchio e l’altro stavano seguendo i ragazzi. Però non mi hanno visto, perché io ero sul marciapiede opposto e loro erano tutti concentrati sulle loro vittime. E poi, bang! Di colpo, il vecchio comincia a colpirli col suo bastone, poi quello più giovane salta loro addosso e li prende a calci, e in un batter d’occhio i tre ragazzi sono stesi a terra. Poi il vecchio e il suo amico se ne sono andati, come se niente fosse. Non riuscivo a crederci.

— È una menzogna! — esplose Seldon. — Ragazzo, qui stai giocando con la mia vita! — Nevas si accontentò di fissare Seldon impassibile.

— Giudice — implorò Seldon — non vedete che sta mentendo? Ricordo questo tipo; l’ho rimproverato per aver sporcato il marciapiede pochi minuti prima che fossimo aggrediti. L’ho indicato a Palver come ulteriore esempio del crollo della nostra società, dell’apatia dei cittadini, del...

— Basta così, professor Seldon — ordinò il magistrato. — Un’altra interruzione del genere e vi farò espellere dall’aula. Ora, signor Nevas... — disse, rivolgendosi al testimone — che cosa avete fatto durante la sequenza di fatti che avete appena descritto?

— Io, ehm, mi sono nascosto. Dietro alcuni alberi. Me ne stavo nascosto. Avevo paura che se la sarebbero presa anche con me, se mi avessero visto, così mi sono nascosto. E quando se ne sono andati, be’, sono corso a chiamare la sicurezza.

Nevas aveva cominciato a sudare, ed infilò un dito nel colletto dell’abito monopezzo. Si agitava, spostando il peso del corpo da un piede all’altro mentre se ne stava sulla pedana dei testimoni. Era chiaramente a disagio sotto gli sguardi di tutta quella folla di spettatori; tentava di evitare le occhiate verso il pubblico, ma ogni volta si sentiva attratto dallo sguardo fisso di una bella ragazza bionda seduta in prima fila. Era come se lei gli stesse ponendo una domanda, incalzandolo a rispondere, premendo per farlo parlare.

— Signor Nevas, cos’avete da dire in merito alla dichiarazione del professor Seldon secondo la quale lui ed il signor Palver vi avrebbero incontrato prima dell’aggressione, ed il professore avrebbe scambiato qualche parola con voi?

— Be’, io... ehm, no, vedete, è andata come ho detto... me ne andavo per i fatti miei e... — A questo punto Nevas guardò verso il tavolo degli imputati. Seldon lo stava fissando tristemente, come se si rendesse conto che tutto era perduto. Ma il compagno di Seldon, Stettin Palver, fissò duramente Nevas ed il ragazzo sussultò, sorpreso, alle parole che rimbombarono nella sua mente: «Di’ la verità!» Fu come se Palver avesse parlato, ma le sue labbra non si erano mosse. Allora Nevas, confuso, girò di scatto la testa verso la ragazza bionda... gli era sembrato di sentirla parlare...

Di’ la verità!... ma anche le sue labbra erano immobili.

— Signor Nevas, signor Nevas — la voce del magistrato fece irruzione fra i pensieri confusi del giovane. — Signor Nevas, se il professor Seldon ed il signor Palver camminavano verso di voi, dietro i tre querelanti, come mai avete notato prima Seldon e Palver? È così che avete dichiarato nella vostra prima deposizione, non è vero?

Gli occhi di Nevas percorsero frenetici l’intera aula. Non riusciva a sfuggire a quegli sguardi, a tutti quegli occhi che gli urlavano «Di’ la verità!» Guardando Hari Seldon, Rial Nevas disse semplicemente: — Mi dispiace — e fra lo sbalordimento di tutti i presenti nell’aula il ragazzo quattordicenne cominciò a piangere.

27

Era una splendida giornata... né troppo calda né troppo fredda, non troppo luminosa e non troppo grigia. Anche se i fondi per la manutenzione dei terreni si erano esauriti anni prima, le scarse e striminzite piante perenni che fiancheggiavano la gradinata di accesso alla Biblioteca Galattica aggiungevano una nota allegra alla mattinata. (La Biblioteca, essendo stata costruita nello stile classico dei tempi antichi, possedeva una delle più imponenti scalinate di tutto l’Impero, seconda in maestosità solo alla scalinata dello stesso Palazzo Imperiale; quasi tutti i visitatori della Biblioteca, tuttavia, preferivano entrare usando la scala mobile.) Seldon nutriva grandi speranze per quel giorno.

Dopo che lui e Stettin Palver erano stati pienamente assolti da ogni accusa nel recente caso di aggressione, Hari Seldon si sentiva un uomo nuovo. Benché l’esperienza fosse risultata dolorosa, il fatto stesso che fosse pubblica aveva favorito la causa di Seldon. Il Giudice Tejan Popjens Lih, considerato uno dei più influenti magistrati – se non il più influente – della Corte Imperiale, era stato piuttosto esplicito nel presentare la sua opinione, resa pubblica il giorno successivo alla convulsa testimonianza di Rial Nevas.

— Quando si giunge a un punto cruciale della nostra cosiddetta società “civile” —

aveva intonato il giudice dal suo banco — nel quale un uomo della levatura del professor Seldon viene costretto a subire l’umiliazione, gli abusi e le menzogne dei suoi simili solo a causa di ciò che lui è e rappresenta, questo significa che sono veramente giunti tempi bui per l’Impero. Riconosco che anch’io, sulle prime, sono rimasta ingannata... Perché il professor Seldon non dovrebbe, pensavo, fare ricorso a simili astuzie nel tentativo di dimostrare le sue previsioni? Ma mi sono resa conto che gli stavo facendo un grave torto. — Qui il Giudice aveva corrugato la fronte, mentre una vampata blu scura le saliva lungo il collo fino alle guance. — Perché attribuivo al professor Seldon moventi scaturiti dalla nostra nuova società, una società nella quale il vivere in modo onesto, sincero ed altruista può significare una morte violenta, una società nella quale sembra necessario fare ricorso alla disonestà ed alla sopraffazione solo per sopravvivere.

«Quanto ci siamo allontanati dai princìpi sui quali avevamo fondato questa società! Questa volta abbiamo avuto fortuna, cittadini di Trantor. Dobbiamo sentirci profondamente riconoscenti al professor Hari Seldon per averci rivelato la nostra vera natura; cerchiamo di imparare a memoria questo esempio e di mostrarci più vigili in futuro contro le forze più spregevoli della nostra natura umana.

Dopo l’udienza, l’Imperatore aveva inviato a Seldon un olodisco di congratulazioni dove, accanto ai complimenti, esprimeva la speranza che adesso Seldon sarebbe riuscito a trovare nuovi fondi per il suo Progetto.

Scivolando su per la scala mobile della Biblioteca, Seldon rifletteva sullo stato attuale del suo Progetto Psicostoria. Il suo buon amico, l’ex Bibliotecario Capo Las Zenow, era andato in pensione. Durante la sua gestione Zenow era stato un accanito sostenitore di Seldon e della sua opera, anche se spesso si era trovato con le mani legate a causa del Consiglio Direttivo. Tuttavia, aveva assicurato Zenow a Seldon, il nuovo Bibliotecario Capo, Tryma Acarnio, non era meno progressista di lui. Inoltre, a causa della sua natura cordiale ed affabile, Acarnio godeva di una notevole popolarità fra le varie fazioni del Consiglio.

— Hari, amico mio — aveva detto Zenow prima di lasciare Trantor per il suo mondo natale di Wenkory — Acarnio è un’ottima persona, un uomo di grande intelletto e con la mente aperta. Sono certo che farà il possibile per aiutare voi ed il Progetto. Gli ho lasciato tutti i dati computerizzati che riguardino voi e la vostra Enciclopedia; so che il contributo che essa costituisce per l’intero genere umano lo ecciterà almeno quanto eccitava me. Abbiate cura di voi, amico mio... vi ricorderò sempre con affetto.

E così oggi Hari Seldon doveva avere il suo primo incontro ufficiale con il nuovo Bibliotecario Capo. Si sentiva rassicurato dalle parole di Zenow e non vedeva l’ora di poter dividere con Acarnio i suoi piani per il futuro del Progetto e dell’Enciclopedia.

Tryma Acarnio si alzò quando Hari fece il suo ingresso nell’ufficio del Bibliotecario Capo. La nuova gestione aveva già lasciato il suo segno sul posto; là dove Zenow aveva riempito ogni angolo e spazio libero della stanza con olodischi e tridigiornali dai differenti Settori di Trantor, sotto un turbinoso insieme di videoglobi che rappresentavano i vari mondi dell’Impero roteanti a mezz’aria, Acarnio aveva fatto piazza pulita di tutti i dati e le immagini che Zenow aveva voluto conservare a portata di mano. Su una parete spiccava un enorme oloschermo con il quale, pensò Seldon, Acarnio avrebbe potuto visionare ogni pubblicazione o trasmissione desiderata.

Acarnio era un uomo basso e tozzo, con un’espressione perennemente distratta a causa di un intervento correttivo alle cornee in età infantile malriuscito, espressione che tuttavia mascherava un’intelligenza prodigiosa ed una consapevolezza costante di tutto ciò che accadeva intorno a lui.

— Bene, bene. Il professor Seldon. Venite avanti, accomodatevi. — Acarnio indicò una sedia dallo schienale rigido di fronte alla scrivania, dietro alla quale tornò a sedersi. — È stata una vera coincidenza che abbiate richiesto questo incontro; vedete, contavo di mettermi in contatto con voi non appena avessi sistemato le mie cose.

Seldon annuì, lieto di constatare che il nuovo Bibliotecario Capo lo considerasse importante al punto da progettare già un incontro nei primi caotici giorni della sua gestione.

— Ma prima di tutto, professore, ditemi perché volevate vedermi, poi avremo modo di passare alle mie questioni, certamente più prosaiche.

Seldon si schiarì la voce, chinandosi in avanti. — Bibliotecario Capo, Las Zenow vi avrà senz’altro parlato del mio lavoro qui, e della mia idea per una Enciclopedia Galattica. Las ne era entusiasta, e mi è stato di grande aiuto fornendomi un ufficio privato all’interno della Biblioteca ed accesso illimitato alle sue ampie risorse. Anzi, è stato proprio lui ad individuare l’eventuale sede del Progetto Enciclopedia, un remoto Mondo Esterno chiamato Terminus.

«C’è stata una cosa, tuttavia, che Las non ha potuto fornirmi. Per mantenere il progetto entro i tempi previsti, è necessario che io disponga di un ufficio più spazioso e di un accesso illimitato alle risorse della Biblioteca anche per un gruppo di miei collaboratori. Già a questo stadio è un’impresa enorme... dobbiamo raccogliere i dischi con tutti i dati e le informazioni indispensabili per poterli copiare e trasferire su Terminus, prima di poter iniziare la vera e propria opera di compilazione dell’Enciclopedia.

«Las non godeva di molta popolarità all’interno del Consiglio Direttivo della Biblioteca, come senza dubbio saprete. Voi, invece, siete piuttosto popolare. Per questo vi chiedo, Bibliotecario Capo: volete fare in modo che ai miei colleghi siano consentiti i privilegi dei ricercatori interni, dandoci così il modo di proseguire il nostro lavoro vitale?

Qui Hari si fermò quasi senza fiato. Era certo che il suo discorso – che la notte prima aveva ripassato mentalmente più volte, finché la stanchezza non l’aveva sopraffatto – avrebbe avuto l’effetto desiderato. Attese fiducioso la risposta di Acarnio.

— Professor Seldon — cominciò Acarnio. Il sorriso fiducioso di Seldon si affievolì: nella voce del Bibliotecario Capo vibrava un tono tagliente che lui non si era aspettato. — Il mio stimato predecessore mi ha fornito, con abbondanza di dettagli, una spiegazione del vostro lavoro qui alla Biblioteca. Era entusiasta delle vostre ricerche, e senz’altro favorevole all’idea che alcuni vostri colleghi si unissero a voi. Come lo ero io, professor Seldon... — alla pausa di Acarnio, Seldon sollevò di scatto gli occhi — ... al principio. Ero pronto a convocare una riunione speciale del Consiglio, per proporre che un gruppo di uffici più ampi venissero messi a disposizione dei vostri Enciclopedisti. Però, professor Seldon, adesso tutto questo è cambiato.

— Cambiato! — gracchiò Seldon, sbalordito. — Ma perché?

— Professor Seldon, siete appena reduce da un sensazionale caso di aggressione e percosse che vi ha visto nei panni del principale imputato.

— Ma sono stato prosciolto da ogni accusa — intervenne Seldon. — Il caso non è neppure diventato un processo.

— Tuttavia, professore, la vostra ultima escursione sotto lo sguardo dell’opinione pubblica vi ha guadagnato un’innegabile – come definirla? – sfumatura di cattiva reputazione. Oh, certo, siete stato prosciolto da tutte le accuse. Ma per ottenere questo proscioglimento il vostro nome, il vostro passato, le vostre idee, il vostro lavoro, sono stati messi in mostra sotto gli occhi di tutti i mondi. E anche se un magistrato progressista ed illuminato vi ha proclamato senza colpe, che mi dite dei milioni –

forse miliardi – di altri cittadini comuni che non vedono un pioniere psicostorico in lotta per conservare le glorie della sua civiltà, ma bensì un lunatico delirante intento solo a predire rovina e distruzione per il grande e potente Impero?

«Voi, per la natura stessa del vostro lavoro, state minacciando il tessuto essenziale dell’Impero. Non mi riferisco all’enorme Impero monolitico, senza nome e senza volto. No, intendo l’anima e il cuore dell’Impero... la sua gente. Quando voi dite loro che l’Impero stia decadendo, in pratica dite che loro stiano decadendo. E questo, mio caro professore, il cittadino medio non può sopportarlo.

«Seldon, che vi piaccia o no, siete diventato un oggetto di derisione, una figura bersagliata dal ridicolo, uno zimbello.

— Scusatemi, Bibliotecario Capo, ma ormai sono anni che in certi ambienti vengo considerato uno zimbello.

— Sì, ma solo in alcuni ambienti. Quest’ultimo incidente, però, con la risonanza pubblica che ha ricevuto, vi ha esposto al ridicolo non solo qui su Trantor, ma su tutti i mondi. Quindi, professore, se fornendovi un ufficio noi, la Biblioteca Galattica, diamo una tacita approvazione al vostro lavoro, ne consegue che anche noi, la Biblioteca Galattica, diventeremo lo zimbello di tutti i mondi. E per quanto io possa credere personalmente nelle vostre teorie e nella vostra Enciclopedia, come Bibliotecario Capo della Biblioteca Galattica di Trantor devo pensare prima di tutto alla Biblioteca.

«Di conseguenza, professore, la richiesta di introdurre i vostri colleghi nella Biblioteca è respinta.

Hari Seldon boccheggiò con un sussulto all’indietro, come se fosse stato colpito.

— Inoltre — proseguì Acarnio — devo comunicarvi una sospensione temporanea di due settimane di tutti i vostri privilegi bibliotecari, con effetto immediato. È stato il Consiglio a convocare quella riunione speciale, professor Seldon. Fra due settimane vi comunicheremo se la vostra associazione con la Biblioteca dovrà avere termine.

A questo punto Acarnio smise di parlare, ed appoggiate le mani sulla superficie lucida e immacolata della scrivania si alzò in piedi. — È tutto, professor Seldon... per ora.

Anche Hari Seldon si alzò, benché il suo movimento verso l’alto non risultasse così rapido e fluido come quello di Tryma Acarnio.

— Potrei avere il permesso di rivolgermi al Consiglio? — chiese Seldon. —

Forse, se riuscissi a spiegare loro l’importanza vitale della Psicostoria e dell’Enciclopedia...

— Temo che non sia possibile, professore — disse gentilmente Acarnio, e nel tono di quella frase Seldon colse un barlume dell’uomo che Las Zenow gli aveva descritto. Ma, con la stessa rapidità, il gelido burocrate riprese il comando mentre Acarnio accompagnava Seldon alla porta.

Quando i battenti si aprirono, Acarnio disse: — Due settimane, professor Seldon.

Ci risentiremo allora. — Hari uscì dirigendosi verso il suo levitante in attesa, ed i battenti si richiusero.

E adesso cosa faccio? si domandò Seldon sconsolato. È questa la fine di tutta la mia opera?

28

— Wanda, mia cara, cos’è che ti assorbe tanto? — chiese Hari Seldon entrando nell’ufficio di sua nipote all’Università di Streeling. In realtà quella stanza era stato l’ufficio di un altro brillante matematico, Yugo Amaryl, la cui morte aveva lasciato un vuoto spaventoso nel Progetto Psicostoria. In anni più recenti, fortunatamente, Wanda aveva preso via via il ruolo di Yugo, perfezionando sempre più il Primo Radiante.

— Be’, sto lavorando su una equazione nel Quadrante 33A2D17. Vedi, ho ricalibrato questa sezione — indicò una macchia violetta e lucente sospesa a mezz’aria davanti al suo viso — prendendo in considerazione il quoziente standard I, e... Ecco! Proprio come pensavo... o almeno credo. — Fece un passo indietro e si stropicciò gli occhi.

— Che cos’è, Wanda? — Hari si avvicinò per studiare l’equazione. — Questa si direbbe l’equazione di Terminus, eppure... Wanda, questo è l’ inverso dell’equazione di Terminus, non è vero?

— Sì, nonno. Vedi, i numeri non funzionavano molto bene nell’equazione di Terminus... stai a guardare. — Wanda toccò un contatto in una nicchia sul muro e un’altra macchia si illuminò di rosso vivo sull’altro lato della stanza. Seldon e Wanda si avvicinarono per esaminarla. — Vedi come adesso tutto si incastri perfettamente, nonno? Ho impiegato settimane per farla diventare così.

— Come ci sei riuscita? — chiese Hari, ammirando le linee dell’equazione, la sua logica, la sua eleganza.

— Da principio mi sono concentrata sull’equazione solo da questo capo. Ho escluso tutto il resto. Per riuscire a far funzionare Terminus, concentrati su Terminus... sembra la cosa più logica, non trovi? Ma poi mi sono resa conto che non potevo semplicemente introdurre questa equazione nel sistema del Primo Radiante e aspettarmi che si amalgamasse da sola con il resto, come se non fosse successo nulla.

Un inserimento in un punto comporta uno spostamento da qualche altra parte. Un peso ha bisogno di un contrappeso.

— Credo che il concetto al quale ti riferisca sia ciò che gli antichi chiamavano yin e yang.

— Sì, più o meno. Yin e yang. Così, vedi, mi sono accorta che per poter perfezionare lo yin di Terminus dovevo individuare il suo yang. E l’ho fatto... laggiù.

— Tornò alla macchia violetta, situata sul bordo opposto della sfera formata dal Primo Radiante. — Non appena ho aggiustato le cifre qui, anche l’equazione di Terminus si è inserita perfettamente. Armonia! — Wanda appariva molto soddisfatta di sé, come se avesse appena risolto tutti i problemi della Galassia.

— Affascinante, Wanda. Più tardi devi dirmi che cosa significhi questo per il Progetto... Ma adesso devi venire con me all’oloschermo. Pochi minuti fa ho ricevuto un messaggio urgente da Santanni: tuo padre vuole che ci mettiamo in contatto con lui al più presto.

Il sorriso di Wanda si spense. I recenti rapporti di combattimenti su Santanni l’avevano già allarmata. Quando erano divenuti esecutivi i tagli al bilancio imperiale, i cittadini dei Mondi Esterni avevano sofferto più di chiunque altro. Avendo un accesso limitato ai Mondi Interni più ricchi e più popolosi, era diventato sempre più difficile scambiare i loro prodotti con le merci di importazione vitale. I contatti commerciali con Santanni si erano andati via via rarefacendo, ed il minuscolo mondo si era sentito isolato dal resto dell’Impero. Sacche di ribellione si erano create su tutto il pianeta.

— Nonno, spero che vada tutto bene — disse Wanda con la paura che faceva capolino dalla sua voce.

— Non preoccuparti, cara. Dopo tutto, devono essere al sicuro se Raych è riuscito a mettersi in contatto con noi.

Nell’ufficio di Seldon, si misero entrambi di fronte all’oloschermo mentre veniva attivato. Seldon compose un codice sul tastierino a fianco dello schermo, poi attesero per alcuni secondi che si stabilisse il collegamento intragalattico. Lentamente, lo schermo sembrò sprofondare dentro la parete come se fosse l’ingresso di una galleria... e da quella galleria, dapprima in modo indistinto, uscì la figura familiare di un uomo basso e muscoloso. Con l’affinarsi del collegamento, i lineamenti dell’uomo divennero più chiari. Quando Seldon e Wanda riuscirono a distinguere i folti baffi da dahlita di Raych, la figura prese vita.

— Papà! Wanda! — disse l’ologramma tridimensionale di Raych proiettato su Trantor da Santanni. — Ascoltate, non ho molto tempo... — Fece una smorfia, come colto di sorpresa da un forte rumore. — Qui le cose si sono messe piuttosto male. Il governo provinciale è caduto ed un nuovo organismo provvisorio ha preso il potere.

Va tutto in rovina, come potete immaginare. Ho appena caricato Manella e Bellis su un’ipernave in partenza per Anacreon. Ho detto loro di mettersi in contatto con voi non appena fossero arrivate là. Il nome della nave è “Arcadia VII”.

«Avresti dovuto vedere Manella, papà. Furiosa come non so cosa per il fatto di doversene andare. Sono riuscito a convincerla solo dicendole che fosse necessario per la sicurezza di Bellis.

«So cosa state pensando, tutti e due. È naturale che sarei andato con loro... se solo avessi potuto. Ma non c’era abbastanza spazio. Non sto a raccontarvi quello che ho dovuto fare per trovare posto per loro». Qui Raych abbozzò uno di quei suoi sogghigni sghembi che Seldon e Wanda amavano tanto, poi continuò: «E poi, visto che sono qui, devo dare una mano a proteggere l’università... faremo anche parte del sistema universitario imperiale, ma siamo un luogo di studio e di apprendimento, non di distruzione. Ve lo garantisco, se uno solo di quei ribelli fanatici osa avvicinarsi alle nostre apparecchiature...

— Raych — lo interruppe Hari — la situazione è davvero così grave? Ti trovi vicino ai combattimenti?

— Papà, sei in pericolo? — chiese Wanda. Attesero qualche secondo mentre il loro messaggio attraversava i novemila parsec che li separavano da Raych.

— Non... non... non sono riuscito a capire bene quello che avete detto — rispose l’ologramma. — Qui sono in corso alcuni scontri. È quasi eccitante, per la verità —

disse Raych, tornando a sogghignare. — Quindi adesso tolgo il contatto. Ricordate, informatevi su cosa sia successo all’“Arcadia VII” diretta verso Anacreon. Mi rifarò vivo non appena potrò. Ricordate, io... — ma la trasmissione si interruppe e l’ologramma svanì. La galleria dell’oloschermo si richiuse, lasciando Seldon e Wanda a fissare con occhi vacui una parete nuda.

— Nonno — disse Wanda — cosa credi che stesse per dire?

— Non ne ho idea, cara. Ma c’è una cosa che so, ed è che tuo padre sa badare molto bene a se stesso. Non invidio quei ribelli che si avvicineranno abbastanza per beccarsi un Torci-calcio ben piazzato da tuo padre!... Vieni, torniamo a quell’equazione, e fra poche ore ci informeremo sull’“Arcadia VII”.

— Comandante, non avete idea di cosa sia accaduto alla nave? — Hari Seldon era di nuovo impegnato in una comunicazione intragalattica, ma questa volta il suo interlocutore era un ufficiale della Marina Imperiale di stanza su Anacreon. Per questa comunicazione Seldon si stava servendo del videoschermo... molto meno realistico della visualizzazione olografica tridimensionale, ma anche assai più semplice.

— Vi ripeto, professore, che non ci risulta che questa ipernave abbia chiesto il permesso di entrare nell’atmosfera di Anacreon. Naturalmente, le comunicazioni con Santanni sono interrotte da parecchie ore, ed anche nell’ultima settimana sono state tutt’al più sporadiche. È possibile che la nave abbia cercato di contattarci su un canale controllato da Santanni e non ci sia riuscita, ma ne dubito.

«No, è più probabile che l’“Arcadia VII” abbia cambiato destinazione. Voreg, forse, o Sarip. Avete provato su uno di questi mondi, professore?

— No — disse stancamente Seldon — ma non vedo perché una nave diretta verso Anacreon dovrebbe dirigersi da un’altra parte. Comandante, è della massima importanza che io riesca a localizzare quella nave.

— Naturalmente — azzardò l’ufficiale — l’“Arcadia VII” potrebbe non avercela fatta. A decollare sana e salva, voglio dire. Sul pianeta sono in corso vere e proprie battaglie. Quei ribelli se ne infischiano dei bersagli a cui sparano. Puntano semplicemente i loro laser e si illudono di fare a pezzi l’Imperatore Agis. Vi assicuro, professore, che qui sull’orlo dell’Impero si gioca una partita veramente dura.

— Mia nuora e mia nipote sono a bordo di quella nave, comandante — disse Seldon con voce tesa.

— Oh, mi dispiace, professore — disse l’ufficiale imbarazzato. — Vi informerò non appena avrò saputo qualcosa.

Abbattuto, Seldon spense il videoschermo. Quel militare aveva pensato di poter stupire Seldon, forse di impressionarlo con la sua descrizione della vita “sull’orlo”.

Ma Seldon sapeva tutto dell’orlo. E quando l’orlo si staccava, come in un indumento di maglia con un filo sciolto, l’intero indumento avrebbe continuato a disfarsi fino al suo nucleo: Trantor.

Seldon prese coscienza di un tenue suono ronzante. Era il segnale della porta. —

Sì?

— Nonno — disse Wanda entrando nell’ufficio — ho paura.

— Perché, tesoro? — chiese Seldon preoccupato. Non voleva ancora dirle ciò che aveva saputo – o non aveva saputo – dall’ufficiale di stanza su Anacreon.

— Di solito, anche se sono molto lontani, io riesco a sentire mamma e papà e Bellis... li sento qui dentro — indicò la testa — e qui dentro — si mise una mano sul cuore. — Ma adesso, oggi, non li sento. O meglio, li sento meno, quasi si stessero spegnendo, come una delle lampade della cupola. E voglio impedirlo, voglio farli tornare indietro, ma non ci riesco.

— Wanda, credo che sia solo il frutto della tua preoccupazione per la tua famiglia alla luce della ribellione. Sai che rivolte simili si verificano continuamente in tutto l’Impero... piccole eruzioni che servono a scaricare una pressione eccessiva. Ora, se rifletti, ti renderai conto che le probabilità che succeda qualcosa a Raych, Manella o Bellis sono davvero minime. Tuo padre potrebbe chiamare da un giorno all’altro per dirci che tutto va bene; tua madre e Bellis possono atterrare su Anacreon in qualsiasi momento e godersi una breve vacanza. Siamo noi quelli che loro dovrebbero commiserare... sprofondati fino alle orecchie nel lavoro! Quindi, tesoro, vattene a letto e pensa solo a cose belle. Ti prometto che domani, sotto la cupola soleggiata, le cose ti appariranno molto migliori.

— Va bene, nonno — disse Wanda, anche se non interamente persuasa. — Ma domani... se domani non avremo notizie, dovremo... dovremo...

— Wanda, che cosa possiamo fare se non restare in attesa? — le chiese Hari con voce dolce.

Wanda si girò ed uscì, rivelando il peso della sua preoccupazione dalle spalle incurvate. Hari la guardò uscire, consentendo finalmente alle sue preoccupazioni di ritornare a galla.

Erano trascorsi tre giorni dalla trasmissione olografica di Raych. Da allora... più nulla. E oggi, l’ufficiale della Marina su Anacreon negava di aver mai sentito parlare di un’ipernave chiamata “Arcadia VII”.

Hari aveva già tentato di mettersi in contatto con Raych su Santanni, ma tutti i fasci di comunicazione erano interrotti. Era come se Santanni e l’“Arcadia VII”, si fossero semplicemente staccati dall’Impero, come due petali da un fiore.

Seldon sapeva cosa gli restava da fare. L’Impero poteva essere in declino, ma non era ancora finito. La sua potenza, se controllata da mani esperte, era sempre spaventosa. Seldon inoltrò una chiamata di emergenza all’Imperatore Agis XIV.

29

— Quale sorpresa... il mio amico Hari! — II viso di Agis sorrise cordiale a Seldon dal videoschermo. — Sono lieto di sentirvi, anche se di solito sembriate preferire un’udienza più personale. Sentiamo, avete pungolato il mio interesse. Perché tanta urgenza?

— Sire — cominciò Seldon senza preamboli — mio figlio Raych, sua moglie e sua figlia vivono su Santanni.

— Ah, Santanni — disse l’Imperatore mentre il suo sorriso svaniva. — Il più ottuso branco di malconsigliati incoscienti che abbia mai...

— Sire, vi prego — lo interruppe Seldon, sorprendendo l’Imperatore e se stesso con quella flagrante infrazione al protocollo imperiale. — Mio figlio è riuscito a imbarcare Manella e Bellis su una ipernave, l’“Arcadia VII”, diretta ad Anacreon.

Lui, invece, è stato costretto a rimanere. Questo è successo tre giorni fa. La nave non è atterrata su Anacreon. E mio figlio sembra essere scomparso; le mie chiamate per Santanni sono rimaste senza risposta, e adesso i fasci subeterici sono interrotti.

«Vi prego, sire, potete aiutarmi?

— Hari, come senz’altro sapete, in via ufficiale tutti i legami fra Santanni e Trantor sono stati interrotti. Tuttavia sono ancora in grado di esercitare una certa influenza in alcune aree del pianeta. Vale a dire, esistono tuttora sparuti gruppi di persone che mi sono fedeli e che non sono ancora stati scoperti. Anche se non posso mettermi direttamente in contatto con i miei agenti su Santanni, posso tuttavia mettervi al corrente dei rapporti che ricevo da loro. Ovviamente, si tratta di materiale estremamente confidenziale, ma tenuto conto della vostra situazione e dei nostri rapporti, vi consentirò l’accesso alle informazioni che potrebbero interessarvi.

«Attendo un altro dispaccio entro un’ora. Se volete, posso richiamarvi dopo il suo arrivo. Nel frattempo chiederò ad uno dei miei segretari di spulciare tutti i messaggi giunti da Santanni negli ultimi tre giorni, cercando ogni possibile riferimento a Raych, Manella e Bellis Seldon.

— Vi ringrazio, sire. Vi ringrazio con tutto il cuore. — Ed Hari Seldon chinò il capo mentre l’immagine dell’Imperatore svaniva dallo schermo.

Sessanta minuti più tardi Hari Seldon era di nuovo seduto alla sua scrivania, in attesa di notizie dall’Imperatore. L’ora appena trascorsa era stata una delle più difficili di tutta la sua vita, seconda solo alle ore che avevano seguito la distruzione di Dors. Era il non sapere che distruggeva Hari. Aveva fatto una ragione di vita ed una carriera del sapere... tanto il futuro quanto il presente. E adesso non sapeva nulla delle tre persone che erano fra quelle a lui più care.

L’oloschermo ronzò debolmente, ed Hari rispose premendo un pulsante. Apparve Agis.

— Hari — cominciò l’Imperatore, e dal tono lento e triste della sua voce Hari capì che c’erano brutte notizie.

— Mio figlio — disse Hari.

— Sì — rispose l’Imperatore. — Raych è rimasto ucciso, nelle prime ore di oggi, sotto un bombardamento che ha colpito l’Università di Santanni. Secondo le mie fonti, lui sapeva che l’attacco era imminente ma ha rifiutato di lasciare il suo posto. A quanto pare, molti di questi ribelli sono studenti e lui ha pensato che se loro avessero saputo che lui fosse ancora là non avrebbero mai... Ma l’odio ha superato ogni forma di ragione.

«L’università, vedete, è una università imperiale. I ribelli sono convinti di dover distruggere tutto ciò che sia imperiale, prima di ricostruire ogni cosa da capo. Quei pazzi! Perché... — Ma qui Agis si interruppe, rendendosi conto che a Seldon non interessavano l’Università di Santanni od i piani dei rivoltosi... non in quel momento, almeno.

— Hari, se questo può servire ad alleviare il vostro dolore, ricordate che vostro figlio è morto in difesa della conoscenza. Non è stato per l’Impero che Raych ha combattuto ed è morto, ma per l’umanità stessa.

Seldon sollevò due occhi pieni di lacrime. Con un filo di voce chiese: — E

Manella, e la piccola Bellis? Che ne è stato di loro? Avete trovato l’“Arcadia VII”?

— Ogni ricerca è risultata vana, Hari. L’“Arcadia VII” ha lasciato Santanni, come vi era stato detto. Ma sembra essere scomparsa. Può essere stata dirottata da ribelli, può aver deviato dalla sua rotta per qualche emergenza... a questo punto non lo sappiamo ancora.

Seldon annuì in silenzio, come schiacciato da quel fardello eccessivo. — Vi ringrazio, Agis. Anche se mi avete portato notizie tragiche, se non altro avete fatto un po’ di luce: non sapere era molto peggio. Siete un vero amico.

— Ora, amico mio — disse l’Imperatore — vi lascerò tranquillo... con i vostri ricordi. — L’immagine dell’Imperatore svanì dallo schermo. Hari Seldon piegò le braccia davanti a sé sulla scrivania, vi chinò sopra il capo e pianse.

30

Wanda Seldon aggiustò la cintura del suo vestito monopezzo, stringendola leggermente in vita. Poi raccolse una zappa manuale e si lanciò all’attacco di alcune erbacce spuntate nel suo piccolo giardino fiorito davanti all’Istituto di Psicostoria all’Università di Streeling. Di solito Wanda trascorreva quasi tutto il suo tempo in ufficio, lavorando con il Primo Radiante. Trovava sollievo nell’elegante precisione statistica di quella macchina... le equazioni immutabili apparivano in qualche modo rassicuranti fra quei mondi ormai impazziti.

Tuttavia, quando i pensieri di suo padre, di sua madre e della sorellina diventavano troppo dolorosi, quando persino le sue ricerche non bastavano a distogliere la sua mente dalla perdita spaventosa che aveva appena subìto, Wanda finiva sempre col ritrovarsi là fuori, a grattare il suolo terraformato, come se costringere alcune piantine a fiorire potesse, anche in minima parte, alleviare il suo dolore.

Dopo la morte di suo padre avvenuta un mese prima e dopo la scomparsa della madre e della sorellina, Wanda – che era sempre stata piuttosto snella – aveva cominciato a dimagrire. E se solo pochi mesi prima Hari Seldon avrebbe scatenato un pandemonio per la perdita di appetito dell’adorata nipote, adesso – immerso lui pure nella sua angoscia – non sembrava neppure accorgersene.

Un profondo cambiamento era sopravvenuto in Hari e Wanda Seldon... e nei pochi membri superstiti del Progetto Psicostoria. Hari sembrava essersi arreso... ormai trascorreva gran parte delle sue giornate seduto nel solarium di Streeling, fissando i terreni dell’Università e lasciandosi riscaldare dalle lucenti lampade sul soffitto. Ogni tanto – riferivano i membri del Progetto a Wanda – la sua guardia del corpo, un uomo di nome Stettin Palver, obbligava quasi con la forza Seldon a fare una passeggiata sotto la cupola, o tentava di impegnarlo in una discussione sul futuro orientamento del Progetto.

Dal canto suo, Wanda si rifugiò sempre più profondamente nello studio del Primo Radiante. Le sue equazioni erano affascinanti, e lei poteva sentire il futuro che suo nonno aveva faticato così a lungo per veder plasmare. Hari Seldon aveva visto giusto: gli Enciclopedisti dovevano stabilirsi su Terminus, e loro avrebbero costituito la Fondazione. Mentre la Sezione 33A2D17... laggiù Wanda vedeva ciò che Seldon aveva progettato come la Seconda Fondazione, quella segreta. Ma in che modo?

Senza la partecipazione attiva di Seldon, Wanda non sapeva come procedere. Ed il dolore per la distruzione della sua famiglia era ancora così bruciante, sul momento, da impedirle di trovare la forza per scoprirlo da sola.

I membri del Progetto, quella cinquantina di anime coraggiose ancora rimaste, continuavano nel loro lavoro come meglio potevano. In massima parte si trattava di Enciclopedisti, intenti a reperire le fonti del materiale che avrebbero dovuto copiare e catalogare in vista del loro eventuale trasferimento su Terminus... se e quando avessero ottenuto il completo accesso alle risorse della Biblioteca Galattica.

Ormai lavoravano spinti soltanto dalla fede; il professor Seldon aveva perso il suo ufficio privato alla Biblioteca, quindi le prospettive per un altro membro del Progetto di conquistarsi un accesso speciale a quegli archivi erano davvero minime.

I restanti membri del Progetto (esclusi gli Enciclopedisti) erano analisti storici e matematici. Gli storici interpretavano i fatti passati e presenti, passandoli poi ai matematici che a loro volta adattavano quei frammenti all’interno della grandiosa Equazione Psicostorica. Era un lavoro lungo e meticoloso.

Molti membri del Progetto se n’erano andati perché le gratificazioni erano veramente scarse... senza contare che gli psicostorici erano ormai oggetto di molte barzellette su Trantor, e che i fondi limitati avevano costretto Seldon ad operare tagli drastici nelle retribuzioni. Tuttavia, la costante e rassicurante presenza di Hari Seldon era riuscita – fino a quel momento – ad avere la meglio sulle difficili condizioni in cui si trovavano a lavorare i ricercatori del Progetto. Anzi, in pratica, i membri superstiti avevano deciso dal primo all’ultimo di restare solo per il rispetto e la devozione che provavano per il professor Seldon.

Ma adesso, pensò amareggiata Wanda Seldon, che motivo avevano per restare ancora? Una brezza leggera le spostò una ciocca di capelli biondi sugli occhi; lei la spinse indietro automaticamente, continuando nella sua opera di eliminazione delle erbacce.

— Signorina Seldon, posso chiedervi qualche minuto del vostro tempo? — Wanda si girò alzando gli occhi. Un giovanotto che doveva aver passato da poco la ventina stava sul sentiero inghiaiato accanto a lei. Lei sentì subito che fosse forte e spaventosamente intelligente: suo nonno aveva scelto in modo saggio. Wanda si alzò per parlargli.

— Vi riconosco. Siete la guardia del corpo di mio nonno, non è vero? Stettin Palver, mi pare.

— Sì, è esatto, signorina Seldon — disse Palver, e le sue guance arrossirono leggermente come se lui fosse compiaciuto che una ragazza così bella lo avesse notato. — Signorina, è di vostro nonno che vorrei parlarvi. Sono molto preoccupato per lui. Dobbiamo fare qualcosa.

— Fare cosa, signor Palver? Non so più dove sbattere la testa. Da quando mio padre — deglutì a fatica, come se le riuscisse difficile parlare — è morto, e mia madre e mia sorella sono scomparse, il massimo che riesca ad ottenere è farlo alzare dal letto la mattina. E a dirvi la verità, anch’io sono rimasta molto sconvolta. Mi capite, non è vero? — Lo fissò negli occhi e vide che lui capiva.

— Signorina Seldon — mormorò dolcemente Palver — sono terribilmente spiaciuto per la vostra perdita. Ma voi ed il professore siete vivi, e dovete continuare a lavorare alla Psicostoria. Il professore sembra essersi arreso. Speravo che forse voi –

noi – avremmo saputo trovare qualcosa per ridargli speranza. Capite, una ragione per continuare.

Ah, signor Palver, pensò Wanda, forse il nonno ha ragione. Mi domando anch’io se esista davvero una ragione per continuare. Ma ad alta voce disse: — Mi dispiace, signor Palver, ma non riesco a pensare a nulla. — Indicò il terreno con la sua vanga.

— E adesso, come potete vedere, devo tornare a queste pestifere erbacce.

— Io non credo che vostro nonno abbia ragione. Penso che una ragione per continuare esista davvero: dobbiamo solo trovarla.

Quelle parole la colpirono come una bomba. Come faceva a sapere ciò che lei stesse pensando? A meno che... — Voi sapete leggere nella mente, non è vero? —

chiese Wanda, trattenendo il respiro come se avesse paura della risposta di Palver.

— Sì — rispose il giovanotto. — È sempre stato così, credo. Almeno, non ricordo una sola occasione in cui non sia riuscito a farlo. Per metà del tempo non ne sono nemmeno del tutto cosciente... riesco soltanto a sapere quello che la gente pensi, od abbia pensato.

Fece una pausa. — A volte — proseguì, incoraggiato dalla comprensione che sentiva emanare da Wanda — ricevo come dei lampi da qualche altra persona che faccia la mia stessa cosa. Però mi succede sempre in mezzo a parecchia gente, e non riesco mai ad individuare di chi si tratti. Ma so che esistono altri come me – come noi

– in giro.

Wanda strinse tutta eccitata la mano di Palver, lasciando cadere a terra l’utensile da giardinaggio ormai dimenticato. — Avete idea di cosa potrebbe significare questo? Per il nonno, per la Psicostoria? Uno solo di noi non può fare molto, ma operando insieme...

Wanda cominciò a camminare verso l’Istituto di Psicostoria, lasciando Palver sul sentiero inghiaiato. Arrivata quasi all’ingresso, si fermò per girarsi. Venite, signor Palver, dobbiamo dirlo al nonno disse Wanda senza aprire le labbra. Sì, immagino che sia necessario rispose Palver raggiungendola.

31

— Vorresti dire che ho svolto ricerche su tutta Trantor per trovare qualcun altro con i tuoi poteri, Wanda, e che in questi ultimi mesi l’avevamo qui accanto a noi senza che ce ne accorgessimo? — Hari Seldon era incredulo. Stava sonnecchiando nel solarium quando Wanda e Palver lo avevano svegliato per comunicargli la loro incredibile notizia.

— Sì, nonno. Prova a rifletterci. Non ho mai avuto occasione di incontrare personalmente Stettin; quasi tutto il tempo che tu passi in sua compagnia lo trascorri fuori o in giro, lontano dal Progetto, mentre io passo quasi tutte le mie giornate chiusa in ufficio a lavorare con il Primo Radiante. Quando avremmo potuto incontrarci?

Anzi, l’unica volta che le nostre strade si sono incrociate, i risultati sono stati significativi.

— Questo quando sarebbe successo? — chiese Seldon frugando nella memoria.

— Alla tua ultima udienza... quella di fronte al Giudice Lih — rispose subito Wanda. — Ricordi quel testimone oculare che ha giurato che tu e Stettin avevate aggredito quei tre teppisti? Ricordi come sia crollato ed abbia raccontato la verità... e lui stesso non sembrasse capirne il motivo? Ebbene, Stettin e io ne abbiamo scoperto la ragione: stavamo spingendo entrambi Rial Nevas a dire la verità. Nella sua prima dichiarazione si era mostrato molto deciso e sicuro di sé; dubito che uno solo di noi due sarebbe riuscito a spingerlo. Ma insieme — ... lanciò una timida occhiata a Palver che se ne stava da un lato... — il nostro potere è terrificante!

Hari Seldon digerì tutto quanto, poi fece per parlare. Ma Wanda continuò: —

Anzi, adesso passeremo il pomeriggio a mettere alla prova le nostre capacità mentali, separatamente ed insieme. Da quel poco che abbiamo discusso finora, sembra che il potere di Stettin sia leggermente inferiore al mio... forse un cinque sulla mia scala di misurazione. Ma il suo cinque unito al mio sette ci darebbe un dodici! Pensaci, nonno. Terrificante!

— Non vedete, professore? — intervenne Palver. — Wanda ed io siamo quella svolta che stavate cercando. Possiamo aiutarvi a convincere i mondi della validità della Psicostoria, a trovare altri come noi, a dare un nuovo impulso alla Psicostoria.

Hari Seldon sollevò gli occhi verso i due giovani che aveva davanti. I loro volti scintillavano di giovinezza, vigore ed entusiasmo, e quella vista fece sentire un po’

meglio il suo vecchio cuore: forse non tutto era perduto. Aveva pensato che non sarebbe sopravvissuto a quell’ultima tragedia, alla morte di suo figlio, ma ora vedeva che Raych continuava a vivere in Wanda. E in quel momento capì che in Wanda e in Stettin vivesse il futuro della Fondazione.

— Sì, sì — disse Seldon annuendo con vigore. — Avanti, voi due, aiutatemi ad alzarmi. Devo tornare in ufficio per preparare la nostra prossima mossa.

32

— Entrate, professor Seldon — disse il Bibliotecario Capo Tryma Acarnio con tono di voce gelido. Hari Seldon, accompagnato da Wanda e da Palver, entrò nel maestoso ufficio.

— Vi ringrazio, Bibliotecario Capo — disse Seldon sedendosi di fronte ad Acarnio che lo fissava da dietro l’enorme scrivania. — Posso presentarvi mia nipote Wanda ed il mio amico Stettin Palver? Wanda è un validissimo membro del Progetto Psicostoria, e la sua specializzazione è nel campo della matematica. Invece Stettin, be’, Stettin sta diventando un eccellente psicostorico generale... quando non è impegnato a farmi da guardia del corpo, beninteso. — Seldon ridacchiò amabilmente.

— Sì, bene, sono molto lieto di saperlo, professore — disse Acarnio, colto di sorpresa dall’ottimo umore di Seldon. Si era aspettato che il professore entrasse con atteggiamento umile, implorando una nuova opportunità di approfittare dei privilegi speciali della Biblioteca.

— Tuttavia non capisco per quale motivo abbiate voluto vedermi. Immagino vi rendiate conto che la nostra posizione sia estremamente ferma: non possiamo consentire che la Biblioteca venga associata ad una persona così ampiamente impopolare presso l’opinione pubblica. Noi siamo, dopo tutto, una biblioteca pubblica, e dobbiamo tenere in debito conto i sentimenti della gente. — Acarnio si appoggiò allo schienale della sua poltrona... forse adesso sarebbero iniziate le suppliche.

— Mi rendo semplicemente conto — disse Seldon — che io non abbia saputo convincervi. Tuttavia, ho pensato che se aveste ascoltato un paio dei membri più giovani del Progetto – gli psicostorici di domani, in un certo senso – forse avreste compreso meglio il ruolo vitale che il Progetto, e l’Enciclopedia in particolare, avrà nel nostro futuro. Vi prego quindi di ascoltare Wanda e Stettin.

Acarnio lanciò un’occhiata gelida ai due giovani che fiancheggiavano Seldon. —

E va bene — disse, sbirciando la cronofascia alla parete. — Cinque minuti e non uno di più: ho una Biblioteca da dirigere.

— Bibliotecario Capo — cominciò Wanda — come indubbiamente mio nonno vi avrà spiegato, la Psicostoria è uno strumento che può rivelarsi utilissimo per la conservazione della nostra cultura. Sì, per la sua conservazione — ripeté, notando che Acarnio spalancava gli occhi a quella parola. — È stata data troppa enfasi alla distruzione dell’Impero. Così facendo, la reale natura della Psicostoria è passata inosservata. Infatti, con la Psicostoria, così come siamo in grado di prevedere l’inevitabile declino della nostra civiltà, possiamo anche compiere i passi necessari per preservarla: questo è lo scopo finale dell’Enciclopedia Galattica. Ed è per questo che ci serve il vostro aiuto, e l’aiuto della vostra grande Biblioteca.

Acarnio non poté fare a meno di sorridere. Quella fanciulla possedeva un fascino innegabile. Era così seria e convinta, così educata. Osservò la sua figura seduta davanti a lui, i capelli biondi raccolti sulla nuca in una pettinatura un po’ severa, da studiosa, che tuttavia non sminuiva i tratti deliziosi del viso ma semmai ne accentuava il fascino: quello che diceva stava cominciando ad avere un senso.

Forse Wanda Seldon aveva ragione... forse lui aveva guardato il problema da una prospettiva sbagliata. Se si fosse trattato veramente di conservazione, invece che di distruzione...

— Bibliotecario Capo — attaccò il giovanotto, Stettin Palver. — Questa grande Biblioteca si erge da millenni. Più ancora del Palazzo Imperiale, essa rappresenta l’enorme potere dell’Impero. Perché il Palazzo ospita soltanto il capo dell’Impero, mentre la Biblioteca ospita la somma totale della conoscenza, della cultura e della storia di questo Impero: il suo valore è incalcolabile.

«Non è dunque sensato preparare un tributo ad una così grande istituzione?

L’Enciclopedia Galattica sarà appunto questo... un gigantesco sommario di tutta la conoscenza ospitata all’interno di queste stesse mura. Pensateci!

All’improvviso, tutto sembrò molto chiaro ad Acarnio. Come aveva potuto permettere al Consiglio (e specialmente a quell’acido idiota di Gennaro Mummery) di convincerlo a rescindere i privilegi di Seldon? Las Zenow, una persona della quale lui stimasse moltissimo il giudizio, non era forse stato un ardente sostenitore dell’Enciclopedia di Seldon?

Osservò di nuovo i tre che aveva di fronte, seduti immobili ed in attesa come se trattenessero il respiro in attesa della sua decisione. Se quei due giovani nel suo ufficio erano un campione rappresentativo del genere di persone che lavoravano con Seldon, il Consiglio avrebbe faticato parecchio a trovare qualche motivo per lamentarsi dei membri del Progetto.

Acarnio si alzò e attraversò l’ufficio, la fronte corrugata quasi a incorniciare i suoi pensieri. Raccolse una sfera di cristallo latteo da un tavolo e la soppesò sul palmo.

— Trantor — cominciò Acarnio pensieroso — sede dell’Impero, centro di tutta la Galassia. È davvero sorprendente, a pensarci bene... Forse, professor Seldon, siamo stati troppo frettolosi nel giudicare. Ora che il vostro progetto, questa Enciclopedia Galattica, mi è stato presentato sotto una simile luce — fece un breve cenno col capo verso Wanda e Palver — mi rendo conto di quanto sarebbe importante concedervi di proseguire il vostro lavoro qui. Permettendo l’accesso, naturalmente, anche ai vostri colleghi.

Seldon sorrise pieno di gratitudine e diede una strizzata alla mano di Wanda.

— Non è solo per la maggiore gloria dell’Impero che approvo il vostro progetto

— proseguì Acarnio, che in apparenza si stava infervorando all’idea (e al suono della propria voce). — Voi siete famoso, professor Seldon. Sia che la gente vi giudichi un genio od un folle, quel che conta è che ognuno sembri avere un’opinione in merito.

Se un accademico della vostra levatura si alleasse con la Biblioteca, ciò potrebbe soltanto accrescere il nostro prestigio di roccaforte della ricerca intellettuale. Inoltre, il lustro derivante dalla vostra presenza potrebbe aiutarci ad ottenere quei sospirati finanziamenti necessari per aggiornare le nostre collezioni, aumentare il personale, tenere aperte più a lungo le nostre porte al pubblico...

«Quanto alla prospettiva della Enciclopedia Galattica... che progetto monumentale! Immaginate la reazione del pubblico quando si saprà che la Biblioteca Galattica partecipa ad una simile impresa destinata ad illustrare lo splendore della nostra civiltà... la nostra storia gloriosa, i nostri brillanti risultati in ogni campo, tutte le nostre magnifiche culture. E pensare che sarò io, il Bibliotecario Capo Tryma Acarnio, ad avere l’onore di dare inizio ad un progetto così grandioso... — Acarnio continuava a fissare la sfera di cristallo, perduto nei suoi sogni ad occhi aperti.

— Sì, professor Seldon. — Acarnio ritornò al presente con uno sforzo. — Voi ed i vostri colleghi avrete tutti i privilegi dei ricercatori interni... ed un gruppo di uffici nei quali lavorare. — Rimise la sfera di cristallo sul tavolo e, con uno svolazzo della lunga toga, tornò alla scrivania.

— Può volerci un po’ di tempo, naturalmente, per convincere il Consiglio... ma sono certo di riuscirci: lasciate fare a me.

Seldon, Wanda e Palver si scambiarono uno sguardo di trionfo, ognuno con l’ombra di un sorriso che aleggiava agli angoli delle labbra. Tryma Acarnio li congedò con un gesto e loro uscirono, lasciando il Bibliotecario Capo seduto sulla sua poltrona a sognare la gloria e gli onori di cui si sarebbe ammantata la Biblioteca sotto la sua egida.

— Sorprendente — disse Seldon quando furono tutti al sicuro sulla loro vettura.

— Se solo aveste potuto vederlo durante il nostro ultimo incontro... mi ha detto che stavo «minacciando il tessuto essenziale dell’Impero» o qualche altra idiozia del genere. Mentre oggi, dopo solo pochi minuti insieme a voi due...

— Non è stato troppo difficile, nonno — disse Wanda accendendo il motore e spostando la vettura in mezzo al traffico. Poi si rilassò contro lo schienale mentre gli automatismi si occupavano della guida; Wanda aveva già inserito le coordinate della loro destinazione sul pannello di comando. — È un uomo dotato di un forte senso della propria importanza. Noi abbiamo dovuto semplicemente mettere in risalto gli aspetti positivi dell’Enciclopedia, ed il suo ego si è occupato del resto.

— Un minuto dopo il nostro ingresso nel suo ufficio, aveva già perso la partita —

intervenne Palver dal sedile posteriore. — Con noi due a spingerlo, è stato un gioco da ragazzi. — Palver allungò un braccio e strinse affettuosamente la spalla di Wanda, e lei gli accarezzo la mano.

— Devo avvertire al più presto gli Enciclopedisti — disse Seldon. — Ormai ne rimangono solo trentadue, ma è tutta gente capace e coscienziosa. Li farò sistemare alla Biblioteca, poi affronterò il prossimo problema... i fondi. Forse questa alleanza con la Biblioteca è proprio ciò che mi serve per convincere certe persone a concederci gli stanziamenti necessari. Vediamo... farò visita di nuovo a Terep Bindris; sembrava abbastanza ben disposto, almeno agli inizi.

La vettura si fermò davanti all’Istituto di Psicostoria a Streeling. I pannelli laterali si aprirono, ma Seldon non si mosse subito per scendere. Si girò invece verso Wanda.

— Wanda, vorrei che tu e Stettin veniste con me. Ormai abbiamo visto cosa siete riusciti a fare con Acarnio; sono sicuro che riuscirete anche a scucire qualche credito ad alcuni benefattori potenziali che operano nel campo finanziario.

«So quanto ti dispiaccia lasciare il tuo adorato Primo Radiante, ma queste visite forniranno a voi due l’opportunità per fare pratica, per affinare le vostre capacità, per scoprire di cosa siate veramente capaci.

— D’accordo, nonno, anche se ora che hai l’appoggio della Biblioteca troverai molto affievolita la resistenza alle tue richieste.

Seldon annuì. — C’è un altro motivo per cui penso che sia importante che voi due usciate ed andiate in giro insieme... Stettin, mi pare che abbiate detto che in certe occasioni avete “sentito” un’altra mente simile alla vostra, ma senza riuscire a identificarla.

— Sì — rispose Palver. — Ho avuto dei lampi, ma ogni volta ero in mezzo alla folla. Ed in tutti i miei ventiquattro anni, ricordo di aver sentito questi lampi solo quattro o cinque volte.

— Eppure, Stettin — disse Seldon, con voce bassa e vibrante d’intensità — ogni

“lampo” era, potenzialmente, la mente di un’altra persona come voi e Wanda... un altro mentalico. Wanda non ha mai sentito questi “lampi” perché, in tutta franchezza, ha sempre vissuto come una specie di reclusa. Le poche volte che sia uscita in mezzo alla gente, probabilmente non dovevano esserci altri mentalici nei dintorni.

«Questa è la ragione – forse la più importante – che dovrebbe spingere voi due ad uscire insieme, con o senza di me: dobbiamo trovare altri mentalici. Voi due da soli siete abbastanza forti per spingere una singola persona. Ma un folto gruppo di individui come voi, spingendo tutti insieme, avranno il potere di muovere un Impero!

Dopo di che Hari Seldon spostò le gambe di lato ed uscì faticosamente dalla vettura. Wanda e Palver lo guardarono zoppicare lungo il sentiero che portava all’Istituto di Psicostoria, ignari dell’enorme responsabilità che Seldon aveva appena scaricato sulle loro giovani spalle.

33

Era pomeriggio inoltrato ed il sole di Trantor scintillava sulla pelle metallica che copriva il grande pianeta. Hari Seldon si trovava sul bordo della terrazza d’osservazione dell’Università di Streeling e tentava di proteggersi con una mano gli occhi da quel vivido chiarore. Erano anni che non usciva dalla cupola, eccettuate le sue rare visite a Palazzo, e in qualche modo quelle non contavano; uno si sentiva sempre molto rinchiuso anche nei terreni imperiali.

Ormai Seldon non andava più in giro soltanto se accompagnato. Prima di tutto, Palver passava quasi tutto il suo tempo con Wanda, od a lavorare con il Primo Radiante – entrambi assorbiti dagli studi mentalici – od alla ricerca di altri come loro.

Ma, se lo avesse voluto, Seldon avrebbe potuto trovare un altro giovanotto, uno studente dell’Università o un membro del Progetto, più che disposto a fungere da sua guardia del corpo.

Comunque, Seldon sapeva che una guardia del corpo non era più necessaria. Dopo la tanto pubblicizzata udienza ed il ristabilirsi dei contatti con la Biblioteca Galattica, il Comitato per la Sicurezza Pubblica aveva preso ad interessarsi da vicino a Seldon.

Seldon sapeva di essere seguito; diverse volte era riuscito a scorgere la sua “ombra”

negli ultimi mesi. Era inoltre certo che nella sua casa e nel suo ufficio fossero state nascoste delle microspie elettroniche, ma a sua volta lui attivava un campo di disturbo quando doveva impegnarsi in comunicazioni delicate.

Seldon non sapeva con certezza che cosa pensasse di lui il Comitato... forse anche loro non lo sapevano. Potevano considerarlo un profeta od un pazzo, ma sembravano ben decisi a sapere dove lui si trovasse in ogni momento, e ciò significava che finché il Comitato non avesse cambiato idea, Seldon sarebbe sempre stato al sicuro.

Una brezza leggera gonfiò il mantello blu scuro che Seldon aveva drappeggiato sopra l’abito monopezzo, scompigliando i pochi capelli bianchi rimasti sulla sua testa. Si affacciò alla balaustra e guardò in basso, lasciandosi riempire gli occhi dalla coltre di acciaio apparentemente priva di saldature che si stendeva là sotto. Al di sotto di quella coltre, Seldon lo sapeva, rombavano i macchinali di un mondo incredibilmente complesso. Se la cupola fosse stata trasparente, avrebbe potuto vedere sfrecciare le vetture di terra, i gravitaxi che si tuffavano attraverso l’intricata rete di gallerie comunicanti, le ipernavi da trasporto intente a caricare o scaricare grano, sostanze chimiche e gioielli in arrivo od in partenza praticamente per ogni mondo dell’Impero.

Sotto quella scintillante distesa metallica si consumavano le esistenze di quaranta miliardi di persone, con tutti gli inevitabili drammi, le gioie ed i dolori della vita umana. Era un’immagine che lui amava molto, quel panorama del progresso umano, e gli spezzava il cuore sapere che nel giro di pochi secoli tutto ciò che ora vedeva sarebbe finito in rovina. La grande cupola sarebbe stata squarciata e sfregiata, divelta per rivelare la vista desolata di quella che un tempo era stata la capitale di una fiorente civiltà. Scosse tristemente il capo, perché sapeva di non poter fare nulla per impedire una simile tragedia. Ma, così come Seldon prevedeva la cupola rovinata, sapeva anche che dal terreno spogliato dalle ultime battaglie dell’Impero sarebbero sorti teneri virgulti, e che in qualche modo Trantor sarebbe risorto tornando ad essere un membro vitale del nuovo Impero. Il Piano comprendeva anche questo.

Seldon sedette su una delle panchine che costeggiavano il perimetro della terrazza.

La gamba gli pulsava dolorosamente; lo sforzo della salita era stato eccessivo. Ma valeva la pena poter ammirare ancora una volta Trantor dall’alto, sentire l’aria aperta intorno a sé e vedere il cielo così ampio sopra la testa.

Seldon pensò malinconicamente a Wanda. Ormai vedeva di rado la nipote, e quando ciò accadeva era sempre presente anche Stettin Palver. Nei tre mesi trascorsi da quando Wanda e Palver si erano incontrati, sembravano essere diventati inseparabili. Wanda aveva assicurato a Seldon che la loro assidua frequentazione era necessaria al Progetto, ma Seldon sospettava che ci fosse sotto qualcosa di molto più profondo del semplice attaccamento al lavoro.

Ricordava i segni premonitori che risalivano ai suoi primi giorni vissuti con Dors.

Erano chiaramente visibili nel modo in cui i due giovani si guardavano, con una intensità nata non solo dalla stimolazione intellettuale, ma altresì da una spinta emotiva.

Inoltre, per la loro stessa natura Wanda e Palver sembravano più a loro agio l’uno in compagnia dell’altra, che insieme ad altre persone. Anzi, Seldon aveva scoperto che quando erano soli Wanda e Palver non si parlassero neppure: i loro poteri mentali erano sufficientemente avanzati per eliminare la necessità delle parole in qualsiasi forma di comunicazione.

Gli altri membri del Progetto non erano al corrente delle doti uniche di Wanda e Palver. Seldon aveva ritenuto più prudente passare sotto silenzio il lavoro dei mentalici, almeno finché il loro ruolo nel Piano non si fosse definito meglio. Per la verità, il Piano in sé era già definito con chiarezza... ma solo nella mente di Seldon.

Quando qualche altro pezzo fosse finito al suo posto, lui lo avrebbe rivelato a Wanda ed a Palver, e forse un giorno, per necessità, ad un altro paio di persone fidate.

Seldon si alzò lentamente, le membra irrigidite. Entro un’ora doveva essere di ritorno sotto la cupola, a Streeling, per incontrarsi con Wanda e Palver. Lo avevano avvertito che gli avrebbero portato una grossa sorpresa. Un altro pezzo da incastrare nel suo Piano, sperava Seldon. Contemplò un’ultima volta Trantor e, prima di girarsi per tornare all’ascensore a repulsione gravitazionale, sorrise e disse sottovoce: —

Fondazione.

34

Entrando nel suo ufficio, Hari Seldon vide che Wanda e Palver erano già arrivati e si erano seduti al tavolo da riunioni in fondo alla stanza. Come sempre quando erano presenti quei due, la stanza era immersa in un profondo silenzio. Ma poi Seldon si fermò di colpo, perché con loro sedeva un’altra persona. Che strano... di solito, in segno di cortesia, Wanda e Palver facevano ricorso alla comunicazione verbale quando si trovavano in compagnia di altre persone, eppure nessuno dei tre stava parlando.

Seldon esaminò lo sconosciuto. Era un uomo dall’aria strana... sui trentacinque anni, con lo sguardo miope di chi era rimasto troppo a lungo concentrato sui suoi studi. Se non fosse stato per la piega piuttosto decisa della sua mascella, Seldon avrebbe pensato di trovarsi davanti una persona insignificante, ma sarebbe stato un errore. Da quel viso emanava forza e dolcezza al tempo stesso. Il viso di una persona di cui ci si poteva fidare, decise Seldon.

— Nonno — disse Wanda alzandosi con eleganza. Il cuore di Seldon prese a battere più forte mentre guardava la nipote. Era cambiata moltissimo negli ultimi mesi, dopo la perdita della sua famiglia. In passato non aveva sempre saputo trattenersi da smorfie e risatine, ma di recente il suo sguardo sereno si illuminava solo occasionalmente di un sorriso pacato. Ora come prima, tuttavia, era bellissima, e quella bellezza era superata solo dalla sua intelligenza sbalorditiva.

— Wanda, Stettin... — disse Seldon, baciando la prima sulla guancia e battendo sulla spalla del secondo.

— Salve — disse Seldon allo sconosciuto, che si era alzato a sua volta. — Sono Hari Seldon.

— Onoratissimo di fare la vostra conoscenza, professore — ribatté l’uomo. —

Sono Bor Alurin. — Alurin offrì la mano a Seldon nel saluto ormai antiquato e, di conseguenza, più formale.

— Bor è uno psicologo, Hari — disse Palver — ed un grande ammiratore del tuo lavoro.

— Ma cosa ben più importante, nonno — disse Wanda — Bor è uno di noi.

— Uno di voi? — Seldon scrutò interrogativo i tre volti che aveva davanti. —

Vuoi dire...? — Gli occhi di Seldon sfavillarono.

— Sì, nonno. Ieri Stettin ed io stavamo passeggiando nel Settore di Ery, andandocene in giro come avevi suggerito tu, alla ricerca di altri come noi. E ad un tratto – wham! – eccolo là.

— Abbiamo riconosciuto subito gli schemi mentali, così ci siamo messi a guardare intorno cercando di stabilire un contatto — disse Palver, continuando il resoconto. — Eravamo nella zona commerciale, vicini allo spazioporto, quindi i marciapiedi erano affollati di clienti, turisti e commercianti dei Mondi Esterni.

Sembrava un’impresa disperata, ma poi Wanda si è semplicemente fermata ed ha segnalato Vieni qui, e Bor è sbucato dalla folla. Si è avvicinato a noi ed ha segnalato ?

— Sorprendente — disse Seldon fissando con occhi raggianti la nipote. — E voi, dottor... siete laureato, non è vero?... Alurin, che ne pensate di tutto questo?

— Ebbene — disse pensieroso lo psicologo — ne sono compiaciuto. Mi sono sempre sentito in un certo senso diverso dagli altri, ed ora ne comprendo il motivo. E

se posso esservi di qualche aiuto, ecco... — Lo psicologo abbassò gli occhi, quasi pensasse ad un tratto di mostrarsi troppo presuntuoso. — Insomma, Wanda e Stettin mi hanno detto che forse avrei potuto contribuire in qualche modo al vostro Progetto Psicostoria, professore, niente al mondo mi riuscirebbe più gradito.

— Sì, sì. Questo è perfettamente vero, dottor Alurin. Anzi, ritengo che possiate offrire un grande contributo al Progetto se vi unirete a noi. Naturalmente, questo vi obbligherà ad abbandonare ogni altra attività, sia che si tratti di insegnamento o di uno studio privato. Siete in grado di farlo?

— Be’, sì, professore, certo. Forse mi servirà un po’ di aiuto per convincere mia moglie... — Qui fece una risatina, sbirciando furbescamente ognuno dei suoi tre compagni. — ... Ma credo che questo non costituirà un problema.

— Allora siamo d’accordo — disse secco Seldon. — Vi unirete al Progetto Psicostoria. Vi prometto, dottor Alurin, che non rimpiangerete di aver preso questa decisione.

— Wanda, Stettin... — disse Seldon più tardi, dopo che Bor Alurin se n’era andato. — È stato un notevole passo avanti. In quanto tempo pensate di poter trovare altri mentalici?

— Nonno, abbiamo impiegato quasi un mese per trovare Bor... non possiamo prevedere con quale ritmo ne scopriremo degli altri. A dirti la verità, tutto questo

“andarcene in giro” ci distoglie dal nostro lavoro sul Primo Radiante, e risulta anche fastidioso. Adesso che ho Stettin con cui “parlare”, la comunicazione verbale risulta troppo rigida, troppo forte.

Il sorriso di Seldon si spense. Era ciò che aveva temuto: con l’affinarsi delle capacità mentali di Wanda e Palver, la loro tolleranza alla vita “ordinaria” era diminuita. Era logico, in fondo; le capacità mentaliche li rendessero una specie a parte.

— Wanda, Stettin, credo che per me sia giunto il momento di dirvi qualcosa di più sull’idea che Yugo Amaryl ebbe molti anni fa, e sul Piano che io ho elaborato basandomi su tale idea. Fino ad oggi non ero pronto a parlarvene, perché fino ad oggi tutti i pezzi del Piano non erano ancora al loro posto.

«Come sapete, Yugo pensava che avremmo dovuto creare due Fondazioni...

ognuna intesa come misura di sicurezza per l’altra. Era un’idea brillante, che purtroppo Yugo non ha mai potuto vedere realizzata. — Qui Seldon fece una pausa, facendo un sospiro di rimpianto.

— Ma sto divagando... Sei anni fa, quando ebbi la certezza che Wanda possedesse capacità mentaliche, ovvero di contatto con altre menti, pensai che non avrebbero dovuto esistere semplicemente due Fondazioni, ma che dovevano anche possedere due nature ben distinte. Una doveva essere composta di esperti nelle scienze fisiche...

gli Enciclopedisti saranno i loro pionieri su Terminus. La seconda doveva essere formata da autentici psicostorici; i mentalici... voi. Ecco perché fossi così ansioso che scopriste altri vostri simili.

«Il fattore più importante, tuttavia, è questo: la Seconda Fondazione dev’essere segreta: la sua forza risiederà nel suo stesso isolamento, nella sua onnipresenza e onnipotenza telepatica.

«Vedete, alcuni anni fa, quando è apparso chiaro che avrei avuto bisogno dei servigi di una guardia del corpo, mi sono reso conto che la Seconda Fondazione dovesse essere la forte, silenziosa, segreta guardia del corpo della Fondazione primaria.

«La Psicostoria non è infallibile... tuttavia le sue previsioni sono altamente probabili. La Fondazione, specialmente nella sua infanzia, avrà molti nemici, come ne ho io oggi.

«Wanda, tu e Palver siete i pionieri della Seconda Fondazione, i guardiani della Fondazione di Terminus.

— Ma come faremo, nonno? — domandò Wanda. — Siamo solo in due... be’, tre, contando Bor. Per proteggere l’intera Fondazione ci servirebbero...

— Centinaia? Migliaia? Scopri tu quanti mentalici ti serviranno, nipote. Sei in grado di farlo, e sai come riuscirci.

«Prima, mentre raccontava come abbia scoperto il dottor Alurin, Stettin ha detto che ti sei semplicemente fermata e che hai lanciato un richiamo alla presenza mentalica che avvertivi, e lui si è fatto avanti. Non capisci? Per tutto questo tempo vi ho chiesto di uscire per le strade e di trovare altri come voi. Ma questo vi riesce sempre più difficile, quasi doloroso. Ora mi rendo conto che tu e Stettin dobbiate isolarvi per formare il nucleo della Seconda Fondazione: dal vostro rifugio getterete le reti nell’oceano dell’umanità.

— Nonno, che cosa stai dicendo? — chiese Wanda con un sussurro. Aveva lasciato la sua sedia e si era inginocchiata accanto a Seldon. — Vuoi che me ne vada?

— No, Wanda — rispose Seldon con voce rotta per la commozione. — Non voglio che tu te ne vada, ma questa è l’unica via. Tu e Stettin dovete isolarvi dalla rozza fisicità dei nostri mondi. Quando le tue capacità mentali diventeranno più forti, saprai attirare gli altri a te... la Fondazione silenziosa e segreta crescerà.

«Ci terremo in contatto, di quando in quando, naturalmente. Ed ognuno di noi possiede il suo Primo Radiante. Tu capisci, non è vero, la verità... e l’assoluta necessità di quello che ti sto dicendo?

— Sì, lo capisco, nonno — disse Wanda. — E quel che più conta, io ne sento la genialità. Stai tranquillo; non ti deluderemo.

— Lo so, mia cara — disse stancamente Seldon.

Come poteva fare una cosa simile... come poteva allontanare da sé la sua adorata nipote? Era il suo ultimo collegamento con i giorni più felici, con Dors, Yugo e Raych: lei era l’unica altra Seldon in tutta la Galassia.

— Mi mancherai terribilmente, Wanda — disse Seldon, mentre una lacrima gli rigava la guancia rugosa.

— Ma, nonno — disse Wanda, mettendosi accanto a Palver e preparandosi ad uscire. — Dove andremo? Dov’è la Seconda Fondazione?

Seldon sollevò lo sguardo e disse: — Il Primo Radiante te lo ha già detto, Wanda.

Wanda fissò Seldon con occhi vacui, frugando nella memoria.

Seldon allungò un braccio e strinse la mano della nipote.

— Tocca la mia mente, Wanda: è là.

Wanda spalancò gli occhi mentre sondava la mente di Seldon,

— Capisco — sussurrò Wanda a Seldon.

Sezione 33A2D17: Star’s End.

Parte quinta

Epilogo

Sono Hari Seldon. Ex Primo Ministro dell’Imperatore Cleon I. Professore Emerito di Psicostoria all’Università di Streeling su Trantor. Direttore del Progetto di Ricerca Psicostoria. Direttore esecutivo dell’Enciclopedia Galattica. Creatore della Fondazione.

Lo so, tutto questo sembra molto pomposo. Ho fatto molte cose nei miei ottantuno anni, e sono stanco. Guardando alla mia vita passata mi chiedo se avrei potuto – se avrei dovuto – fare certe cose in modo diverso. Per esempio: l’enorme portata della Psicostoria mi ha forse assorbito a tal punto da giudicare a volte di importanza secondaria, al confronto, le persone e gli eventi che abbiano intersecato la mia vita?

Forse, per negligenza, ho trascurato di operare alcune piccole, casuali modifiche qua e là nella mia vita, che non avrebbero in alcun modo compromesso il futuro dell’umanità ma avrebbero potuto migliorare considerevolmente la vita di una persona a me cara... Yugo, Raych... Non posso fare a meno di chiedermelo... Avrei potuto fare qualcosa per salvare la mia adorata Dors?

Il mese scorso ho finito di registrare gli ologrammi delle Crisi. Il mio assistente, Gaal Dornick, li ha portati su Terminus per occuparsi della loro installazione nella Cripta Seldon. Si assicurerà che la Cripta venga sigillata e che siano lasciate le istruzioni necessarie per eventuali aperture della Cripta durante le Crisi.

Naturalmente, allora io sarò morto.

Cosa penseranno, questi futuri membri della Fondazione, quando mi vedranno (o, più esattamente, vedranno il mio ologramma) durante la Prima Crisi, fra quasi cinquant’anni? Faranno dei commenti su quanto sembri vecchio, o su come sia flebile la mia voce, o su come sembri piccolo su questa sedia a rotelle?... Oh, è assurdo fare simili speculazioni. Come direbbero gli antichi, il dado è tratto 10.

Ho sentito Gaal proprio ieri. Tutto procede bene su Terminus. Bor Alurin e gli altri membri del Progetto se la cavano ottimamente nel loro “esilio”. Non dovrei peccare di vanità, ma non posso fare a meno di ridacchiare se ripenso all’espressione soddisfatta sul viso di quel pomposo idiota di Linge Chen quando, due anni fa, ha relegato l’intero Progetto su Terminus.

Anche se, in fondo, l’esilio veniva parzialmente lenito dalla concessione di uno Statuto Imperiale («Sarà un istituto scientifico autonomo, finanziato dallo Stato ed incluso nei possedimenti diretti di Sua Augusta Maestà, l’Imperatore»... il Commissario Capo voleva che ce ne andassimo da Trantor, ma non sopportava l’idea di cedere completamente il controllo), è ancora una fonte di indescrivibile felicità 10 “Il dado è tratto” ( Alea iacta est) è una frase che il biografo latino Svetonio attribuisce a Giulio Cesare, il quale l’avrebbe detta dopo aver varcato il fiume Rubicone (10 gennaio 49 a.C.), dando il via alla prima guerra civile. ( N.d.R. )

sapere che siamo stati Las Zenow ed io a scegliere Terminus come sede della Fondazione.

Il mio unico rimpianto, per ciò che riguarda Linge Chen, è che non siamo riusciti a salvare Agis. Come Imperatore era un’ottima persona e una nobile guida, anche se di imperiale avesse solo il nome. Il suo errore è stato quello di credere nel proprio titolo, ed il Comitato per la Sicurezza Pubblica non ha potuto tollerare la rinascita dell’indipendenza imperiale.

Mi chiedo spesso che ne sia stato di lui... lo avranno esiliato su qualche remoto Mondo Esterno, o sarà stato assassinato come Cleon?

Il fanciullo che siede oggi sul trono è il perfetto Imperatore marionetta. Obbedisce ad ogni parola che Linge Chen gli sussurri all’orecchio ed immagina di essere un grande statista in boccio. Per lui, il Palazzo ed i simboli della vita imperiale non sono che giocattoli di un enorme, fantastico gioco.

Cosa farò adesso? Ora che Gaal è finalmente andato a raggiungere il gruppo su Terminus, sono del tutto solo. A volte, ricevo notizie da Wanda. Il lavoro a Star’s End prosegue come stabilito; nell’ultimo decennio, lei e Stettin hanno aggiunto dozzine di mentalici ai loro ranghi. Aumentano di potere a salti e balzi. È stato il contingente di Star’s End – la mia Fondazione segreta – a convincere Linge Chen a spedire gli Enciclopedisti su Terminus.

Wanda mi manca moltissimo. Sono ormai molti anni che non la vedo, che non siedo con lei tranquillamente, tenendole la mano. Quando Wanda è partita, anche se le ho chiesto io di andare, ho pensato che sarei morto di crepacuore. Forse è stata la decisione più difficile che abbia dovuto prendere, e anche se a lei non l’ho mai detto, avevo quasi deciso il contrario. Ma perché la Fondazione avesse successo, era necessario che Wanda e Stettin andassero a Star’s End; la Psicostoria l’aveva decretato... Così, forse, non è stata nemmeno una mia decisione.

È strano essere così soli. Non riesco ad abituarmici. Continuo a venire qui ogni giorno, nel mio ufficio all’Istituto di Psicostoria. Ricordo quando questo edificio era pieno di gente, giorno e notte. Certe volte giurerei di sentire le voci della mia famiglia ormai scomparsa da tanto tempo, le voci degli studenti e dei colleghi... ma in realtà gli uffici sono silenziosi e nei corridoi riecheggia solo il ronzio del motore della mia sedia a rotelle.

Immagino che dovrei sgomberare l’edificio, riconsegnarlo all’Università perché lo assegni ad un’altra Facoltà. Ma per qualche strano motivo trovo difficile privarmi di questo posto: ci sono così tanti ricordi...

L’unica cosa che ora mi rimane è questo, il mio Primo Radiante. È lo strumento con il quale la Psicostoria può essere calcolata, il mezzo attraverso il quale ogni equazione del mio Piano può essere analizzata. È tutto qui dentro, in questo piccolo cubo nero. Sorprendente, non è vero? Mentre sono qui seduto, tengo questo strumento dall’aspetto ingannevolmente semplice sul palmo della mano e vorrei tanto poterlo mostrare a R. Daneel Olivaw.

Ma sono solo, e mi basta premere un interruttore per abbassare le luci dell’ufficio.

Mentre mi sistemo comodo sulla mia sedia a rotelle, il Primo Radiante si attiva. Ora le sue equazioni si spandono tutte attorno a me nel loro splendore tridimensionale.

Credo che ad un occhio non allenato questo turbine multicolore sembrerebbe soltanto un guazzabuglio di numeri, figure e forme, ma per me – e Yugo, e Wanda, e Gaal –

questa è la Psicostoria sbocciata alla vita.

Quello che vedo davanti a me, intorno a me, è il futuro dell’umanità. Trentamila anni di caos potenziale compressi, immagazzinati ordinatamente, in un solo millennio...

Quella macchia laggiù, che riluce sempre più fulgida giorno dopo giorno, è l’equazione di Terminus. E là... ingarbugliati senza speranza, ci sono i calcoli di Trantor. Ma riesco a vedere... sì, una luce pulsa morbida, come un fiotto di speranza...

Star’s End!

Questa, questa è stata l’opera della mia vita. Il mio passato... il futuro dell’umanità. La Fondazione. Così meravigliosa, così viva. E niente può...

Dors!

HARI SELDON... trovato morto, accasciato sulla sua scrivania nel proprio ufficio all’Università di Streeling nel 12.069 E.G. (1 E.F.). Stando alle apparenze Hari Seldon aveva lavorato fino agli ultimi istanti sulle equazioni psicostoriche; il suo Primo Radiante ancora acceso fu trovato stretto nella sua mano...

Secondo le istruzioni di Seldon, lo strumento fu spedito al suo collega, Gaal Dornick, che era emigrato di recente su Terminus...

Il corpo di Seldon fu scagliato nello spazio, sempre secondo le istruzioni che lui aveva lasciato. Il servizio ufficiale di commemorazione su Trantor fu semplice, ma venne seguito da un folto numero di persone. È degno di essere ricordato il fatto che il vecchio amico di Seldon, l’ex Primo Ministro Eto Demerzel, assistette alla cerimonia. Demerzel non era stato più visto in pubblico dopo la sua misteriosa sparizione immediatamente successiva alla Cospirazione Joranumita durante il regno dell’Imperatore Cleon I. I tentativi del Comitato per la Sicurezza Pubblica di rintracciare Demerzel nei giorni seguenti la commemorazione furono privi di successo...

Wanda Seldon, la nipote di Hari Seldon, non presenziò alla cerimonia. Circolò la voce che fosse distrutta dal dolore e che avesse rifiutato ogni apparizione in pubblico.

Fino ad oggi, la sua ubicazione a partire da quel periodo rimane sconosciuta...

Qualcuno disse che Hari Seldon lasciò questa vita proprio come l’avesse vissuta, perché mori con il futuro che aveva creato completamente schiuso intorno a sé...

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