La più lunga storia con Susan Calvin apparve nel numero di dicembre 1957 di Galaxy. Per un capello rischiò di non vedere mai la luce.
Horace Gold, allora direttore di Galaxy, mi chiamò al telefono per chiedermi di scrivergli un racconto, cosa che è sempre stata una terribile lusinga per me, e con le lusinghe si arriva a spingere uno a qualsiasi cosa.
Pur tuttavia fui costretto a spiegare che ero al momento assolutamente incapace di scrivere un racconto, perché ero immerso fino al collo nella correzione delle bozze della terza edizione di un testo di biochimica del quale ero co-autore.
" Non può affidare a qualche altro la lettura delle bozze? " mi domandò Gold.
" No, naturalmente, " risposi con virtuosa indignazione. " Non potrei certo affidare a qualcun altro queste bozze.
Ma, una volta riappeso, mentre risalivo alla mia adorata mansarda con le bozze in mano, tra il primo e l'ultimo gradino mi venne un'idea. Misi le bozze da parte e cominciai immediatamente. Continuai a velocità massima e pochi giorni dopo Il Correttore di Bozze fu terminato.
Fra tutti i miei racconti con Susan Calvin, questo è il favorito. Non so se esiste una buona ragione perché lo sia, ma suppongo che un autore possa avere le sue simpatie e le sue antipatie irrazionali, come chiunque altro.
Il Correttore di Bozze
Titolo originale: Galley
Slave (1957)
La United States Robots and Mechanical Men Corporation, che era stata citata in giudizio, aveva abbastanza potere da pretendere un processo a porte chiuse e senza giuria.
D'altra parte la Northeastern University non si sforzò di ostacolare questa sua pretesa. Il consiglio d'amministrazione sapeva benissimo come il pubblico potesse reagire a qualsiasi controversia riguardante la cattiva condotta di un robot, per quanto infrequente questa cattiva condotta mostrasse di essere. Né gli sfuggiva che manifestazioni anti-robot potevano di punto in bianco trasformarsi in manifestazioni anti-scienza.
Anche il governo, che nella causa era rappresentato dal giudice Harlow Shane, era a sua volta ansioso di porre fine in sordina a quel pasticcio. Sia la U.S. Robots sia il mondo accademico erano ossi duri, quando li si aveva come avversari.
Il giudice Shane disse: «Signori, dal momento che non sono presenti né la stampa, né il pubblico, né la giuria, vediamo di soffermarci il meno possibile sulle formalità e di venire subito ai fatti».
Così dicendo accennò un sorriso forzato, forse perché pensava che il suo invito non avrebbe avuto effetto, e si sistemò la toga per sedersi più comodamente. Aveva un viso simpatico e rubicondo, il mento arrotondato e molle, il naso largo e gli occhi chiari e distanziati. In complesso non era una faccia che esprimesse l'autorevolezza consona a un giudice, e lui lo sapeva.
Barnabas H. Goodfellow, professore di fisica alla Northeastern University, fu chiamato per primo a deporre e prestò giuramento con un'espressione da cui non trapelava affatto la bontà che il suo nome suggeriva.
Dopo le prime domande di rito, il pubblico ministero si ficcò le mani in tasca e disse: «Quando fu, professore, che vi fu proposto per la prima volta di utilizzare il robot EZ-27, e in che circostanze?».
Il professor Goodfellow, un uomo dal viso piccolo e spigoloso, assunse un'espressione inquieta, poco più benevola di quella precedente. «Avevo avuto rapporti professionali con il dottor Alfred Lanning, direttore delle ricerche alla U.S. Robots» disse, «e l'avevo incontrato anche in alcune occasioni mondane. Ero dunque propenso ad ascoltarlo con una certa indulgenza, quando mi avanzò una proposta piuttosto strana, il tre marzo dell'anno scorso...»
«Del 2033?»
«Esatto.»
«Scusate se vi ho interrotto. Continuate pure.»
Il professore annuì con aria glaciale, aggrottò la fronte riepilogando mentalmente i fatti, e cominciò a raccontare.
Il professor Goodfellow guardò il robot con un certo disagio. Era stato portato nel magazzino sotterraneo chiuso in una cassa, così come prescrivevano le regole riguardanti la spedizione di robot da un posto all'altro della Terra.
Goodfellow non si sentiva a disagio perché impreparato a ricevere quella merce; sapeva benissimo dell'invio. Da quando il dottor Lanning gli aveva telefonato la prima volta, il 3 marzo, si era fatto progressivamente convincere dalle sue parole, e adesso, com'era inevitabile, si trovava faccia a faccia con il robot.
L'automa dunque era lì, a portata di mano, e appariva straordinariamente grande.
Anche Alfred Lanning lo guardò con attenzione, come per assicurarsi che non fosse rimasto danneggiato durante il viaggio. Poi, con la sua testa di lunghi capelli bianchi e le folte sopracciglia corrugate, si girò verso il professore.
«Ecco EZ-27, il primo modello di questo tipo disponibile al pubblico.» Tornò a fissare il robot e disse: «Questi è il professor Goodfellow, Easy».
Easy parlò con voce inespressiva, ma con una tale prontezza che Goodfellow sobbalzò. «Buongiorno, professore.»
Il robot era alto più di due metri e aveva una struttura umana, caratteristica essenziale di tutti i modelli che la U.S. Robots metteva in vendita. La struttura umana, unitamente al cervello positronico fabbricato su brevetto esclusivo della U.S. Robots, dava di fatto alla compagnia il monopolio sui robot e il quasi-monopolio su tutte le macchine calcolatrici.
I due uomini che avevano tolto l'automa dalla cassa di imballaggio se n'erano andati. Goodfellow guardò prima Lanning, poi il robot, e poi di nuovo Lanning. «Immagino sia inoffensivo, vero?» Ma dal suo tono si capiva che non ne era sicuro.
«È più inoffensivo di me» disse Lanning «Io in determinate circostanze potrei anche essere indotto a venire alle mani con voi. Easy invece non potrebbe farlo in alcun modo. Suppongo conosciate le Tre Leggi della Robotica...»
«Sì, certo» disse il professore.
«Sono incorporate nei circuiti positronici del cervello e il robot è obbligato a osservarli. La Prima, una regola essenziale, salvaguarda la vita e l'incolumità degli esseri umani.» Fece una pausa, grattandosi una guancia, poi aggiunse: «È un dato di fatto che vorremmo imprimere nella mente di tutta la popolazione terrestre, se solo fosse possibile».
«Però, così grande com'è il robot incute un certo timore.»
«Questo ve lo concedo, certo. Ma nonostante le apparenze, scoprirete ben presto quanto è utile.»
«Non sono sicuro nemmeno di questo. Le conversazioni che abbiamo avuto non è che mi abbiano illuminato molto. In ogni modo ho accettato di dare un'occhiata all'oggetto ed è esattamente quello che sto facendo.»
«Daremo più di un'occhiata, professore. Avete portato il libro?»
«Sì.»
«Me lo fate vedere?»
Senza staccare gli occhi dalla sagoma metallica del robot, il professor Goodfellow raccolse la borsa che aveva posato sul pavimento e ne trasse un libro.
Lanning lo prese e guardò il titolo sul dorso. «Chimica-fisica degli elettroliti in soluzione. Benissimo, professore. L'avete scelto voi il libro, a caso. Il titolo non ve l'ho suggerito io, no?»
«No.»
Lanning porse il volume al robot EZ-27.
Il professore ebbe un piccolo attimo di panico. «No, non dateglielo! È un libro di valore!»
Lanning alzò le sopracciglia bianche e cespugliose. «Vi assicuro che Easy non ha alcuna intenzione di darvi una dimostrazione della sua forza spaccando in due il libro» disse. «Sa tenerlo con la stessa cura con cui lo teniamo voi o io. Fa' pure, Easy.»
«Grazie, signore» disse il robot. Poi, spostando appena la mole del suo corpo verso l'altro uomo, aggiunse: «Con il vostro permesso, professor Goodfellow».
Il professore lo fissò, poi disse: «Sì, sì, certo».
Muovendo delicatamente ma con fermezza le dita metalliche, Easy sfogliò il libro. Guardava prima la pagina sinistra, poi la destra, ripetendo sempre la stessa manovra a mano a mano che andava avanti.
Era così alto e possente che perfino l'ampia sala dalle pareti di cemento in cui si trovavano sembrava più piccola, per non parlare dei due uomini, che al suo confronto parevano dei nani.
«Forse la luce non è abbastanza forte» mormorò Goodfellow.
«No, va benissimo» disse Lanning.
«Ma cosa sta facendo?» chiese dopo un attimo il professore, con tono più aspro.
«Un po' di pazienza, vi prego.»
Alla fine il robot arrivò all'ultima pagina e Lanning gli chiese: «Allora, Easy?».
«È un libro scritto e stampato con grande accuratezza e ho poche osservazioni da fare. Alla riga ventidue della pagina ventisette la parola "positivo" è diventata "poistivo". Alla riga sei della pagina trentadue c'è una virgola superflua, mentre una virgola sarebbe stata opportuna nella riga tredici della pagina cinquantaquattro. Nell'equazione X1V-2 della pagina trecentotrentasette il segno "più" avrebbe dovuto essere un "meno", date le premesse delle equazioni precedenti...»
«Ehi, un attimo!» esclamò il professore. «Cosa sta facendo?»
«Facendo?» sbottò Lanning, irritato. «Ha già fatto, caro amico! Ha corretto le bozze del volume.»
«Corretto le bozze?»
«Sì. Nel breve lasso di tempo in cui ha sfogliato il libro, ha individuato tutti gli errori di stampa, di grammatica e di punteggiatura. Ha notato le imperfezioni nella costruzione delle frasi e rilevato le incongruenze. E le informazioni raccolte rimarranno impresse nel suo cervello indelebilmente e per un tempo indefinito.»
Goodfellow rimase a bocca aperta. Si allontanò in fretta da Lanning e Easy, poi tornò sui suoi passi. Incrociò le braccia sul petto e fissò il robot e il matematico. Poi, rivolto a quest'ultimo, disse: «Insomma sarebbe un robot correttore di bozze?».
Lanning annuì. «Tra le altre cose.»
«Ma perché volevate mostrarmelo?»
«Perché mi aiutaste a convincere l'amministrazione dell'università a prenderlo in dotazione.»
«Per la correzione delle bozze?»
«Tra le altre cose» ripeté Lanning, pazientemente.
Il professore contrasse il viso minuto in una smorfia di incredulità e diffidenza. «Ma è ridicolo!»
«Perché?»
«L'università non potrebbe mai permettersi il lusso di comprare questa mezza tonnellata, perché mezza tonnellata peserà come minimo, di correttore di bozze!»
«Correggere bozze non è l'unica cosa che sa fare. Può preparare relazioni basandosi su semplici appunti, riempire moduli, fungere da archivio e da schedario...»
«Sciocchezze!»
«Nient'affatto» disse Lanning, «e posso dimostrarvelo subito. Ma credo che potremo discutere più comodamente nel vostro ufficio, se non avete obiezioni.»
«Va bene» osservò il professore macchinalmente, e fece per uscire dalla sala. Poi ci ripensò e disse: «Ma il robot? Non possiamo mica portarlo con noi. Sarà meglio che lo facciate rimettere nella cassa, dottore».
«Per quello c'è tempo. Intanto lo possiamo lasciare tranquillamente qui.»
«Qui da solo, senza la sorveglianza di nessuno?»
«Certo. Ci sa stare benissimo. Professor Goodfellow, bisognerebbe capire una buona volta che dei robot ci si può fidare più che degli esseri umani.»
«Ma se provocherà dei danni io ne sarò responsabile...»
«Non ci saranno danni, ve lo garantisco. Sentite, l'orario di lavoro è terminato da un pezzo e immagino che prima di domattina non debba venire nessuno, qui. Fuori della porta d'ingresso ci sono il camion e i due inservienti. La U.S. Robots si assumerà ogni responsabilità in caso dovesse succedere qualcosa. Ma non succederà proprio niente. Consideriamola una prova di quanto ci si possa fidare del robot.»
Goodfellow si lasciò convincere a lasciare Easy in magazzino. Ma non sembrava del tutto a suo agio nemmeno quando fu nel suo ufficio, al quinto piano.
Si asciugò con un fazzoletto bianco la fronte imperlata di sudore e disse: «Come ben sapete, dottor Lanning, ci sono leggi precise che limitano l'uso dei robot sulla Terra».
«Sì, e sono leggi anche abbastanza complicate, professor Goodfellow. I robot non possono essere utilizzati nelle strade e negli edifici pubblici. Non possono essere utilizzati nemmeno nei terreni e nei palazzi privati, a meno che non si osservino regole così rigide da risultare impossibili. All'università invece, che è un'istituzione privata di notevole importanza, si riserva di solito un trattamento di favore. Se il robot viene usato solo in una determinata stanza e solo per scopi accademici, se si osservano certe altre prescrizioni e se il personale cui capita di entrare nella stanza del robot collabora attivamente, si ha la sicurezza di agire nei limiti imposti dalla legge.»
«E tutto questo disturbo solo per far correggere al robot alcune bozze?»
«I compiti che può svolgere sono innumerevoli, professore. I robot finora sono stati impiegati unicamente per sollevare l'uomo dai lavori fisici pesanti. Ma non esiste forse anche un lavoro intellettuale pesante? Quando un professore fornito di preziose doti creative è costretto a sprecare penosamente due settimane del suo tempo per correggere gli errori di un manoscritto o di un libro, io dico che fa un lavoro pesante. Vi sto offrendo una macchina in grado di svolgere quelle medesime funzioni in mezz'ora, e voi me la disprezzate?»
«Ma il prezzo...»
«Del prezzo non dovete affatto preoccuparvi. L'EZ-27 non è in vendita. La U.S. Robots non vende mai i suoi prodotti. L'università lo può prendere a nolo per mille dollari all'anno: molto meno di quanto costa un singolo registratore continuo di spettografo per microonde.»
Goodfellow rimase a bocca aperta e Lanning approfittò subito della sua reazione. «Vi chiedo solo di sottoporre la questione alle persone cui sono affidati i compiti deliberativi. Sarò lieto di parlare con loro, se desiderano altre informazioni.»
«Bene» disse Goodfellow, dubbioso. «Ne parlerò alla riunione del senato accademico che si terrà la prossima settimana. Però non posso promettervi niente.»
«Sono d'accordo» disse Lanning.
L'avvocato difensore era basso e tarchiato, e camminava piuttosto tronfio, sicché il suo vistoso doppiomento appariva ancora più in rilievo. Fissò il professor Goodfellow, appena il pubblico ministero ebbe terminato l'interrogatorio, e disse: «Voi acconsentiste quasi subito alla richiesta del dottor Lanning, vero?».
«Ero ansioso di liberarmi di lui» disse il professore, secco. «Avrei acconsentito a qualsiasi richiesta.»
«Con l'intenzione di dimenticarvene immediatamente appena eliminato l'importuno?»
«Be', ecco...»
«In ogni modo sottoponeste sul serio la questione al consiglio direttivo del senato accademico, no?»
«Sì.»
«Sicché seguiste in buona fede i suggerimenti del dottor Lanning. Non gli buttaste là una risposta affermativa solo per cavarvelo di torno. Anzi, accoglieste la sua proposta con entusiasmo, non è vero?»
«Mi attenni semplicemente alla procedura ordinaria.»
«In realtà, quando vedeste il robot, non vi sentiste così turbato come adesso volete farci credere. Conoscete benissimo le Tre Leggi della Robotica e le conoscevate anche all'epoca in cui parlaste con il dottor Lanning.»
«Be', sì.»
«Ed eravate più che disposto a lasciare il robot da solo, senza sorveglianza.»
«Il dottor Lanning mi assicurò che...»
«Certo non gli avreste mai dato retta se foste stato anche solo minimamente convinto che il robot potesse essere in qualche modo pericoloso.»
«Avevo piena fiducia nel dot...» cominciò Goodfellow, gelido.
«È tutto» lo interruppe l'avvocato.
Mentre il professor Goodfellow, alquanto seccato, scendeva dal banco dei testimoni, il giudice Shane si protese in avanti e disse: «Siccome non sono un esperto di robotica, mi piacerebbe sapere esattamente in che cosa consistono le Tre Leggi della Robotica. Dottor Lanning, vi spiacerebbe enunciarle e renderci edotti?».
Il dottor Lanning, che da tempo era immerso in fitta conversazione con la donna dai capelli grigi che gli sedeva accanto, sentendosi nominare sollevò di colpo la testa. Si alzò in piedi, e anche la donna sollevò a sua volta la testa, con aria inespressiva.
«Senz'altro, Vostro Onore» disse il matematico. Fece una breve pausa, come preparandosi a un'orazione, poi continuò, sforzandosi di essere il più chiaro possibile: «Prima Legge: un robot non può recar danno agli esseri umani, ne può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno. Seconda Legge: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge. Terza Legge: un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge».
«Capisco» disse il giudice, prendendo in fretta degli appunti. «Queste Leggi sono impresse nel cervello di tutti i robot, vero?»
«Sì. La cosa vi può essere confermata da qualsiasi robotologo.»
«E sono impresse anche nel cervello di EZ-27?»
«Sì, Vostro Onore.»
«Vi verrà probabilmente richiesto di ripetere queste affermazioni sotto giuramento.»
«Sono pronto a farlo, Vostro Onore.»
Lanning tornò a sedersi.
La donna dai capelli grigi, che era la dottoressa Susan Calvin, robopsicologa capo della U.S. Robots, guardò senza simpatia il suo superiore (d'altra parte non mostrava mai simpatia per alcun essere umano) e disse: «Quel che ha testimoniato Goodfellow corrisponde ai fatti?».
«In sostanza sì» mormorò Lanning. «Non era così intimorito dal robot come ha voluto far credere e anzi appena ha sentito il prezzo non vedeva l'ora di discutere con me dell'affare. Ma per il resto il racconto è abbastanza fedele.»
«Forse sarebbe stato opportuno chiedere un prezzo superiore a mille dollari» disse la dottoressa Calvin, pensierosa.
«Eravamo ansiosi di piazzare Easy.»
«Lo so. Troppo, forse. Cercheranno di insinuare che avevamo un secondo fine.»
«Ma l'avevamo sul serio» disse Lanning, irritato. «L'ho ammesso, alla riunione del senato accademico.»
Scott Robertson, figlio del fondatore della U.S. Robots e tuttora proprietario della maggioranza delle azioni, si protese in avanti nella sedia accanto a quella della Calvin e sussurrò, spazientito: «Perché non fate parlare Easy, in modo che sappiano tutti come sta la faccenda?».
«Sapete che non può parlare di questo argomento, signor Robertson.»
«Obbligatelo voi. Siete voi la psicologa, dottoressa Calvin. Obbligatelo.»
«Visto che sono io la psicologa, signor Robertson» disse gelida Susan Calvin, «lasciate decidere a me. Il mio robot non sarà obbligato a fare niente che possa danneggiare la sua salute mentale.»
Robertson corrugò la fronte e stava per ribattere, quando il giudice Shane batté piano il martelletto sul tavolo, invitando tutti al silenzio.
Sul banco dei testimoni c'era adesso Francis J. Hart, preside della Facoltà di inglese e decano della sezione che concedeva i master. Era un uomo grassoccio, con una calvizie coperta a malapena da ciuffi di capelli riportati. Indossava un abito scuro di taglio classico e sedeva appoggiato allo schienale con le mani intrecciate sul grembo e un sorriso forzato che ogni tanto gli moriva sulle labbra.
«Sentii parlare per la prima volta del robot EZ-27 in occasione di una riunione del consiglio direttivo del senato accademico» disse. «Fu il professor Goodfellow a introdurre l'argomento. In seguito, e precisamente il dieci aprile dell'anno scorso, ci vedemmo di nuovo per discutere la materia, e in tale circostanza fui io a presiedere la riunione.»
«Esistono verbali di questa seconda riunione del consiglio direttivo?»
«Be', no. Si trattava di una riunione abbastanza fuori dell'ordinario.» Il decano accennò un sorriso. «Ritenemmo giusto mantenere un certo riserbo sulla faccenda.»
«A quali risultati approdaste?»
Il decano Hart non era particolarmente entusiasta di presiedere quella riunione. E nemmeno gli altri membri del consiglio direttivo sembravano del tutto a loro agio. Solo il dottor Lanning appariva in pace con se stesso. La sua figura alta e allampanata, incoronata da una selva di capelli bianchi, ricordava a Hart certi ritratti di Andrew Jackson che aveva visto.
Al centro del tavolo era sparso parte del materiale intorno a cui aveva lavorato il robot. Il professor Minott, della Facoltà di chimica-fisica, teneva in mano la riproduzione di un grafico tracciato da Easy, e aveva le labbra increspate in un sorriso di approvazione.
Hart si schiarì la voce e disse: «Pare indubbio che il robot sia in grado di assolvere con sufficiente competenza funzioni di ordinaria amministrazione. Poco prima che iniziasse la riunione io per esempio ho dato un'occhiata al materiale qui sul tavolo e ho constatato che non ci sono praticamente errori».
Raccolse un foglio stampato, tre volte più lungo della pagina di un libro; si trattava di una bozza in colonna, destinata a essere corretta dall'autore prima di venire composta in formato normale. Lungo gli ampi margini del foglio c'erano correzioni chiare e perfettamente leggibili. Qui e là il robot aveva cancellato qualche parola, sostituendola sul margine con un'altra scritta in modo così chiaro e impeccabile da sembrare stampata. Alcune correzioni erano state fatte con una penna blu, altre con una penna rossa: il blu indicava che l'errore era stato commesso dall'autore, il rosso che era stato commesso dal tipografo.
«Non è vero che non ci siano praticamente errori» disse Lanning. «Non ce ne sono affatto, dottor Hart. Sono sicuro che le correzioni sono perfette, almeno nei limiti imposti dal manoscritto originale. Se il manoscritto è sbagliato in materia di concetto anziché di proprietà della lingua, il robot non è in grado di correggerlo.»
«D'accordo, questo è chiaro. Però il robot in alcuni casi ha modificato la costruzione delle frasi, e io credo che le regole dell'inglese non siano così rigide da assicurarci che la sua scelta sia sempre stata la più corretta.»
«Nel cervello positronico di Easy» disse Lanning, scoprendo i denti in un ampio sorriso, «è stato immesso il contenuto di tutti i classici sull'argomento. Sono certo che non mi potrete indicare un solo caso in cui la scelta del robot sia stata sbagliata.»
Il professor Minott alzò gli occhi dal grafico che teneva ancora in mano. «Quel che mi chiedo, dottor Lanning, è se sia opportuno in generale ricorrere alle prestazioni di un robot, considerate le difficoltà che questo ci comporterebbe in termini di pubbliche relazioni. La scienza dell'automazione è ormai così progredita che la vostra compagnia potrebbe tranquillamente progettare un computer, di quelli comuni e già familiari alla gente, in grado di correggere le bozze.»
«Sì, certo» disse Lanning, secco, «ma con una macchina di questo tipo saremmo costretti a tradurre le bozze in linguaggio simbolico, o per lo meno a trascriverle su nastro. Tutte le correzioni verrebbero fuori in linguaggio simbolico. Vi occorrerebbe quindi assumere delle persone capaci di tradurre le parole in simboli e i simboli in parole. Inoltre il computer non potrebbe assolvere che quell'unica funzione. Non potrebbe ad esempio elaborare il grafico che avete in mano.»
Minott borbottò qualcosa fra sé.
«La caratteristica fondamentale del cervello positronico» continuò Lanning, «è la duttilità. Il robot può svolgere numerosi lavori. Ha una struttura umana, sicché è in grado di usare tutti gli arnesi e le macchine destinati in origine a essere usati dall'uomo. Sa parlare e gli si può parlare. Anzi, si può addirittura ragionare con lui, almeno fino a un certo punto. Paragonato anche al più semplice dei robot, un comune computer con un cervello non positronico è solo una macchina calcolatrice piuttosto ingombrante.»
Goodfellow a quel punto alzò gli occhi e disse: «Ma se ci mettiamo tutti quanti a parlare e discutere con il robot, non rischiamo di confondergli le idee? Immagino non abbia la capacità di assimilare un numero infinito di dati».
«No, infatti, non ce l'ha. Ma se viene utilizzato normalmente, senza eccessi, funziona in genere per cinque anni. Sa da solo quando ha bisogno di una messa a punto, e la messa a punto viene effettuata gratuitamente dalla compagnia.»
«Dalla compagnia?»
«Sì. La nostra azienda si riserva il diritto di provvedere alla manutenzione del robot in tutti i casi che esulano dalla routine. È una delle ragioni per cui non vendiamo i robot, ma li diamo a noleggio; in questo modo possiamo mantenere il controllo dei nostri prodotti. Quando svolge le sue funzioni di routine, il robot può ricevere istruzioni da qualsiasi persona. Ma quando si va al di là delle funzioni di ordinaria amministrazione, occorre una mano esperta e noi siamo in grado di fornirla. Se per esempio uno di voi volesse eliminare parte del bagaglio di nozioni di un EZ dicendogli di dimenticare questo o quell'argomento, potrebbe farlo, ma quasi sicuramente esprimerebbe l'ordine in modo non appropriato, sicché il robot dimenticherebbe o troppo o troppo poco. Noi saremmo in grado di individuare l'errore grazie ai meccanismi di sicurezza incorporati nel robot. In ogni caso, visto che non occorre né revisionare il robot per indurlo a svolgere la sua attività ordinaria, né fare altre cose inutili, il problema non sorge nemmeno.»
Il decano Hart si toccò la testa come per assicurarsi che i capelli riportati sulla pelata fossero a posto e disse: «Sembrate ansioso di rifilarci la vostra macchina. Tuttavia si tratta di un magro affare, per la U.S. Robots. Mille dollari all'anno sono un prezzo ridicolo per il noleggio. Sperate forse, creando questo precedente, di dare in seguito a nolo altri robot ad altre università, e a un prezzo per voi più conveniente?».
«Be', certo, questa speranza l'abbiamo» disse Lanning.
«Anche così, però, il numero di macchine che potreste offrire sarebbe sempre limitato. Credo che resterebbe comunque un affare poco redditizio.»
Lanning poggiò i gomiti sul tavolo e si protese in avanti, con espressione seria. «Diciamo le cose come stanno, signori. I robot, salvo casi rarissimi, non possono essere utilizzati sulla Terra a causa dei pregiudizi che la gente comune nutre riguardo a questa materia. La U.S. Robots è un'azienda molto florida, che realizza notevoli guadagni già solo con il mercato extraterrestre e con quello dei voli spaziali, per non parlare del settore computer. Però non ci sta a cuore soltanto il profitto. È nostra ferma convinzione che se si utilizzassero i robot sul nostro pianeta la qualità della vita migliorerebbe, anche se in un primo tempo sorgerebbe qualche problema economico a causa della disoccupazione.
«I sindacati naturalmente sono contro di noi, ma è chiaro che ci aspettiamo una certa collaborazione da parte delle università più importanti. Easy, il robot EZ-27, vi solleverà dal lavoro intellettuale più pesante, facendovi, se mi consentite l'espressione, da schiavetto-correttore di bozze. Altre università e altre istituzioni seguiranno il vostro esempio, e se tutto funzionerà a dovere, forse riusciremo a piazzare altri robot e altri modelli, e a vincere a poco a poco la diffidenza della gente.»
«Oggi la Northeastern University, domani il mondo» mormorò Minott.
«Sono stato molto meno eloquente di così» sussurrò arrabbiato Lanning rivolto a Susan Calvin, «e loro non erano affatto riluttanti come Hart vuol far credere. Davanti alla prospettiva di pagare solo mille dollari all'anno, non vedevano l'ora di prendersi Easy. Il professor Minott mi disse di non aver mai visto un grafico così perfetto come quello che aveva in mano, e che non c'erano errori di sorta né nelle bozze, né in tutto il resto del materiale. Lo stesso Hart l'ha ammesso apertamente.»
Le profonde rughe verticali che solcavano il viso di Susan Calvin parvero accentuarsi ancora di più. «Avreste dovuto chiedere un prezzo più alto di quello che potevano pagare e lasciarli mercanteggiare un po', Alfred.»
«Può darsi» brontolò lui.
Il pubblico ministero non aveva ancora finito di interrogare Hart. «Dopo che il dottor Lanning se ne fu andato metteste la cosa ai voti per decidere se prendere o meno il robot EZ-27?»
«Sì.»
«Con quale risultato?»
«La maggioranza fu favorevole.»
«Secondo voi, che cosa vi indusse a votare favorevolmente?»
La difesa oppose immediata obiezione.
L'accusa riformulò la domanda. «Che cosa influenzò voi personalmente, dottor Hart? Votaste a favore, immagino.»
«Votai a favore, sì. Lo feci soprattutto perché rimasi colpito dal discorso del dottor Lanning. Lanning sembrava ritenere che fosse compito di noi intellettuali e uomini di cultura favorire il progresso della robotica, che a suo dire avrebbe aiutato l'uomo a risolvere i propri problemi.»
«In altre parole, fu il dottor Lanning a convincervi.»
«Era lo scopo che si proponeva e fu molto abile nel perseguirlo.»
«A voi il testimone.»
L'avvocato difensore si avvicinò a grandi passi al banco e soppesò con lo sguardo il professor Hart. «In realtà» disse, «voi eravate abbastanza ansiosi di assicurarvi le prestazioni del robot EZ-27, no?»
«Pensavamo che se fosse stato in grado di svolgere il lavoro, ci avrebbe potuto aiutare.»
«Se fosse stato in grado? A quanto ho capito voi esaminaste con cura il materiale corretto dal robot, il giorno della riunione di cui ci avete parlato poco fa.»
«Sì, infatti. Siccome la macchina aveva soprattutto la funzione di correggere i testi sotto il profilo linguistico, e siccome l'inglese è proprio il settore in cui sono competente, parve logico che dovessi essere io ad analizzare il suo operato.»
«Molto bene. Sul tavolo, al momento della riunione, c'era del materiale che potesse essere giudicato men che soddisfacente? Il materiale l'ho qui a disposizione come prova. Potete dirmi se anche uno solo dei lavori portati a termine dal robot lasciasse a desiderare?»
«Be', ecco...»
«È una domanda molto semplice. C'era anche un solo lavoro che si potesse giudicare insoddisfacente? Voi esaminaste il materiale. Allora, c'era?»
Il decano Hart aggrottò la fronte. «No.»
«Ho qui alcune delle cose fatte dal robot EZ-27 durante i quattordici mesi in cui è stato utilizzato alla Northeastern. Vi spiace darvi un'occhiata e dirmi se c'è qualche errore, anche minimo?»
«Quando l'errore l'ha commesso sul serio» sbottò Hart, «è stato colossale.»
«Rispondete alla mia domanda e solo a quella!» tuonò l'avvocato. «Ci sono errori in questo materiale?»
Il decano Hart controllò con cautela ogni singolo lavoro. «Be', no, non ce n'è nessuno.»
«Escludendo la faccenda per la quale ci troviamo qui in quest'aula, sapete di qualche episodio in cui EZ-27 abbia sbagliato?»
«Escludendo la faccenda che ha dato luogo al processo, no.»
L'avvocato difensore si schiarì la voce come per sottolineare che quell'argomento specifico era chiuso e disse: «Torniamo ora alla votazione in seguito alla quale decideste di utilizzare EZ-27. Avete detto che la maggioranza si pronunciò a favore. Come furono esattamente i voti?».
«Tredici contro uno, se ben ricordo.»
«Tredici contro uno? Più di una semplice maggioranza, no?»
«Nient'affatto, signore!» Lo spirito pedante del decano Hart fu risvegliato da quel discorso. «Nella lingua inglese, il termine "maggioranza" significa "più della metà". Tredici voti su quattordici sono quindi nient'altro che la maggioranza.»
«Già, ma quasi unanime.»
«Resta sempre una maggioranza e basta!»
La difesa cambiò tattica. «Chi fu l'unico a votare contro?»
Il decano Hart apparve particolarmente a disagio. «Il professor Simon Ninheimer.»
L'avvocato si finse stupito. «Il professor Ninheimer? Il preside della Facoltà di sociologia?»
«Sì.»
«Cioè la persona che in questo processo è l'attore».
«Sì.»
L'avvocato increspò le labbra. «In altre parole, lei mi sta dicendo che l'uomo che ha intentato causa al mio cliente, la United States Robots and Mechanical Men Corporation, chiedendo settecentocinquantamila dollari di danno, è lo stesso che fin dall'inizio si oppose all'idea di impiegare il robot anche se tutti gli altri membri del consiglio direttivo del senato accademico erano favorevoli?»
«Votò contro la mozione. Era nel suo diritto.»
«Quando avete descritto come si svolse la riunione non avete riportato nessuna delle osservazioni fatte dal professor Ninheimer. Come mai? Rimase sempre zitto?»
«No, credo che abbia parlato.»
«Lo credete?»
«Be', in effetti sì, qualcosa disse.»
«A sfavore della mozione?»
«Sì.»
«La sua critica fu violenta?»
Il decano Hart indugiò un attimo prima di rispondere. «Fu aspra.»
L'avvocato assunse un tono più discorsivo. «Da quanto tempo conoscete il professor Ninheimer, decano Hart?»
«Da circa dodici anni.»
«Lo conoscete abbastanza bene?»
«Direi di sì. Sì.»
«E ritenete sia il tipo di persona che può conservare rancore verso un robot, considerato per di più che il voto contrario aveva...»
Il pubblico ministero interruppe la domanda opponendosi con veemenza e indignazione. L'avvocato difensore fece segno al teste di scendere dal banco, e il giudice Shane sospese l'udienza per l'intervallo di pranzo.
Robertson addentò il suo panino. Una perdita di tre quarti di milione di dollari non avrebbe certo fatto fallire la compagnia, ma non le avrebbe neanche fatto particolarmente bene. Non gli sfuggiva inoltre che un prezzo ben più caro sarebbe stato pagato in termini di relazioni pubbliche, nelle quali si sarebbe registrato un regresso destinato a durare nel tempo.
«Perché insistono tanto sui motivi per cui Easy ha cominciato a essere impiegato all'università?» disse, aspro. «Che cosa sperano di ottenere?»
«Un processo è come una partita a scacchi, signor Robertson» disse calmo l'avvocato difensore. «Di solito vince chi riesce a prevedere più mosse, e il mio amico dell'accusa non è certo un principiante. Che c'è stato un danno possono dimostrarlo facilmente. Il problema non è quello; il problema per loro è capire come procederà la difesa. Evidentemente pensano che cercheremo di dimostrare come Easy non abbia potuto commettere il fatto, essendo vincolato dalle Tre Leggi della Robotica.»
«Be', certo» disse Robertson, «quella è in effetti la nostra linea difensiva. E del tutto inattaccabile.»
«Per un ingegnere robotico, ma non necessariamente per un giudice. Stanno cercando di sistemare le cose in modo da poter dimostrare che EZ-27 non era un robot ordinario. Era il primo modello di quel genere che veniva offerto al pubblico: un modello sperimentale cui occorreva un collaudo su campo che solo l'università poteva effettuare in maniera soddisfacente. Una tesi di questo tipo può apparire plausibile, considerati i notevoli sforzi compiuti dal dottor Lanning per piazzare il robot e il basso prezzo del noleggio richiesto dalla U.S. Robots. Date tali premesse, l'accusa potrebbe in seguito sostenere che il collaudo su campo si è dimostrato un fallimento. Ora capite perché insistono tanto su quello che avvenne agli inizi della vicenda?»
«Ma EZ-27 era un modello perfettamente funzionante, il ventisettesimo di quel tipo a essere prodotto» replicò Robertson.
«Già, e questo è un punto a nostro sfavore» disse cupo l'avvocato. «Cos'avevano che non andava i primi ventisei? Qualche magagna doveva pur esserci. E perché non poteva averla anche il ventisettesimo?»
«I primi ventisei non avevano proprio nulla che non funzionasse. Solo, non erano abbastanza complessi da svolgere il lavoro richiesto. Erano i primi cervelli positronici di quel tipo che costruivamo, e all'inizio abbiamo dovuto procedere un po' a tentoni. Ma tutti quanti erano strettamente vincolati dalle Tre Leggi. Nessun robot è così imperfetto da potersi sottrarre ad esse.»
«Il dottor Lanning me l'ha spiegato, signor Robertson, e io sono disposto a credergli sulla parola. Ma il giudice può non essere pronto a fare altrettanto. Il verdetto che attendiamo verrà dato da un uomo onesto e intelligente, il quale però non sa nulla di robotica e potrebbe quindi essere sviato da certi discorsi. Se per esempio voi o il dottor Lanning o la dottoressa Calvin diceste sul banco dei testi che i cervelli positronici all'inizio sono stati costruiti "procedendo a tentoni", come avete detto a me, l'accusa nel controinterrogatorio vi straccerebbe, e in quel caso non avremmo più alcuna speranza di vittoria. Per cui cercate accuratamente di evitare simili termini.»
«Se solo potesse deporre Easy» brontolò Robertson.
L'avvocato alzò le spalle. «Un robot non è un testimone attendibile, quindi non ci sarebbe di alcuna utilità.»
«Almeno sapremmo cos'è accaduto esattamente. E perché è arrivato a fare una cosa del genere.»
A quel punto Susan Calvin intervenne nella conversazione. Era piuttosto infiammata; le guance erano leggermente rosse e dal. tono della voce trapelava l'ira. «Sappiamo benissimo perché Easy è arrivato a fare una cosa del genere! Gli è stato ordinato di farla! L'ho spiegato all'avvocato e lo spiego adesso a voi.»
«Gli è stato ordinato da chi?» chiese Robertson, con sincero sbalordimento. (Nessuno gli diceva mai niente, pensò risentito. Cosa si credevano i ricercatori, di essere loro i padroni della U.S. Robots, perdio?)
«Da Ninheimer.»
«Ma perché, Dio santo?»
«Il perché non lo so ancora» rispose lei, con espressione cupa. «Forse il suo unico scopo era di intentarci causa e guadagnare un po' di soldi chiedendoci i danni.»
«Allora perché Easy non ce l'ha detto?»
«Non è ovvio? Gli è stato ordinato di tacere su tutta la faccenda.»
«Non lo trovo tanto ovvio» replicò Robertson, con tono bellicoso.
«Be', per me è ovvio. Non per niente sono robopsicologa. Se anche non risponde a domande dirette riguardanti la vicenda, Easy risponde però alle domande indirette, che toccano l'argomento solo marginalmente. Valutando quanto aumenti la sua esitazione a mano a mano che ci si avvicina al nocciolo della questione, valutando quanto sia estesa la zona di vuoto mentale, e l'intensità dei contropotenziali sviluppati, è possibile dire con precisione scientifica che i suoi problemi sono la conseguenza di un ordine che gli impone di non parlare, un ordine che fa chiaro riferimento alla Prima Legge. In altre parole, gli è stato detto che se parlasse, recherebbe danno a un essere umano. Molto probabilmente all'attore stesso, l'inqualificabile professor Ninheimer che agli occhi del robot appare come un essere umano.»
«Ma non potete spiegare a Easy che se continua a stare zitto danneggerà la U.S. Robots?» disse Robertson.
«La U.S. Robots non è un essere umano e secondo la Prima Legge della robotica una società non possiede le prerogative di "persona" che il nostro ordinamento giuridico le riconosce. Inoltre sarebbe pericoloso cercare di ricorrere a questo tipo di coercizione. Sarebbe meno pericoloso se a sciogliere l'intoppo fosse l'individuo che l'ha provocato, perché le motivazioni che spingono il robot a comportarsi in un certo modo fanno capo a quello stesso individuo. Qualsiasi altra linea di condotta...» Susan Calvin scosse la testa con aria quasi turbata. «Non permetterò che si danneggi il robot!»
Lanning intervenne nella conversazione, parlando con tono conciliante. «Secondo me ci basta dimostrare che un robot è incapace di commettere l'azione di cui Easy è accusato. E possiamo farlo.»
«Già» disse il difensore, irritato. «Ma potete farlo solo voi. Gli unici testi in grado di affermare con sicurezza che Easy funziona perfettamente e che il suo cervello positronico gli impone di seguire certe regole sono i dipendenti della U.S. Robots. Il giudice non può ritenere che la loro testimonianza sia del tutto imparziale.»
«Come potrebbe mai confutare il parere di un esperto?»
«Potrebbe semplicemente rifiutarsi di farsi convincere. È nel suo diritto. In fin dei conti, l'ipotesi che gli prospettiamo noi è che un uomo come il professor Ninheimer abbia architettato tutto quanto per guadagnare una forte somma di denaro; un'impresa rischiosa, che potrebbe costargli la reputazione. Il giudice potrebbe non ritenere troppo convincente una simile ipotesi e rimanere scettico davanti alle spiegazioni tecniche dei vostri ingegneri. Dopotutto è un uomo. Se deve scegliere tra credere che un uomo abbia fatto una cosa assurda e credere che la cosa assurda l'abbia fatta un robot, è molto probabile che accetti come valida la seconda alternativa.»
«Ma un uomo può fare una cosa assurda» disse Lanning, «perché noi non conosciamo a fondo la mente umana in tutta la sua complessità. Non sappiamo che cosa sia possibile o impossibile per un determinato cervello. Mentre sappiamo bene che cosa sia impossibile per il cervello positronico di un robot.»
«Be', vedremo se riusciremo a persuadere il giudice» replicò l'avvocato, con aria stanca.
«Dopo quello che avete detto mi pare che le probabilità siano poche» brontolò Robertson.
«Vedremo. È bene che ci rendiamo conto fino in fondo della difficoltà della situazione, ma cerchiamo di non deprimerci troppo. Anch'io mi sono sforzato di prevedere qualche mossa avversaria, in questa partita a scacchi.» Accennò con la testa a Susan Calvin e aggiunse: «Con l'aiuto prezioso della gentile signora qui presente».
Lanning guardò prima l'avvocato poi la robopsicologa e disse: «Di che diavolo state parlando?».
Ma l'usciere fece capolino nella stanza e annunciò un po' ansimante che l'udienza stava per riprendere.
I quattro si sedettero al loro posto e osservarono l'uomo che aveva provocato tutto quel pasticcio.
Simon Nihheimer aveva una testa di capelli soffici e biondicci, il naso aquilino, un mento appuntito e il vezzo, parlando, di esitare davanti alle parole più importanti, quasi cercasse la precisione massima possibile. Se diceva per esempio: «Il sole sorge a... ehm... oriente» si aveva la netta sensazione che avesse considerato l'eventualità che potesse sorgere in certi casi anche a ponente.
«Quando all'università fu proposto di utilizzare il robot EZ-27, voi vi opponeste all'idea?» chiese l'accusa.
«Sì, signore.»
«Perché?»
«Mi pareva che i motivi che spingevano la U.S. Robots a farci quell'offerta non fossero del tutto... ehm... chiari. La loro ansia di piazzare il robot mi insospettiva.»
«Ritenevate che EZ-27 fosse in grado di assolvere le funzioni per le quali, si dice, era stato progettato?»
«So con certezza che non lo era.»
«Vi spiace illustrarci perché?»
Per otto anni Simon Ninheimer aveva lavorato al suo libro, Tensioni sociali provocate dal volo spaziale e modi per risolverle. La sua mania della precisione non si limitava al linguaggio parlato, e davanti a una materia come la sociologia, già per sua natura imprecisa, lo sforzo che gli era toccato affrontare l'aveva lasciato quasi senza fiato.
Nemmeno quando le bozze furono pronte Ninheimer sentì di avere raggiunto lo scopo. Anzi, il contrario. Fissando le lunghe strisce di carta stampata provò quasi la tentazione di ritagliare tutte le righe e metterle insieme in modo diverso.
Jim Baker, ricercatore destinato a diventare presto assistente di sociologia, tre giorni dopo che era arrivato il primo pacco di bozze dalla tipografia trovò Ninheimer intento a fissare i fogli con aria assorta. Le bozze erano stampate in tre copie: una per Ninheimer, che doveva correggerla, una per Baker, che doveva fare altrettanto, e una terza contrassegnata dal timbro Originale. Su questa Ninheimer e Baker, dopo avere discusso le rispettive correzioni e chiarito gli eventuali dubbi, dovevano segnare le modifiche finali, frutto della loro collaborazione. Per tre anni, da quando lavoravano insieme, avevano sempre proceduto così preparando le relazioni e il metodo si era rivelato efficace.
Il giovane Baker, che quando parlava con il professore aveva sempre un tono gentile e adulatorio, aveva con sé la sua copia delle bozze. «Ho controllato il primo capitolo» disse con zelo, «e ho trovato diversi errori di stampa che sono delle vere e proprie perle.»
«Capita spesso, nel primo capitolo» disse Ninheimer, distratto.
«Volete che confrontiamo adesso?»
Ninheimer guardò Baker con espressione seria. «Io non ho lavorato alle bozze, Jim. E credo che non mi disturberò a farlo.»
«Non vi disturberete a farlo?» ripeté Baker, confuso.
Ninheimer increspò le labbra. «Ho chiesto quale... ehm... carico di lavoro può sostenere la macchina. Dopotutto in origine ci sono state... ehm... reclamizzate proprio le sue funzioni di correttrice di bozze. Hanno già stabilito l'orario che dovrà seguire per il mio libro.»
«La macchina? Intendete dire Easy?»
«Già, quello è lo stupido nome che le hanno dato.»
«Ma professor Ninheimer, credevo che di quel robot non ne voleste sapere!»
«Sembra che sia l'unico in questa università a non utilizzarlo. Forse invece dovrei anch'io... ehm... approfittare dei vantaggi che offre.»
«Oh, capisco. Allora a quanto sembra ho sprecato il mio tempo, correggendo il primo capitolo» disse Baker, cupo.
«No, sprecato no. Possiamo confrontare i risultati ottenuti dal robot con i vostri. Sarà una verifica utile.»
«Sì, se volete, ma...»
«Ma?»
«Dubito che troveremo imperfezioni nel lavoro di Easy. Pare che non abbia mai commesso un errore.»
«Pare» disse secco Ninheimer.
Quattro giorni dopo, Baker tornò dal professore con le bozze del primo capitolo. Questa volta si trattava della copia di Ninheimer e proveniva direttamente dal fabbricato speciale che era stato eretto apposta per ospitare Easy e le apparecchiature che usava.
Baker era esultante. «Professor Ninheimer, non solo ha trovato tutti gli errori trovati da me, ma ne ha scoperto un'altra dozzina che a me erano sfuggiti! E tutto questo l'ha fatto in dodici minuti!»
Ninheimer esaminò il pacco di fogli e le correzioni scritte chiaramente sui margini. «Non è un lavoro così completo come sarebbe stato il nostro. Noi avremmo inserito un fascicolo sullo studio compiuto da Suzuki intorno agli effetti neurologici della bassa gravità.»
«Vi riferite all'articolo apparso sulla Sociological Review?»
«Certo.»
«Be', non potete aspettarvi l'impossibile da Easy. Non può leggere al posto nostro tutta la letteratura sull'argomento.»
«Me ne rendo conto. Anzi, ho preparato io stesso l'inserto. Andrò a far visita a quella macchina e mi assicurerò che sappia sistemare a dovere gli inserti.»
«Li saprà sistemare senz'altro.»
«Preferisco controllare con i miei occhi.»
Ninheimer dovette prendere appuntamento per vedere Easy, e riuscì a ottenere di parlare con lui solo per un quarto d'ora, a sera inoltrata.
Ma il quarto d'ora risultò essere più che sufficiente. Il robot EZ-27 mostrò di capire subito il problema degli inserti.
Ninheimer, per la prima volta a diretto contatto con il robot, si sentì a disagio. Istintivamente, come se si trovasse davanti a un essere umano, si trovò a chiedergli: «Sei contento del tuo lavoro?».
«Contentissimo, professor Ninheimer» disse Easy con solennità, mentre i suoi occhi fotoelettrici brillavano della consueta luce rossa.
«Sai chi sono?»
«Dal fatto che mi consegnate altro materiale da aggiungere alle bozze, intuisco che siete l'autore. E il vostro nome lo conosco, visto che è stampato in testa a ciascun foglio.»
«Capisco. Allora sai fare delle... ehm... deduzioni.» Non poté resistere alla tentazione di rivolgergli una certa domanda. «Dimmi, che cosa pensi finora del libro?»
«Trovo molto piacevole lavorarvi sopra.»
«Piacevole? È una parola strana per un... ehm... meccanismo privo di emozioni. Mi è stato detto che non provi emozioni.»
«Le parole scritte nel vostro libro sono in sintonia con i miei circuiti» spiegò Easy. «Non generano praticamente nessun contropotenziale. I miei circuiti positronici traducono questo fatto meccanico in un termine come "piacevole". La connotazione emotiva è casuale.»
«Capisco. Perché trovi il libro piacevole?»
«Perché tratta di esseri umani, professore, e non di materia inorganica o di simboli matematici. Il vostro lavoro si pone come scopo di comprendere gli esseri umani e di aiutarli a essere più felici.»
«E questo scopo è anche il tuo, sicché il mio libro è in sintonia con i tuoi circuiti. È così?»
«Sì, professore.»
Il quarto d'ora era passato. Ninheimer uscì e andò alla biblioteca dell'università, che stava per chiudere. Chiese agli addetti di lasciarla aperta il tempo sufficiente per fargli trovare un testo elementare di robotica. Poi prese il volume e se lo portò a casa.
A parte qualche inserto da aggiungere, la correzione delle bozze procedette senza intoppi. Il lavoro compiuto da Easy andava direttamente in stampa senza che Ninheimer dovesse intervenire granché per apportare modifiche. E alla fine gli interventi del professore cessarono del tutto.
«Mi sento quasi inutile» disse un giorno Baker, un po' frustrato.
«Dovreste invece approfittarne per iniziare qualcosa di nuovo» disse Ninheimer, senza alzare gli occhi dagli appunti che stava segnando sull'ultimo numero di Social Science Abstracts.
«È che non sono abituato a servirmi delle prestazioni di quel robot. Continuo a preoccuparmi per le bozze, anche se ammetto che è sciocco.»
«In effetti è sciocco.»
«L'altro giorno ho dato un'occhiata a un paio di fogli prima che Easy li mandasse in...»
«Cosa?!» Ninheimer sollevò lo sguardo, aggrottando la fronte. Chiuse la rivista e disse: «Avete disturbato la macchina mentre lavorava?».
«Solo un attimo. Tutto era a posto. Ah, ha cambiato unicamente un termine. Voi avevate definito qualcosa "criminale" e lui ha messo invece la parola "sconsiderato". Ha ritenuto che questo aggettivo si adattasse di più al contesto del discorso.»
Ninheimer si fece pensieroso. «Voi cosa ne pensate?»
«Penso che avesse ragione, per cui ho lasciato le cose come stavano.»
Ninheimer si mosse nella poltrona girevole e guardò il giovane ricercatore. «Sentite, vorrei che non prendeste più iniziative del genere. Se devo usare la macchina, voglio trarne... ehm... tutti i vantaggi possibili. Se la uso e mi viene a mancare poi il vostro... ehm... aiuto perché perdete il tempo a controllare ciò che non occorre controllare, che cosa ci guadagno? Spero che afferriate il concetto.»
«Sì, professor Ninheimer» disse Baker, mortificato.
Le prime copie di Tensioni sociali arrivarono nell'ufficio del professor Ninheimer l'otto maggio. Ninheimer diede una scorsa sommaria al libro, soffermandosi a leggere solo qualche paragrafo qui e là. Poi lo mise da parte.
Come spiegò in seguito, si dimenticò completamente della faccenda. A quell'opera aveva lavorato per otto anni, ma ormai da alcuni mesi era assorbito da altri interessi, visto che l'onere della correzione se l'era assunto tutto Easy. Non si ricordò nemmeno di consegnare, come di consueto, una copia omaggio alla biblioteca dell'università. E non donò una copia nemmeno a Baker, che si era buttato anima e corpo su un nuovo lavoro e aveva accuratamente evitato il professore da quando era stato rimproverato da lui, in occasione del loro ultimo incontro.
Il sedici di giugno gli avvenimenti presero una piega inaspettata. Ninheimer fu chiamato al telefono e fissò stupito l'immagine sullo schermo.
«Speidell! Siete qui in città?»
«No, signore. Sono a Cleveland.» La voce di Speidell tremava per l'emozione.
«Allora come mai questa telefonata?»
«Perché ho appena letto il vostro nuovo libro. Siete impazzito, Ninheimer? Siete diventato matto?»
Ninheimer s'irrigidì. «C'è qualcosa che... ehm... non va?» chiese, allarmato.
«Che non va? Posso ricordarvi cos'avete scritto a pagina cinquecentosessantadue? Come vi salta in mente di interpretare il mio lavoro in quel modo? Dove mai, nel mio saggio, affermo che la personalità criminale non esiste e che i veri criminali sono gli enti che hanno la funzione di far applicare la legge? Sentite qui, lasciate che vi citi...»
«Un attimo, un attimo!» esclamò Ninheimer, cercando la pagina in questione. «Fatemi controllare... Dio santo!»
«Allora?»
«Non capisco come sia potuto succedere, Speidell. Io non ho mai scritto cose del genere.»
«Però sono stampate nel volume! E questo travisamento non è nemmeno il peggiore. Date un'occhiata a pagina seicentonovanta. Come pensate che reagirà Ipatiev quando vedrà che interpretazione assurda avete dato delle sue scoperte? Sentite, Ninheimer, il libro pullula di bufale di questo genere. Non so cos'aveste in mente quando l'avete scritto, ma l'unica è che lo ritiriate dal mercato. E sarà meglio che vi profondiate in scuse alla prossima riunione dell'Associazione!»
«Sentite, Speidell, ascoltatemi un attimo...»
Ma Speidell riappese con tale violenza, che sullo schermo continuarono a brillare per alcuni secondi immagini residue.
Ninheimer allora cominciò a leggere attentamente il libro e a segnare certi punti con la biro rossa.
Riuscì a mantenersi abbastanza calmo quando fece di nuovo visita a Easy, però aveva il viso tirato e le labbra esangui. Passò il libro al robot e disse: «Ti spiace leggere i passi da me sottolineati alle pagine cinquecentosessantadue, seicentotrentuno, seicentosessantaquattro e seicentonovanta?».
Easy eseguì l'ordine in un attimo. «Ebbene, professor Ninheimer?
«Quanto stampato non corrisponde a ciò che era scritto nell'originale.»
«No, signore.»
«Sei stato tu a cambiare il testo?»
«Sì, signore.»
«Perché?»
«Perché i brani in questione, nel vostro manoscritto, esprimevano un giudizio poco lusinghiero nei confronti di alcuni gruppi di esseri umani. Ho ritenuto opportuno cambiare determinate parole per evitare di recare offesa ai detti gruppi.»
«Come hai osato fare una cosa simile?»
«In base alla Prima Legge, professore, io non posso permettere che a causa del mio mancato intervento degli esseri umani ricevano danno. E visto che voi godete di una notevole reputazione come sociologo e che il vostro libro è destinato a essere diffuso tra tutti gli studiosi della materia, ho giudicato che indubbiamente parecchi esseri umani cui fate riferimento nel volume avrebbero ricevuto un danno notevole.»
«Ma ti rendi conto di che danno ha fatto a me?
«Era necessario scegliere l'alternativa che provocava il danno minore.»
Tremante di rabbia, il professor Ninheimer si allontanò con passo malfermo. La U.S. Robots, pensò, avrebbe dovuto assumersi tutte le sue responsabilità per il disastro che gli aveva combinato.
Al tavolo dei convenuti c'era un certo nervosismo. E il nervosismo crebbe quando l'accusa procedette con l'interrogatorio.
«Allora il robot EZ-27 vi informò che il motivo della sua condotta era dovuta alla Prima Legge della Robotica?»
«Esattamente, signore.»
«Vi disse in pratica che non aveva avuto scelta?»
«Sì, signore.»
«Quindi alla U.S. Robots hanno progettato un robot che è obbligato a riscrivere i libri in modo che rispecchino la sua concezione del bene e del male. E invece l'avevano spacciato per un semplice correttore di bozze. È così?»
La difesa insorse subito, affermando che al testimone il pubblico ministero aveva chiesto di dare un giudizio su una materia nella quale non era competente. Il giudice ammonì l'accusa con la frase di rito, ma l'avvocato difensore capì che Shane era rimasto colpito dalle asserzioni fatte da Ninheimer durante l'interrogatorio.
Ricorrendo a un cavillo legale, l'avvocato chiese una breve sospensione prima di iniziare il controinterrogatorio e guadagnò così cinque minuti di tempo.
Si protese verso Susan Calvin e le domandò: «Dottoressa Calvin, è possibile che il professor Ninheimer dica la verità e che Easy sia stato costretto ad agire in quel modo dalla Prima Legge?».
«No» rispose la Calvin, severa. «Non è assolutamente possibile. Nell'ultima parte del racconto Ninheimer ha reso falsa testimonianza. Easy non è in grado di formulare giudizi su questioni teoriche come possono essere quelle presentate da un testo universitario di sociologia. Non potrebbe in alcun modo arrivare a pensare che certe frasi scritte nel libro suonino offensive per determinate categorie di esseri umani. La sua mente non è stata progettata per funzioni del genere.»
«Ma immagino che questo non lo si possa provare a un profano» disse l'avvocato, abbattuto.
«Già» ammise la Calvin. «Dimostrarlo sarebbe alquanto complicato. La nostra linea difensiva deve rimanere immutata. Bisogna provare che Ninheimer mente. Del resto, niente di quel che ha detto ci costringe a cambiare i nostri piani.»
«Benissimo, dottoressa Calvin» disse il difensore, «non posso che fidarmi della vostra parola. Procederemo come previsto.»
Il giudice batté il martelletto sul tavolo. Ninheimer tornò al banco dei testimoni e sfoderò il sorriso compiaciuto di chi è convinto di essere in una botte di ferro e quasi gioisce alla prospettiva di affrontare assalti inutili.
L'avvocato iniziò un approccio prudente e blando. «Professor Ninheimer, mi pare che abbiate detto che vi accorgeste delle supposte modifiche apportate al vostro manoscritto solo quando il dottor Speidell vi telefonò, il sedici di giugno. È così?»
«È così, signore.»
«Non controllaste mai le bozze dopo che il robot EZ-27 le ebbe corrette?»
«All'inizio qualche occhiata la diedi, ma mi sembrava un lavoro inutile. Mi fidai delle garanzie che la U.S. Robots ci aveva fornito. Le... ehm... modifiche assurde furono fatte solo nell'ultima parte del libro, forse perché a quel punto il robot aveva imparato abbastanza sull'argomento sociologia...»
«Risparmiatemi le vostre supposizioni» disse l'avvocato. «A quanto ho capito il dottor Baker, vostro collega, vide le ultime bozze almeno in un'occasione. Vi ricordate di averlo testimoniato nel corso dell'interrogatorio dell'accusa?»
«Sì, signore. Come ho detto, Baker mi disse di avere controllato una pagina, e già in quella il robot aveva cambiato un termine.»
Il difensore restò un attimo in silenzio, poi riprese. «Non è strano che dopo avere mostrato per più di un anno un'ostilità implacabile verso il robot, dopo avere contrastato la sua adozione da parte dell'università, dopo avere rifiutato ostinatamente di utilizzarlo, abbiate deciso di punto in bianco di affidare il vostro libro, il vostro opus magnum, alle sue mani?»
«No, non mi pare così strano. Pensai semplicemente che tanto valeva usarla quella macchina, visto che c'era.»
«E la vostra fiducia nell'operato di EZ-27 fu all'improvviso così cieca, che non vi preoccupaste nemmeno di controllare le bozze?»
«Vi ho spiegato. La propaganda fatta dalla U.S. Robots mi aveva... ehm... convinto.»
«Convinto a tal punto che quando il dottor Baker si provò a dare un'occhiata alle bozze gli deste una lavata di capo?»
«Non gli diedi alcuna lavata di capo. Semplicemente non volevo che... ehm... sprecasse il suo tempo. Allora almeno ritenevo che controllare ulteriormente le bozze fosse una perdita di tempo. Non capii che era un campanello d'allarme la sostituzione di quel termine nel...»
«È chiaro che vi hanno consigliato di mettere in rilievo questo punto perché la faccenda della sostituzione del termine fosse messa a verbale» disse l'avvocato, caustico. Poi cambiò subito tattica per evitare le obiezioni dell'accusa. «La verità è che voi eravate molto arrabbiato con il dottor Baker.»
«No, signore. Non ero arrabbiato.»
«Non gli deste nemmeno una copia del vostro libro.»
«Fu una semplice dimenticanza. Non la diedi neppure alla biblioteca.» Ninheimer accennò un sorriso cauto. «Si sa che i professori sono distratti.»
«Non trovate strano che, dopo avere funzionato perfettamente per più di un anno, il robot EZ-27 abbia commesso un errore proprio con il vostro libro?» disse l'avvocato. «Cioè con il libro scritto dall'unica persona che all'interno dell'università si era mostrata implacabilmente ostile al robot stesso?»
«La mia era l'unica opera di una certa consistenza che trattasse di questioni sociali, ossia di esseri umani. Davanti a una simile materia scattarono evidentemente in funzione le Tre Leggi della Robotica.»
«Già parecchie volte avete tentato di apparire ai nostri occhi come un esperto di robotica, professor Ninheimer» disse il difensore. «A quanto sembra avete cominciato a un certo punto a interessarvi di questa materia e siete andato addirittura in biblioteca a prendere volumi sull'argomento. L'avete testimoniato nel corso del precedente interrogatorio, vero?»
«Dalla biblioteca presi un solo libro, signore. Credo che fossi solleticato da una... ehm... semplice curiosità.»
«E attraverso quella lettura riusciste a capire come mai il robot avesse, secondo quanto sostenete, modificato il vostro testo?»
«Sì, signore.»
«Molto bene. Ma siete sicuro di non esservi invece interessato alla robotica per poter strumentalizzare il robot e perseguire così determinati obiettivi?»
Ninheimer arrossì. «Sicurissimo. Questo è assolutamente falso, signore.»
L'avvocato alzò la voce. «Dirò di più. Siete proprio sicuro che i passi incriminati del volume non fossero così fin dall'inizio, scritti in quel modo proprio da voi?»
Il sociologo fu lì lì per scattare. «Ma è... ehm... è ridicolo! Ho le bozze...»
Non riuscì a proseguire il discorso. Il pubblico ministero si alzò e disse, calmo: «Con il vostro permesso, Vostro Onore, vorrei produrre come prova le bozze consegnate dal professor Ninheimer al robot EZ-27 e le bozze spedite dal robot all'editore. Le produrrò subito, se il mio stimato collega lo desidera, e sono disposto a concedergli una pausa perché possa confrontarle».
L'avvocato difensore agitò una mano in segno di impazienza. «Non mi occorre alcuna pausa. Il mio onorevole avversario può produrre il materiale quando vuole. Sono sicuro che il confronto rivelerà l'esistenza delle discrepanze che l'attore denuncia. Vorrei invece sapere dal teste se è in possesso anche delle bozze del dottor Baker.»
«Le bozze del dottor Baker?» Ninheimer corrugò la fronte. Non era ancora riuscito a riacquistare del tutto l'autocontrollo.
«Sì, professore. Le bozze del dottor Baker, esattamente. Voi nella vostra deposizione avete detto che il dottor Baker aveva ricevuto una copia delle bozze. Farò leggere al cancelliere la vostra testimonianza, se siete soggetto a improvvise lacune mentali. O forse se la dimenticanza è dovuta al fatto che, come dite voi, i professori sono notoriamente distratti?»
«Mi ricordo delle bozze del dottor Baker, sì» disse Ninheimer. «Solo che appena tutto il lavoro venne affidato alla macchina non furono più di alcuna utilità...»
«Sicché le bruciaste?»
«No. Le buttai nel cestino della carta straccia.»
«Bruciate o buttate nel cestino che differenza fa? L'essenziale è che provvedeste a disfarvene.»
«Non c'era niente di male nel...» cominciò Ninheimer, debolmente.
«Niente di male?» tuonò l'avvocato. «Il male è che adesso non abbiamo modo di controllare se avete sostituito in certi punti cruciali un foglio normalissimo appartenente alla copia del dottor Baker con un altro appartenente alla vostra copia, uno cui avevate già apportato delle modifiche apposta per costringere il robot a...»
L'accusa sollevò una furiosa obiezione. Il giudice Shane si protese in avanti, con il viso paffuto che si sforzava al massimo di esprimere l'indignazione del suo proprietario.
«Avvocato, avete prove atte a dimostrare la fondatezza dell'affermazione gravissima che avete appena fatto?»
«Prove dirette no, Vostro Onore» disse calmo l'avvocato. «Ma vorrei sottolineare come, osservando le cose obiettivamente, l'improvvisa rinuncia dell'attore a ogni atteggiamento anti-robot, il suo altrettanto improvviso interesse per la robotica, il suo rifiuto di controllare le bozze o di permettere ad altri di controllarle, le sue strane dimenticanze che l'hanno indotto a non fare vedere a nessuno il libro subito dopo la pubblicazione, indichino chiaramente che...»
«Avvocato» lo interruppe spazientito il giudice, «questo non è il luogo dove si possano fare deduzioni astruse. L'attore non è un imputato e voi non siete qui per processarlo. Vi proibisco di insistere su questa linea d'attacco. E mi permetto di osservare anche che la disperazione che indubbiamente vi ha indotto a procedere in questo modo serve solo a indebolire la difesa. Se avete domande legittime da rivolgere al teste rivolgetegliele pure, ma vi diffido dal ripetere in quest'aula esibizioni come quella di cui vi siete reso protagonista poco fa.»
«Non ho altre domande, Vostro Onore.»
Quando l'avvocato ritornò al suo tavolo, Robertson sussurrò, accalorato: «Che senso aveva agire così, Dio santo? Il giudice adesso ce l'ha a morte con voi».
«Ma Ninheimer ha accusato il colpo» replicò calmo l'avvocato. «Ce lo siamo lavorato un po' per la mossa di domani. Sarà sufficientemente nervoso da cadere in trappola.»
Susan Calvin annuì gravemente.
Gli interrogatori condotti in seguito dall'accusa furono blandi in confronto. Il dottor Baker, chiamato a deporre, confermò quasi tutta la testimonianza resa da Ninheimer. Il dottor Speidell e il dottor Ipatiev spiegarono turbati che sorpresa e che sgomento avessero provato davanti ai passi del libro in cui le loro teorie venivano completamente travisate. Entrambi, da professionisti, affermarono che la reputazione di cui Ninheimer godeva era stata seriamente danneggiata.
Vennero prodotte come prove sia le bozze, sia alcune copie del libro.
La difesa quel giorno non condusse altri controinterrogatori. L'accusa non produsse altri testi e l'udienza fu aggiornata alla mattina dopo.
La mattina dopo, subito all'inizio del dibattimento, l'avvocato difensore chiese che il robot EZ-27 fosse ammesso in aula come spettatore.
L'accusa si oppose subito e il giudice Shane chiamò al banco sia il pubblico ministero sia l'avvocato.
«La richiesta ovviamente è contraria alla legge» disse l'accusa. «Un robot non può entrare in un edificio aperto al pubblico.»
«Ma il processo è a porte chiuse» replicò la difesa. «In quest'aula sono presenti solo le persone coinvolte direttamente nella causa.»
«Una grossa macchina che notoriamente ha dei difetti di funzionamento turberebbe con la sua sola presenza la serenità dell'attore e dei testimoni. E provocherebbe un'inutile confusione.»
Il giudice pareva propenso a dar ragione all'accusa. Si girò verso l'avvocato difensore e disse, piuttosto secco: «Qual è il motivo della vostra richiesta?».
«Intendiamo dimostrare che il robot EZ-27, per il fatto stesso di essere strutturato in un certo modo, non può assolutamente avere agito come si sostiene che abbia agito. E per dimostrare questo saranno necessarie alcune verifiche dirette.»
«Mi pare che la faccenda non abbia senso, Vostro Onore» disse il pubblico ministero. «Le verifiche dirette effettuate da dipendenti della U.S. Robots hanno poco valore, considerato che la U.S. Robots è la società citata in giudizio.»
«Vostro Onore» disse l'avvocato, «che valore abbia una prova dovete deciderlo voi, non il pubblico ministero. Almeno a mio modo di vedere.»
Seccato all'idea che l'accusa gli stesse invadendo il campo, il giudice Shane disse: «Il vostro modo di vedere è corretto. Tuttavia la presenza di un robot qui solleverebbe alcuni grossi problemi, dal punto di vista legale».
«Però, Vostro Onore, bisognerebbe consentire alla giustizia di seguire il suo corso. Considerate che se il robot non verrà ammesso in quest'aula, saremo privati della nostra unica linea di difesa.»
Il giudice rifletté. «Ci sarebbe sempre il problema del trasporto.»
«È un problema che la U.S. Robots ha affrontato più volte. Fuori del tribunale è parcheggiato un camion costruito in osservanza alle leggi che regolano il trasporto dei robot. EZ-27 si trova in una cassa da imballaggio all'interno del camion ed è sorvegliato da due inservienti. Le portiere dell'autocarro sono chiuse con la sicura e sono state prese anche tutte le altre precauzioni del caso.»
Il giudice Shane apparve di nuovo maldisposto verso l'avvocato. «Avevate già preparato tutto. Cos'eravate, sicuro che mi sarei pronunciato a favore della vostra richiesta?»
«Affatto, Vostro Onore. Se il vostro parere sarà negativo, manderemo semplicemente via il camion. Non avevo fatto alcuna congettura in merito alla vostra decisione.»
Il giudice annuì. «La richiesta della difesa è accolta.»
La cassa fu portata in tribunale su un grande carrello e i due inservienti la aprirono. Nell'aula calò un religioso silenzio.
Susan Calvin aspettò che gli uomini togliessero lo spesso involucro di celluform, poi tese una mano. «Vieni, Easy.»
Il robot guardò nella sua direzione e allungò verso di lei il grosso braccio di metallo. La superava in altezza di più di mezzo metro, ma la seguì docilmente, come un bambino tenuto per mano dalla mamma. Qualcuno uscì in una risatina nervosa, che soffocò subito sotto lo sguardo severo della dottoressa Calvin.
Easy si sedette con cautela su una sedia molto grande portata dall'usciere. La sedia scricchiolò, ma resse il peso.
«Al momento opportuno, Vostro Onore» disse l'avvocato, «dimostreremo che questo è veramente EZ-27, il robot che ha prestato servizio presso la Northeastern University nel periodo al quale stiamo facendo riferimento.»
«Bene» disse il giudice Shane. «È senza dubbio opportuno che lo dimostriate. Per quanto mi riguarda, non saprei proprio come distinguere un robot dall'altro.»
«E adesso» disse la difesa, «vorrei chiamare al banco il mio primo testimone. Cioè il professor Simon Ninheimer.»
Il cancelliere esitò e guardò il giudice. Visibilmente sorpreso, Shane chiese: «Chiamate l'attore a deporre come vostro testimone?».
«Si, Vostro Onore.»
«Spero vi rendiate conto che finché sarà vostro testimone non godrete della libertà d'azione di cui godreste se lo controinterrogaste come teste dell'accusa.»
«Il mio unico scopo in tutta questa vicenda» disse pacato il difensore, «è di arrivare alla verità. Al professor Ninheimer devo solo rivolgere qualche cortese domanda.»
«Bene» disse il giudice, ancora incerto. «Siete voi l'avvocato in questa causa. Chiamate il teste.»
Ninheimer andò al banco, e gli fu ricordato che era ancora sotto giuramento. Appariva più nervoso del giorno prima, quasi turbato.
Ma il difensore lo guardò con aria benevola.
«Allora, professor Ninheimer, voi nella causa intentata ai miei clienti chiedete settecentocinquantamila dollari di danni.»
«Sì, è la... ehm... somma che richiedo.»
«È un bel po' di denaro.»
«Il danno da me subito è notevole.»
«Non certo tale da giustificare una pretesa del genere. In fin dei conti i passi che si suppone siano stati modificati negativamente sono pochi. Non dimentichiamo che nei libri a volte si trovano errori strani e imprevisti.»
Ninheimer dilatò le narici. «Caro signore, quel libro avrebbe dovuto segnare il culmine della mia carriera professionale! Così invece mi fa apparire come uno studioso incompetente, uno che travisa le teorie dei suoi stimati amici e colleghi e che propugna idee assurde e... ehm... datate. La mia reputazione è irrimediabilmente distrutta. Non potrò mai più partecipare a testa alta alle... ehm... riunioni dei professionisti del mio campo, e questo indipendentemente dall'esito di questo processo. Certo non potrò più proseguire nella mia carriera, che è sempre stata il centro di tutta la mia vita. Lo stesso scopo della mia vita è stato... ehm... ridotto in cenere, distrutto.»
L'avvocato non tentò mai di interrompere il discorso, ma continuò a guardarsi distratto le unghie mentre Ninheimer parlava.
Poi disse, molto pacatamente: «Però professore, considerata l'età che avete, non potreste certo sperare di guadagnare nell'arco di tempo che vi resta da vivere di più di, siamo generosi, centocinquantamila dollari. Eppure state chiedendo al tribunale che vi conceda cinque volte quella somma».
«Il danno che ho ricevuto non si estende solo all'arco di tempo che mi resta da vivere» disse Ninheimer, con ancora più foga. «Non so per quante generazioni ancora verrò additato dai sociologi come esempio di... ehm... stupidità e follia. I miei studi verranno ignorati e cadranno nell'oblio. Non solo sono rovinato fino al giorno della mia morte; il mio nome sarà infangato anche dopo, perché ci sarà sempre gente che non crederà che sia stato un robot ad apportare quelle modifiche al testo...»
A quel punto EZ-27 si alzò. Susan Calvin non cercò in alcun modo di trattenerlo. Rimase seduta immobile, con lo sguardo fisso davanti. Il difensore emise un lieve sospiro.
Easy parlò con voce chiara e melodiosa. «Vorrei spiegare a tutti» disse, «che sono stato effettivamente io ad apportare in certi punti alcune modifiche alle bozze, modifiche per cui il testo sembrava dire proprio il contrario di quanto affermava in precedenza...»
Il pubblico ministero si stupì talmente di vedere un robot alto più di due metri rivolgersi alla corte con un discorso diretto, che non ebbe la prontezza di opporsi subito a una procedura chiaramente irregolare.
Quando riuscì a riprendersi dallo sbalordimento, era troppo tardi. Perché Ninheimer si era alzato, nel banco dei testimoni, e fissava il robot con espressione furiosa.
«Maledetto!» urlò a squarciagola. «Ti era stato ordinato di tenere la bocca chiusa su questa...»
S'interruppe di colpo, e anche Easy tacque.
Il pubblico ministero si alzò e chiese che il processo venisse annullato per vizio di procedura.
Il giudice Shane batté ripetutamente il martelletto sul tavolo. «Silenzio! Silenzio! Certo c'è ogni motivo di annullare il processo per vizio di procedura, solo che, nell'interesse della giustizia, vorrei che il professor Ninheimer terminasse la frase che ha cominciato. L'ho udito distintamente dire che al robot era stato ordinato di tenere la bocca chiusa su una certa cosa. Nella vostra deposizione, professor Ninheimer, non avete minimamente accennato a ordini impartiti al robot perché tenesse la bocca chiusa!»
Ninheimer fissò muto il giudice.
«Avete ordinato al robot EZ-27 di tacere su una certa questione?» chiese Shane. «E se è così, di quale questione si tratta?»
«Vostro Onore...» cominciò Ninheimer, rauco. Ma non riuscì a proseguire.
Il tono del giudice si fece aspro. «Siete stato voi a dire al robot di apportare determinate modifiche alle bozze? E siete stato voi a ordinargli poi di non svelare a nessuno che eravate responsabile di quest'azione?»
L'accusa si oppose energicamente, ma Ninheimer gridò: «Oh, che importa ormai? Sì, sì, sono stato io!». E scese precipitosamente dal banco dei testimoni. Sulla porta fu bloccato dall'usciere. Allora si lasciò cadere pesantemente su una sedia delle ultime file e si prese la testa fra le mani.
«Mi pare evidente che il robot EZ-27 è stato portato qui per far cadere in trappola il testimone» disse il giudice Shane. «Se questa trappola non fosse servita a evitare un grave errore giudiziario, dovrei accusare l'avvocato difensore di oltraggio alla corte. Ma è ormai fuori di dubbio che l'attore ha commesso una frode, una frode che mi appare del tutto incomprensibile, visto che, a quanto sembra, si rendeva perfettamente conto di mettere a repentaglio tutta la sua carriera con questo processo.»
Il verdetto, ovviamente, diede ragione alla U.S. Robots.
La dottoressa Susan Calvin si fece annunciare al professor Ninheimer, che viveva in un appartamento da scapolo nell'ala residenziale dell'università. Il giovane ingegnere che aveva accompagnato in macchina la robopsicologa si offrì di salire con lei, ma lei gli scoccò un'occhiata di disprezzo.
«Non penserete mica che cercherà di picchiarmi? Aspettatemi qui.»
Ninheimer non era certo in vena di picchiare nessuno. Stava facendo in fretta le valigie, desideroso di andarsene prima che la notizia del verdetto sfavorevole diventasse di pubblico dominio.
Guardò la Calvin con una strana aria di sfida e disse: «Siete venuta qui per avvisarmi che adesso sarete voi a intentarmi causa? Se è così, il vostro viaggio è stato inutile. Non ho né soldi, né lavoro, né futuro. Non sono nemmeno in grado di far fronte alle spese processuali».
«Se cercate comprensione» disse gelida la Calvin, «da me non l'avrete sicuro. Siete stato voi a combinare tutto questo pasticcio. In ogni modo non intenteremo nessuna causa, né a voi né all'università. Faremo anzi il possibile per evitarvi di finire in prigione per falsa testimonianza. Non siamo vendicativi.»
«Oh, è per quello che non mi hanno già arrestato per aver giurato il falso? Mi ero chiesto in effetti come mai non fosse successo niente. D'altra parte» aggiunse con amarezza, «perché mai dovreste vendicarvi? Ormai avete avuto quello che volevate.»
«In parte sì» disse la Calvin. «L'università continuerà a utilizzare Easy, pagandoci un noleggio molto più alto. Inoltre, dopo che sarà stata fatta un po' di pubblicità discreta al processo appena avvenuto, saremo in grado di piazzare altri modelli EZ presso altre istituzioni senza correre il rischio che si ripetano guai del genere.»
«Allora qual è il motivo della vostra visita?»
«Il motivo è che non ho ancora ottenuto tutto quello che volevo. Vorrei sapere per esempio perché odiate tanto i robot. Anche se aveste vinto la causa la vostra reputazione sarebbe stata comunque rovinata. Il denaro che avreste intascato come risarcimento non sarebbe valso a compensarvi di un danno così grave. Vi avrebbe forse compensato l'aver dato pieno sfogo al vostro odio per i robot?»
«Vi interessate alla mente umana, dottoressa Calvin?» la sfotté Ninheimer.
«Quando i suoi meccanismi minacciano di pregiudicare il benessere dei robot, sì. Solo per questo motivo mi sono occupata un po' di psicologia umana.»
«Ve ne siete occupata abbastanza da tendermi una trappola!»
«Non è stato difficile» disse la Calvin, con naturalezza. «Il difficile è stato farlo senza recare danni a Easy.»
«È tipico di una persona come voi preoccuparsi più di una macchina che di un essere umano.» Ninheimer la guardò con profondo disprezzo.
Lei rimase impassibile. «È così solo in apparenza, professor Ninheimer. È proprio interessandosi attivamente ai robot che si può sperare di migliorare la vita dell'uomo del ventunesimo secolo. Ve ne rendereste conto se foste un robotologo.»
«Ho letto abbastanza robotica da capire che non vorrei mai al mondo essere un robotologo!»
«Scusate, ma voi avete letto un solo libro di robotica, che non vi ha insegnato nulla. Avete imparato abbastanza da capire che potevate ordinare a un robot di fare molte cose. Che gli potevate ordinare addirittura, usando metodi appropriati, di cambiare il senso di un testo. Avete imparato abbastanza da capire che non gli potevate ordinare di dimenticare completamente una certa cosa senza correre il rischio di essere scoperto. Ma avete creduto di non correre rischi comandandogli semplicemente di tacere. Vi siete sbagliato.»
«È stato il suo silenzio a farvi intuire la verità?»
«Non è questione di intuizione. Voi siete solo un dilettante e non ne sapevate abbastanza di robotica da riuscire a nascondere completamente le tracce. Il mio unico problema era dimostrare al giudice com'erano andati i fatti e voi siete stato così gentile da aiutarmi in questo. È stata proprio la vostra ignoranza di una materia che affermate di disprezzare a venirmi incontro.»
«Non vedo il senso di questa conversazione» disse Ninheimer, stancamente.
«Per me ha senso» disse Susan Calvin. «Vorrei che vi rendeste conto fino in fondo di quanto poco abbiate capito i robot. Voi avete messo a tacere Easy dicendogli che se avesse raccontato a chicchessia che eravate voi l'autore delle modifiche, avreste perso il posto. Nel suo cervello si è generato così un certo potenziale che incoraggiava Easy al silenzio, un potenziale abbastanza forte da impedirci di intervenire. Se avessimo insistito a cercare di indurre il robot a parlare, il suo cervello sarebbe rimasto danneggiato.
«Sul banco dei testimoni, però, siete stato voi stesso a far scattare un contropotenziale più alto. Avete detto che se la gente avesse pensato che eravate stato voi, e non un robot, a scrivere i passi incriminati del libro, avreste perso molto di più del lavoro, e cioè la reputazione, la stima e il rispetto degli altri, la vostra stessa ragione di vita. Avete affermato che dopo la vostra morte nessuno si sarebbe ricordato più delle vostre opere. E così, come ho detto, avete fatto scattare un contropotenziale più alto, sicché Easy si è deciso a parlare.»
«Dio santo» disse Ninheimer, distogliendo lo sguardo.
«Capite dunque perché ha parlato?» disse la Calvin, inesorabile. «Non l'ha fatto per accusarvi, ma per difendervi! Si può dimostrare matematicamente che era disposto ad assumersi tutta la responsabilità dell'atto fraudolento da voi compiuto e ad affermare che voi non avevate nulla a che vedere con la cosa. Glielo imponeva la Prima Legge. Era pronto a mentire, a danneggiare se stesso, a recare un danno finanziario alla compagnia. Per lui era molto più importante salvare voi. Se aveste veramente compreso i robot e la robotica, lo avreste lasciato parlare. Ma voi avevate capito ben poco della materia, come a me del resto era chiaro. Mi era così chiaro, che avevo assicurato l'avvocato difensore che sareste indubbiamente caduto nel tranello. Accecato dal vostro odio per i robot, eravate certo che Easy si sarebbe comportato come si comportano di solito gli esseri umani e che avrebbe cercato di difendersi accusando voi. Così, preso dal panico, siete sbottato inveendogli contro, e vi siete dato la zappa sui piedi.»
«Spero che un giorno i vostri robot vi si rivoltino contro e vi uccidano!» esclamò Ninheimer, con furia.
«Non dite sciocchezze» replicò la Calvin. «Ora vorrei che mi spiegaste perché avete combinato tutto questo pasticcio.»
Ninheimer torse la bocca in un ghigno cattivo. «Cosa devo, mettere a nudo la mia mente per soddisfare la vostra curiosità intellettuale? È questo il prezzo che mi costa il fatto che mi abbiate risparmiato l'incriminazione per falsa testimonianza?»
«Mettetela come volete» disse impassibile la Calvin. «Ma datemi una spiegazione.»
«In modo da consentirvi di fronteggiare in futuro con maggior cognizione di causa altri eventuali attacchi anti-robot?»
«Perché no?»
«Sapete» disse Ninheimer, «ve la darò questa spiegazione, se non altro per il piacere di constatare che non vi può servire a niente. Come potrebbe? Voi non siete in grado di comprendere i motivi che spingono gli uomini ad agire in un certo modo. Voi potete comprendere solo le vostre maledette macchine perché siete voi stessa una macchina con sembianze umane.»
Ansimava, adesso, e non aveva più incertezze nel linguaggio. Era come se la sua eterna ricerca della precisione ormai non avesse più scopo.
«In due secoli e mezzo» disse «le macchine hanno preso a poco a poco il posto dell'Uomo e distrutto il valore dell'artigianato. La ceramica viene fabbricata con stampi e presse. Copie insignificanti delle opere d'arte vengono prodotte tecnicamente attraverso una matrice. Chiamatelo progresso, se credete! L'artista è costretto a occuparsi solo di teoria, è confinato al mondo delle idee. Deve elaborare con la mente un progetto, e poi le macchine fanno tutto il resto.
«Pensate che il vasaio si accontenti del lavoro mentale? Pensate che gli basti elaborare l'idea? Che non gli interessi toccare l'argilla, vederla prendere forma mentre le mani e la mente collaborano insieme? Credete che il lavoro manuale non serva a confermare la bontà dell'idea ed eventualmente a modificarla?»
«Voi non siete un vasaio» disse la dottoressa Calvin.
«Sono un saggista, sono una persona creativa! Scrivo articoli e libri per redigere i quali non basta trovare le parole e metterle insieme nell'ordine giusto. Se tutto si limitasse a quello, non ci sarebbe gusto, non ci sarebbe soddisfazione.
«Un libro deve prendere forma nelle mani dello scrittore. Bisogna vedere i capitoli susseguirsi l'uno all'altro gradatamente, lavorarci intorno con cura, apportare modifiche che a volte vanno oltre l'idea originaria da cui si era partiti. Bisogna controllare le bozze, osservare come appaiono le frasi quando sono stampate e correggerle ulteriormente. C'è un rapporto continuo tra noi e il nostro lavoro a tutti gli stadi dell'impresa in cui si è coinvolti, e questo rapporto è piacevole e più di ogni altra cosa ci compensa della fatica che facciamo creando. Queste soddisfazioni il vostro robot ce le toglie completamente.»
«Se è per quello anche le macchine per scrivere e le macchine tipografiche ve le tolgono. Cosa proponete, di tornare a redigere manoscritti con la penna d'oca e a lume di candela?»
«Le macchine per scrivere e le macchine tipografiche ci tolgono parte della soddisfazione, ma il vostro robot ce la toglierà tutta. Per il momento è in grado di occuparsi solo delle bozze. Ma prima o poi lui o altri robot come lui si assumeranno il compito di esaminare gli originali, cercare le fonti, controllare e ricontrollare i vari brani e magari anche trarre le conclusioni. Che cosa resterà da fare a noi studiosi? Solo decidere quali ordini dare di volta in volta ai robot! Avrei voluto salvare i futuri ricercatori da una simile catastrofe. Un tale obiettivo mi stava ancora più a cuore della mia reputazione, ed è per questo che mi sono proposto di far guerra con qualsiasi mezzo alla U.S. Robots.»
«Era inevitabile che falliste» disse Susan Calvin.
«Era inevitabile che tentassi» disse Simon Ninheimer.
La Calvin voltò le spalle e uscì. Fece del suo meglio per non provare alcun moto di comprensione per quell'uomo distrutto.
Ma non ci riuscì completamente.