Parte Terza: SUSAN CALVIN

Comunque sia, le storie di robot che mi interessavano di più erano quelle in cui interveniva la dottoressa Susan Calvin, straordinaria robopsicologa. Un " robopsicologo " non è un robot che è uno psicologo, ma uno psicologo che è anche roboticista. Si tratta sfortunatamente di una parola ambigua, ma ci sono attaccato.

Via via che il tempo passava, mi innamorai della dottoressa Calvin. È un personaggio scostante, tanto per intenderci, simile alla concezione popolare del robot molto più delle mie creazioni positroniche, ma io l'amavo lo stesso.

Serviva come nocciolo centrale per legare insieme le storie di Io, Robot, e in quattro di quei racconti appariva anzi nel ruolo di protagonista. Inoltre, dopo che Io, Robot fu pubblicato (e nonostante il fatto che il volume contenesse un epilogo nel quale si annotava brevemente la morte della dottoressa Calvin in età avanzata) non potei trattenermi dal riesumarla; scrissi altri quattro racconti in cui lei appariva.

In uno di questi, la cara Susan faceva soltanto un passaggio fuggevole. Era Soddisfazione garantita, che comparve nel numero di aprile 1951 di Amazing Stories.

Un fatto curioso, a proposito di questo racconto, è la straordinaria quantità di corrispondenza giuntami da parte di lettori, per la maggior parte giovani donne, e quasi tutte che parlavano in tono nostalgico di Tony, come se io potessi sapere dove trovarlo.

Non cercherò di trarre alcuna conclusione morale (né immorale) da questa vicenda.


Soddisfazione garantita

Titolo originale: Satisfaction Guaranteed (1951)

 

Tony era alto, di una bellezza bruna, e aveva un'aria incredibilmente aristocratica che trapelava da ogni virgola della sua espressione impassibile. Claire Belmont lo guardò dalla fessura della porta con un misto di paura e sgomento.

«Non posso, Larry. Non posso proprio tenerlo qui in casa.» Cercò febbrilmente tra i suoi pensieri bloccati dall'ansia argomentazioni migliori e più razionali, ma riuscì solo a ripetere ciò che aveva già detto.

«Insomma, non posso!»

Larry Belmont guardò severo sua moglie, con quella sfumatura di impazienza negli occhi che Claire non sopportava di vedere perché sapeva che equivaleva a una velata accusa di incompetenza.

«Ormai ci siamo impegnati, Claire» disse, «e non puoi tirarti indietro all'ultimo momento. È con questa clausola che la compagnia mi manda a Washington, e tu sai che per me andare a Washington significa probabilmente la promozione. Che il robot sia perfettamente sicuro è noto anche a te. Quali sono le tue obiezioni?»

Lei aggrottò la fronte, senza sapere che pesci pigliare. «È che mi dà i brividi. Non credo che riuscirò a sopportarlo.»

«È umano quanto te e me, o quasi. Perciò lasciamo perdere queste sciocchezze. Su, vieni.»

Le posò una mano sul fondo della schiena e spinse. Claire si ritrovò nella stanza di soggiorno e rabbrividì. Lui era lì e la guardava intento ed educato, come valutando quella che sarebbe stata la sua padrona nelle tre settimane successive. C'era anche la dottoressa Susan Calvin, che se ne stava seduta rigida, con le labbra strette e l'espressione distratta. Aveva l'aria fredda e assorta di chi, lavorando troppo a contatto con le macchine, finisce come per incamerare nel sangue un po' d'acciaio.

«Ehilà» mormorò Claire, rivolgendo alla platea un saluto che non sortì alcun effetto.

Larry cercò subito di salvare la situazione ostentando un'allegria che non sentiva. «Allora, Claire, voglio presentarti Tony, un tipo in gamba. Tony, vecchio mio, questa è mia moglie Claire.» Larry posò amichevolmente una mano sulla spalla di Tony, ma il robot non reagì, rimanendo impassibile.

«Piacere, signora Belmont» disse.

Claire sussultò al suono di quella voce. Era dolce e profonda, morbida come i capelli che gli coprivano la testa e come la pelle del suo viso.

«Dio santo, parli!» si lasciò sfuggire, quasi senza rendersene conto.

«Certo. Perché, vi aspettavate che non parlassi?»

Claire riuscì solo ad accennare un sorriso. Quel che si aspettava o meno non avrebbe saputo dirlo. Distolse lo sguardo, poi sbirciò il robot con la coda dell'occhio. Aveva i capelli neri e lisci, come di plastica lucida. O che fossero veri, in tutto uguali a quelli umani? E la pelle levigata e olivastra delle mani e del viso, che fosse così anche in tutto il corpo, sotto il vestito dal taglio elegante?

Era così persa nei suoi pensieri, così meravigliata e inquieta, che dovette far mente locale quando sentì la voce piatta e inespressiva della dottoressa Calvin.

«Signora Belmont, spero che comprendiate l'importanza di questo esperimento. Vostro marito mi ha detto di avervi già dato le informazioni essenziali. Ma io, come capo psicologa della United States Robots and Mechanical Men Corporation, vorrei darvene altre.

«Tony è un robot. Negli archivi della compagnia il suo numero di serie è TN-3, ma potete tranquillamente chiamarlo Tony. Non è un mostro meccanico, né una semplice macchina calcolatrice del tipo di quelle messe a punto cinquant'anni fa, durante la seconda guerra mondiale. È dotato di un cervello artificiale che è quasi complesso come il nostro. Questo cervello è come un immenso tavolo di commutazione su scala atomica, sicché miliardi di "collegamenti telefonici" sono condensati in esso, all'interno del cranio.

«Tali cervelli sono diversi a seconda del modello e rispondono a esigenze specifiche. Contengono una serie pre-programmata di collegamenti, sicché ciascun robot conosce innanzitutto la lingua inglese, nonché ogni altra nozione sia necessaria a fargli assolvere le sue funzioni.

«Finora la U.S. Robots si era limitata a produrre modelli industriali da utilizzare in posti in cui era difficile ricorrere alla manodopera umana: parlo ad esempio delle miniere che scendono più profondamente nel suolo o del lavoro che viene svolto sott'acqua. Ma adesso vogliamo servire anche le città e le famiglie. Per fare questo è necessario indurre l'uomo e la donna comuni ad accettare senza paura questi robot. Voi capirete, vero, che non c'è nulla di cui aver paura.»

«Certo, è così, Claire» interloquì Larry, con foga. «Fidati di me. Lui non ti farà alcun male, credimi. Sai che altrimenti non lo lascerei con te.»

Claire buttò un'occhiata furtiva a Tony e abbassò la voce. «E se lo facessi arrabbiare?»

«Non occorre che bisbigliate» disse calma la dottoressa Calvin. «Lui non può arrabbiarsi con voi, mia cara. Vi ho spiegato che i "collegamenti telefonici" del suo cervello sono pre-programmati. Ebbene, il collegamento più importante di tutti è quello che definiamo la "Prima Legge della Robotica". Questa legge dice che "un robot non può recar danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno". Tutti i robot sono costruiti così. Nessuno di essi può essere costretto in alcun modo a far del male a una persona. Perciò, capite, abbiamo bisogno di voi e di Tony. Voi parteciperete a un esperimento preliminare che ci sarà utile per i piani futuri. E vostro marito, intanto, andrà a Washington a prendere accordi con il governo per i collaudi legali autorizzati.»

«Intendete dire che tutta questa faccenda non è approvata dalla legge?»

Larry si schiarì la voce. «Non ancora, ma non c'è problema. Tony non uscirà di casa e tu farai in modo che nessuno lo veda. Tutto qui. Sai, Claire, resterei molto volentieri con te, credimi, ma io i robot li conosco troppo bene. Abbiamo bisogno che il collaudo sia effettuato da una persona completamente inesperta, in modo che le condizioni siano più... avverse che mai. È necessario.»

«E va bene» mormorò Claire. Poi, come colpita da un pensiero improvviso: «Ma cosa sa fare?».

«I lavori di casa» rispose secca la dottoressa Calvin.

Si alzò per andarsene, e Larry l'accompagnò alla porta. Claire, avvilita, rimase in soggiorno. Colse la propria immagine nello specchio appeso sopra il caminetto e distolse subito lo sguardo. Era proprio stufa del suo visetto scialbo e dei suoi capelli opachi pettinati senza fantasia. Poi si accorse che Tony aveva gli occhi fissi su di lei e fu lì lì per sorridere, prima di ricordarsi che...

Che era solo un robot.

 

Larry Belmont stava camminando in direzione dell'aeroporto, quando con un'occhiata si accorse che stava passando Gladys Claffern. Era il tipo di donna a cui si potevano lanciare solo occhiate: sempre perfetta e impeccabile, vestita con eleganza e con gusto, risplendeva troppo perché la si potesse guardare a lungo senza restare abbacinati.

Il breve sorriso che la precedeva e la lieve scia di profumo che la seguiva costituivano un richiamo irresistibile. Larry rallentò il passo, si toccò il cappello in segno di saluto, poi riprese in fretta la strada.

Come sempre gli capitava in occasioni del genere avvertì un vago senso di irritazione. Se solo Claire fosse riuscita a introdursi un po' nel clan dei Claffern... Sarebbe stato vantaggioso per la sua carriera. Ma tanto era inutile neanche pensarci.

Claire. Le poche volte che si era trovata faccia a faccia con Gladys, quella povera sciocca non aveva aperto bocca. No, Larry non si faceva illusioni. Il collaudo di Tony, che rappresentava la sua grande occasione, era completamente nelle mani di Claire. Come sarebbe stato più sicuro nelle mani di una donna come Gladys Claffern!

 

Due giorni dopo, Claire fu svegliata da un sommesso bussare alla porta. La sua voglia di protestare si trasformò in una rabbia gelida. Il primo giorno aveva sempre evitato Tony, accennando un sorriso quando lo incontrava e fuggendo via con mugolii di scusa.

«Sei tu, Tony?»

«Sì, signora Belmont. Posso entrare?»

Claire pensò di avere evidentemente risposto di sì senza accorgersene, perché il robot in un attimo era già entrato silenziosamente nella stanza. Notò il vassoio che aveva in mano e sentì l'odore gradevole del cibo.

«La colazione?» disse.

«Se vi va.»

Non avrebbe mai osato rifiutare, per cui si tirò su a sedere nel letto e accolse il vassoio che lui le porgeva: uova affogate, pane tostato e imburrato, caffè.

«Ho portato lo zucchero e la panna a parte» disse Tony. «Spero di imparare col tempo quali sono i vostri gusti, in queste e in altre cose.»

Claire aspettò che se ne andasse.

Tony, che era rimasto in piedi rigido e impettito come un'asta di metallo, dopo un attimo chiese: «Preferite mangiare da sola?».

«Sì... Voglio dire, se non ti dispiace.»

«Volete che vi aiuti a vestirvi, dopo?»

«Dio santo, no!» Tirò a sé con furia il lenzuolo, tanto che la tazza con il caffè ondeggiò fin quasi a rovesciarsi. Rimase immobile, come congelata, poi, appena la porta si fu richiusa alle spalle del robot, si lasciò cadere all'indietro, sul guanciale.

In qualche modo riuscì a consumare tutta la colazione. In fondo, pensò, Tony era solo una macchina, ma come sarebbe stato meglio se non avesse avuto fattezze umane. O se la sua espressione non fosse stata così fissa. Era impossibile capire cosa si nascondesse dietro quegli occhi neri e quella pelle liscia e olivastra. Claire depose la tazza vuota sul vassoio, facendola tintinnare leggermente.

Poi si accorse che si era dimenticata di aggiungere lo zucchero e la panna. Proprio lei che detestava il caffè nero...

Dopo essersi vestita corse direttamente dalla camera da letto alla cucina. In fin dei conti la casa era sua, e anche se lei non era particolarmente pignola, le piaceva tenere la cucina pulita. Probabilmente Tony aspettava di ricevere le sue istruzioni...

Ma quando entrò, trovò una cucina che sembrava nuova fiammante, con i mobili appena usciti dalla fabbrica.

Si soffermò a guardare la stanza, poi girò sui tacchi e per poco non andò a sbattere contro Tony. Emise un gemito soffocato.

«Posso esservi d'aiuto?» chiese lui.

«Tony» disse Claire, cercando di dominare la rabbia e la paura, «dovresti fare un po' più di rumore quando cammini. Non puoi arrivarmi vicino così furtivamente, capisci? Senti, per preparare la colazione non hai usato la cucina?»

«Certo, signora Belmont.»

«Eppure non sembra.»

«Dopo ho pulito. Non si fa sempre così?»

Claire sgranò gli occhi. Come si poteva ribattere a un discorso del genere? Aprì l'armadietto che conteneva le pentole, diede una rapida occhiata dentro e notando il luccichio metallico degli oggetti disse, con voce tremante: «Molto bene. Davvero un bel lavoro».

Se in quel momento lui si fosse illuminato, se almeno avesse sorriso o se non altro allungato gli angoli della bocca in un accenno di sorriso, lei sarebbe riuscita ad avere un atteggiamento più cordiale. Ma Tony mantenne la sua aria composta da lord inglese quando rispose: «Grazie, signora Belmont. Volete venire in soggiorno, per favore?».

Lei obbedì all'invito e rimase sbalordita. «Hai lucidato i mobili?»

«Vi pare che il risultato sia soddisfacente, signora Belmont?»

«Ma quando li hai lucidati? Non certo ieri.»

«Stanotte, naturalmente.»

«Hai tenuto accesa la luce tutta la notte?»

«Oh no, non mi serviva. Ho incorporato una sorgente luminosa a ultravioletti. Vedo nella gamma degli ultravioletti. E ovviamente non ho bisogno di dormire.»

Certo che il suo zelo era ammirevole, pensò Claire. Sicuramente Tony sapeva che tutto quel lavoro non poteva non farle piacere. Ma lei non riusciva proprio a dimostrargli la sua gratitudine.

Anzi, fu con una lieve asprezza che disse: «Quelli come te lasceranno senza lavoro le casalinghe e le domestiche.»

«Al mondo ci sono lavori ben più importanti cui potranno applicarsi una volta liberate dalla schiavitù della casa. Dopotutto, signora Belmont, oggetti come me possono essere fabbricati. Ma non è stato fabbricato ancora niente capace di uguagliare la creatività e la versatilità di un cervello umano come ad esempio il vostro.»

E anche se la sua faccia rimase impassibile, nella voce si colse una calda sfumatura di ammirazione e rispetto, tanto che Claire mormorò, schermendosi: «Il mio cervello? Per quel che vale!».

Tony avanzò di un passo e disse: «Dovete essere molto infelice per affermare una cosa del genere. Posso fare qualcosa per voi?».

A Claire per un attimo venne voglia di ridere. E in effetti la situazione era ridicola. Aveva lì davanti un battitappeto animato, un lavapiatti, un lucida-mobili, un tuttofare appena uscito dalla catena di montaggio di una fabbrica, che le si offriva come confidente e cercava di consolarla.

Eppure superò il suo senso critico, perché di colpo, presa dall'avvilimento e dal bisogno di sfogarsi, disse: «Il signor Belmont pensa che io non abbia un cervello, sai... E probabilmente ha ragione». Non poteva mettersi a piangere davanti a lui. Sentiva in qualche modo di dover difendere l'onore della razza umana di fronte a quello che era un semplice artefatto.

«Ha cominciato a considerarmi così poco negli ultimi tempi» aggiunse. «Andava tutto bene quando era uno studente, o quando era agli inizi della carriera. Ma io non sono adatta a fare la moglie di un uomo importante. Perché sai, lui sta diventando un uomo importante. Vorrebbe che fossi una padrona di casa brillante, che lo aiutassi a entrare nei giri della gente che conta. Che fossi insomma una donna come Gl... Gl... Gladys Claffem.»

Era rossa in viso, e distolse gli occhi.

Ma Tony non la stava guardando. Si era girato a osservare la stanza. «Potrei aiutarvi a dirigere la casa.»

«Ma non servirebbe a niente» disse lei, con foga. «Ci vorrebbe un tocco che io non so darle. Io al massimo la posso rendere confortevole, ma non riuscirei mai a conferirle il tono che hanno le abitazioni che appaiono nelle fotografie delle riviste di arredamento.»

«Vi piacerebbe avere una casa così?»

«E se anche mi piacesse? Non saprei da dove cominciare.»

Tony questa volta la fissò. «Potrei aiutarvi io.»

«Ti intendi di arredamento?»

«È una materia di cui una brava padrona di casa dovrebbe intendersi?»

«Oh certo.»

«Allora il mio cervello ha le potenzialità per imparare qualcosa sull'argomento. Potete procurarmi i libri che facciano al caso?»

Da quel momento, qualcosa cambiò.

 

Tenendo stretto il cappello per non farselo portare via dal forte vento, Claire era riuscita ad arrivare fino a casa con due grossi volumi presi dalla biblioteca pubblica. Guardò Tony aprirne uno e sfogliarlo. Era la prima volta che vedeva le sue mani intente a un lavoro non pesante.

Non capisco come possa far scorrere le pagine così bene, pensò, e d'impulso gli afferrò una mano e la tirò a sé. Tony non oppose resistenza e lasciò le dita inerti perché lei gliele osservasse.

«Straordinario» disse lei. «Perfino le unghie sembrano vere.»

«Certo, il corpo è stato fabbricato così apposta» disse Tony. Poi, in tono amichevole: «La pelle è di plastica flessibile e lo scheletro è di una lega di metallo leggera. Vi diverte l'idea?».

«Oh, no.» Claire alzò la testa, arrossendo. «Anzi, mi imbarazza stare qui a chiederti informazioni sulla tua struttura corporea. Non sono affari miei, dopotutto. Tu mica hai chiesto informazioni del genere sul mio conto.»

«Nei miei circuiti positronici non è incluso quel tipo di curiosità. La mia gamma d'azione ha limiti precisi, capite.»

Nel silenzio che seguì Claire provò un vago senso di frustrazione. Perché continuava a dimenticarsi che Tony era soltanto una macchina? Era stato lui stesso a doverglielo ricordare. Era dunque così assetata di calore umano da accettare come suo pari perfino un robot che si dimostrava gentile con lei?

Notò che Tony continuava a sfogliare le pagine senza soffermarsi mai su nessuna e di colpo si sentì invadere da un piacevole senso di superiorità. «Non sai leggere, vero?»

Tony alzò gli occhi a guardarla. La sua voce suonò pacata, priva di qualsiasi sfumatura di rimprovero. «Io sto leggendo, signora Belmont.

«Ma...» Lei indicò il libro con un gesto vago.

«Mi basta scorrere le pagine, se è questo il punto che non vi è chiaro. La mia lettura è fotografica.»

Era sera. Quando Claire alla fine andò a letto, Tony, seduto al buio o a quello che per la vista limitata di lei era buio, aveva già letto buona parte del secondo volume.

L'ultimo pensiero che ebbe Claire giusto un attimo prima di assopirsi fu un pensiero strano. Si ricordò della mano di Tony, di come fosse al tatto. Era calda e morbida come quella di un essere umano.

Com'erano stati in gamba alla fabbrica, si disse, e si addormentò dolcemente.

 

Nei giorni successivi i viaggi fino alla biblioteca furono continui. Tony suggeriva gli argomenti da cercare, che erano sempre più numerosi. Prelevarono libri che parlavano di falegnameria e di accostamento dei colori, di cosmesi e di moda, di arte e di storia del costume.

Tony sfogliava le pagine di ciascun volume con la sua aria solenne, e a mano a mano che le scorreva assimilava il contenuto, che ricordava poi fin nei minimi particolari.

Prima della fine della settimana aveva convinto Claire a tagliarsi i capelli, a pettinarli in modo diverso, a correggere il trucco degli occhi e a cambiare il colore della cipria e del rossetto.

Per mezz'ora lei era rimasta sulle spine mentre il robot, con il tocco delicato delle sue mani non umane, armeggiava intorno al suo viso e ai suoi capelli. E dopo si era guardata con ansia allo specchio.

«Si può fare di meglio» aveva detto Tony, «specie per quanto riguarda i vestiti. Intanto cosa ne dite, come inizio?»

Lei non aveva risposto; non subito. Non prima di avere riconosciuto bene l'identità dell'estranea riflessa nello specchio e di avere placato la meraviglia e la soddisfazione enorme che quella visione le dava. Alla fine, senza mai staccare gli occhi dallo specchio, aveva sussurrato con un filo di voce: «Sì, Tony, molto bene... come inizio».

Nelle lettere che scrisse a Larry non fece parola della cosa. Voleva che fosse una sorpresa. E in cuor suo sapeva che non si trattava solo di quello. Oltre che il gusto della sorpresa desiderava assaporare il gusto della... vendetta.

 

«È ora di cominciare a far compere» disse Tony una mattina, «e a me non è permesso uscire di casa. Se vi scrivo esattamente quali cose si devono acquistare, ve la saprete cavare? Abbiamo bisogno di stoffe, di tessuti per gli arredi, di carta da parati, di tappeti, di vernice, di vestiti e di una quantità di altri prodotti.»

«È difficile che trovi quello che vuoi basandomi solo su un succinto foglietto di appunti» disse Claire, dubbiosa.

«Ma credo possiate reperire quasi tutto se cercate in città e se non vi fate un problema di spesa.»

«Ma Tony, il problema della spesa me lo faccio per forza.»

«Non dovete, invece. Fermatevi prima di tutto alla sede della U.S. Robots. Vi darò una breve lettera di presentazione. Chiedete della dottoressa Calvin e spiegatele che vi ho detto che tutta questa faccenda è parte integrante dell'esperimento.»

 

Claire non si sentì intimidita dalla dottoressa Calvin, come invece le era successo la prima sera. Evidentemente avere una faccia nuova e un cappellino nuovo in testa le infondeva sicurezza. La psicologa ascoltò attentamente, le rivolse alcune domande, poi annuì. E Claire, quando uscì, si ritrovò titolare di un conto corrente illimitato apertole dalla United States Robots and Mechanical Men Corporation.

È incredibile quello che può fare il denaro. Potendo acquistare un intero negozio con tutto il suo contenuto, Claire non si sentì più smarrita davanti alle osservazioni saccenti delle commesse, né giudicò un padreterno l'arredatore che con aria di sufficienza le forniva consigli.

E una volta, quando un presuntuoso ciccione in una delle boutique più chic contestò con disprezzo ogni sua singola richiesta di capi d'abbigliamento portando argomentazioni espresse con accenti del più puro francese da Cinquantasettesima Strada, lei chiamò Tony al telefono e passò la cornetta a Monsieur.

«Se non vi spiace» gli disse con voce ferma ma con le dita mosse da un lieve tremito nervoso; «vorrei che parlaste con il mio, ehm, segretario.»

Il grassone andò al telefono con aria sussiegosa e condiscendente. Prese il ricevitore con due dita e sussurrò, garbato: «Sì?». Poi, dopo una breve pausa, disse un altro "sì". Infine, dopo una pausa molto più lunga e un timido tentativo di obiezione che svanì subito nel nulla, pronunciò un terzo "sì" appena udibile, e riappese.

«Se Madame vuole seguirmi» disse, offeso e distaccato, «cercherò di procurarle ciò che le occorre.»

«Sì, sono da voi in un attimo.» Claire corse di nuovo al telefono e compose ancora il numero di casa. «Pronto, Tony. Non so cos'hai detto, ma ha funzionato. Grazie. Sei...» Cercò disperatamente la parola adatta, ma non la trovò e riuscì solo a mormorare: «Sei... molto caro».

Quando si girò, si trovò davanti Gladys Claffern. Una Gladys Claffern un po' divertita e meravigliata, che la guardava con il viso leggermente inclinato da una parte.

«Signora Belmont!»

Claire di colpo perse tutto il suo coraggio. Riuscì solo a fare uno stupido cenno con la testa, come una marionetta.

Gladys sorrise con aria vagamente insolente. «Non sapevo che faceste shopping qui!» Sembrava che per quello stesso fatto il negozio avesse perso credito ai suoi occhi.

«Infatti non lo frequento abitualmente» disse Claire, tutta umile.

«E cos'è successo ai vostri capelli? Avete una pettinatura... strana. A proposito, scusate se ve lo chiedo, ma vostro marito non si chiama Lawrence? Mi pareva che fosse Lawrence il suo nome.»

Claire strinse i denti. Doveva però dare una spiegazione, pensò. Doveva. «Tony è un amico di mio marito. Mi sta aiutando a scegliere alcune cose.»

«Capisco. È molto caro da parte sua fare questo, vero?» E Gladys si allontanò sorridendo, portando con sé tutta la luce e il calore del mondo.

 

Claire dava ormai per scontato che Tony avesse assunto per lei il ruolo del consolatore. Dopo dieci giorni era riuscita a vincere la sua riluttanza e arrivava perfino a piangere davanti a lui. A piangere e a sfogare tutta la rabbia.

«Sono stata così sciocca!» esclamò, torcendo il fazzoletto inzuppato di lacrime. «Davanti a lei faccio sempre queste figure, non so perché. Mi blocco, ecco tutto. Avrei dovuto prenderla a calci. Buttarla in terra e montarle su con i piedi.»

«Si può odiare un essere umano a tal punto?» chiese Tony con dolcezza ma anche con perplessità. «Non riesco a comprendere questa caratteristica della mente umana.»

«Oh, non è che odi lei» gemette Claire. «Probabilmente odio me stessa. Lei rappresenta tutto quello che vorrei essere, almeno per quanto riguarda l'esteriorità. E invece non ce la faccio proprio a somigliarle.»

«Io invece credo che possiate farcela, signora Belmont» disse Tony, con tono deciso e suadente. «Davvero. Abbiamo ancora dieci giorni di tempo e fra dieci giorni la casa, qui, sarà completamente trasformata. Non è nei nostri piani, forse?»

«Ma questo a che cosa può servirmi con... lei?»

«Invitatela qui. Invitate i suoi amici. E organizzate tutto la sera prima che io... che io me ne vada. Sarà in un certo senso una festa per inaugurare la casa nuova.»

«Non verrà.»

«Sì, invece. Verrà per farsi qualche bella risata. E rimarrà con un palmo di naso.»

«Lo credi sul serio? Oh, Tony, pensi che possiamo farcela?» Claire stringeva le mani di lui tra le proprie, e di colpo distolse lo sguardo. «Ma se anche fosse, se anche ottenessi un successo, sarebbe un successo inutile. Perché ne saresti artefice tu, non io. lo in fondo mi limito ad approfittare delle tue risorse.»

«Nessuno vive in uno splendido isolamento» sussurrò Tony. «È una delle nozioni che mi hanno instillato nel cervello. L'impressione che voi o chiunque altro avete di Gladys Claffern non corrisponde a quello che Gladys Claffern è nella realtà. Anche Gladys approfitta di qualcosa. Approfitta di tutto quello che il denaro e la posizione sociale possono dare, e considera la cosa scontata. Perché dunque vi fate dei problemi? E poi osserviamo la questione anche in altri termini, signora Belmont. Io sono stato costruito apposta per obbedire agli ordini, ma sono solo io a dover stabilire fino a che punto può arrivare la mia obbedienza. Posso assecondare gli esseri umani molto, oppure il minimo indispensabile. Una persona come voi desidero assecondarla al massimo, perché è proprio per un tipo come voi che sono stato costruito. Voi siete gentile, cordiale, modesta. Da come mi descrivete la signora Claffern direi che invece lei non è così, e non le obbedirei certo come obbedisco a voi. Per cui non sono io, signora Belmont, ma voi l'artefice di tutto il nostro piano.»

Tony ritrasse le mani e Claire guardò stupita il suo viso inespressivo e indecifrabile. Di colpo sentì riaffiorare la paura, ma una paura completamente diversa da quella che aveva provato la prima sera.

Inghiottì a vuoto, nervosa, e si fissò le mani, su cui le pareva di sentire ancora la pressione delle dita di lui. No, pensò, non era autosuggestione; prima di ritrarsi Tony aveva premuto davvero, con dolcezza, le proprie mani sulle sue.

Oh no, si disse. Quelle dita... Quelle dita...

E di punto in bianco corse in bagno a compiere il gesto assurdo di lavarsi le mani.

 

Il giorno dopo si sentiva quasi intimidita. Guardò Tony di sottecchi, come aspettando che succedesse qualcosa, e per un po' non successe niente.

Tony era al lavoro. Da come procedeva, sembrava che l'operazione di mettere su la carta da parati o di tinteggiare con la vernice a essiccamento rapido fosse la cosa più facile del mondo. Tony adoperava le mani con sveltezza e precisione, senza la più piccola incertezza.

Lavorava tutta la notte. Lei non lo sentiva armeggiare, ma ogni mattina trovava nuove meraviglie. Le modifiche apportate erano innumerevoli e prima che facesse di nuovo sera altre se ne aggiungevano.

Claire cercò di aiutarlo solo una volta e con la sua imperizia umana combinò soltanto guai. Lui era nella stanza accanto, e lei stava accingendosi ad appendere un quadro nel punto segnato da Tony con precisione matematica. C'era il piccolo segno a matita sul muro, c'era il quadro, e c'era in Claire una gran voglia di darsi da fare.

Ma, o lei era nervosa, o la scala era traballante. Comunque fosse, Claire si sentì mancare il terreno sotto i piedi, e urlò. La scala precipitò in terra, ma senza di lei, perché Tony, con una rapidità ben superiore a quella degli esseri umani, in un attimo fu lì a sorreggerla.

I suoi occhi neri la guardarono con la solita espressione placida e indecifrabile. E la sua voce calda disse solo: «Vi siete fatta male, signora Belmont?».

Claire capì che cadendo doveva avergli sfiorato la testa. E per la prima volta si accorse che quella massa bruna e morbida, ora leggermente scompigliata, era composta da tanti fili distinti, da tanti capelli in tutto simili ai capelli umani.

Solo in quel momento si rese conto delle braccia che la sorreggevano, che la stringevano dolcemente, ma con fermezza. E allontanò da sé il robot con un urlo che risonò assordante alle sue stesse orecchie. Il resto della giornata la passò in camera da letto e da allora in poi dormì tenendo una sedia appoggiata contro la porta.

 

Spedì gli inviti che, come le riferì Tony, furono accettati. Ora non rimaneva che aspettare l'ultima sera.

E l'ultima sera naturalmente arrivò, come previsto. Claire riconosceva a stento la sua casa. La controllò un'ultima volta, stanza per stanza: era completamente trasformata. Lei stessa indossava abiti che un tempo non avrebbe mai osato mettere... e quando si mettono certi abiti, ci si sente più audaci e più sicure di sé.

Buttò uno sguardo allo specchio con divertita altezzosità e lo specchio le fece magnificamente il verso, rimandandole l'immagine di una donna elegante e altera.

Che cos'avrebbe detto Larry? In fondo non le importava affatto. Il suo arrivo non prometteva giorni emozionanti. I giorni emozionanti sarebbero finiti dopo la partenza di Tony. Com'era strano, pensò Claire. Proprio Tony che l'aveva così intimorita, tre settimane prima... Le era impossibile, adesso, provare anche l'ombra della diffidenza sentita allora.

 

La pendola rintoccò otto volte e Claire si girò verso Tony. «Saranno qui tra poco, Tony. Sarà meglio che tu vada in cantina. Non devono...»

Lo fissò un attimo, poi disse, con un filo di voce: «Tony?». E ancora, più forte: «Tony?». Infine il suo fu quasi un urlo. «Tony!»

Ma lui le aveva già circondato la vita con le braccia, teneva il proprio viso vicino al suo e la stringeva con fermezza inesorabile. Claire ascoltò le sue parole in mezzo a un guazzabuglio di sentimenti contrastanti.

«Claire» dicevano quelle parole, «ci sono molte cose che non mi è dato capire, e questa dev'essere una di esse. Domani devo partire e non ne ho nessuna voglia. Credo che in me ci sia qualcosa di più del semplice desiderio di compiacerti. Non è strano?»

Il suo viso era sempre più vicino. Le sue labbra erano calde, anche se non emettevano alcun respiro, dato che le macchine non respirano. E stavano per toccare quelle di lei.

Ma proprio allora il campanello suonò.

Per un attimo Claire si divincolò, poi fu lui stesso a liberarla dalla stretta e a scomparire veloce dalla vista. Il campanello suonò di nuovo, acuto e insistente.

Le tende della finestra che dava sul davanti erano state scostate. Fino a un quarto d'ora prima invece erano tirate, Claire ne era sicura.

Gli ospiti dovevano avere visto, quindi. Dovevano avere visto tutto.

 

Entrarono in gruppo, con mille moine. Una masnada venuta per sghignazzare, che lanciava occhiate dappertutto con aria critica. E avevano visto. Perché se no Gladys l'avrebbe punzecchiata tanto con tutte quelle domande su Larry? E Claire fu indotta ad accettare la sfida fino in fondo, senza timori.

Sì, Larry è via. Credo che tornerà domani. No, non mi sono sentita sola, senza di lui. Per niente. Anzi, mi sono divertita molto. E rideva loro in faccia. Certo. Tanto cosa potevano fare? Se anche avessero parlato con Larry, lui sapeva benissimo chi era in realtà il misterioso uomo che avevano visto.

Loro, però, non risero affatto.

No, Gladys non aveva nessuna voglia di ridere. Claire lo intuì dalla rabbia che leggeva nei suoi occhi, dal falso brio dei suoi discorsi, dal suo evidente desiderio di andarsene al più presto. E quando salutò gli ospiti dopo la festa, colse un commento anonimo, sussurrato da chissà chi.

«... non ho mai visto un uomo così bello.»

E allora capì che cosa le aveva permesso di farsi beffe di quella gente. Le pettegole potevano vantarsi finché volevano di essere più carine, più importanti e più ricche di Claire Belmont, ma nessuna, nessuna aveva sicuro un amante così bello!

Con quella riflessione le tornò in mente con insistenza inquietante che Tony era solo una macchina, e si sentì accapponare la pelle.

«Vattene! Lasciami in pace!» gridò alla stanza vuota, e corse a letto. Rimase sveglia tutta la notte a piangere. La mattina dopo, poco prima dell'alba, quando le strade erano ancora deserte, un'automobile si fermò accanto alla casa e portò via Tony.

 

Lawrence Belmont passò davanti all'ufficio della dottoressa Calvin e, d'impulso, bussò. La trovò in compagnia del matematico Peter Bogert, ma non per questo si trattenne dal parlare.

«Claire mi ha detto che la U.S. Robots ha pagato tutti i lavori che sono stati fatti nella nostra casa...»

«Sì» confermò la dottoressa Calvin. «Abbiamo finanziato noi i lavori in quanto erano indispensabili, nel quadro dell'esperimento. Ora che siete stato promosso ingegnere associato, penso che sarete in grado di mantenere una casa un po' più lussuosa.»

«Il problema non è questo. Adesso che Washington ha autorizzato i collaudi, credo che entro l'anno prossimo riusciremo a comprare un modello TN per la nostra abitazione.» Girò le spalle come per andarsene, poi si pentì e tornò a guardare la Calvin.

«Che cosa c'è, signor Belmont?» disse lei, dopo un breve silenzio.

«Mi chiedo...» disse Larry. «Mi chiedo cosa sia successo in realtà in quei venti giorni. Lei, Claire intendo, sembra così diversa. Non è solo una questione di aspetto esteriore, anche se, francamente, ha subito una metamorfosi notevole.» Fece una risatina nervosa. «No, è proprio lei che è cambiata. Sul serio, non mi pare più mia moglie... Non so come spiegarlo.»

«Perché vi preoccupate di spiegarlo, allora? C'è qualcosa che vi delude, in questo cambiamento?»

«No, al contrario. Ma è una faccenda un po' inquietante, capite.»

«Io non mi darei tanto pensiero, signor Belmont. Vostra moglie è stata proprio in gamba. A dir la verità non mi aspettavo che dall'esperimento venisse fuori un collaudo così completo e soddisfacente. Sappiamo con esattezza quali modifiche devono essere apportate al modello TN, e questo grazie esclusivamente alla signora Belmont. Se devo essere sincera fino in fondo, credo che il merito della vostra promozione vada più a vostra moglie che a voi.»

Larry accusò il colpo. «Purché la gloria resti in famiglia» mormorò, con un tono ben poco convincente. E uscì.

 

Susan Calvin lo seguì con lo sguardo. «Credo che la stoccata abbia avuto il suo effetto. Lo spero... Avete letto il rapporto di Tony, Peter?»

«Sì, tutto» disse Bogert. «Non credete che occorra cambiarlo, il modello TN-3?»

«Oh, anche voi la pensate così?» fece la Calvin, brusca. «Con quali argomentazioni sostenete questo?»

Bogert aggrottò la fronte. «Non occorrono argomentazioni particolarmente sottili. È più che ovvio che non si possa mettere in circolazione un robot che fa l'amore con la sua signora, se mi perdonate il gioco di parole.»

«Amore! Peter, mi fate venire il latte alle ginocchia. Ma non capite? Quella macchina doveva obbedire alla Prima Legge. Non poteva permettere che venisse recato danno a un essere umano, e il senso di inadeguatezza che Claire Belmont avvertiva rappresentava chiaramente un danno per lei. Così Tony le ha dimostrato il suo amore, perché quale donna non sarebbe lusingata dal fatto di riuscire a suscitare passione in una macchina, in una fredda macchina senz'anima? Ed è stato lui a scostare apposta le tende perché gli altri potessero vedere e provare invidia, conscio che con quell'atto non avrebbe potuto in alcun modo mettere in crisi il matrimonio di Claire. Penso che sia stato molto abile.»

«Ah sì? Ma che la sua fosse o meno una finzione che cosa importa, Susan? L'effetto è comunque stato estremamente negativo. Rileggete il rapporto. Claire ha evitato Tony in tutti i modi. Si è messa a urlare quando lui l'ha sorretta mentre cadeva. E l'ultima notte non ha dormito, in preda a una crisi isterica. Non possiamo permettere che avvengano cose del genere.»

«Siete proprio cieco, Peter, e anch'io lo ero, fino a poco tempo fa. Il modello TN verrà completamente ricostruito, ma non per i motivi che adducete voi. Anzi, per tutt'altri motivi. Tutt'altri.» Assunse un'aria pensierosa. «È strano che io non l'abbia capito subito fin dal primo momento, ma forse questo riflette un mio difetto di sensibilità. Vedete, Peter, le macchine non si possono innamorare, mentre le donne, anche quando la situazione è anomala e senza speranza, sì.»