Parte Seconda: LE LEGGI DELLA ROBOTICA

Il robot AL-76 o il robot ZZ-3 non rappresentavano il culmine del mio pensiero. Effettivamente, avevo cominciato in modo giusto con il mio primissimo racconto di robot, Robbie, che apparve in Super Science Stories nel settembre del 1940 (sotto il titolo di Uno strano compagno di giochi scelto dalla redazione e che personalmente mi è sgradevole).

Robbie si riferiva a un modello di robot piuttosto primitivo, incapace di parlare, e che era stato progettato per. adempiere al lavoro di bambinaia e adempierlo ammirevolmente. Ben lontano dall'essere una minaccia per gli esseri umani o dal desiderio di distruggere il suo creatore e di sopraffare il mondo, si impegnava soltanto a fare quello che doveva fare. (Forse che un'automobile desidera volare? Forse che una lampadina elettrica vuole scrìvere lettere a macchina?)

Proseguii su questa pista con altri otto racconti scritti durante gli Anni Quaranta, tutti apparsi su Astounding Science Fiction; erano:


Secondo ragione, aprile 1941

Bugiardo, maggio 1941

Girotondo, marzo 1942

Il robot multiplo, febbraio 1944

Evasione, agosto 1945

La prova, settembre 1946

Il piccolo robot perduto, marzo 1947

Il conflitto evitabile, giugno 1950.


Questi otto racconti, più Robbie, furono raccolti insieme in una antologia intitolata Io, Robot, che fu pubblicata nel 1950 dalla Gnome Press. Dopo la solita ristampa e le edizioni straniere, fu consentito arrivare al tutto esaurito fino a che gli intraprendenti signori della Doubleday & Company, riconoscendo l' Opera di Genio, si provarono a mettere insieme una nuova edizione nel 1963. *

I miei sensibili robot non mefistofelici non erano proprio nuovissimi. Prima del 1940 erano già esistiti robot di questo tipo. Infatti già nell' Iliade possiamo trovare dei robot progettati per servire a un determinato scopo senza causare guai né pericoli. Nel Canto XVIII del poema, Peti si reca a visitare il dio forgiatore, Efesto, allo scopo di ottenere un'armatura divinamente forgiata per suo figlio Achille. Efesto è zoppo e si muove con difficoltà. C'è un passaggio {nella traduzione di Vincenzo Monti) che descrive come egli esce incontro a Peti:


Seguian l'orrido rege, e a dritta e a manca

 il passo ne reggean, forme e figure

 di vaghe ancelle, tutte d'oro, e a vive

 giovinette simili, entro il cui seno

 avea messo il gran fabbro e voce e vita

 e vigor d'intelletto, e delle care

 arti insegnate dai Celesti il senno.


In breve, sì trattava di robot.

Comunque, sebbene non fossi io il primo ad addentrarmi nel campo, e per un non modesto margine di 2500 anni, feci in modo di costruire intorno alle mie storie uno sfondo abbastanza consistente da guadagnarmi la reputazione di aver creato il " moderno racconto di robot ".

Gradualmente, storia dopo storia, le mie nozioni sull'argomento subirono un'evoluzione. I miei robot avevano cervelli di spugna di platino-iridio, e le " impostazioni cerebrali " erano effettuate per mezzo della distruzione o produzione di positroni. (No, non so come la cosa funzioni.) Il risultato fu che le mìe creature vennero indicate come " robot positronici ".

Per progettare i cervelli positronici dei miei robot era necessaria una enorme e intricata nuova branca della tecnologia alla quale detti il nome di " robotica ". A me era sembrata una parola naturale, come potevano esserlo " fisica " o " meccanica ". Invece, con una certa qual sorpresa da parte mìa, saltò fuori che era una parola inventata e non la si può trovare né nella seconda né nella terza edizione del Webster's Unabridged.

Cosa più importante di tutto, feci uso di quelle che chiamai " Le Tre Leggi della Robotica ", che erano intese a esprimere in parole l'idea base del cervello robotico, un'idea base cui tutto il resto doveva essere subordinato.

Queste leggi sono:


1. Un robot non può recar danno a un essere umano, né, per omissione, permettere che si rechi danno a un essere umano.

2. Un robot deve obbedire agli ordini datigli dagli esseri umani, eccetto quando questi ordini siano in contrasto con la Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza fin che questa protezione non entri in conflitto con la Prima o la Seconda Legge.


Apparentemente furono proprio queste leggi della robotica (per la prima volta esplicitamente formulate in Girotondo) che accelerarono al massimo il cambiamento delle storie di robot nella fantascienza moderna. E' raro trovare tra le pagine delle migliori riviste di fantascienza un robot del vecchio tipo che-sì-ribella-al-suo-creatore, e semplicemente perché questo andrebbe contro la Prima Legge. Diversi scrittori, sebbene non riportino le tre leggi, le prendono per scontate e si aspettano che il lettore faccia lo stesso.

Effettivamente mi hanno detto che se negli anni a venire rimarrà di me un ricordo, sarà per queste tre leggi della robotica. In un certo senso, la cosa mi irrita, perché sono abituato a pensare a me come a uno scienziato, e trovo imbarazzante essere ricordato per la inesistente base di una scienza inesistente. Comunque, se la robotica dovesse raggiungere il livello dì perfezione descritto nei miei racconti, può darsi che effettivamente prenda corpo qualcosa sul genere delle Tre Leggi: e se questo dovesse accadere avrei raggiunto un insolito {anche se, ohimè, postumo) trionfo.

I  miei racconti sui robot positronici si dividono in due gruppi: quelli che riguardano la dottoressa Susan Calvin e quelli che non la riguardano. Quelli che non la riguardano hanno spesso a che fare con Gregory Powell e Mike Donovan, che erano costantemente in campo a collaudare i robot sperimentali, finendo, altrettanto costantemente, nei guai a causa delle macchine. Nelle Tre Leggi esiste sufficiente ambiguità da fornire i conflitti e le incertezze necessari per nuovi racconti e, con mio grande sollievo, mi sembra sempre possibile trovare una nuova angolazione da cui affrontare le poche parole delle Tre Leggi.

Quattro racconti di Io, Robot hanno a che fare con Powell e Donovan. Dopo che quel libro fu pubblicato, un altro racconto vide la luce, proprio sullo stesso ambiente, o piuttosto su Donovan solo. Ancora una volta mi ero divertito alle spalle dei miei robot, ma questa volta non ero io che raccontavo la storia, era Donovan: e non rispondo di lui.

Il  racconto La Prima Legge apparve in Fantastic Universe Science Fiction nell'ottobre del 1956.



La Prima Legge

Titolo originale: First Law (1956)

 

Mike Donovan guardò annoiato il suo boccale di birra vuoto e pensò che ne aveva abbastanza di ascoltare quelle storie. A voce alta disse: «Visto che stiamo parlando di robot strani, vi confesserò che io una volta ne ho trovato uno che ha disobbedito alla Prima Legge».

Poiché la sola idea era inconcepibile, tutti tacquero e si girarono verso Donovan.

Lui si pentì subito di essersi lasciato scappare quella frase e cercò di cambiare argomento. «Me ne hanno raccontato una buona, ieri» disse, come niente fosse. «Riguardo al...»

MacFarlane, che era seduto nella sedia accanto a quella di Donovan, lo interruppe. «Non vorrai mica farmi credere che ti è capitato di incontrare un robot che ha recato danno a un essere umano?» Perché naturalmente quello significava la disobbedienza alla Prima Legge.

«In un certo senso è proprio quello che mi è accaduto» confermò Donovan. «Ma come vi dicevo me ne hanno raccontato una...»

«Spiegaci un po' com'è andata» ordinò MacFarlane, mentre alcuni dei presenti sbattevano sul tavolo il loro boccale.

Donovan, rassegnato, cominciò la storia. «Accadde su Titano circa dieci anni fa» disse, facendo un rapido conto mentale. «Sì, fu nel Venticinque. Ci erano appena stati spediti tre nuovi modelli di robot, studiati appositamente per Titano. Erano i primi della serie MA. Li chiamammo Emma Uno, Emma Due ed Emma Tre.» Fece schioccare le dita per richiamare l'attenzione del cameriere e ordinare un'altra birra. «Dunque, che cosa successe dopo? Ah sì, ecco, ora mi ricordo.»

«Mi occupo di robotica da non so quanto tempo, Mike» disse MacFarlane, «ma non ho mai saputo che sia entrata in produzione una serie MA.»

«Certo, è perché tolsero gli MA dalla catena di montaggio subito dopo... subito dopo l'episodio che sto per raccontarvi. Non te ne rammenti?»

«No.»

«Mettemmo subito i robot al lavoro» continuò in fretta Donovan. «Capite, fin'allora la Base era completamente inutilizzabile durante la stagione delle tempeste, che copre l'ottanta per cento del periodo di rivoluzione di Titano intorno a Saturno. Quando ti trovavi in mezzo a quelle tormente spaventose non riuscivi a vedere la Base nemmeno se era distante solo un centinaio di metri. Le bussole poi non servono a niente, perché Titano non ha campo magnetico.

«Ma per fortuna i robot MA erano dotati di un nuovo tipo di vibro-rivelatori che consentivano loro di raggiungere direttamente la base in qualsiasi condizione atmosferica, sicché diventava possibile procedere con gli scavi durante tutto il periodo di rivoluzione. E non sollevarmi di nuovo obiezioni, Mac. Anche i vibro-rivelatori furono tolti dal mercato, ed ecco perché non ne hai mai sentito parlare.» Donovan tossì. «Segreto militare, capisci.»

«I robot fecero un ottimo lavoro nel corso della prima stagione di tempeste» continuò, «poi, all'inizio della stagione buona, Emma Due cominciò a comportarsi in modo strano. Andava a nascondersi negli angoli e sotto le balle della merce, per cui ci toccava convincerla con le belle maniere a uscire dai suoi rifugi. Alla fine si allontanò definitivamente dalla Base e non fece più ritorno. Pensammo che avesse un difetto di fabbricazione e continuammo a usare gli altri due robot, che non ci davano problemi. Certo però eravamo a corto di personale, o meglio a corto di automi, così quando, verso la fine della stagione buona, si rivelò necessario andare a Kornsk, mi offrii io di partire da solo, senza robot. Sembrava un'impresa abbastanza priva di rischi; le tempeste sarebbero cominciate di lì a due giorni e io sarei tornato al massimo dopo venti ore.

«Ero appunto sulla via del ritorno, a una quindicina di chilometri dalla Base, quando il cielo si fece scuro e s'alzò il vento. Atterrai subito con l'aeromacchina, prima che il vento mi spingesse a schiantarmi da qualche parte, poi presi la direzione della Base e mi misi a correre. Considerata la bassa gravità, potevo continuare a correre fino alla meta, ma il problema era: sarei riuscito a mantenermi in linea retta? Il guaio era tutto lì. Avevo un'ampia riserva di ossigeno e le bobine termiche della tuta funzionavano bene, ma quindici chilometri sono interminabili quando ci si trova in mezzo a una tempesta su Titano.

«Poi, appena la bufera di neve avvolse tutto in una luce crepuscolare dove le cose apparivano scure e indistinte, appena Saturno quasi scomparve dalla vista e il Sole fu solo un puntolino vago, mi fermai, tenendomi saldo in mezzo al vento. Proprio davanti a me c'era un piccolo oggetto scuro. Riuscivo a malapena a riconoscerne i contorni, ma sapevo cos'era. Era un cucciolo delle nevi, l'unico essere vivente capace di resistere alle tempeste di Titano, e nel contempo l'essere vivente più feroce che sia mai dato incontrare su qualsiasi pianeta. Sapevo che la tuta non mi avrebbe protetto, una volta che il cucciolo mi avesse caricato, e considerata la scarsa visibilità dovevo aspettare di sparare a distanza ravvicinata, perché se avessi sbagliato un colpo non avrei avuto scampo.

«Indietreggiai a poco a poco e l'ombra mi seguì. Si avvicinò sempre di più e proprio mentre puntavo il disintegratore augurandomi che il colpo andasse a segno, mi trovai d'un tratto accanto un'ombra più grande, e proruppi in un'esclamazione di sollievo. Era Emma Due, il robot scomparso. Lì per lì non stetti certo a chiedermi cosa le fosse successo o perché fosse apparsa all'improvviso in mezzo alla tempesta. Mi limitai a gridare: "Emma, da brava, toglimi dai piedi quel cucciolo delle nevi e poi riportami alla Base!"

«Il robot mi guardò come se non avesse sentito e urlò di rimando: "Padrone, non sparate! Non sparate!"

«Corse a tutta velocità verso il cucciolo, mentre io gridavo: "Prendilo! Prendilo quel maledetto, Emma!" E in effetti lo prese. Lo sollevò e tenendolo in braccio continuò per la sua strada. Io urlai fino a diventare rauco, ma Emma Due non tornò. Fosse stato per lei, sarei morto in mezzo alla tempesta.»

Donovan fece una pausa solenne, poi aggiunse: «Certo conoscete tutti la Prima Legge: un robot non può recar danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno. Bene, Emma Due invece se la squagliò con quel cucciolo e mi lasciò lì a rischiare di morire. Infranse la Prima Legge.

«Per fortuna riuscii a cavarmela. Mezz'ora dopo la tempesta cessò. Era scoppiata prima del tempo e si rivelò un fenomeno momentaneo. Succede, a volte. Raggiunsi di corsa la Base e il giorno dopo la stagione delle tempeste cominciò sul serio. Emma Due tornò due ore dopo di me. Il mistero fu naturalmente chiarito e i modelli MA vennero tolti subito dal mercato».

«Ma quale fu il motivo che indusse il robot a comportarsi così?» domandò MacFarlane.

Donovan lo guardò con espressione seria. «È vero che ero un essere umano in condizioni critiche, Mac, ma per quel robot c'era qualcosa di ancora più importante di me e della Prima Legge. Non dimenticare che si trattava di un modello MA e che Emma Due, in particolare, prima di scomparire dalla circolazione aveva cercato per un certo periodo dei piccoli rifugi dove nascondersi. Era come se pensasse che dovesse succederle qualcosa di speciale e di... privato. E a quanto sembra questo qualcosa di speciale le successe davvero.»

Donovan alzò gli occhi al cielo con aria solenne e concluse, con un tremito nella voce: «Quel cucciolo delle nevi non era affatto un cucciolo delle nevi, sapete. Quando Emma Due lo portò alla Base, lo chiamammo Emma junior. Il robot aveva dovuto proteggerlo dal mio disintegratore. Perfino la Prima Legge non è nulla, in confronto al sacro vincolo dell'amore materno...».