CAPITOLO DICIOTTESIMO LA LEGGE ZERO
Kelden Amadiro non era felice. La gravità della Terra era leggermente troppo alta per i suoi gusti; l’atmosfera un po’ troppo densa; i rumori e gli odori dell’esterno erano fastidiosamente diversi da quelli di Aurora; e non c’erano ambienti interni che potessero essere considerati civili.
I robot avevano costruito dei rifugi di fortuna. C’erano abbondanti provviste di cibo, e delle latrine improvvisate, adeguate dal punto di vista della funzionalità ma insufficienti in maniera offensiva sotto ogni altro aspetto.
A peggiorare le cose, anche se era una mattina discreta, il cielo era limpido e il Sole troppo vivido nella Terra si stava alzando. Presto la temperatura sarebbe stata eccessiva, l’aria troppo umida, e sarebbero apparsi quegli insetti che mordevano. All’inizio, Amadiro non aveva capito la causa di quei minuscoli rigonfiamenti pruriginosi sulle braccia, finché Mandamus non gli aveva spiegato.
Ora, grattandosi, Amadiro borbottò: «Tremendo! Potrebbero trasmettere delle infezioni.»
«Credo che a volte succeda,» disse Mandamus indifferente. «È raro, comunque. Ho delle lozioni per calmare il prurito, e potremmo bruciare certe sostanze per cacciare questi insetti, ma l’odore che emanano è disgustoso.»
«Bruciatele, allora.»
Senza cambiare tono, Mandamus disse: «Voglio evitare qualsiasi cosa che potrebbe tradire la nostra presenza... anche cose apparentemente insignificanti come un odore o del fumo.»
Amadiro lo osservò insospettito. «Avete ripetuto più volte che questa zona non è mai frequentata dai Terrestri o dai loro robot.»
«Esatto, però non è una legge matematica. È un’osservazione sociologica, quindi esiste sempre la possibilità che si verifichi qualche eccezione.»
«Il sistema più sicuro per non correre rischi è portar a termine questo progetto,» fece Amadiro accigliato. «Avevate detto che oggi sareste stato pronto.»
«Altra osservazione ipotetica, dottor Amadiro. Dovrei essere pronto oggi. È quanto mi auguro. Ma non posso fornire alcuna garanzia matematica.»
«E quando potrete garantirmelo matematicamente?»
Mandamus allargò le mani in un gesto di dubbio. «Dottor Amadiro, ho l’impressione di avervi già spiegato la situazione, comunque ve la spiegherò di nuovo. Sto lavorando da sette anni al progetto. Contavo ancora su alcuni mesi di controlli personali nelle quattordici stazioni dove sono installati i ripetitori. Ora non posso più farlo perché dobbiamo finire prima di essere scoperti, e magari bloccati, da quel robot, da Giskard. Per cui dovrò eseguire i controlli mettendomi in contatto coi nostri robot umanoidi dislocati presso i ripetitori. Non posso fidarmi completamente di loro. Dovrò controllare i loro rapporti, forse dovrò anche raggiungere personalmente un paio di ripetitori per sentirmi soddisfatto. Occorrerà ancora qualche giorno... forse addirittura un paio di settimane.»
«Un paio di settimane? Impossibile! Secondo voi, Mandamus, per quanto tempo ancora riuscirò a sopportare questo pianeta?»
«Signore, in una delle mie visite precedenti sono rimasto sulla Terra per quasi un anno... un’altra volta, mi sono fermato per oltre quattro mesi.»
«E vi è piaciuto?»
«No, signore. Però avevo un compito da svolgere, e l’ho svolto... senza risparmiarmi.»
Amadiro arrossì, e in tono più mite disse: «Be’, allora, a che punto siamo?»
«Sto ancora esaminando i rapporti che stanno arrivando. Non stiamo lavorando nelle condizioni ottimali di un laboratorio. Abbiamo di fronte una crosta planetaria straordinariamente eterogenea. Fortunatamente, i materiali radioattivi sono ampiamente diffusi. In certi punti però la quantità è pericolosamente scarsa, e così abbiamo dovuto piazzare del ripetitori affidandoli alla sorveglianza dei robot. Un errore di posizionamento o un funzionamento difettoso, purtroppo, farebbero svanire l’intensificazione nucleare, vanificando tutti questi anni di sforzi. Oppure, potrebbe verificarsi un’intensificazione localizzata di potenza esplosiva... si avrebbe una deflagrazione, ma il resto della crosta rimarrebbe intatto. In ambedue i casi, i danni complessivi sarebbèro insignificanti.
«Noi vogliamo invece che i materiali radioattivi, e quindi ampie parti della crosta terrestre, diventino sempre più radioattivi... lentamente, costantemente, irreversibilmente, in modo che la Terra diventi a poco a poco inabitabile. La struttura sociale del pianeta crollerà, e la Terra non potrà più ospitare alcun essere umano. Se non sbaglio, dottor Amadiro, questo è quello che desiderate. È quanto vi ho descritto anni fa, e voi allora eravate d’accordo.»
«Lo sono ancora, Mandamus. Non siate sciocco.»
«Allora sopportate i disagi, signore... oppure andatevene, e io rimarrò per tutto il tempo necessario.»
«No, no.» borbottò Amadiro. «Devo essere qui al momento della realizzazione... però non posso fare a meno di essere impaziente. Che periodo di tempo avete stabilito per lo sviluppo del processo radioattivo?... Voglio dire, una volta avviata l’onda iniziale di intensificazione, dopo quanto tempo la Terra sarà inabitabile?»
«Dipende dal grado di intensificazione iniziale. Non so ancora che livello di intensificazione sarà necessario, perché questo fattore dipende dall’efficienza complessiva dei ripetitori, quindi ho predisposto un controllo variabile. Io opterei per un intervallo dalle dieci alle venti decadi.»
«E riducendo questo intervallo?»
«Riducendo l’intervallo di tempo, la crosta planetaria diventerà radioattiva più rapidamente, il pianeta si scalderà e diventerà pericoloso più in fretta. Il che significa che buona parte della popolazione probabilmente non riuscirebbe a mettersi in salvo in tempo.»
«Ha importanza?» chiese Amadiro.
Mandamus corrugò la fronte. «Con un deterioramento troppo rapido della Terra, i Terrestri e i Coloni sospetterebbero la presenza di una causa tecnologica, e
probabilmente incolperebbero noi. I Coloni ci attaccherebbero subito e combatterebbero fino alla morte pur di vendicarsi. Ne abbiamo già discusso, no? Molto meglio lasciare che il processo avvenga lentamente, così potremo prepararci ad ogni evento mentre la Terra confusa probabilmente interpreterà l’aumento della radioattività come un fenomeno naturale incomprensibile. Mi pare una soluzione necessaria, vista soprattutto la situazione attuale.»
«Davvero?» Anche Amadiro stava corrugando la fronte. «Dalla vostra espressione arcigna e puritana, giurerei che abbiate trovato il modo di addossarmi interamente la responsabilità.»
«Senza offesa, signore, ma in questo caso non è difficile farlo. È stata una mossa imprudente, mandare uno dei nostri robot a distruggere Giskard.»
«Al contrario, una mossa obbligata. Giskard è l’unico che potrebbe distruggerci.»
«Dovrà trovarci, prima... e non ci riuscirà. E anche se ci troverà, siamo roboticisti esperti. Non pensate che sapremmo affrontarlo?»
«Sì? È quanto pensava Vasilia. Lo conosceva meglio di noi... eppure non è stata capace di affrontarlo. E neppure la nave da guerra che avrebbe dovuto prenderlo in consegna e distruggerlo ci è riuscita. Così ora Giskard ha raggiunto la Terra. Bisogna annientarlo, in un modo o nell’altro!»
«Ma il nostro robot non l’ha fatto. Non si è sentita alcuna notizia della distruzione di Giskard.»
«A volte un governo prudente sopprime le brutte notizie, e i funzionari terrestri, per quanto barbari, non dovrebbero essere degli stupidi. Anche se il nostro robot avesse fallito e fosse stato interrogato, sarebbe rimasto vittima di un blocco irreversibile. In tal caso, avremo perso un robot, nulla di grave... una perdita che possiamo permetterci. E se Giskard è ancora in circolazione, bene, una ragione di più per sbrigarci.»
«Se hanno catturato il nostro robot, la situazione potrebbe complicarsi, invece... Potrebbero scoprire l’ubicazione di questo centro operativo. Non avremmo dovuto servirci di un robot del posto, almeno.»
«Ho usato il primo robot che avevo a portata di mano. Comunque, quel robot non rivelerà nulla. Spero vi fiderete della mia programmazione.»
«Bloccato o meno, la presenza del robot rivelerà però che si tratta di un modello di fabbricazione auroriana. I roboticisti della Terra... Perché anche questo pianeta ha i suoi roboticisti... Io capiranno subito. Una ragione di più per non affrettare troppo l’aumento della radioattività. Dovrà essere un processo molto lento, così i Terrestri dimenticheranno l’incidente e non lo collegheranno col cambiamento progressivo della radioattività. Come minimo, saranno necessarie dieci decadi... forse quindici, o addirittura venti.»
Mandamus si allontanò per controllare di nuovo le apparecchiature e ristabilire il contatto con i ripetitori sei e dieci che presentavano tuttora dei problemi. Amadiro lo seguì con lo sguardo, assumendo un’espressione di disprezzo e di antipatia, mormorando tra sé: “Sì, ma a me non restano altre venti decadi... forse nemmeno dieci. Tu puoi aspettare, io no.»
* * *
Era mattina a New York. Giskard e Daneel lo dedussero dal graduale aumento delle attività