CAPITOLO UNDICESIMO IL VECCHIO CAPO
Kelden Amadiro non era immune dalla piaga umana dei ricordi. Anzi, ne era afflitto con particolare gravità. E i suoi ricordi erano ancor più tenaci in quanto uniti indissolubilmente alla l rabbia e alla frustrazione.
Venti decadi prima, tutto procedeva a meraviglia per lui. Era il fondatore e Capo dell’Istituto della Robotica (lo era tuttora) e per un attimo esaltante ,li era parso di poter conquistare il controllo totale del Consiglio, schiacciando il suo grande nemico, Han Fastolfe, e relegandolo in uno sterile ruolo di opposizione.
Se solo... ah, se solo...
(Più cercava di non pensarci, più i ricordi lo assalivano, condannandolo a una sofferenza e a una disperazione incessanti.)
Se avesse vinto, la Terra sarebbe rimasta isolata e lui avrebbe fatto in modo che decadesse fino a scomparire. Perché no? Quegli esseri dalla vita breve che affollavano un mondo guasto sarebbero stati meglio una volta morti... molto meglio morire, piuttosto che vivere la vita che avevano scelto per sé.
E i mondi spaziali, calmi e sicuri, avrebbero incrementato la t loro espansione. Fastolfe si era sempre lamentato che gli Spaziali erano troppo longevi e Si adagiavano troppo comodamente sui loro cuscini robotici per essere dei veri pionieri, ma Amadiro avrebbe dimostrato che Fastolfe aveva torto.
Invece, Fastolfe aveva vinto. Ormai di fronte a una sconfitta certa, chissà come, era riuscito incredibilmente ad annaspare nel vuoto ritrovandosi nelle mani la vittoria... un evento quasi miracoloso.
Era stato grazie al Terrestre, naturalmente... a quell’Elijah Baley...
Ma i ricordi di Amadiro, arrivati a questo punto, subivano una brusca impennata e cambiavano direzione. Amadiro non poteva rivedere quella faccia, risentire quella voce, rivivere quei momenti. Il nome di Baley era più che sufficiente. Venti decadi non erano affatto bastate ad attenuare l’odio che provava, a mitigare il dolore.
E con Fastolfe al potere, i miserabili Terrestri si erano staccati dal loro pianeta immondo insediandosi su un numero sempre maggiore di pianeti. Il turbine dell’avanzata terrestre aveva sbalordito gli Spaziali, paralizzandoli, bloccandone l’iniziativa.
Quante volte Amadiro si era rivolto al Consiglio ammonendo che la Galassia stava sfuggendo al controllo degli Spaziali, sostenendo che Aurora stava assistendo passiva all’occupazione di mondi e mondi da parte di quei sub-umani, che l’apatia si stava impossessando sempre più dello spirito spaziale!
«Svegliatevi!» aveva gridato. «Svegliatevi! Loro si moltiplicano. I mondi dei Coloni si moltiplicano. Cosa aspettate? Che ci azzannino alla gola?»
E come sempre Fastolfe aveva intonato la sua solita pacata cantilena soporifera, e gli Auroriani e gli altri Spaziali (che continuavano ad ispirarsi all’esempio di Aurora, anche quando Aurora non intendeva guidare nessuno) tornavano a
rilassarsi, ad assopirsi.
Apparentemente, l’evidenza non li scalfiva nemmeno. I fatti, le cifre, l’indiscutibile peggioramento della situazione, li lasciavano indifferenti. Amadiro urlava loro la verità, vedeva avverarsi ogni previsione, eppure la maggioranza seguiva Fastolfe come un gregge di pecore!
E Fastolfe constatava di persona la follia della propria linea politica e si ostinava a mantenerla! Sembrava quasi che non si accorgesse di sbagliare.
Se fosse stato un uomo capace di cedere a concetti fantastici, sicuramente Amadiro avrebbe immaginato che i mondi spaziali fossero vittima di una strana magia, di un incantesimo ottenebrante. Avrebbe creduto che qualcuno possedesse la facoltà magica di annebbiare cervelli altrimenti attivi, di rendere ciechi alla verità occhi solitamente acuti.
E ad accrescere il suo tormento, la gente compativa Fastolfe perché era morto consumato dalla delusione. Dicevano che si era sentito deluso perché gli Spaziali non avrebbero conquistato nuovi mondi con le loro forze
Ma era proprio la politica di Fastolfe a tarpare le ali agli Spaziali! Non aveva alcun diritto, lui, di sentirsi deluso! Cosa avrebbe fatto, allora, al posto di Amadiro? Cosa avrebbe fatto se si fosse reso conto di vedere e predicare la verità senza tuttavia riuscire a farsi ascoltare dagli Spaziali... da un numero sufficiente di Spaziali?
Meglio una Galassia vuota che una Galassia dominata da quei sub-umani, aveva pensato mille volte Amadiro. Se per magia avesse potuto distruggere la Terra, il mondo di Elijah Baley, con un semplice cenno del capo, ah, non avrebbe certo esitato!
Ma rifugiarsi in sogni del genere non poteva essere altro che un segno della sua totale disperazione. Un’illusione futile e ricorrente, come l’altro desiderio che a volte provava, quello di arrendersi e accogliere la morte come una liberazione... Se solo i suoi robot non gli avessero impedito di attuarlo.
Poi, un giorno, ecco che gli era stato dato il potere di distruggere la Terra... gli era quasi stato imposto con la forza, e contro la sua volontà. Un giorno di tre quarti di decade prima, quando Amadiro aveva incontrato per la prima volta Levular Mandamus.
Ricordi! Tre quarti di decade prima...
Amadiro sollevò lo sguardo e notò che Maloon Cicis era entrato nell’ufficio. Senza dubbio Cicis aveva segnalato alla porta, e non ottenendo risposta, com’era suo diritto, era entrato.
Sospirando, Amadiro depose il minuscolo elaboratore, Cicis era il suo braccio destro fin dalla fondazione dell’Istituto. Stava invecchiando al suo servizio. Nulla che balzasse all’occhio in modo drastico... solo un’aria generale di lieve decadimento. Il naso di Cicis sembrava un po’ più asimmetrico di un tempo.
Amadiro si strofinò il naso piuttosto bulboso, chiedendosi fino a che punto l’alone della decadenza lo stesse avviluppando. Una volta era alto un metro e
novantacinque, una statura considerevole anche per uno Spaziale. Sicuramente era ancora ben eretto come in passato, però misurandosi di recente non era riuscito a superare un metro e novantatre. Stava cominciando a incurvarsi, ad avvizzire?
Accantonò quei pensieri macabri, un sintomo di invecchiamento più significativo delle misure fisiche, e disse: «Che c’è, Maloon?»
Cicis era accompagnato da un nuovo robot personale, modernissimo, dalle finiture scintillanti. Anche quello era un segno di invecchiamento. Se uno non poteva mantenere giovane il proprio corpo, poteva sempre comprare un robot nuovo, giovane. Amadiro era decisissimo a non cedere a una illusione del genere che serviva solo a suscitare sorrisi di compatimento tra le persone veramente giovani... soprattutto dal momento che Fastolfe, che aveva otto decadi più di lui, non lo aveva mai fatto.
Cicis rispose: «Di nuovo quel tale Mandamus, Capo.»
«Mandamus?»
«Il tipo che continua a chiedere di incontrarvi.»
Amadiro rifletté un attimo. «Sarebbe quell’idiota che discende dalla Solariana?»
«Sì, Capo.»
«Be’, non voglio vederlo. Non gliel’hai ancora fatto capire in modo chiaro, Maloon?»
«In modo chiarissimo, Capo. Mi ha chiesto di consegnarvi un biglietto. Dice che dopo aver letto il messaggio voi lo riceverete.»
«Non credo, Maloon... Cosa dice il messaggio?»
«Non capisco, Capo. Non è in Galattico.»
«Se non lo capisci tu, perché proprio io dovrei riuscirci?»
«Non lo so. Mandamus mi ha chiesto di darvelo. Se volete dare un’occhiata, Capo... poi, se volete, tornerò di là e vedrò di sbarazzarmi di lui un’altra volta.»
«D’accordo, diamogli un’occhiata,» fece Amadiro scuotendo la testa. E lesse con un’espressione di disgusto.
Il biglietto diceva: Ceterum censeo, delenda est Carthago.
Amadiro fulminò con lo sguardo Maloon, poi tornò a fissare il messaggio. Infine disse: «Devi averlo letto, dal momento che sai che non è Galattico. Gli hai chiesto cosa significa?»
«Certo, Capo. Ha detto che era Latino, non che questo mi abbia aiutato a capire... Ha detto che voi avreste capito. È un tipo deciso, e ha minacciato di non muoversi, di restare seduto ad aspettare che voi lo leggeste.»
«Che aspetto ha?»
«Magro, serio, probabilmente privo di umorismo. Alto, ma non quanto voi. Labbra sottili, occhi intensi, infossati.»
«Età?»
«A giudicare dalla pelle, direi che ha più o meno quattro decadi. È giovanissimo.»
«In tal caso, mostriamoci accomodanti di fronte alla gioventù. Fallo entrare.»
Cicis parve sorpreso. «Lo ricevete?»
«Ti ho appena detto di Sì, o sbaglio? Fallo entrare.»
Il giovane entrò nell’ufficio quasi a passo di marcia. Si piazzò rigido di fronte alla scrivania e disse: «Signore, vi ringrazio per aver accettato di incontrarmi. Mi consentite ora di invitare anche i-miei robot?»
Amadiro inarcò le sopracciglia. «Li vedrò volentieri. Voi mi consentite di tenere con me i miei?»
Era da parecchi anni che non sentiva pronunciare da qualcuno la vecchia formula di cortesia robotica. Una delle sane e vecchie tradizioni caduta in disuso con il progressivo decadimento dell’educazione formale, e con la tendenza di ognuno a considerare sempre più i robot personali una parte di sé.
«Certo, signore,» annuì Mandamus, e due robot lo raggiunsero
Erano entrati solo dopo aver ricevuto il permesso, notò Amadiro. Si trattava di esemplari nuovi, chiaramente efficienti, di eccellente fattura.
«Opera vostra, dottor Mandamus?» I robot progettati dai loro proprietari avevano sempre un particolare valore.
«Si, signore.»
«Dunque, siete un roboticista?»
«Sì, signore. Mi sono laureato presso l’Università di Eos.»
«Studiando con...»
Mandamus lo interruppe. «Non col dottor Fastolfe, signore. Con il dottor Maskellnik.»
«Ah, ma non siete membro dell’Istituto.»
«Ho presentato domanda per essere ammesso, signore.»
«Capisco.» Amadiro sistemò le carte sulla scrivania, quindi senza alzare lo sguardo chiese a bruciapelo: «Dove avete imparato il Latino?»
«Non conosco la lingua latina abbastanza bene da parlarla o leggerla, però tra le mie scarse conoscenze c’era anche questa citazione. La conoscevo e sapevo dove trovarla.»
«Ammirevole. Come mai questo interesse?»
«Non posso dedicare alla Robotica ogni attimo del mio tempo, quindi ho degli interessi secondari. Uno di questi è la planetologia, con particolare riguardo alla Terra. In questo modo sono arrivato ad occuparmi della storia e della cultura della Terra.»
«Non è un argomento di studio molto popolare tra gli Spaziali.»
«No, signore, ed è un peccato. Uno dovrebbe sempre conoscere i propri nemici... come fate voi, signore »
«Come faccio io?»
«Sì, signore. Credo che conosciate vari aspetti della Terra, e che su questo argomento siate più informato di me, avendolo studiato più a lungo.»
«Come lo sapete?»
«Ho cercato di raccogliere quante più informazioni possibili su di voi, signore.»
«Perché sono uno dei vostri nemici?»
«No, signore. Perché voglio che diventiate mio alleato.»
«Diventare vostro alleato? Intendete servirvi di me, dunque? Non vi sembra di essere un po’ impertinente?»
«No, signore, poiché sono sicuro che vorrete allearvi a me.»
Amadiro lo fissò. «In ogni caso, a me sembrate come minimo impertinente. Ditemi, capite questa citazione che mi avete presentato?»
«Si, signore.»
«Allora traducetela in Galattico.»
«Dice: “A mio giudizio, Cartagine deve essere distrutta”.»
«E cosa significa, a vostro giudizio?»
«L’uomo che parlava era Marco Porcio Catone, un senatore della Repubblica Romana, un antico organismo politico della Terra. Roma aveva sconfitto la sua più grande rivale, Cartagine, ma non l’aveva distrutta. Catone sosteneva che Roma non avrebbe potuto vivere tranquillamente finché Cartagine non fosse stata rasa al suolo completamente... e alla fine, signore, Cartagine fu effettivamente distrutta.»
«Ma a noi che importa di Cartagine, giovanotto?»
«Esistono cose chiamate analogie, signore.»
«Vale a dire?»
«Vale a dire che anche i mondi spaziali hanno un grande nemico, un nemico che secondo me deve essere distrutto.»
«Sarebbe?»
«Il pianeta Terra, signore.»
Amadiro tamburellò con le dita sulla scrivania. «E voi volete che diventi vostro alleato in un progetto del genere. Siete sicuro del fatto che io non veda l’ora di unirmi a voi. Sentiamo, dottor Mandamus... nei miei discorsi e nei miei scritti su questo argomento, ho mai sostenuto che la Terra debba essere distrutta?»
Mandamus serrò le labbra sottili, contraendo le narici. «Non sono qui per imbrogliarvi, facendovi dire cose che potrebbero essere usate contro di voi. Non sono stato inviato qui dal dottor Fastolfe o da qualcuno del suo partito. Non appartengo a suo partito, io. Né sto cercando di dire quello che pensate. Vi dico solo quello che penso io. A mio giudizio, la Terra deve essere distrutta.»
«E in che modo intendete distruggerla? Dobbiamo bombar darla con ordigni nucleari, in modo che le esplosioni e le radiazioni e le nubi di polvere distruggano completamente il pianeta? Perché se questo è il vostro piano, dovete dirci anche come faremo a impedire che le navi dei Coloni si vendichino bombardando a loro volta Aurora e gli altri mondi Spaziali. Fino a quindici decadi fa, sarebbe stato possibile bombardare impunemente la Terra. Adesso non è più possibile.»
Mandamus parve disgustato. «Non ho in mente nulla del genere, dottor Amadiro. Non distruggerei mai inutilmente degli esseri umani, anche se si trattasse di Terrestri. Comunque, c’è un sistema con cui distruggere la Terra senza lo sterminio di massa dei suoi abitanti, e senza il pericolo di rappresaglie.»
«Siete un sognatore,» disse Amadiro. «O forse non siete del tutto sano di mente.»
«Lasciate che vi spieghi.»
«No, giovanotto. Ho poco tempo, e poiché la vostra citazione, che avevo capito perfettamente, ha stuzzicato la mia curiosità, ve ne ho dedicato abbastanza.»
Mandamus si alzò. «Capisco, dottor Amadiro, e vi chiedo scusa per avervi rubato tempo prezioso. Pensate a quel che ho detto, comunque, e se doveste sentirvi incuriosito oltre, passate da me quando avrete più tempo da dedicarmi. Non aspettate troppo, però, perché se sarò costretto, mi rivolgerò altrove... È solo questione di tempo, ma io distruggerò la Terra. Come vedete, sono franco con voi.»
Il giovane abbozzò un sorriso stiracchiato con risultati poco lusinghieri. «Arrivederci... e grazie ancora,» disse, e si girò, uscendo.
Amadiro rimase pensieroso per un po’, quindi toccò un contatto sul lato della scrivania.
«Maloon,» disse, quando Cicis entrò nell’ufficio «voglio che quel giovanotto sia sorvegliato ventiquattro’ore al giorno, e voglio sapere con chi parla. Tutti quelli che frequenta dovranno essere identificati e interrogati. E quelli che indicherò, dovranno essere portati qui da me. Ma, Maloon, mi raccomando, bisogna fare tutto con discrezione e con modi amichevoli e persuasivi. Come ben sai, non sono ancora il padrone di Aurora.»
Ma lo sarebbe diventato. Fastolfe aveva trentasei decadi ed era allo stremo delle forze, mentre Amadiro aveva otto decadi meno di lui.
Amadiro ricevette i rapporti per nove giorni. Mandamus parlava con i suoi robot, occasionalmente con qualche collega all’Università, e raramente aveva contatti con le persone che occupavano le residenze vicine alla sua. Parlava di cose banalissime, e ancor prima dello scadere dei nove giorni Amadiro aveva deciso di non poter attendere all’infinito. Mandamus era solo agli inizi di una vita lunghissima, e aveva di fronte a sé una trentina di decadi... Amadiro, al massimo, ne aveva una decina.
Pensando alle parole del giovane, Amadiro si era reso conto che se esisteva un sistema per distruggere la Terra, lui doveva conoscerlo, non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione. Non poteva permettere che la distruzione avvenisse dopo la sua morte... o, peggio ancora, che avvenisse quando era ancora in vita, ma orchestrata dalla mente di un altro. Voleva che fossero le sue dita a premere il contatto fatale!
Sì doveva assistere alla distruzione della Terra, esserne l’artefice, altrimenti a che scopo avrebbe sopportato così a lungo frustrazioni e sofferenze? Forse Mandamus era uno sciocco o un pazzoide... ma in tal caso Amadiro voleva averne la certezza matematica.
Pertanto, convocò Mandamus nel suo ufficio.
Capiva che comportandosi così si stava umiliando, ma l’umiliazione era il prezzo da pagare per assicurarsi che la Terra non potesse essere distrutta senza di lui. E lui era disposto a pagare quel prezzo.
Psicologicamente, si preparò ad un ingresso trionfale di Mandamus, ad un
atteggiamento sprezzante, spavaldo. Avrebbe sopportato anche quello. E dopo aver sopportato, come logico, se le proposte del giovanotto si fossero rivelate insensate, avrebbe fatto in modo che Mandamus venisse punito duramente, nei limiti consentiti da una società civile, però senza alcuna misericordia...
Con sua grande soddisfazione, invece, Mandamus entrò nell’ufficio mostrandosi ragionevolmente umile e ringraziandolo, in modo apparentemente sincero, per avergli concesso un secondo colloquio. Non gli restava che essere cortese, a sua volta.
«Dottor Mandamus,» esordì Amadiro «congedandovi senza ascoltare i vostri piani sono stato scortese. Ora parlate pure liberamente: io vi ascolterò, e quando avrò capito, come temo, che il vostro progetto è basato sull’entusiasmo e non su un ragionamento rigoroso, vi congederò di nuovo, ma senza il minimo disprezzo. Mi auguro anche che da parte vostra non ci sia del rancore, allora.»
Mandamus disse: «Non potrei arrabbiarmi con voi, visto che pazientemente mi avete concesso un equo colloquio, dottor Amadiro... Ma se il mio progetto si rivelasse realizzabile e logico?»
«In tal caso, noi due potremmo collaborare.»
«Sarebbe meraviglioso, signore. Assieme potremmo ottenere risultati migliori che agendo separatamente. Ma a me spetterebbe qualcosa di più tangibile del privilegio di lavorare con voi? Ci sarebbe una ricompensa?»
Amadiro parve contrariato. «Avreste la mia gratitudine, ovvio... però io sono solo un membro del Consiglio e il Capo dell’Istituto di Robotica. I miei poteri sono limitati.»
«Me ne rendo conto, dottor Amadiro. Ma entro questi limiti, non potrei avere qualcosa in acconto?»
Amadiro corrugò la fronte e si trovò a fissare un paio di occhi penetranti e decisi in cui non c’era alcuna traccia di umiltà.
Gelido, disse: «Cosa vorreste?»
«Nulla che non sia alla vostra portata, dottor Amadiro. Vorrei diventare membro dell’Istituto.»
«Se avrete tutti i requisiti...»
«Non temete. Sono qualificato.»
«Non possiamo lasciare la decisione al candidato. Dobbiamo...»
«Via, dottor Amadiro, non è questo il modo di iniziare un rapporto di collaborazione. Dato che mi avete fatto sorvegliare da quando sono uscito di qui, stento a credere che non abbiate studiato il mio curriculum. Quindi dovete sapere che ho tutti i requisiti per entrare nell’Istituto. Se non vi fossi sembrato in possesso dei requisiti necessari, non mi avreste ritenuto capace di elaborare un piano per la distruzione della Terra, e non mi avreste convocato.»
Per un attimo, Amadiro si sentì avvampare interiormente. Per un attimo, ebbe l’impressione che neppure per la distruzione della Terra valesse la pena di sopportare l’atteggiamento da spaccone di quel ragazzino insolente. Ma la cosa durò solo quell’attimo. Poi Amadiro riacquistò il giusto senso della misura, e si rese conto che una persona così giovane, eppure tanto spavalda e sicura di sé, era
proprio il tipo che gli occorreva.
Inoltre, Amadiro aveva effettivamente esaminato il curriculum di Mandamus, e non aveva alcun dubbio sul fatto che si trattasse di un elemento all’altezza dell’Istituto.
Controllandosi, reprimendo uno sfogo salutare, disse: «Avete ragione. Siete un roboticista qualificato.»
«Allora prendetemi nell’Istituto. Immagino che nel vostro computer avrete i moduli necessari. Basta registrare il mio nome, il mio titolo di studio, la data di laurea e gli altri dati statistici, e infine apporre la vostra firma.»
Senza aprir bocca, Amadiro si girò verso il computer. Inserì le informazioni necessarie, ritirò il modulo, lo firmò e lo porse a Mandamus. «La data è quella di oggi. Siete membro dell’Istituto.»
Mandamus osservò il foglio, poi lo consegnò ad uno dei suoi robot, che lo ripose in una cartelletta che aveva sotto il braccio.
«Grazie,» disse Mandamus. «Siete stato molto gentile. Spero di non deludervi mai, e spero non dobbiate mai pentirvi della stima concessa alle mie capacità. Bene, non rimane che un ultimo particolare.»
«Davvero? Quale?»
«Non potremmo discutere della mia ricompensa finale... che riceverò solo in caso di successo, naturalmente? Di un successo completo.»
«Non sarebbe più logico aspettare di avere ottenuto questo successo, o di essere ragionevolmente vicini alla vittoria?»
«Sarebbe più logico, sì. Però io sono un sognatore, oltre che una creatura razionale. Mi piacerebbe sognare un po’.»
«Bene, e cosa vi piacerebbe sognare?»
«Se non sbaglio, dottor Amadiro, il dottor Fastolfe non gode di una salute invidiabile. Ha vissuto a lungo, e non credo sia in grado di tenere a bada la morte ancora a lungo.»
«E con ciò?»
«Quando sarà morto, il vostro partito diventerà più aggressivo, e forse i membri meno convinti del partito di Fastolfe penseranno bene di passare dalla vostra parte. Senza Fastolfe, le prossime elezioni saranno certamente vostre.»
«È possibile. E allora?»
«Diventerete, di fatto, il leader del Consiglio, in grado di ispirare la politica estera di Aurora, e di conseguenza anche la politica estera dei mondi spaziali. E se i miei piani procederanno per il verso giusto, riscuoterete un successo tale che il Consiglio non potrà fare a meno di eleggervi Presidente alla prima occasione.»
«Continuate a sognare, giovanotto. Ma se quanto prevedete dovesse avverarsi...?»
«Non avreste il tempo di dirigere contemporaneamente Aurora e l’Istituto di Robotica. Quindi, quando deciderete di dimettervi dalla direzione dell’Istituto, io vi chiedo di appoggiare la mia candidatura alla carica vacante.»
«Una carica per la quale sono necessari precisi requisiti,» replicò Amadiro.
«Oh, li avrò.»
«Aspettiamo e vedremo.»
«Sono disposto ad aspettare. Comunque, vedrete che ancor prima di avere in mano la vittoria completa vi sentirete propenso a soddisfare questa mia richiesta. Dunque, abituatevi fin d’ora all’idea, per favore.»
«Hmm, tutto questo, prima di avere sentito una sola parola del vostro piano,» mormorò Amadiro. «Be’, siete membro dell’Istituto e io mi sforzerò di abituarmi al vostro sogno privato, però adesso basta coi preliminari e spiegatemi come intendete distruggere la Terra.»
Quasi automaticamente, Amadiro fece il gesto che ordinava ai robot di non ricordare alcuna parte della conversazione.
Con un sorrisetto, Mandamus impartì il medesimo ordine ai propri robot.
«Cominciamo, dunque?» disse Mandamus.
Ma prima che potesse aggiungere altro, Amadiro lo aggredì chiedendogli: «Siete sicuro di non essere un filo-terrestre?»
Mandamus parve allibito. «Mi sono rivolto a voi con una proposta per la distruzione della Terra.»
«Eppure siete un discendente della Solariana... di quinto grado, se non vado errato.»
«Sì, signore, è un’informazione di dominio pubblico. E con questo?»
«La Solariana è da parecchio tempo amica intima e protetta di Fastolfe. Dunque mi chiedo se voi non simpatizziate per le sue idee filo-terrestri.»
«Per via della mia discendenza?» Mandamus sembrava davvero stupito. Per un attimo, in una reazione di stizza o di collera, contrasse le narici, ma subito si placò e replicò pacatamente: «Una vostra vecchia amica e protetta è la dottoressa Vasilia Fastolfe, allora... Si tratta della figlia di Fastolfe, di una sua discendente diretta. Mi chiedo se non simpatizzi per le idee del padre.»
«Anch’io me lo sono domandato in passato,» disse Amadiro. «Ma adesso ho smesso, perché lei non condivide le concezioni paterne.»
«Potete smetterla anche per quanto mi riguarda, signore. Sono uno Spaziale, e voglio che il controllo della Galassia sia in mano agli Spaziali.»
«Benissimo. Illustratemi il vostro piano, allora.»
«Certo, e se non vi dispiace partirò dall’inizio,» annuì Mandamus. «Dottor Amadiro, gli astronomi sono concordi nell’affermare che nella nostra Galassia esistono milioni di pianeti simili alla Terra, pianeti su cui gli esseri umani possono vivere dopo alcune modifiche ambientali, senza che siano necessarie trasformazioni geologiche, però. Le loro atmosfere sono respirabili, abbiamo la presenza di oceani, il clima e il terreno si prestano all’insediamento umano, esistono forme di vita. Del resto, le loro atmosfere non conterrebbero ossigeno se non ci fosse come minimo la presenza di plancton oceanico.
«Il terreno spesso è arido, ma dopo un intervento biologico con la diffusione di forme di vita terrestri, queste stesse forme di vita attecchiscono e il pianeta diventa abitabile. Sono stati individuati e studiati centinaia di pianeti con queste caratteristiche, e una buona metà è già stata occupata dai Coloni.
«Eppure, nessuno dei pianeti abitabili finora scoperti possiede l’enorme varietà
e ricchezza di forme di vita della Terra. Al massimo ospitano organismi vermiformi o specie di insetti invertebrati, e per quel che riguarda la flora, le forme più progredite sono macchie di felci. Di esseri intelligenti o in possesso di una intelligenza rudimentale, neppure l’ombra.»
Ascoltando quelle frasi a raffica, Amadiro, pensò: “Parla come un registratore. Ha imparato tutto a memoria...” Agitandosi dietro la scrivania, disse: «Dottor Mandamus, non sono un planetologo, però vi garantisco che non mi state dicendo nulla che non sappia già.»
«Dottor Amadiro, sto partendo dall’inizio... Secondo gli astronomi, disponiamo di un campionario esauriente dei pianeti abitabili della Galassia, e tutti questi pianeti sono molto diversi dalla Terra. Per qualche ragione, la Terra è un pianeta sorprendentemente insolito. Su di essa, l’evoluzione ha seguito un ritmo rapidissimo e abnorme.»
Amadiro intervenne. «Di solito si sostiene che se nella Galassia ci fosse un’altra specie intelligente evoluta quanto noi, questa specie ormai si sarebbe accorta della nostra espansione e in qualche modo ci avrebbe informato della sua esistenza.»
«Esatto, signore. Anzi, se nella Galassia ci fosse una specie intelligente più progredita di noi, noi per prima cosa non avremmo potuto espanderci come abbiamo fatto. Sembra ormai assodato che la nostra sia l’unica specie della Galassia capace di viaggiare nell’iperspazio. E anche se manca la certezza matematica, si può affermare che con buone probabilità la nostra è l’unica specie intelligente.»
Amadiro stava ascoltando con un sorrisetto di sopportazione. Quel giovanotto mostrava un chiaro atteggiamento pedante, quasi monomaniaco, nello snocciolare quella sfilza di teorie.
Aveva tutta l’aria di essere davvero un pazzoide, e in Amadiro cominciava a svanire la lieve speranza che Mandamus disponesse dei mezzi per rovesciare il corso della storia.
«Continuate a dirmi fatti risaputi, dottor Mandamus. Tutti sanno che la Terra presenta caratteristiche uniche, e che probabilmente siamo l’unica specie intelligente della Galassia.»
«Però nessuno sembra porsi una domanda elementare: Perché? I Terrestri e i Coloni non se la pongono. Accettano il fatto compiuto. Hanno un atteggiamento mistico verso la Terra e la considerano un mondo sacro, e cosi la natura insolita del pianeta è data per scontata. Nemmeno noi Spaziali ci domandiamo il perché. Anzi, ignoriamo l’interrogativo. Facciamo del nostro meglio per non pensare alla Terra, per evitare di pensare che discendiamo dai Terrestri.»
«Mi pare una domanda poco illuminante,» replicò Amadiro. «Non c’è bisogno di cercare risposte particolarmente complesse a questo perché. I processi casuali recitano un ruolo importante nell’evoluzione e, in un certo senso, in tutte le cose. Se esistono milioni di mondi abitabili, l’evoluzione può seguire ritmi diversi su ognuno di essi. Sulla maggior parte seguirà valori intermedi, su alcuni avremo valori lenti, su altri valori veloci. Forse su un pianeta il ritmo evolutivo potrà essere
lentissimo, e su un altro potrà essere rapidissimo. Per caso, la Terra è quell’unico pianeta dal ritmo evolutivo rapidissimo, e noi siamo qui proprio per questo motivo. E se ci domandiamo il perché, be’, la risposta ovvia e sufficiente è: “Perché così ha voluto il caso.»
Amadiro attese che Mandamus scoprisse la propria pazzia con un’esplosione di rabbia, dal momento che aveva appena demolito la sua tesi in modo logico e con aria divertita.
Invece, Mandamus lo fissò alcuni istanti, poi sottovoce disse: «No.» Una brevissima pausa d’effetto, e riprese. «Non bastano un paio di coincidenze fortuite ad accelerare l’evoluzione in maniera così impressionante. Su tutti i pianeti, tranne la Terra, la velocità evolutiva è collegata al flusso di radiazioni cosmiche che investono il pianeta. Il caso non c’entra... quella velocità dipende dalle radiazioni cosmiche che producono mutazioni graduali. Sulla Terra, qualcosa produce molte più mutazioni di quelle riscontrate sugli altri pianeti abitabili, e in questo caso i raggi cosmici non c’entrano, dal momento che colpiscono la Terra in percentuale del tutto normale. Forse adesso riuscite a cogliere l’importanza del perché.»
«D’accordo, dottor Mandamus, visto che sto ascoltando con una pazienza che non sospettavo nemmeno di possedere, rispondete all’interrogativo che continuate a porre. O avete solo la domanda, e vi manca la risposta?»
«No, io ho una risposta,» disse Mandamus. «E dipende da un’altra particolarità unica della Terra.»
«Lasciatemi indovinare,» lo interruppe Amadiro. «Vi riferite al suo grande satellite. Dottor Mandamus, immagino non vorrete assumere la paternità di questa scoperta...»
«Certo che no,» ribatté Mandamus impettito. «Comunque, i grandi satelliti sono piuttosto comuni. Il nostro sistema planetario ne ha cinque, quello della Terra ne ha sette, e così via. Però tutti i grandi satelliti conosciuti, tranne uno, girano attorno a giganti gassosi. Solo il satellite della Terra, la Luna, orbita attorno ad un pianeta di modeste dimensioni.»
«Mi permettete di usare un’altra volta la parola caso, dottor Mandamus?»
«Si, questo forse è un caso... ma ciò non toglie che la Luna sia unica nel suo genere.»
«D’accordo. Ma quale rapporto può esserci tra il satellite e la ricchezza evolutiva della Terra?»
«Non si tratta di qualcosa di lampante, anzi potrà sembrare poco probabile. . però è molto più improbabile che due esempi così insoliti di unicità in un pianeta non abbiano alcun collegamento. Io l’ho trovato.»
«Davvero?» fece Amadiro guardingo. Ecco, tra poco avrebbe avuto la dimostrazione di trovarsi di fronte ad uno squilibrato. Distrattamente, controllò l’ora. Nonostante fosse curioso, non aveva più tanto tempo da perdere.
«La Luna,» disse Mandamus «si sta allontanando lentamente dalla Terra a causa del suo stesso effetto attrattivo sulla Terra. Le grandi maree della Terra sono una conseguenza unica dell’esistenza di questo grande satellite. Anche il sole della Terra provoca maree, però con una forza pari a un terzo di quelle lunari... proprio
come il nostro sole produce piccole maree su Aurora.
«Dal momento che la Luna si allontana per il suo effetto attrattivo, all’inizio della storia di quel sistema planetario era molto più vicina alla Terra. E minore era la distanza, maggiori erano le maree. Queste maree hanno avuto sulla Terra due importanti effetti... hanno piegato continuamente la crosta terrestre via via che il pianeta ruotava, e hanno rallentato la rotazione tramite l’azione combinata della flessione di crosta e dell’attrito delle acque oceaniche sui fondali... e in questo modo l’energia rotazionale si è trasformata in calore.
«Pertanto, la Terra ha una crosta più sottile di qualsiasi altro pianeta abitabile, ed è l’unico pianeta abitabile che possieda attività vulcanica e un sistema attivo di placche tettoniche.»
«Tutto questo non può aver alcun rapporto con l’abbondanza di forme di vita della Terra,» disse Amadiro. «Dottor Mandamus, venite al sodo oppure andatevene.»
«Ancora un attimo di pazienza, dottor Amadiro. È importante capire il punto centrale della questione, quando ci arriveremo. Con un computer ho simulato attentamente lo sviluppo chimico della crosta terrestre, tenendo conto dell’effetto delle maree e dei movimenti tettonici... cosa che nessuno finora aveva fatto con la mia accuratezza, se mi è consentita l’immodestia.»
«Oh, prego, prego,» mormorò Amadiro.
«E risulta chiaramente… vi mostrerò tutti i dati necessari se volete... risulta che l’uranio e il torio si depositano nella crosta terrestre in concentrazioni altissime rispetto agli altri pianeti abitabili. Inoltre, si depositano in modo irregolare, così in alcuni punti della Terra vi sono sacche dove il torio e l’uranio sono ancor più concentrati.»
«E dove la radioattività è pericolosamente alta, dunque?»
«No, dottor Amadiro. L’uranio e il torio hanno una radioattività molto debole, ed anche dove si incontra una concentrazione relativa non si tratta mai di una concentrazione assoluta. E tutto questo, come vi ripeto, è dovuto alla presenza di un grosso satellite.»
«Allora la radioattività, pur non essendo abbastanza intensa da risultare pericolosa per le forme di vita, è sufficiente a incrementare il ritmo mutazionale. È così, dottor Mandamus?»
«Esatto. Il che significa fenomeni di estinzione più rapidi occasionalmente, ma anche uno sviluppo più rapido di nuove specie... e come conseguenza finale, una varietà enorme di forme di vita, che solo sulla Terra è sfociata nella nascita di una specie intelligente e di una civiltà.»
Amadiro annuì. Quel giovanotto non era un pazzo. Forse aveva torto, però non era uno squilibrato... E poteva anche avere ragione.
Amadiro non era un planetologo, quindi avrebbe dovuto consultare dei testi per accertarsi che Mandamus non avesse scoperto fatti già noti, come capitava a volte a chi si lasciava trasportare troppo dall’entusiasmo. Comunque, c’era un particolare più importante da verificare immediatamente.
Sottovoce, disse: «Avete parlato della possibile distruzione della Terra... C’è
qualche collegamento tra questo fatto e le caratteristiche uniche del pianeta?»
«Caratteristiche uniche si prestano ad essere sfruttate in modo unico,» mormorò Mandamus.
«Nel nostro caso... in che modo?»
«Prima di discutere del metodo, dottor Amadiro, devo precisare che la realizzazione pratica della distruzione della Terra dipende da voi.»
«Da me?»
«Sì. Da voi. Altrimenti, perché sarei venuto a raccontarvi questa lunga storia? Volevo convincervi che parlavo con cognizione di causa per ottenere la vostra collaborazione... collaborazione essenziale al successo del mio piano.»
Amadiro respirò a fondo. «E se rifiutassi, c’è qualche altra persona che potrebbe aiutarvi?»
«Forse potrei rivolgermi altrove, se voi rifiutaste. Rifiutate?»
«Ma... non so... Mi sto chiedendo fino a che punto vi sono indispensabile…»
«Siete importante, sì... però sono io ad esservi indispensabile. Voi dovete collaborare con me.»
«Devo?»
«Gradirei la vostra collaborazione, se preferite questa espressione. Ma se volete che Aurora e gli Spaziali trionfino per sempre sulla Terra e i Coloni, allora dovete collaborare con me... anche se l’espressione non vi piace.»
«Ditemi di preciso cosa dovrei fare.»
«Innanzitutto rispondete a una mia domanda. È vero che in passato l’Istituto ha progettato e costruito dei robot umanoidi?»
«Si. Ne abbiamo costruiti cinquanta... quindici, venti decadi fa.»
«Ah, tanto tempo fa? E che fine hanno fatto?»
«Sono stati un fiasco,» rispose Amadiro indifferente.
Mandamus parve inorridito. «Li avete distrutti?»
«Distrutti?» ripeté Amadiro inarcando le sopracciglia. «Non si distruggono dei robot talmente costosi. Sono in un magazzino. Abbiamo tolto le batterie originali, sostituendole con speciali batterie a micro-fusione a lunga durata che forniscono energia sufficiente a mantenere attive al minimo le linee positroniche.»
«Allora è possibile riattivarli completamente?»
«Credo proprio di sì.»
La mano destra di Mandamus stava battendo con ritmo regolare sul bracciolo della poltroncina.
Con espressione truce, Mandamus disse: «In tal caso, possiamo vincere!»