CAPITOLO DECIMO DOPO IL DISCORSO
Ricordi!
Nella mente di Daneel la memoria era come un libro chiuso, pieno di un’infinità di particolari, sempre disponibile per una consultazione. Certe parti venivano consultate spesso per il loro contenuto informativo, alcune invece venivano rievocate solo perché Daneel desiderava assaporarne la trama. Si trattava, perlopiù, dei ricordi collegati ad Elijah Baley.
Molte decadi addietro, Daneel era giunto su Baleyworld mentre Elijah era ancora in vita. Lady Gladia lo aveva accompagnato, ma, mentre orbitavano attorno al pianeta, Bentley Baley era andato incontro a loro su una navetta ed era salito a bordo. Bentley era ormai un uomo di mezza età, scarno, rugoso...
Guardando Gladia con espressione leggermente ostile, disse: «Non potete vederlo, signora.»
E Gladia, in lacrime, replicò: «Perché?»
«Luì non vuole, signora, e io devo rispettare i suoi desideri.»
«Non posso credere che sia vero, signor Baley.»
«Ho un messaggio scritto e una sua registrazione, signora. Non so se siate in grado di riconoscere la sua calligrafia o la sua voce, ma vi do la mia parola che è tutto autentico e che si tratta di messaggi spontanei di mio padre, senza alcuna ingerenza esterna.»
Gladia si ritirò in cabina, dove lesse e ascoltò in solitudine. Quando uscì, aveva un’aria sconfitta, rassegnata, ma riuscì a dire con voce ferma: «Daneel, scenderai da solo e lo vedrai. Questa è la sua volontà. Però dovrai riferirmi ogni particolare del vostro incontro.»
«Sì, Lady Gladia.»
Daneel scese su Baleyworld a bordo della navetta di Bentley, e questi gli disse: «I robot non sono ammessi sul nostro mondo, Daneel, ma per te faremo un’eccezione perché così vuole mio padre e mio padre è rispettato da tutti, qui. Non ho nulla di personale contro di te, cerca di capire, ma la tua presenza sul pianeta non dovrà protrarsi oltre lo stretto necessario. Verrai accompagnato subito da mio padre, e quando avrete finito tornerai immediatamente in orbita. Chiaro?»
«Capisco, signore. Come sta vostro padre?»
«Sta morendo,» rispose Bentley, con brutalità forse voluta.
«Capisco,» annuì Daneel, con voce tremula... non perché provasse qualche sentimento particolare, ma perché la consapevolezza della morte di un essere umano, per quanto inevitabile, turbava le sue linee positroniche. «Ma quanto gli resta da vivere?»
«Dovrebbe essere già morto. È ancora vivo perché si rifiuta di morire finché non ti avrà visto.»
Atterrarono. Era un mondo vasto, ma la zona abitata era di modeste dimensioni, squallida. Era una giornata nuvolosa ed era piovuto di recente. Le strade erano
deserte, come se la scarsa popolazione esistente non fosse dell’umore più adatto per uscire allo scoperto e contemplare un robot.
Un veicolo da superficie li condusse ad una casa più grande e meglio costruita delle altre. Entrarono assieme. Davanti a una porta interna, Bentley si fermò.
«Mio padre è di là,» disse, triste. «Entrerai solo tu. Non vuole che sia presente anch’io. Su, entra... Può darsi che tu non lo riconosca.»
Daneel entrò in una stanza buia. Quando i suoi occhi si furono adattati all’oscurità, vide un corpo coperto da un lenzuolo all’interno di un bozzolo trasparente che emetteva un lieve luccichio. La luce nella stanza si ravvivò leggermente, e Daneel poté vedere il volto in modo chiaro.
Bentley aveva ragione. Quell’uomo non sembrava il vecchio compagno di Daneel. Era troppo magro, decrepito. Aveva gli occhi chiusi, e a Daneel parve di vedere un cadavere. Non aveva mai visto un essere umano morto, e quando quel pensiero lo colpì, Daneel vacillò ed ebbe l’impressione che le gambe non lo reggessero più.
Ma gli occhi del vecchio si aprirono, e Daneel riacquistò il proprio equilibrio, anche se continuava a sentirsi stranamente debole.
Quegli occhi lo guardarono, e un sorriso stanco curvò le pallide labbra screpolate del moribondo.
«Daneel. Vecchio amico mio... Daneel.» In quel sussurro si coglieva ancora il timbro noto della voce di Elijah Baley. Un braccio si alzò lentamente dal lenzuolo, e Daneel vinse gli ultimi dubbi.
«Compagno Elijah.»
«Grazie... grazie per essere venuto.»
«Era importante per me venire, Compagno Elijah.»
«Temevo che non te lo permettessero. Loro... gli altri... perfino mio figlio... ti considerano un robot.»
«Ma io sono un robot.»
«Per me, no, Daneel. Non sei cambiato, vero? Non ti vedo bene, però mi sembri identico a quello che ricordavo. Quand’è che ti ho visto l’ultima volta? Trentun anni fa?»
«Sì, Compagno Elijah, e in tutto questo tempo non sono cambiato... quindi, sono proprio un robot.»
«Io invece sono cambiato, e parecchio. Non avrei dovuto farmi vedere da te in queste condizioni, ma ero troppo debole per resistere alla tentazione di incontrarti ancora una volta.»
La voce di Elijah sembrava un po’ più ferma, quasi fosse stata rafforzata dalla presenza del robot.
«Sono contento di vederti, Compagno Elijah, nonostante tu sia cambiato.»
«E Lady Gladia? Come sta?»
«Sta bene. È venuta con me.»
«Non è...» Il tono di Elijah si fece allarmato, mentre i suoi occhi cercavano di guardarsi attorno
«No, non è scesa sul pianeta. È ancora in orbita. Le è stato spiegato che non
desideravi vederla, e lei ha capito.»
«Non è esatto. Io la vedrei molto volentieri, ma sono riuscito a vincere questa tentazione. Non è cambiata, vero?»
«Ha ancora l’aspetto che aveva nel vostro ultimo incontro.»
«Bene... Comunque, non volevo che mi vedesse così. Non potevo lasciarle questo brutto ricordo di me. Con te, è diverso.»
«Perché sono un robot, Compagno Elijah.»
«Oh, smettila di insistere su questo punto. Per me vali quanto un essere umano.»
Dopo alcuni istanti di silenzio, Elijah riprese: «In tutti questi anni non l’ho mai contattata, non le ho mai scritto... per non intromettermi nella sua vita. Gladia è ancora sposata con Gremionis?»
«Sì.»
«Ed è felice?»
«Non sono in grado di esprimere un giudizio. Dal suo comportamento, posso dedurre che non è infelice.»
«Figli?»
«I due consentiti.»
«Non si è arrabbiata perché non le ho fatto più avere mie notizie?»
«Credo che abbia capito il motivo del tuo silenzio, Compagno Elijah.»
«Non... non parla mai di me?»
«Quasi mai, ma secondo Giskard pensa spesso a te.»
«Come sta Giskard?»
«Opera in modo adeguato....nel modo che tu sai.»
«Dunque, sei al corrente..delle sue capacità?»
«Me ne ha parlato, Compagno Elijah.»
Dopo un’altra pausa, Elijah si mosse e disse: «Daneel, ti ho chiamato qui spinto dal desiderio egoistico di vederti, per accertarmi che non fossi cambiato, perché volevo essere sicuro che esistesse ancora qualcosa dei giorni più belli e gloriosi della mia vita, per essere sicuro che tu mi ricordassi ancora. Ma voglio anche dirti una cosa.
«Presto morirò, Daneel, e sapevo che la notizia sarebbe giunta fino a te... anche su Aurora. Sì, la mia morte farà scalpore nella Galassia... Chi lo avrebbe mai immaginato, eh?
«Certo, la notizia sarebbe giunta anche a Gladia, ma lei sa che devo morire, e per quanto possa essere triste, accetterà il fatto. Invece, temevo le ripercussioni della mia morte su di te dal momento che, come tu stesso continui a sostenere, sei un robot. Per il nostro legame passato, può darsi che tu ti senta in dovere di impedirmi di morire, ed essendo un’impresa irrealizzabile, è possibile che tu subisca degli effetti deleteri permanenti. Dunque, discutiamo un po’ del problema.»
La voce di Baley era sempre più fievole. Daneel sedeva immobile, ma il suo volto tradiva un’emozione visibile, un fenomeno, questo, senza precedenti. I suoi lineamenti erano tesi, ed esprimevano preoccupazione e dispiacere. Però Elijah
aveva gli occhi chiusi e non poteva vederlo.
«La mia morte, Daneel, non è importante. La morte di qualsiasi individuo non è importante. Chi muore lascia dietro di sé la propria opera, che non muore mai del tutto, che resta patrimonio dell’umanità. Capisci quello che sto dicendo?»
«Sì, Compagno Elijah.»
«II lavoro di ogni individuo è un contributo offerto a una totalità, e diventa parte imperitura di questa totalità. La totalità delle menti umane, passate e presenti e future, forma un mosaico esistente ormai da vari millenni, che diventa sempre più elaborato e ricco. Perfino gli Spaziali sono una derivazione del mosaico, e anche loro contribuiscono alla complessità e alla bellezza complessiva. La vita di un individuo non è altro che una minuscola piastrella del mosaico, quindi ben poca cosa rispetto alla totalità del quadro.
«Daneel, tu devi concentrarti unicamente sul mosaico preso nel suo insieme, senza badare alla perdita di una singola piastrella. Perché ci sono tante altre piastrelle, tutte preziose, tutte necessarie...» Baley si interruppe, ma Daneel attese paziente.
Infine Baley aprì gli occhi e, guardando il compagno, corrugò la fronte.
«Sei ancora qui? È ora che tu vada. Ti ho detto quello che mi premeva dirti.»
«Non voglio andare, Compagno Elijah.»
«Devi andare. Ormai non posso più tenere a bada la morte. Sono stanco... stanchissimo. Voglio morire, adesso. È la mia ora.»
«Non posso aspettare finché sei in vita?»
«No, non voglio. Se morissi in tua presenza, nonostante le mie parole, potresti subire delle ripercussioni dannose. Vai... È... è un ordine. Visto che insisti sul fatto di essere un robot, d’accordo... però devi obbedire ai miei ordini. Non puoi salvarmi la vita in nessun modo, quindi non puoi appellarti alla Seconda Legge. Vai!» Elijah Baley alzò un dito tremante. «Addio, amico Daneel.»
Daneel si girò lentamente, rispettando il volere di Baley con estrema difficoltà. «Addio, Compagno...» Tacque un istante, quindi, la voce leggermente roca, terminò: «Addio, Compagno Elijah.»
Bentley lo aspettava nell’altra stanza. «È ancora vivo?»
«Quando sono uscito, era vivo.»
Bentley entrò, tornando un attimo dopo. «Non lo è più. Ti ha visto, poi... ha ceduto.»
Daneel dovette appoggiarsi alla parete, e solo dopo un po’ riuscì a reggersi in piedi.
Bentley attese, gli occhi bassi, poi assieme raggiunsero la navetta e si portarono in orbita.
Anche Gladia chiese se Elijah fosse ancora vivo. Quando con delicatezza le risposero che era spirato, lei si chiuse nella propria cabina e pianse...
Daneel prosegui, quasi il vivido ricordo della morte di Elijah Baley non lo avesse distolto neppure un attimo dal discorso: «Si, dopo l’intervento pubblico di
Lady Gladia, può darsi che io adesso riesca a comprendere meglio il significato delle parole del Compagno Elijah.» .
«Come?»
«Non ne sono sicuro. È molto difficile pensare nella direzione in cui sto cercando di pensare.»
«Attenderò tutto il tempo necessario, amico Daneel.» disse Giskard
Genovus Pandaral era alto e non molto vecchio nonostante la folta capigliatura bianca che, unitamente ad un paio di soffici fedine candide, gli conferiva un’aria dignitosa e distinta. Il suo tipico aspetto da figura guida lo aveva aiutato a fare carriera, ma Genovus sapeva benissimo che la sua fibra interiore non era all’altezza dei suoi attributi fisici.
Una volta eletto nel Direttorio, l’esaltazione iniziale era durata ben poco. Genovus Pandaral si sentiva come un pesce fuor d’acqua, e di anno in anno, via via che saliva automaticamente di un gradino lungo la scala gerarchica, se ne rendeva conto sempre più chiaramente. Adesso era Direttore Anziano.
Direttore Anziano, proprio in quel periodo!
In passato, il compito di governare era stato ben poca cosa. All’epoca di Nephi Morler, otto decadi prima, nonostante Morler fosse sempre indicato ai giovani come il più grande Direttore mai esistito, governare il pianeta era un lavoro senza alcuna difficoltà. Cos’era allora Baleyworld? Un mondo striminzito, un insieme di fattorie sparse, qualche rara cittadina lungo le vie di comunicazione naturali. La popolazione non superava i cinque milioni di anime, i generi d’esportazione principali erano lana grezza e un po’ di titanio
Gli Spaziali li ignoravano del tutto, grazie all’influenza più o meno benevola di Han Fastolfe di Aurora, e la vita era semplice. La gente poteva sempre tornare sulla Terrá, quando desiderava un bagno di cultura e tecnologia, e dalla Terra arrivava un flusso costante di emigranti. La numerosissima popolazione terrestre era una fonte inesauribile.
Già, Morler non aveva dovuto sudare per essere un grande Direttore. A quei tempi, non c’era niente da fare!
E anche in futuro, governare sarebbe stato facile. Con il decadimento progressivo degli Spaziali (tutti gli scolari imparavano che gli Spaziali erano destinati a estinguersi per le contraddizioni della loro società... anche se a volte Pandaral non se ne sentiva affatto certo) e con il continuo aumento del numero e della forza dei Coloni, presto la vita sarebbe stata di nuovo sicura. I Coloni avrebbero vissuto in pace sviluppando al massimo la propria tecnologia.
Popolandosi, Baleyworld avrebbe assunto le dimensioni e le caratteristiche di una seconda Terra, come tutti gli altri mondi, e altri pianeti sarebbero stati colonizzati, sempre più numerosi, fino a formare un grande Impero Galattico. E Baleyworld, in qualità di mondo più antico e popoloso tra quelli dei Colonizzatori, avrebbe sicuramente occupato una posizione di primo piano in quell’impero sotto la guida perpetua e benevola della Madre Terra.
Ma Pandaral non era Direttore Anziano nel passato, e neppure nel futuro. Lui purtroppo viveva nel presente.
Han Fastolfe era morto, ma Kelden Amadiro era ancora vivo. Venti decadi addietro, Amadiro si era opposto al Progetto di Colonizzazione terrestre, e da un momento all’altro avrebbe potuto creare dei guai. Gli Spaziali erano ancora troppo forti per essere ignorati; i Coloni non erano ancora sufficientemente forti per avanzare con sicurezza, e in qualche modo dovevano tenere a bada gli Spaziali finché non avessero spostato l’equilibrio à proprio favore.
E il compito di non provocare gli Spaziali, mantenendo contemporaneamente nei Coloni un atteggiamento risoluto e ragionevole, ricadeva soprattutto sulle spalle di Pandaral, anche se lui avrebbe preferito il contrario.
Ora era mattina, una mattina fredda e grigia, con la solita neve, e Pandaral stava attraversando l’albergo tutto solo. Non aveva voluto alcun seguito.
Gli addetti alla sicurezza, dispiegati in modo massiccio, scattarono sull’attenti vedendolo passare, e lui li salutò stancamente con un cenno del capo. Quando il capitano delle guardie gli si fece incontro, Pandaral chiese: «Qualche problema, capitano?»
«Nessuno, Direttore. Tutto tranquillo.»
Pandaral annuì. «In che stanza è Baley?... Ah!... E la Spaziale e i suoi robot sono sempre sotto sorveglianza?... Ottimo.»
Proseguì. Nel complesso, D.G. aveva svolto un buon lavoro. Solaria, abbandonata, poteva essere sfruttata dai Mercanti come fonte inesauribile di robot, con enormi profitti... anche se il profitto in sé non era garanzia di sicurezza, rifletté Pandaral imbronciato. Comunque, era meglio lasciar perdere quel pianeta pieno di tranelli. Non valeva ancora la pena di rischiare una guerra. D.G. aveva preso la decisione giusta ripartendo subito.
Ed era pure stato tanto accorto da portare con sé l’intensificatore nucleare. Finora, i congegni di quel tipo erano talmente massicci da poter essere usati solo in enormi e costosissimi impianti destinati a distruggere le navi di un eventuale attacco invasore, e per il momento si trattava comunque di semplici progetti, mai realizzati per motivi di costo. Erano assolutamente necessarie delle versioni più piccole ed economiche, quindi D.G. aveva dimostrato tutto il proprio buon senso intuendo che quell’intensificatore solariano era più importante di tutti i robot che si trovavano sul pianeta abbandonato. Quell’intensificatore avrebbe aiutato enormemente gli scienziati baleyiani.
Ma se un mondo spaziale disponeva di un intensificatore portatile, forse anche gli altri mondi spaziali li avevano. Aurora, per esempio. Il segreto consisteva nel costruire quelle armi in scala ridotta, così da poterle installare a bordo delle navi da guerra... e in tal modo, una flotta spaziale avrebbe potuto annientare tranquillamente una quantità enorme di navi dei Coloni. A che punto erano gli Spaziali nello sviluppo di quell'arma? E Baleyworld sarebbe riuscito a precederli nella progettazione, sfruttando l’intensificatore solariano catturato da D.G.?
Giunto di fronte alla porta di D.G., Pandaral segnalò la propria presenza, poi entrò senza attendere una risposta affermativa e Si sedette. In fondo, la carica di
Direttore Anziano comportava anche qualche privilegio.
D.G. si affacciò dal bagno, strofinandosi la testa con un asciugamano e disse: «Avrei preferito accogliervi in modo migliore, Eccellenza, ma mi avete colto in un’occasione assai poco propizia, in quanto mi trovo nella posizione scarsamente dignitosa di chi è appena uscito dalla doccia.»
«Oh, smettetela,» scattò Pandaral stizzito.
Di solito apprezzava il brio e lo spirito di D.G., ma quella non era decisamente la giornata adatta. Sotto certi aspetti, Pandaral non capiva mai completamente quel tipo. D.G. era un Baley, un discendente diretto del grande Elijah e del fondatore, Bentley. Sarebbe stato un candidato ideale alla carica di Direttore, soprattutto dal momento che possedeva doti di simpatia e bonarietà che avevano presa immediata sul pubblico Invece aveva scelto la vita dura e pericolosa del Mercante. Un Mercante poteva diventare ricco, questo sì... ma il più delle volte quel lavoro gli costava la vita, o peggio ancora lo faceva invecchiare prematuramente.
Senza contare che D.G. doveva assentarsi da Baleyworld per mesi interi... una seccatura, perché Pandaral apprezzava i suoi consigli, e li preferiva a quelli dei suoi capi-dipartimento. Non sempre si riusciva a capire se D.G. parlasse o meno seriamente, comunque, a parte questo, valeva la pena di ascoltarlo.
Pandaral disse: «Non credo che il discorso di quella donna sia stato un evento positivo per noi.»
D.G. finendo di vestirsi scrollò le spalle. «Chi poteva prevederlo?»
«Voi! Immagino abbiate raccolto informazioni su di lei prima di decidere di portarla con voi.»
«Certo che le ho raccolte, Direttore. Quella donna ha trascorso più di tre decadi su Solaria. È là che si è formata, vivendo esclusivamente coi robot. Vedeva gli esseri umani solo in immagini olografiche, fatta eccezione per il marito, che la incontrava di rado. Quando si è trasferita su Aurora, per lei non è stato facile adattarsi, e anche su Aurora perlopiù viveva in mezzo ai robot. In ventitré decadi non ha mai dovuto affrontare gruppi numerosi di persone, figuriamoci quindi se doveva essere pronta a tener testa ad una platea di quattromila. Pensavo che al massimo sarebbe riuscita a balbettare qualche parola. Non potevo immaginare che fosse una trascinatrice di folle.»
«Quando l’avete capito, avreste potuto fermarla. Sedevate proprio vicino a lei.»
«Volevate scatenare una sommossa? Al pubblico piaceva. Eravate presente anche voi, no? Se l’avessi costretta a sedersi, la gente avrebbe assalito il palco. Del resto, Direttore, neppure voi avete cercato di fermarla.»
Pandaral si schiarì la voce. «A dire il vero, avevo pensato di farlo, ma ogni volta che mi voltavo vedevo il suo robot... non quello umanoide, l’altro... quello che ha proprio l’aspetto di un robot.»
«Giskard. Be’, e allora? Giskard è innocuo.»
«Lo so. Però, mi innervosiva, e chissà come riusciva sempre a dissuadermi.»
«Comunque, ormai è successo, Direttore.» D.G. aveva finito di vestirsi, e spinse il vassoio della colazione verso l’illustre ospite. «Il caffè è ancora caldo. Prendete pure le focaccine e la marmellata, se volete... Passerà, vedrete. Non credo
che la gente adesso traboccherà d’amore per gli Spaziali, mandando a monte la nostra politica. Anzi, può darsi che questo episodio si riveli utile. Se la notizia arriverà fino agli Spaziali, il partito di Fastolfe potrebbe avvantaggiarsi. Fastolfe è morto, il suo partito no... non del tutto, almeno, e noi dobbiamo incoraggiare la sua linea moderata.»
«Io sto pensando al Congresso Generale dei Coloni che si terrà tra cinque mesi,» disse Pandaral. «Dovrò ascoltare una quantità di commenti sarcastici sull’ammorbidimento di Baleyworld... Diranno che i Baleyiani sono diventati filoSpaziali.» E con espressione accigliata aggiunse: «Date retta a me, i nostri mondi più sono piccoli più sono pieni di falchi guerrafondai.»
«Bene, e voi allora rispondete a tono,» disse D.G. «Comportatevi da statista di ferro in pubblico, e quando prenderete gli altri in disparte guardateli negli occhi, non ufficialmente, e spiegate a tutti che su Baleyworld c’è libertà di espressione e che noi non intendiamo rinunciarvi. Dite a tutti che a Baleyworld stanno a cuore gli interessi della Terra, ma che se qualche mondo è ansioso di dimostrare il proprio attaccamento alla Terra dichiarando guerra agli Spaziali, Baleyworld si limiterà a stare a guardare e basta. Questo dovrebbe metterli a tacere.»
«Oh, no,» fece Pandaral allarmato. «Un commento del genere non rimarrebbe segreto a lungo. Si scatenerebbe subito un mare di guai.»
«Avete ragione... purtroppo,» convenne D.G. «Comunque, se non potete dire certe cose, almeno pensatele, e non lasciatevi influenzare da quel mucchio di senza cervello capaci solo di parlare a vanvera.»
Pandaral sospirò. «Immagino che in un modo o nell’altro ce la caveremo, però quello che è successo l’altra sera ha sconvolto i nostri piani. Avremmo potuto chiudere in bellezza, e invece...»
«Chiudere in bellezza?»
«Quando avete lasciato Aurora diretto su Solaria, anche due navi da guerra auroriane hanno fatto rotta sul pianeta,» spiegò Pandar . «Lo sapevate?»
«No, però me lo aspettavo. Proprio per questo mi sono preso la briga di andare su Solaria seguendo una rotta evasiva.»
«Una delle navi auroriane è atterrata su Solaria, a migliaia di chilometri da voi... quindi sembrerebbe che non vi stesse controllando. La seconda è rimasta in orbita.»
«Ottima mossa. Avrei fatto la stessa cosa, se avessi avuto a mia disposizione una seconda nave.»
«La nave auroriana atterrata è stata distrutta nel giro di poche ore. La nave in orbita ha fatto rapporto alla base, e ha ricevuto l’ordine di rientrare. Una stazione di controllo comunicazioni dei Mercanti ha intercettato il rapporto e lo ha passato a noi.»
«Non era in codice?»
«Certo che il rapporto era in codice, però si trattava di uno dei codici che siamo riusciti a decifrare.»
D.G. annuì meditabondo. «Molto interessante. Dunque, pare che non avessero con sé qualcuno in grado di parlare Solariano.»
«Evidente. A meno che qualcuno non scopra dove siano andati i Solariani, la vostra donna è l’unica Solariana disponibile nella Galassia.»
«E loro hanno lasciato che mi accompagnasse. Un brutto colpo per gli Auroriani.»
«In ogni caso, volevo annunciare la distruzione della nave di Aurora l’altra sera... in modo conciso, freddo, senza toni trionfalistici. Sarebbe stata comunque una notizia eccitante per tutti i Coloni... Nel senso che noi siamo riusciti ad andarcene sani e salvi, gli Auroriani no.»
«Noi avevamo una Solariana,» precisò D.G. asciutto. «Gli Auroriani, no.»
«Benissimo. Voi e la donna avreste fatto una splendida figura. Purtroppo, tutto in fumo. Dopo il discorso di Lady Gladia, qualsiasi avvenimento sarebbe passato in secondo piano, perfino la distruzione di una nave da guerra di Aurora.»
«Senza contare che per il pubblico sarebbe stato un controsenso applaudire per la morte di un paio di centinaia di Auroriani dopo aver accettato con entusiasmo quei bei discorsi di amore e fratellanza.»
«Già, è vero. Ciò non toglie che abbiamo perso l’occasione favorevole per mettere a segno un grossissimo colpo psicologico.»
D.G. corrugò la fronte. «Non preoccupatevi, Direttore. Potete sempre sfruttare questa mossa propagandistica in un’altra circostanza. Per ora, atteniamoci all’importanza dei fatti. Una nave auroriana è stata fatta saltare... il che significa che loro non si aspettavano l’uso di un intensificatore nucleare. L’altra nave ha ricevuto l’ordine di allontanarsi, per cui è probabile che non fosse equipaggiata per difendersi da quel tipo di arma... forse gli Spaziali non dispongono affatto di mezzi difensivi contro un intensificatore nucleare. Da questo, possiamo dedurre che l’intensificatore portatile, o semi-portatile, sia una conquista tecnologica esclusivamente solariana, non degli Spaziali in generale. Se fosse vero, per voi sarebbe una notizia fantastica. Dunque, per il momento lasciamo perdere le misere vittorie propagandistiche e cerchiamo invece di spremere dall’intensificatore il maggior numero di informazioni possibile. Puntiamo a sopravanzare gli spaziali in questo campo, o no?»
Pandaral sbocconcellò una focaccina, e disse: «Credo che abbiate ragione... Ma con l’altra notizia, come la mettiamo?»
«Quale altra notizia? Direttore, se volete che sostenga una conversazione intelligente dovete fornirmi tutti i dati. O preferite lanciarmeli a caso perché io li afferri al volo?» protestò
«Non siate arrogante, D.G. Mi piace parlare con voi proprio perché non devo essere tanto formale. Avete idea di come vadano le cose in una riunione del Direttorio? Volete la mia carica? Ve la cedo anche subito.»
«No, grazie. Non la voglio. Mi interessa l’altra notizia.»
«Abbiamo ricevuto un messaggio da Aurora. Un messaggio vero, capite? Si sono degnati di comunicare direttamente con noi, invece di usare la Terra come intermediaria.»
«Allora dovrebbe trattarsi di un messaggio importante per loro. Cosa vogliono?»
«Rivogliono la Solariana.»
«Ah, dunque sanno che la nostra nave è tornata intatta su Baleyworld. Già, hanno anche loro delle stazioni di controllo comunicazioni, e ci intercettano proprio come facciamo noi.»
«Questo si sa,» commentò Pandaral, seccato. «Noi decifriamo i loro codici, loro decifrano i nostri. Dovremo concludere un accordo per trasmissioni senza tanti cifrari, secondo me. Non cambierebbe nulla.»
«Per quale motivo rivogliono Lady Gladia? Lo hanno detto?»
«Certo che no. Gli Spaziali non danno spiegazioni, danno ordini.»
«Hanno scoperto quanto sia stato importante l’intervento di Lady Gladia? Dal momento che è l’unica persona capace di parlare Solariano, la rivogliono per liberare il pianeta dai robot supervisori?»
«Impossibile che lo abbiano scoperto, D.G. Abbiamo reso pubblica l’impresa di Lady Gladia solo ieri. Il messaggio di Aurora e arrivato prima della cerimonia. Comunque, il motivo per cui la vogliono non ha importanza. La domanda se mai è: Cosa facciamo? Se non la rispediamo su Aurora, c’è il rischio di provocare una crisi. Se gliela restituiamo, i Baleyiani non saranno contenti e il vecchio Bistervan farà il diavolo a quattro sbraitando che strisciamo come servi al minimo cenno degli Spaziali.»
Si fissarono, poi D.G. disse lentamente: «Dobbiamo riportarla a casa. Dopo tutto, si tratta di una Spaziale, una cittadina Auroriana. Non possiamo trattenerla contro il volere di Aurora, o metteremo a repentaglio la vita dei Mercanti che si spingeranno per affari in territorio spaziale. Comunque, sarò io a riportarla a casa, Direttore, quindi la colpa potete addossarla a me. Dite che mi hanno permesso di prenderla con me a condizione che la riportassi poi su Aurora... il che è vero, anche se non esiste alcun accordo scritto. Dite che sono un uomo d’onore, che ho voluto rispettare fino in fondo i patti. E non è escluso che possiamo ricavare dei vantaggi dalla situazione.»
«Come?»
«Devo pensarci bene. Però, Direttore, la mia nave dovrà essere risistemata a spese del governo. E i miei uomini vorranno una gratifica consistente. In fondo, Direttore, dovranno rinunciare alla loro licenza.»
Considerando che non avrebbe dovuto metter piede a bordo per almeno tre mesi, D.G. . sembrava di ottimo umore.
E considerando che aveva un alloggio più ampio e lussuoso di prima, Gladia sembrava piuttosto depressa.
«Perché tutti questi cambiamenti?» domandò a D.G.
«Guardate in bocca a caval-donato?» ribatté lui.
«Sto solo chiedendo. Perché?»
«Innanzitutto, siete un’eroina con la E maiuscola, e quando la nave è stata rimessa a nuovo, si è pensato bene di agghindare questo posto tutto per voi.»
«Agghindare?»
«Be’, ristrutturare, se preferite.»
«Ma questo spazio non è stato creato dal nulla. Qualcuno avrà dovuto sacrificarsi. Chi?»
«Era la sala ritrovo dell’equipaggio... ma vi giuro che gli uomini hanno insistito. Sapete, siete la loro beniamina. Anzi, Niss... vi ricordate di Niss?»
«Certo.»
«Bene, Niss vuole che lo assumiate al posto di Daneel. Dice che a Daneel non piace questo lavoro, che continua a scusarsi con le sue vittime. Dice che lui invece farà a pezzi chiunque osi infastidirvi, e senza chiedere scusa.»
Gladia sorrise. «Riferitegli che terrò presente la sua offerta, e che mi piacerebbe stringergli la mano la prossima volta che ci incontreremo. Forse non avrei dovuto rifiutare, l’altra volta.»
«Porterete i guanti quando gli darete la mano, spero.»
«Certo... anche se non so se sia davvero necessario. Da quando ho lasciato Aurora non ho avuto la minima indisposizione, neppure uno starnuto. Probabilmente, tutte quelle iniezioni hanno irrobustito il mio sistema immunitario.» Gladia si guardò di nuovo attorno. «Ci sono anche delle nicchie per Daneel e Giskard. Davvero premuroso, D.G.»
«Signora, ci sforziamo di accontentarvi, e ci fa piacere vedervi soddisfatta.»
«È strano,» disse Gladia perplessa. «Ma non sono del tutto soddisfatta. Credo che mi dispiaccia lasciare il vostro mondo.»
«Cosa? Freddo, neve, miseria, folle osannanti ovunque. Che attrattive può avere per voi Baleyworld?»
Gladia arrossì. «Non le folle osannanti.»
«Fingerò di credervi signora.»
«È vero! Si tratta di qualcos’altro. Io... io non ho mai fatto nulla di valido. Mi sono divertita in mine modi banali... ho provato la scultura luminosa, l’esodisegno dei robot. Ho fatto l’amore, e sono stata moglie e madre e... e in nessuna di queste cose mi sono mai distinta. Se all’improvviso fossi scomparsa, se non fossi mai nata, ecco, nessuno avrebbe notato la differenza... tranne forse un paio di amici intimi. Adesso, è diverso.»
«Sì?» Nella voce di D.G. era presente una sfumatura ironica.
«Sì! Adesso posso finalmente influenzare la gente. Posso scegliere una causa e battermi. Infatti ho una causa per cui battermi. Voglio impedire la guerra. Voglio un Universo popolato sia dagli Spaziali che dai Coloni. Voglio che ogni gruppo conservi le proprie particolarità, accettando però quelle dell’altro. Voglio impegnarmi con ogni mia energia, in modo tale che alla mia morte il mio lavoro sia servito a cambiare la storia, e che la gente dica: Se non fosse stato per lei, ora le cose non andrebbero così bene.»
Gladia si rivolse a D.G., il volto accalorato. «Provate a pensarci! Pensate alla differenza per me! Per più di due secoli sono stata una nullità, e adesso ho la possibilità di essere qualcuno, ho scoperto che una vita che credevo vuota contiene invece qualcosa, qualcosa di meraviglioso... ho scoperto di poter essere felice, quando mi ero ormai rassegnata all’infelicità!»
«Signora, non è necessario che rimaniate su Baleyworld per realizzare le vostre aspirazioni,» disse D.G. leggermente sconcertato.
«No, su Aurora non realizzerei nulla. Su Aurora sono solo un’emigrante solariana. Su un mondo dei Coloni invece sono una Spaziale... qualcosa di insolito.»
«Eppure, in diverse occasioni, avete affermato con notevole convinzione di volere tornare su Aurora.»
«Volevo tornare, qualche tempo fa... Adesso, non più, D.G.»
«E noi non avremmo nulla in contrario... solo che adesso è Aurora a volere il vostro ritorno. Ce lo hanno detto personalmente gli Auroriani.»
Gladia era visibilmente sorpresa. «Loro mi vogliono?»
«Sì, stando a un messaggio ufficiale del Presidente del Consiglio di Aurora. Vi terremmo con noi volentieri, ma il Direttorio ha deciso che non vale la pena di provocare una crisi interstellare. Io non sono del tutto d’accordo, ma purtroppo non sono così importante da imporre il mio punto di vista.»
Gladia corrugò la fronte. «Perché vogliono che ritorni? Nelle venti decadi passate su Aurora, in pratica sono sempre stata ignorata da tutti. Un momento! Credete che mi vogliano perché mi considerano l’unico mezzo per neutralizzare i robot supervisori su Solaria?»
«Ci avevo pensato, signora.»
«Non lo farò. Ho bloccato quel supervisore per miracolo, e probabilmente non riuscirei più a ripetermi. E poi, non è necessario che gli Auroriani atterrino sul pianeta. Possono distruggere i supervisori da lontano, adesso che conoscono le loro funzioni.»
«A dire il vero,» spiegò D.G. «il messaggio con la richiesta del vostro rimpatrio è stato inviato molto tempo prima che Aurora potesse aver saputo del vostro duello con il supervisore. Vi vorranno per un altro motivo.»
«Oh.» Gladia parve sorpresa, poi si infiammò di nuovo. «Non mi importa. Non voglio tornare. Qui ho un compito da svolgere, e intendo svolgerlo!»
D.G. si alzò. «Mi fa piacere sentirvelo dire, Lady Gladia. Speravo che reagiste così. Vi prometto che farò del mio meglio per portarvi con me quando lasceremo Aurora. Ora, però, devo andare su Aurora, e voi dovete seguirmi.»
Gladia osservò Baleyworld che rimpiccioliva, in preda ad emozioni diversissime dai sentimenti provati al suo arrivo. Era ancora lo stesso pianeta grigio, freddo, inospitale, però la sua gente era t viva, possedeva calore umano... era gente reale, concreta.
Solaria, Aurora, gli altri mondi spaziali che aveva visitato o visto in ipervisione, sembravano invece abitati da persone prive di spessore, inconsistenti, incorporee... gassose.
I pochi esseri umani che abitavano i mondi spaziali si espandevano fino a riempire i rispettivi pianeti come molecole di gas in un contenitore Sembrava quasi che gli Spaziali si respingessero a vicenda, divisi da un senso comune di
ripugnanza
Si, in effetti provavano ripugnanza per i loro simili, rifletté Gladia cupamente. Su Solaria l’avevano educata a tale repulsione... ma anche su Aurora, quando si era tuffata in una ossessiva sperimentazione sessuale, l’aspetto meno piacevole del sesso era stato appunto l’inevitabile vicinanza fisica.
Tranne... tranne che con Elijah Baley. Ma lui non era uno Spaziale.
Baleyworld era diverso. Probabilmente, tutti i mondi dei Coloni lo erano. I Coloni si raggruppavano strettamente, lasciando attorno a sé ampi tratti di territorio desolato proprio per stare a stretto contatto... Ampi tratti che restavano vuoti solo finché la popolazione, crescendo, non li occupava. I mondi dei Coloni erano mondi di raggruppamenti umani... mondi di sassi e macigni, non di entità gassose.
Perché succedeva? I robot, forse! Attenuavano la dipendenza tra gli individui. Riempivano gli interstizi. Erano l’isolante che minava l’attrazione naturale di una persona verso l’altra persona, e in tal modo l’intero sistema si spaccava, si frantumava in tante entità separate.
Doveva essere questa la spiegazione. Su Solaria, il pianeta con più robot, l’effetto isolante era cosi accentuato che le molecole gassose separate degli esseri umani erano diventate completamente inerti, in pratica non avevano alcun contatto, alcun rapporto reciproco. (Dov’erano andati i Solariani, si domandò ancora Gladia, e come stavano vivendo?)
E pure la longevità doveva essere una causa. Qualsiasi tipo di legame era destinato a inaridirsi, a guastarsi nel corso delle decadi. E se una persona cara moriva, come poteva, chi era ancora in vita, sopportare per decadi e decadi il dolore della perdita? Si imparava dunque a evitare gli affetti, ad appartarsi, a isolarsi.
Inoltre, gli esseri umani non longevi difficilmente conoscevano la noia esistenziale, non potevano stancarsi, non avevano il tempo di vivere tutte le esperienze affascinanti che la vita offriva. E il discorso restava aperto, proseguiva di generazione in generazione, in modo rapido.
Era trascorso pochissimo tempo da quando Gladia aveva detto a D.G. di non avere più nulla da fare, da provare, da pensare, di essere condannata a vivere nella noia. E mentre lo diceva, non aveva neppure sospettato l’esistenza di folle di persone, non aveva potuto immaginare che avrebbe parlato proprio ad una marea umana, che avrebbe colto la loro reazione, non in parole, ma a livello di vibrazioni... che si sarebbe fusa con loro, provando i loro stessi sentimenti, diventando parte di un unico enorme organismo.
Non solo si era trattato di una esperienza nuova... si era trattato di un’esperienza fino a poco tempo prima inimmaginabile per lei. Chissà quali altre cose ignorava del tutto, nonostante la sua longevità? Chissà quante altre esperienze non era in grado di pregustare, neppure fantasticando?
Sottovoce, Daneel disse: «Lady Gladia, credo che il capitano stia chiedendo il permesso di entrare.»
Gladia ebbe un sussulto. «Fallo entrare, allora.»
D.G. entrò, inarcando le sopracciglia. «Meno male. Cominciavo a dubitare di
non trovarvi qui.»
Lei sorrise. «In un certo senso, ero lontana. Ero immersa nei miei pensieri. Mi capita, a volte.»
«Siete fortunata. I miei pensieri non sono mai abbastanza profondi da permettermi di estraniarmi dalla realtà. Ebbene vi siete rassegnata a questa visita su Aurora, signora?»
«Non proprio. Tra l’altro, pensavo appunto che continuo a ignorare il perché siate partito anche voi. Sicuramente, non venite solo per accompagnarmi là a questo avrebbe potuto provvedere un mercantile qualsiasi.»
«Posso sedermi, signora?»
«Sì, certo. Non c’è bisogno che lo chiediate, capitano. E vorrei che la smetteste di trattarmi da aristocratica. È snervante. Se poi lo fate per ironizzare, per ricordarmi che sono una Spaziale, allora è più che snervante. Tutto sommato, preferirei che mi chiamaste semplicemente Gladia.»
«Sembrate ansiosa di rinnegare la vostra identità spaziale,» commentò D.G. e si sedette accavallando le gambe.
«Lasciamo perdere le distinzioni non essenziali.»
«Non essenziali? Ma se vivete il quadruplo di me...»
«Caso strano, la longevità mi è parsa uno spiacevole svantaggio per gli Spaziali. Quanto manca prima che raggiungiamo Aurora?»
«Niente azioni evasive, questa volta. Solo qualche giorno per allontanarci sufficientemente dal nostro sole e compiere un Balzo nell’iperspazio che ci porterà a pochi giorni di viaggio da Aurora... tutto qui.»
«È il motivo del vostro viaggio su Aurora, D.G.?»
«Semplice cortesia, potrei dire... in realtà, vorrei spiegare al vostro Presidente o a uno dei suoi segretari quel che è successo su Solaria, esattamente.»
«Non lo sanno già?»
«Per sommi capi, certo. Sono stati tanto gentili da intercettare le nostre comunicazioni, come avremmo fatto noi al posto loro. Comunque, può darsi che siano pervenuti a conclusioni errate, e in tal caso io vorrei correggerle.»
«Quali sarebbero le giuste conclusioni?»
«Come ben sapete, i robot supervisori di Solaria erano programmati in maniera tale da considerare esseri umani solo le persone capaci di parlare con accento solariano, come voi. Questo significa che consideravano non-umani non solo i Coloni, ma anche gli Spaziali non Solariani. Quindi, degli Auroriani che fossero atterrati su Solaria avrebbero ricevuto un trattamento identico.»
Gladia spalancò gli occhi. «È inconcepibile. I Solariani non possono avere programmato i robot supervisori perché trattassero gli Auroriani in modo ostile.»
«No? Hanno già distrutto una nave di Aurora. Lo sapevate?»
«Una nave di Aurora! No, non lo sapevo.»
«Vi garantisco che è accaduto. La nave è atterrata più o meno quando siamo scesi noi. Noi siamo ripartiti, loro no. Vedete, noi avevamo voi... loro no. Quindi si può dedurre che Aurora non può considerare automaticamente suoi alleati gli altri mondi spaziali. In una situazione di emergenza, ogni mondo spaziale baderà al
proprio interesse.»
Gladia scosse il capo decisa. «Non si può generalizzare partendo da un caso isolato. I Solariani avranno incontrato grosse difficoltà nel programmare i supervisori perché reagissero favorevolmente a cinquanta accenti e reagissero in modo ostile a decine di altri accenti. Sarà stato più semplice programmarli in base ad un unico accento. Tutto qui. I Solariani hanno immaginato che nessun mondo spaziale avrebbe toccato il loro pianeta, e hanno sbagliato i calcoli.»
«Sì, probabilmente i capi di Aurora faranno questo stesso ragionamento... dal momento che le deduzioni piacevoli sono preferibili a quelle spiacevoli. Io voglio solo assicurarmi che prendano in considerazione anche quella spiacevole, e che si sentano molto inquieti. Perdonate la mia presunzione, ma la persona più adatta a questa missione ero io, quindi sono partito»
Gladia provava una dolorosa scissione interiore. Non voleva essere una Spaziale... voleva essere un essere umano, e dimenticare quello che aveva appena definito distinzioni non essenziali. Eppure, visto che D.G. era ansioso di mettere Aurora in una posizione umiliante, ecco che lei si sentiva nuovamente una Spaziale.
Seccata disse: «Immagino che anche i mondi dei Coloni non vadano d’amore e d’accordo tra loro, vero? Non vale anche per loro la regola dell’ognuno per sé?»
D.G. scosse la testa. «Questa è una vostra impressione, e io stesso posso ammettere che certe volte i nostri mondi provano l’impulso di anteporre l’interesse del singolo al bene globale. Però noi abbiamo qualcosa che a voi Spaziali manca.»
«E cosa sarebbe? Una maggiore nobiltà d’animo?»
«Certo che no. Non siamo affatto più nobili degli Spaziali. Mi riferivo alla Terra. Già, noi abbiamo la Terra. È il nostro mondo. Ogni Colono la visita il più spesso possibile. Ogni Colono sa che c’è un mondo... un mondo sviluppato, progredito, con una storia incredibilmente ricca e un’incredibile varietà culturale e complessità ecologica... un mondo che è suo, che gli appartiene, e al quale lui appartiene. I mondi dei Coloni possono litigare tra loro, ma qualsiasi divergenza non porterà mai alla violenza o a una rottura permanente delle relazioni, perché automaticamente il Governo Terrestre interverrà e farà opera di mediazione, e le decisioni del Governo Terrestre non si discutono.
«Sono questi i nostri tre vantaggi, Lady Gladia: la mancanza di robot, che ci permette di costruire nuovi mondi con le nostre stesse mani; il rapido susseguirsi di generazioni che garantisce un cambiamento costante; e, soprattutto, la Terra, che rappresenta per noi una matrice unica, un nucleo aggregatore.»
«Ma anche gli Spaziali...» si affrettò a ribattere Gladia, lasciando però la frase in sospeso.
D.G. sorrise, con un velo di amarezza nell’espressione. «Stavate per dire che anche gli Spaziali discendono dai Terrestri, e che quello è anche il loro pianeta? In pratica è vero, ma psicologicamente è falso. Gli Spaziali hanno fatto di tutto per rinnegare le loro origini, non credono di avere alcun grado di parentela con i Terrestri. Se fossi un mistico, direi che staccandosi dalle loro radici gli Spaziali si sono condannati da soli, non sopravviveranno a lungo. Naturalmente, non sono un
mistico e quindi non pongo la questione in questi termini.. però sono ugualmente convinto che non sopravviveranno a ungo.»
Dopo una breve pausa, quasi si fosse reso conto di aver toccato un punto dolente per lei, D.G. aggiunse sforzandosi di apparire gentile: «Ma, per favore, Lady Gladia, consideratevi un essere umano invece che una Spaziale, e io farò altrettanto. L’umanità sopravviverà, rappresentata dai Coloni o dagli Spaziali, o da entrambi. Io credo che saranno i Coloni a rappresentarla, ma potrei sbagliarmi.»
«No, penso che abbiate ragione,» disse Gladia, cercando di mostrarsi fredda. «A meno che, in qualche modo, la gente non impari ad evitare distinzioni assurde del tipo Spaziale-Colono. È il mio obiettivo... aiutare la gente in questo.»
«Be’, adesso non voglio farvi saltare la cena,» disse D.G. controllando la fascetta oraria che risaltava fioca sulla parete. «Posso mangiare con voi?»
«Certo.»
D.G. si alzò. «Allora andrò a prendere la cena di persona. Manderei Daneel o Giskard, ma non voglio prendere il vizio di dare ordini ai robot. E poi, per quanto l’equipaggio vi adori, non credo che la loro venerazione arrivi fino ai vostri robot.»
Gladia non apprezzò particolarmente il pasto portato in cabina da D.G. Non riusciva ad abituarsi ai sapori poco raffinati del cibo, dovuti probabilmente alle esigenze di massa della cucina terrestre. Comunque, non si trattava nemmeno di alimenti immangiabili. Consumò il pasto flemmatica.
Notando il suo scarso entusiasmo, D.G. disse: «Questa roba non vi crea problemi allo stomaco, spero?»
Lei scosse la testa. «No. A quanto pare, mi sono adattata bene. Ho avuto qualche problema la prima volta che sono venuta a bordo, ma nulla di serio.»
«Mi fa piacere... Ma, Lady Gladia...»
«Si?»
«Avete idea del perché il Governo di Aurora possa aver sollecitato con tanta urgenza il vostro ritorno? Non può essere per l’eliminazione del robot supervisore, né per il vostro discorso. La richiesta ci è arrivata molto prima che Aurora potesse essere a conoscenza dei due fatti.»
«In questo caso, D.G. non possono volermi per alcun motivo,» rispose Gladia mesta. «Come vi ripeto, mi hanno sempre ignorata.»
«Ma un motivo deve esserci. La richiesta è stata inoltrata a nome del Presidente del Consiglio di Aurora.»
«Il Presidente in carica in questo periodo è ritenuto più che altro un fantoccio, un prestanome.»
«Oh? E chi c’è alle sue spalle? Kelden Amadiro?»
«Esatto. Ne avete sentito parlare, allora?»
«Si,» annuì truce D.G. «L’ispiratore, il fomentatore del fanatismo anti-terrestre. L’uomo che, pur annientato politicamente dal dottor Fastolfe venti decadi fa, è ancora qui a minacciarci. Questo è un esempio degli strascichi nefasti della longevità.»
«Be’, la situazione è sempre più sconcertante, allora. Amadiro è un tipo vendicativo. Sa che Elijah Baley è stato l’artefice della sconfitta di cui avete
appena parlato, e crede che la responsabilità sia stata in parte anche mia, e mi disprezza, mi detesta. Se il Presidente mi vuole, significa che è Amadiro a volermi su Aurora... ma per quale motivo Amadiro dovrebbe volere che torni? Senza dubbio, preferirebbe sbarazzarsi di me. Probabilmente mi ha spedito su Solaria con voi proprio per sbarazzarsi di me. Immagino contasse sulla distruzione della vostra nave, con me a bordo. La mia morte non lo avrebbe certo addolorato.»
«Non si sarebbe abbandonato ad un pianto dirotto, vero?» fece D.G. pensoso. «Ma sicuramente non vi avranno detto una cosa del genere. Nessuno vi avrà detto: Vai con quel pazzo di Mercante, cosi avremo il piacere di saperti morta.»
«No. Mi hanno detto che vi serviva assolutamente il mio aiuto, che in questa fase politica era bene collaborare con i Coloni, e che avrei reso un enorme servigio ad Aurora riferendo al mio ritorno l’andamento della spedizione su Solaria.»
«Si, un discorso del genere era prevedibile. E forse nelle loro parole c’era anche un fondo di verità. Poi, quando inaspettatamente la nostra nave è ripartita indenne e quella di Aurora è stata distrutta, può darsi che volessero da voi un rapporto diretto sull’accaduto. E visto che vi ho portata a Baleyworld invece che a casa, logico che sollecitassero a gran voce il vostro ritorno... Si, può darsi... Però ormai sanno l’intera storia, quindi forse voi non siete più di alcuna utilità.» (D.G. a questo punto stava praticamente parlando tra sé.) «Ma quello che sanno lo hanno scoperto dalle trasmissioni ipervisive di Baleyworld, e magari non si fidano al cento per cento. Eppure...»
«Eppure, cosa, D.G.?»
«Be’, l’istinto mi dice che la loro richiesta non si basa solo sul desiderio di sentire la vostra versione. Il tono del messaggio era troppo perentorio.»
«Non possono volere nient’altro, D.G. Proprio niente,» disse Gladia.
«Eppure... Chissà...?» insisté D.G.
«Anch’io ho dei dubbi,» disse quella notte Daneel, nella sua nicchia.
«A che proposito, amico Daneel?» chiese Giskard.
«Riguardo il vero significato del messaggio di Aurora con la richiesta del ritorno di Lady Gladia. Anche a me, come al capitano, il desiderio di un resoconto diretto non sembra un motivo sufficiente.»
«Qualche ipotesi, amico Daneel?»
«Un’idea, amico Giskard.»
«Posso esserne informato?»
«Chiedendo il ritorno di Lady Gladia, forse il Consiglio di Aurora mira ad altro. Forse non vuole veramente Lady Gladia.»
«E cosa otterrà con il ritorno di Lady Gladia il Consiglio Auroriano? Cosa otterrà oltre a Lady Gladia stessa?»
«Amico Giskard, sarebbe stato concepibile che Lady Gladia tornasse senza noi due?»
«No. Ma tu ed io di che utilità potremmo essere al Consiglio Auroriano?»
«Io, amico Giskard, non sarei assolutamente utile a loro. Tu, invece, sei unico,
in quanto sei in grado di cogliere direttamente le emozioni interiori della gente.»
«È vero, amico Daneel, però loro non lo sanno.»
«Forse, dopo la nostra partenza, in qualche modo lo hanno scoperto, e si sono pentiti amaramente di avere permesso che tu lasciassi Aurora.»
Giskard non ebbe alcuna esitazione. «No, è impossibile, amico Daneel. Come possono aver fatto questa scoperta?»
«Segui il mio ragionamento. Durante a tua passata visita sulla Terra con il dottor Fastolfe, tu hai modificato alcuni robot terrestri per fornirli di una limitata capacità mentale; un cambiamento minimo ma sufficiente a permettere a questi robot di continuare la tua opera e influenzare i funzionari della Terra perché incoraggiassero e sostenessero il processo di Colonizzazione. Questo, almeno, è quanto mi hai raccontato una volta. Dunque, sulla Terra ci sono robot capaci di agire sulle menti.
«Stando a quanto abbiamo ipotizzato di recente, l’Istituto di Robotica di Aurora ha inviato sulla Terra dei robot umanoidi. Non sappiamo quale sia la loro funzione, però il minimo che ci si possa aspettare da loro è che osservino gli eventi sulla Terra e poi riferiscano.
«Anche se non sono in grado di cogliere il contenuto emotivo delle menti, i robot umanoidi possono aver notato che qualche funzionario terrestre ha mutato di colpo atteggiamento riguardo la politica di Colonizzazione. Forse, dopo la nostra partenza da Aurora, qualche personaggio importante di Aurora... magari, lo stesso Amadiro... ha collegato i fatti e ha concluso che il fenomeno può essere spiegato solo dalla presenza sulla Terra di robot capaci di influenzare le menti, risalendo poi al dottor Fastolfe o a te.
«Può darsi, quindi, che i funzionari auroriani abbiano colto il vero significato di certi altri eventi, risalendo a te piuttosto che al dottor Fastolfe. Di conseguenza, è logico che vogliano assolutamente il tuo ritorno su Aurora. Ma non potendo formulare la richiesta in modo diretto, per non scoprirsi, ecco che, hanno preteso il ritorno di Lady Gladia... pretesa legittima... ben sapendo che tu l’avresti sicuramente seguita.»
Giskard rimase in silenzio per un minuto intero, poi disse: «Un ragionamento interessante, amico Daneel, che però non regge. I robot che ho programmato per incoraggiare la Colonizzazione hanno ultimato il loro compito più di diciotto decadi fa, e da allora sono rimasti inattivi, almeno per quel che riguarda l’influenzamento mentale. Inoltre, ormai da parecchio tempo la Terra ha escluso i robot dalla Città confinandoli nelle aree esterne non abitate.
«Per cui, i robot che secondo noi sono stati inviati sulla Terra non possono avere incontrato i robot da me modificati, né aver riscontrato alcuna attività di influenzamento mentale, poiché i miei robot non lo praticano più. Dunque è impossibile che la mia speciale capacità sia stata scoperta nel modo suggerito da te.»
«Non possono averla scoperta in qualche altro modo?» disse Daneel
«No,» fu la risposta decisa di Giskard.
«Eppure... non sono convinto...»