CAPITOLO NONO IL DISCORSO
Entrando nell’edificio, si tolsero le tute e le consegnarono a degli inservienti. Anche Daneel e Giskard si spogliarono, e gli inservienti riservarono occhiate arcigne al secondo, avvicinandosi con circospezione.
E Gladia sistemò nervosamente i filtri nasali. Non si era mai trovata di fronte a gruppi numerosi di esseri umani a vita breve... breve anche perché - come le avevano sempre raccontato nei loro corpi quegli esseri portavano infezioni croniche e orde di parassiti.
Mormorò: «Riavrò la mia tuta?»
«Indosserete solo la vostra tuta personale,» la tranquillizzò D.G. «Sarà tenuta al sicuro e in condizioni di sterilità.»
Lei si guardò intorno sospettosa. Aveva l’impressione che pure il contatto ottico potesse essere pericoloso, adesso. «E quelli chi sono?» chiese, indicando parecchie persone armate che indossavano indumenti dai colori vistosi.
«Guardie. Addetti alla sicurezza, signora,» rispose D.G.
«Perfino qui? In un edificio governativo?»
«Certo. E quando saremo sul palco, ci sarà lo schermo di un campo di forza a separarci dal pubblico.»
«Non vi fidate del vostro corpo legislativo?»
D.G. abbozzò un sorriso. «Non del tutto. Questo mondo è ancora un po’ grezzo. Rimangono delle imperfezioni da smussare, e non abbiamo i robot a vegliare su di noi. Senza contare, poi, che ci sono delle minoranze militanti, e che anche noi abbiamo i nostri falchi.»
«E cosa sarebbero?»
Ormai la maggior parte dei Baleyiani si erano tolti le tute e stavano servendosi da bere. Nell’aria, un brusio fitto di voci che conversavano, e occhi che si posavano perlopiù su Gladia, ma nessuno che le si accostasse e le rivolgesse la parola. Era chiaro che i presenti cercavano di tenersi a distanza.
D.G. notò gli sguardi di Gladia spostarsi in ogni direzione e li interpretò correttamente. «Sono stati avvisati,» spiegò. «Sanno che gradite un po’ di spazio attorno a voi. Credo che capiscano la vostra paura di contrarre infezioni.
«Spero che non si offendano.»
«Oh, può darsi che si offendano, però avete con voi qualcosa che è indubbiamente un robot, e gran parte dei Baleyiani vogliono evitare quel tipo di infezione. I falchi, soprattutto.»
«Non mi avete ancora detto cosa siano.»
«Lo farò, se ci sarà tempo. Voi ed io, e gli altri ospiti del palco, dovremo entrare in sala tra poco. Quasi tutti i Coloni pensano che un giorno la Galassia sarà loro, che gli Spaziali non possano partecipare con probabilità di successo alla corsa espansionistica. Sappiamo anche che sarà un disegno a lungo termine. Non lo vedremo realizzato. Nemmeno i nostri figli, forse. Può darsi che occorrano anche
mille anni, chissà? Bene, i falchi non vogliono aspettare. Vogliono sistemare subito la questione.»
«Vogliono la guerra?»
«Non lo dicono apertamente. E non si chiamano falchi. Siamo noi, dotati di un po’ di buon senso, a chiamarli così. Loro si definiscono Supremazisti terrestri. Dopo tutto, è difficile contestare persone che si dichiarano a favore della supremazia della Terra. Appoggiamo tutti questo obiettivo, ma la maggior parte di noi non pretende che ci si arrivi domani, né nell’attesa imbestialisce.»
«E questi falchi potrebbero attaccarmi? Fisicamente?»
D.G. le fece cenno di avanzare. «Penso sia ora di andare, signora. Ci stanno mettendo in fila... No, non credo che verrete aggredita, ma è sempre meglio essere cauti.»
Gladia esitò, mentre D.G. le indicava la posizione che doveva occupare nella fila. «No. Senza Daneel e Giskard, io non mi muovo, neppure per salire sul palco... soprattutto dopo quello che mi avete raccontato riguardo questi falchi guerrafondai.»
«Chiedete parecchio, signora.»
«Al contrario, D.G.! Non chiedo nulla. Riportatemi subito a casa, coi miei robot.»
Tesa, Gladia osservò D.G. avvicinarsi a un gruppetto di funzionari. Il Colono eseguì una specie di inchino incrociando gli avambracci all’ingiù sul ventre. Un gesto baleyiano che indicava rispetto, probabilmente, rifletté Gladia.
Non sentì cosa stesse dicendo D.G., ma involontariamente una scena cruenta prese forma nei suoi pensieri. Se avessero tentato di separarla dai robot opponendosi alla sua volontà, Daneel e Giskard sarebbero certamente intervenuti nei limiti del possibile per impedirlo. Si sarebbero mossi con troppa rapidità e precisione per nuocere a qualcuno... ma le guardie avrebbero usato subito le loro armi.
Doveva impedirlo ad ogni costo... fingere di separarsi dai robot di buon grado, e chiedere a Daneel e Giskard di restare ad aspettarla. Ma come poteva riuscirci? In vita sua non si era mai trovata senza qualche robot vicino. Come avrebbe potuto sentirsi sicura senza la loro protezione. Eppure il dilemma non offriva tante soluzioni.
D.G. tornò. «La vostra fama di eroina è un argomento molto convincente, Lady Gladia. E, naturalmente, io so essere persuasivo. I robot possono accompagnarvi. Siederanno dietro di voi sul palco, ma non verranno inquadrati dai riflettori, E, in nome dell’Antenato, non attirate l’attenzione su di loro, signora. Non dovete nemmeno guardarli.»
Gladia sospirò con sollievo. «Siete una brava persona, D.G.» disse con voce scossa. «Grazie.»
Prese posto verso la testa della fila, con D.G. alla sua sinistra, Daneel e Giskard alle spalle, e un codazzo numeroso di funzionari di ambo i sessi.
Una Colona che reggeva un bastone - un emblema della sua carica, apparentemente - dopo aver esaminato attenta la fila annuì, si riportò in testa e
s’incamminò. Tutti la seguirono.
Gladia sentì le note di una musica semplice e ripetitiva, un ritmo di marcia, risuonare in lontananza, e si chiese se il corteo dovesse per caso procedere in modo coreografico. (Le usanze variavano all’infinito e irrazionalmente da un mondo all’altro, rifletté.)
Guardando di sfuggita D.G. notò che il Mercante avanzava con aria indifferente e andatura pigra, dinoccolata. Arricciando le labbra in segno di disapprovazione, Gladia irrigidì la schiena, assumendo un portamento eretto, muovendosi ritmicamente. Visto che non aveva ricevuto istruzioni, avrebbe marciato come meglio credeva.
Sbucarono su un palco, mentre dal pavimento uscivano delle sedie finora nascoste. La fila si ruppe, ma D.G. strinse piano il braccio di Gladia, che lo lasciò fare. I due robot naturalmente la seguirono.
Gladia si fermò davanti alla sedia indicatale da D.G. La musica crebbe di intensità, ma le luci rimasero invece basse. Poi, dopo un’attesa che le parve interminabile, Gladia sentì la lieve pressione della mano di D.G. e si sedette, come tutti gli altri.
Di fronte a loro, il debole tremolio del campo di forza, e oltre quello schermo un pubblico di parecchie migliaia di persone. Non c’era un posto libero nell’anfiteatro che saliva con una ripida inclinazione. Tutti sfoggiavano colori spenti, indumenti marroni o neri per ambedue i sessi. Gli addetti alla sicurezza nelle corsie spiccavano per le loro divise verdi e cremisi. Erano immediatamente riconoscibili, ma quei colori vistosi li rendevano anche bersagli immediatamente individuabili, pensò Gladia.
Rivolgendosi a D.G. disse sottovoce: «Avete un apparato governativo enorme.»
Lui alzò le spalle. «Penso siano presenti tutti quanti, con ospiti e amici. Un tributo alla vostra popolarità, signora.»
Gladia spaziò un paio di volte con lo sguardo sull’anfiteatro, poi con la coda dell’occhio cercò di scorgere Daneel o Giskard .. tanto per accertarsi che ci fossero. Poi, in un moto di ribellione, pensò che non sarebbe successo nulla per una semplice occhiata, e girò il capo. Sì, i robot c’erano tutti e due. Vide anche che D.G. alzava gli occhi al cielo, esasperato.
Sussultò, quando un riflettore inquadrò una delle persone sul palco, mentre nel resto della sala la semioscurità si faceva ancor più fitta.
La figura illuminata si alzò e iniziò a parlare. La sua voce non era particolarmente sonora, ma le pareti la riflettevano producendo un lieve riverbero. Probabilmente arrivava in ogni angolo della sala.
Era amplificata da un impianto talmente ben dissimulato da risultare invisibile, o dipendeva dall’acustica dell’anfiteatro studiata alla perfezione? Gladia non lo sapeva, però continuò a porsi l’interrogativo perché in questo modo non doveva ascoltare, almeno per il momento, il discorso.
A un certo punto, da un angolo imprecisato della enorme sala, le giunse sussurrata la parola quaccheraio. Sì, probabilmente l’acustica era perfetta, altrimenti quel mormorio non sarebbe arrivato fino al palco. Era una parola priva di significato per
lei, ma a giudicare dalla risatina corale che risuonò tra il pubblico, doveva trattarsi di una volgarità. Il brusio cessò quasi subito, seguito da un silenzio assoluto.
Se l’acustica dell’anfiteatro era perfetta, il pubblico doveva rimanere in silenzio, o si sarebbe creata una confusione insopportabile. Quindi violare il silenzio equivaleva senza dubbio ad una grave, inammissibile trasgressione. Ma l’impulso di sussurrare quella parola, quaccheraio, era stato irresistibile, più forte della proibizione, probabilmente...
Gladia si rese conto di avere la mente annebbiata, le palpebre pesanti, e si drizzò con un piccolo scatto. Il popolo del pianeta stava cercando di renderle onore, e se si fosse addormentata durante la cerimonia lei avrebbe insultato i Baleyiani in modo gravissimo. Si sforzò di restare sveglia ascoltando, ma il discorso era decisamente soporifero. Allora provò a mordersi l’interno delle guance, a respirare a fondo.
Parlarono tre funzionari, senza dilungarsi oltre la soglia del dolore, poi Gladia si svegliò di colpo (si era appisolata davvero nonostante i suoi sforzi... con migliaia di sguardi su di lei?) quando il riflettore si spostò sulla sua destra e D.G. si alzò per prendere la parola.
Sembrava completamente a proprio agio, con i pollici infilati nella cintura.
«Uomini e donne di Baleyworld,» iniziò. «Funzionari, legislatori, onorevoli capi, compatrioti, avete sentito parte di quanto è avvenuto su Solaria. Sapete che la nostra missione ha avuto successo. Sapete che Lady Gladia di Aurora ha contribuito alla riuscita della missione. È giunto il momento di mostrare alcuni particolari a voi e a quelli che sono in ascolto in ipervisione.»
D.G. cominciò quindi a descrivere gli eventi, modificandoli leggermente, con grande divertimento di Gladia. Il Colono sorvolò sui maltrattamenti subiti per mano del robot umanoide: non fece alcun accenno a Giskard; il ruolo di Daneel fu minimizzato, quello di Gladia gonfiato ad arte. L’incidente si trasformò in un duello tra due donne, Gladia e Landaree. Il successo finale venne attribuito al coraggio e al senso di autorità di Gladia.
Terminando, D.G. disse: «Ed ora, Lady Gladia, Solariana di nascita, cittadina di Aurora, ma Baleyiana per meriti...» (Ci fu un applauso scrosciante, il più rumoroso che Gladia avesse sentito finora, dato che i primi oratori avevano ricevuto un’accoglienza piuttosto tiepida.)
D.G. alzò le mani, e subito tornò il silenzio. «...Lady Gladia vi parlerà personalmente.»
Il riflettore la inquadrò. Gladia si girò verso D.G. in preda ad un panico improvviso. Erano ricominciati gli applausi, anche D.G. stava battendo le mani. Approfittando del rumore, si chinò verso di lei e sussurrò: «Li amate tutti, volete la pace, e dal momento che non siete una che si occupa di politica non siete abituata a lunghi discorsi privi di contenuto. Basta che diciate queste cose... poi sedetevi.»
Gladia lo guardò confusa, troppo nervosa per sentire i suoi consigli.
Infine si alzò, e si ritrovò a fissare una marea umana.
* * *
Gladia si sentiva molto piccola (non per la prima volta in vita sua, a dire il vero) ora che l’attenzione del pubblico era concentrata su di lei. Gli uomini sul palco erano tutti più alti dell’ospite, e anche le tre donne presenti. Benché fossero ormai tutti seduti, Gladia aveva l’impressione che continuassero a sovrastarla fisicamente. E per quel che riguardava il pubblico in sala, che adesso attendeva in un silenzio quasi minaccioso, Gladia era certa che tutte quelle persone la superassero tanto in altezza quanto come mole.
Respirò a fondo e disse: «Amici...» ma le uscì quasi normale «Siete tutti discendenti dei Terrestri, dal primo all’ultimo. Anch’io discendo dai Terrestri. Sui mondi abitati, siano mondi spaziali o mondi dei Coloni, sia la Terra stessa, non esistono esseri umani che non siano Terrestri di nascita o di discendenza. Qualsiasi altra differenza scompare di fronte a questo fatto importantissimo.»
Diede una sbirciatina sulla sinistra, e vide che D.G. aveva abbozzato un sorriso e socchiuso una palpebra, quasi volesse strizzarle l’occhio.
Gladia proseguì. «Questo fatto dovrebbe guidarci in ogni pensiero e in ogni azione. Vi ringrazio per avermi considerato un essere umano come voi e per avermi accolto tra voi senza tener conto di qualsiasi altra classificazione con cui forse avreste potuto etichettarmi. Per questo motivo, e sperando che molto presto sedici miliardi di esseri umani vivendo in pace ed armonia possano considerarsi esseri umani e basta, io vi considero adesso non solo amici, ma anche fratelli e sorelle.»
Dalla sala echeggiò un applauso fragoroso, e Gladia socchiuse gli occhi provando un senso di sollievo. Rimase in piedi, lasciando che l’applauso continuasse, rassicurandola sul contenuto e la lunghezza del discorso. Quando i battimani accennarono a diminuire, Gladia sorrise, si inchinò a destra e a sinistra, e fece per sedersi.
E d’un tratto, una voce in sala chiese: «Perché non parlate in Solariano?»
Gladia si bloccò, guardando D.G. sorpresa.
Lui scosse leggermente la testa, e le fece segno di sedersi dicendo con un filo di voce: «Lasciate perdere.»
Gladia lo fissò per un paio di secondi, poi si rese conto di trovarsi in una posa non troppo aggraziata, con il posteriore che sporgeva all’indietro verso la sedia. Drizzandosi di scatto, rivolse un sorriso smagliante al pubblico, spostando lo sguardo lentamente da un’estremità all’altra dell’anfiteatro. Per la prima volta notò delle apparecchiature munite di obiettivi luccicanti puntati su di lei.
Certo! D.G. le aveva detto che la cerimonia sarebbe stata trasmessa via ipervisione. Non che la cosa avesse importanza, adesso. Aveva parlato e l’avevano applaudita, e stava affrontando il pubblico presente in carne ed ossa senza il minimo nervosismo, eretta. Dunque, il fatto che ci fosse anche un pubblico di telespettatori che lei non poteva vedere la lasciava del tutto indifferente.
Sorridendo, disse: «La considero una domanda amichevole. Volete che vi mostri le mie capacità. Quanti di voi desiderano che parli in Solariano? Non temete. Alzate la mano destra.»
Alcune braccia si alzarono in sala.
«Su Solaria, il robot umanoide mi ha sentito parlare in Solariano. È stato questo che mi ha permesso di batterlo. Su, vediamo allora chi gradirebbe una mia dimostrazione.»
Altre braccia si alzarono, e alcuni istanti dopo la platea era una selva di mani sollevate. Gladia sentì un lieve strattone ai calzoni, ma si liberò con un gesto rapido.
«Benissimo. Abbassate pure le mani. In questo momento sto parlando in Galattico Standard, che è anche la vostra lingua. Ma io parlo da Auroriana, e so che tutti mi capite sebbene pronunci le parole in modo probabilmente strano e usi occasionalmente alcune espressioni forse un po’ sconcertanti per voi. Avrete rilevato che il mio modo di parlare ha un andamento musicale, che sale e scende... quasi stessi cantando. Tutti lo trovano ridicolo, perfino gli Spaziali che non siano nati su Aurora.
«Del resto, se passo al linguaggio solariano, come sto facendo in questo preciso istante, vi accorgerete subito che la cantilena di note cessa trasformandosi in una parlata gutturale zeppa di r prrronunciate e arrrotate anche nelle parrrole senza alcuna errrre.»
Al coro di risate proveniente dalla sala, Gladia rimase seria. Infine alzò le braccia e con un gesto perentorio ottenne il silenzio.
«Comunque, probabilmente non tornerò più su Solaria quindi non mi si presenterà più l’occasione di ricorrere all’accento solariano. E dal momento che il buon capitano Baley,» aggiunse Gladia, indicando il Colono con un cenno del capo e notando che aveva la fronte umida di sudore «non sa dirmi quando potrò tornare su Aurora, può darsi che debba abbandonare pure la pronuncia auroriana e convertirmi a quella di Baleyworld, che incomincerò ad imparare da questo stesso istante.»
Infilò i pollici in una cintura inesistente, tese il petto in fuori, abbassò il mento e sfoggiando il ghigno sicuro di D.G. disse, imitando un tono da baritono: «Uomini e donne di Baleyworld... funzionari, legislatori, onorevoli capi, compatrioti... e questo dovrebbe includere tutti, tranne forse i capi disonorevoli...»
Lo scoppio di risa questa volta fu più fragoroso e lungo, e Gladia si limitò a sorridere e ad aspettare tranquillamente. Dopo tutto, li stava persuadendo a ridere di se stessi. Quando tornò la calma, in Auroriano, proseguì dicendo: «Tutti i dialetti sono divertenti o strani per quelli non abituati a sentirli, e tendono a dividere gli stessi umani in gruppi separati e spesso vicendevolmente ostili. I dialetti, comunque, sono solo espressioni linguistiche superficiali. Io, voi, e tutti gli altri esseri umani di qualsiasi mondo, dovremmo invece dar retta al linguaggio del cuore, che non è spezzettato in mille suddivisioni. Basta ascoltarlo, per capire che si tratta di un linguaggio uguale per tutti noi.»
Gladia aveva terminato e stava per sedersi, quando una voce femminile le rivolse un’altra domanda.
«Quanti anni avete?»
A denti stretti, D.G. intervenne. «Sedetevi, Lady Gladia! Ignorate la domanda!»
Lei si girò. D.G. si era parzialmente sollevato dalla sedia. Gli altri che
occupavano il palco immersi nella semi-oscurità all’esterno del fascio del riflettore si erano sporti in avanti, tesi.
Gladia tornò a rivolgersi al pubblico in sala, e con voce squillante annunciò: «Le persone che si trovano qui sul palco vogliono che mi sieda. Anche voi volete che mi sieda?... Vedo che restate in silenzio... Quanti di voi vogliono che rimanga in piedi e risponda con sincerità alla domanda?»
Uno scroscio di applausi, e parecchie grida che la esortavano a rispondere.
«La voce del popolo! Mi dispiace, D.G., e anche per voialtri, signori, ma il pubblico mi ordina di parlare.»
Gladia alzò lo sguardo verso il riflettore, socchiudendo gli occhi e disse: «Non so chi controlli le luci... ma illuminate la sala e spegnete questo faro. Non m’importa se le immagini ipervisive risulteranno sfocate. L’importante è che il sonoro sia fedele che tutti possano sentirmi bene. Giusto?»
«Giusto!» fu la risposta corale. «Luci! Luci!»
I tecnici obbedirono.
«Ecco, così va meglio,» annuì Gladia. «Ora posso vedervi tutti, fratelli e sorelle di Baleyworld. E in modo particolare mi piacerebbe vedere la donna che ha fatto la domanda, quella che desidera sapere la mia età. Vorrei parlare direttamente... Non siate timida. Se avete avuto il coraggio di fare quella domanda, dovreste avere il coraggio di rivolgerla apertamente.»
Attese, e finalmente una donna si alzò in mezzo alla platea. Aveva i capelli scuri raccolti sulla nuca, una pelle abbronzata, e abiti marrone aderenti che mettevano in risalto la sua figura snella.
Con voce leggermente stridula la donna disse: «Non ho paura di alzarmi, né di rifare la domanda. Quanti anni avete?»
Gladia la fissò calmissima, e si rese conto che quel confronto le trasmetteva una certa eccitazione. (Com’era possibile? Nelle sue prime tre decadi di vita, le avevano insegnato a considerare la presenza concreta di un essere umano come qualcosa di insopportabile. E adesso invece... eccola di fronte a migliaia di persone senza batter ciglio. Era un po’ meravigliata, e completamente soddisfatta.)
«Per favore, rimanga in piedi, signora. Parliamo... Come dobbiamo misurare l’età? In anni trascorsi dalla nascita?»
La donna, con compostezza, disse: «Mi chiamo Sindra Lambid. Sono un membro della legislatura, e quindi uno dei legislatori e dei capi onorevoli di cui ha parlato il capitano Baley... Mi auguro in ogni caso di essere onorevole.» (Altre risate in sala, mentre la cordialità del pubblico sembrava aumentare sempre di più.) «Per rispondere alla vostra domanda, credo che il numero di Anni Galattici Standard trascorsi dalla nascita sia la definizione comune dell’età di una persona. In base a questa definizione, lo ho cinquantaquattro anni. E voi? Perché non ci indicate semplicemente una cifra?»
«D’accordo. Dalla mia nascita, sono trascorsi 235 Anni Galattici Standard, per cui ho ventitré decadi e mezzo, più del quadruplo della vostra età.» Gladia restò ben dritta. Sapeva che la sua figura minuta e la luce diffusa in quel momento la facevano sembrare straordinariamente infantile.
Dal pubblico si levò un brusio confuso, dalla sua sinistra provenne invece una specie di gemito. Una rapida occhiata in quella direzione, e vide che D.G. si era portato una mano alla fronte.
«Però questo sistema di misurazione del tempo mi pare passivo. Misura la quantità senza tener conto della qualità. La mia vita è trascorsa tranquillamente, in modo opaco, monotono, potremmo dire... una routine prestabilita, al riparo da qualsiasi evento sgradevole grazie ad un sistema sociale dal funzionamento senza intoppi che non lasciava spazio né al cambiamento né all’esperienza diretta, e circondata dai miei robot sempre pronti a proteggermi da ogni possibile disavventura.
«Solo due volte nel corso della mia esistenza ho provato il brivido dell’eccitazione, e in entrambi i casi si è trattato di circostanze tragiche. Quando avevo trentadue anni, ed ero più giovane della maggior parte di coloro che in questo momento mi stanno ascoltando, per un breve periodo di tempo mi sono ritrovata sul capo un’accusa di omicidio. Due anni dopo, per un altro breve periodo, mi sono ritrovata coinvolta in un altro omicidio. In entrambe le occasioni, l’investigatore Elijah Baley era al mio fianco. Immagino che tutti voi, o quasi tutti, siate al corrente di questi fatti per mezzo della versione scritta dal figlio di Elijah Baley.
«Ora dovrei aggiungere una terza occasione perché in quest’ultimo mese ho vissuto attimi eccitanti che hanno raggiunto l’apice quando mi è stato chiesto di presentarmi a questo pubblico numerosissimo, qualcosa di completamente diverso da tutte le esperienze accumulate nel corso della mia lunga vita. E devo ammettere che questo è stato possibile solo per merito della vostra bontà e della vostra favorevole accoglienza.
«Prendete le vostre vite, ora, e confrontatele con la mia. Siete pionieri e vivete su un mondo nuovo in costante crescita, un mondo tutt’altro che colonizzato in modo definitivo e sul quale ogni giornata deve essere una vera e propria avventura. Il clima stesso è un’avventura, qui... prima il caldo, poi il freddo, poi nuovamente il caldo... un clima ricco di venti e di tempeste e di cambiamenti improvvisi. Qui è impossibile starsene comodamente seduti lasciando che il tempo scorra pigro, senza alcun mutamento apprezzabile.
«Molti Baleyiani sono Mercanti, o possono diventarlo, e possono quindi trascorrere buona parte della loro esistenza battendo le rotte spaziali. E se un giorno questo mondo sarà finalmente addomesticato, i suoi abitanti saranno liberi di trasferirsi su un altro pianeta meno sviluppato o di unirsi a una spedizione alla ricerca di un mondò ancora primitivo e inesplorato da trasformare in un ambiente adatto agli esseri umani.
«Misurando la lunghezza della vita in base alle imprese, alle avventure, alle azioni costruttive, io sono una bambina, più giovane di qualsiasi Colono. Tutti i miei anni sono serviti solo a stancarmi, ad annoiarmi. Le vostre brevi esistenze invece sono fonte di arricchimento, di esperienze sempre nuove. Allora, ditemi, signora Lambid, qual è la vostra età?»
La donna sorrise. «Cinquantaquattro anni spesi bene, Lady Gladia.»
Si sedette e mentre echeggiavano altri applausi D.G. fece con voce rauca: «Gladia, chi vi ha insegnato ad affrontare così una marea di spettatori?»
«Nessuno. È la prima volta che ci provo,» sussurrò lei.
«Comunque, ritiratevi intanto che li avete in pugno. Il tipo che si sta alzando adesso è il capo dei nostri falchi. Meglio non affrontarlo. Dite che siete stanca e sedetevi. Ci occuperemo noi del vecchio Bistervan.»
«Ma io non sono stanca. E mi sto divertendo.»
L’uomo alzatosi in piedi sul lato destro della sala, vicino al palco, era alto, vigoroso, con folte sopracciglia bianche, capelli radi dello stesso colore, e indossava indumenti neri bordati di bianco sulle maniche e i calzoni.
Aveva una voce profonda, melodiosa. «Mi chiamo Tomas Bistervan,» esordì «ma molti mi chiamano semplicemente il Vecchio, probabilmente perché vorrebbero che lo fossi davvero e che mi decidessi a morire al più presto. Non so come rivolgermi a voi, perché a quanto pare non avete un cognome e non vi conosco abbastanza da usare il vostro nome. Se devo essere sincero, non ci tengo affatto a conoscervi bene.
«Così, avete aiutato una nave di Baleyworld sul vostro mondo, contro le trappole e le armi allestite dai vostri compatrioti, e noi vi stiamo ringraziando per il vostro contributo. In cambio, voi avete pronunciato un discorso pieno di pure assurdità a proposito di sentimenti di amicizia e fratellanza. Ipocrisia bell’e buona!
«Quando mai la vostra gente ha sentito qualche legame di amicizia o di consanguineità con noi? Certo, voi Spaziali discendete dai Terrestri. Non lo dimentichiamo. Né dimentichiamo però che voi lo avete dimenticato. Per oltre venti decadi gli Spaziali hanno controllato la Terra trattando i Terrestri alla stregua di animali odiosi, infetti, dalla vita spregevolmente breve. Ora che stiamo diventando forti, voi tendete la mano in segno di amicizia, ma quella mano è guantata, come le vostre mani, signora. Vi sforzate di non squadrarci con aria di superiorità, col naso all’insù, però in quel naso avete dei filtri. Ebbene, sbaglio?»
Gladia alzò le mani. «Può darsi che il pubblico in sala e soprattutto gli spettatori dell’ipervisione non si siano accorti che porto dei guanti. Non si notano, comunque ci sono. Non lo nego. E ho dei filtri nasali che bloccano la polvere e i microorganismi senza disturbare la respirazione. Inoltre, periodicamente, non tralascio di spruzzare sostanze disinfettanti in gola. E probabilmente mi lavo più del necessario, più di quanto non richiedano le semplici norme di pulizia personale. No, non nego nulla di tutto questo.
«Però questa è una mia imperfezione, non vostra. Il mio sistema immunitario non è così forte. Ho vissuto troppo comodamente, troppo protetta. Non è stata una scelta mia, comunque devo pagarne le conseguenze. Se foste al mio posto, cosa fareste? Voi in particolare, signor Bistervan, cosa fareste?»
L’espressione truce, Bistervan rispose: «Esattamente quello che fate voi, e lo considererei un segno di debolezza, capirei di non essere adatto ad una vita normale e di dover cedere il passo alle persone forti e adatte. Donna, non parlate di legami di sangue. Non esiste alcun legame tra noi. Voi appartenete alla razza che ci ha perseguitato e ha cercato di distruggerci quando era forte, e che adesso
consapevole della propria debolezza viene da noi a piagnucolare.»
Il pubblico si agitò in modo decisamente poco amichevole, ma Bistervan rimase impassibile, in atteggiamento di sfida.
Sottovoce, Gladia disse. «Ricordate il male che abbiamo fatto quando eravamo forti?»
«Non temete, ricordiamo tutto. Ci pensiamo ogni giorno.»
«Bene! Perché ora sapete cosa dovete evitare. Avete imparato quanto sia sbagliato che il forte opprima il debole. Dunque, ora che la situazione è capovolta, ora che voi siete forti, non opprimerete noi deboli.»
«Ah, certo! Bel discorso. Quando eravate forti ignoravate cosa fosse la moralità, ma adesso che siete deboli la predicate, la invocate.»
«Voi però sapevate cosa fosse la moralità quando eravate deboli, ed eravate allibiti di fronte al comportamento dei forti, e adesso che siete forti scordate la moralità. Sicuramente, è meglio che l’immorale apprenda la moralità nell’avversità, piuttosto che il morale la dimentichi nella prosperità.»
«Vi ripagheremo con la stessa vostra moneta,» sbottò Bistervan alzando il pugno chiuso.
«Dovreste trattarci come avreste voluto essere trattati,» ribatté Gladia allargando le braccia. «Dal momento che tutti hanno qualche ingiustizia passata da vendicare, in pratica, amico mio, voi state dicendo che è giusto che il forte opprima il debole. E, affermandolo, voi giustificate il comportamento passato degli Spaziali, quindi non dovreste lamentarvi di nulla. Sì, la nostra oppressione di un tempo era ingiusta, e sarebbe altrettanto ingiusta una vostra oppressione futura, ecco cosa intendo dire. Sfortunatamente, non possiamo cambiare il passato, però possiamo ancora decidere che futuro scegliere.»
Gladia s’interruppe e, visto che Bistervan non replicava immediatamente, chiese ad alta voce: «Quanti di voi vogliono una nuova Galassia, non una ripetizione continua della pessima Galassia del passato?»
Gli applausi scrosciarono, ma Bistervan drizzò di scatto le braccia e gridò: «Aspettate! Aspettate! Non siate sciocchi! Basta!»
Il pubblico si calmò e il vecchio falco disse: «Pensate che questa donna creda alle parole che sta dicendo? Pensate che gli Spaziali abbiano intenzioni amichevoli verso di noi? Credono ancora di essere forti, ci disprezzano ancora, e vogliono distruggerci... a meno che non li distruggiamo prima noi. Arriva questa donna e noi, come stupidi, l’accogliamo e la trattiamo con ogni riguardo. Be’, mettiamo alla prova quanto dice! Provate a chiedere il permesso di visitare un qualsiasi mondo spaziale, e vedrete cosa vi risponderanno. Provate a chiedere al capitano Baley, che rappresentando un intero pianeta potenzialmente pericoloso ha potuto atterrare su un loro mondo, come è stato trattato! Chiedetegli se è stato trattato come un fratello!
«Questa donna è ipocrita nonostante quanto afferma, anzi proprio per le sue parole, che sono la testimonianza diretta della sua falsità! Si lamenta di avere un sistema immunitario insufficiente, dice di doversi proteggere dal pericolo di infezioni... Certo, non lo fa perché crede che noi siamo individui contagiosi e
immondi; questo pensiero, immagino, non la sfiora nemmeno.
«Si lamenta della propria vita passiva, di una società troppo organizzata e di una miriade di robot troppo zelanti che la proteggono dalle disavventure e dagli incidenti spiacevoli. Chissà come odia una esistenza del genere!
«Ma qui cosa la minaccia? Che disavventure teme possano accaderle sul nostro pianeta? Eppure ha portato con sé due robot. L’abbiamo accolta in questa sala per renderle onore, e si è fatta scortare dai suoi robot... perfino in questa sala! Sono la sul palco con lei. Ora che tutte le luci sono accese, potete vederli. Uno è l’imitazione di un essere umano, é si chiama R. Daneel Olivaw. L’altro è sfacciatamente un robot, una macchina di metallo, e si chiama R. Giskard Reventlov. Salutateli, compatrioti di Baleyworld. Quelli sono i fratelli e le sorelle di questa donna!»
«Scacco matto!» grugnì D.G.
«Non ancora,» disse Gladia.
Il pubblico cominciò a sporgere il collo, quasi preso da un prurito collettivo, e la parola robot percorse la sala in un misto di brusii ed esclamazioni soffocate.
«Non c’è problema. Certo che potete vederli,» disse Gladia alzando la voce. «Daneel, Giskard... in piedi!»
I due robot si alzarono alle sue spalle.
«Avvicinatevi a me, mettetevi di lato, così tutti vi vedranno bene... mai che io sia cosi grande da impedire la visuale a qualcuno. Bene, ora amici di Baleyworld lasciatemi chiarire alcuni particolari. Questi due robot non sono venuti con me per assistermi. D’accordo, contribuiscono a governare la mia residenza su Aurora, assieme ad altri cinquantuno robot, ed io spesso preferisco ricorrere a loro per sbrigare varie cose, secondo la consuetudine del mondo sul quale vivo.
«I robot possiedono vari gradi di complessità, capacità e intelligenza, e questi due sono esemplari di altissimo livello. Daneel in particolare, a mio giudizio, ha un’intelligenza che si avvicina moltissimo a quella umana, in quei settori in cui è possibile un confronto.
«Ho portato solo Daneel e Giskard con me, ma non mi faccio servire in continuazione. Se vi interessa, mi vesto da sola, mi lavo da sola, mentre mangio non mi faccio imboccare, e per spostarmi cammino con le mie gambe.
«Li uso come protezione personale? No. Certo, loro mi proteggono, però proteggono in egual misura tutti coloro che avessero bisogno di protezione. Su Solaria, recentemente, Daneel ha fatto quanto era in suo potere per proteggere il capitano Baley ed era disposto a sacrificare la propria esistenza per proteggere me. Senza di lui, forse non saremmo riusciti a salvare la nave.
«E sicuramente io non ho bisogno di protezione su questo palco. Se non sbaglio, di fronte al palco c’è un campo di forza che costituisce uno schermo ampiamente sufficiente. Non è stato attivato dietro mia richiesta, però c’è, e fornisce tutta la protezione necessaria.
«Allora, perché sono qui con me i miei robot? Chi conosce la storia di Elijah Baley... che ha liberato la Terra dal dominio degli Spaziali, che ha dato l’avvio alla nuova politica di Colonizzazione, il padre dell’uomo che ha guidato la prima
spedizione umana su Baleyworld... chi conosce la storia di Elijah Baley, dicevo, sa che prima di conoscere me Elijah ha lavorato con Daneel. Ha lavorato con lui sulla Terra, su Solaria e su Aurora, nei tre importantissimi casi risolti. Per Daneel, Elijah Baley è sempre stato il Compagno Elijah. Non so se questo fatto appaia nella sua biografia, ma posso giurarvi che è vero. E pur se all’inizio, da buon Terrestre, Elijah Baley nutriva un senso di diffidenza verso Daneel, in seguito tra i due è nata una profonda amicizia. Quando Elijah stava morendo, qui su questo pianeta, oltre sedici decadi fa... quando questo mondo era solo un gruppo di case prefabbricate circondate da qualche orto... nei suoi ultimi istanti di vita, non c’era suo figlio con lui. E neppure io. Elijah Baley ha mandato a chiamare Daneel, e con la forza di volontà è rimasto in vita fino all’arrivo di Daneel... Sì, è la seconda visita di Daneel su questo pianeta. Io ero con lui, ma sono rimasta in orbita. Solo Daneel è sceso sulla superficie... solo Daneel ha ascoltato le ultime parole di Elijah Baley. Bene, questo fatto non significa nulla per voi?»
Gladia alzò leggermente la voce, agitando il pugno in aria «Devo proprio dirvelo? Non lo sapete già? Questo è il robot che Elijah Baley amava. Sì, lo amava! Anch’io volevo vedere Elijah prima che morisse, per dirgli addio... Ma Elijah voleva vedere invece Daneel... E questo al mio fianco è Daneel.»
«Quest’altro è Giskard, che ha conosciuto Elijah solo su Aurora, ma che è riuscito a salvargli la vita su quel pianeta. Senza questi due robot, Elijah Baley non avrebbe realizzato il suo progetto. La supremazia sarebbe ancora in mano ai mondi spaziali, i vostri mondi non esisterebbero e voi non sareste qui adesso. Io lo so. Voi lo sapete... E il signor Tomas Bistervan lo sa?
«Daneel e Giskard sono due nomi rispettati su questo mondo. Sono nomi usati comunemente dai discendenti di Elijah Baley. Io stessa sono giunta a bordo di una nave il cui capitano risponde al nome di Daneel Giskard Baley. Chissà quanti di voi si chiamano Daneel o Giskard? Ebbene, questi due robot sono gli esemplari originali da cui derivano i vostri nomi. È giusto allora che Tomas Bistervan li denunci così?»
Il mormorio del pubblico stava crescendo di intensità e Gladia alzò le braccia decisa. «Un attimo! Un attimo! Lasciatemi finire. Non vi ho detto il motivo per cui ho portato i robot.»
Il silenzio fu immediato.
«Questi due robot non hanno mai dimenticato Elijah Baley, come io non l’ho dimenticato. Le decadi trascorse non hanno intaccato quei ricordi. Quando mi accingevo a salire sulla nave del capitano Baley, quando ho capito che forse sarei venuta qui su Baleyworld, come potevo rifiutarmi di farmi accompagnare da Daneel e Giskard? Anche loro desideravano vedere il pianeta nato grazie all’opera di Elijah, il pianeta sul quale Elijah ha passato la sua vecchiaia ed è morto. Sì, sono robot, ma sono robot intelligenti, robot che hanno assistito Elijah con fedeltà e competenza. Non basta rispettare gli esseri umani... bisogna rispettare tutti gli esseri intelligenti.
«Così, li ho portati con me... Ho sbagliato?»
Un coro di No! risuonò in sala, e tutti balzarono in piedi applaudendo, urlando,
acclamando.
Gladia osservò la scena sorridendo, rendendosi conto di due cose. Primo, era bagnata di sudore. Secondo, provava una felicità mai provata finora.
Era come se avesse atteso quel momento per tutta la sua vita... il momento in cui scoprire di essere in grado di affrontare una folla e guidarla a proprio piacimento, dopo ventitré decadi, dopo essere cresciuta in isolamento.
Ascoltò la rumorosa reazione della gente, che continuava... incessante... incessante...
Solo parecchio tempo dopo... quanto?... Gladia riuscì a riprendersi.
Un frastuono interminabile, le guardie che l’attorniavano formando una barriera umana per permetterle di incunearsi tra la folla, la discesa lungo tunnel smisurati che sembravano calare sempre più in profondità nel terreno.
Ben presto prese contatto con D.G. e fu assalita dal dubbio che Daneel e Giskard non fossero più lì vicino. Avrebbe voluto chiedere di loro, ma attorno a lei c’erano solo persone anonime. In modo vago, rifletté che i robot non potevano essere lontani... perché si sarebbero opposti a un tentativo di separazione, e se qualcuno avesse provato ad allontanarli sarebbe scoppiato un tumulto, che lei avrebbe senz’altro sentito.
Quando finalmente raggiunse una stanza, Daneel e Giskard erano con lei. Gladia non sapeva esattamente dove fosse, comunque la stanza era abbastanza spaziosa e pulita. Niente di speciale rispetto alla sua residenza su Aurora, ma senz’altro lussuosa se paragonata alla cabina della nave.
«Qui sarete al sicuro, signora,» le disse uno degli addetti alla sicurezza congedandosi. «Se vi occorre qualcosa, chiamateci.»
E indicò un apparecchio sul tavolino accanto al letto.
Gladia lo fissò per un attimo, ma quando si girò per chiedere come fosse e come funzionasse, la guardia era già sparita.
“Oh, be’ mi arrangerò,” pensò. «Giskard,» disse stancamente «vedi di scoprire quale sia la porta del bagno e il funzionamento della doccia. Ho assolutamente bisogno di una doccia, adesso.»
Si sedette circospetta, temendo di macchiare la sedia col proprio sudore. Cominciava a sentirsi indolenzita per la rigidezza innaturale di quella posizione, quando Giskard tornò.
«Signora, la doccia è aperta e ho regolato la temperatura. C’è un materiale solido che credo sia sapone, e una specie di tessuto per asciugarsi di tipo primitivo... oltre a vari altri oggetti che potrebbero esservi utili.»
«Grazie, Giskard,» disse Gladia, rendendosi conto che, nonostante avesse da poco affermato che i robot come Giskard non svolgessero le mansioni più umili, aveva appena dato al robot un incarico di quel genere. Ma le circostanze variavano di volta in volta...
Non aveva mai apprezzato tanto una doccia in vita sua. Rimase sotto l’acqua più di quanto fosse necessario, e quando ebbe finito non si chiese nemmeno se gli
asciugamani fossero stati sterilizzati. Solo quando fu asciutta si ricordò di quella norma igienica, e ormai era troppo tardi.
Frugò tra gli oggetti preparati da Giskard, in cerca di talco, deodorante, pettine, dentifricio e asciugacapelli. Trovò più o meno tutto quanto le occorreva, tranne qualcosa che potesse assomigliare ad uno spazzolino, così dovette lavarsi i denti con un dito. Anche la spazzola per i capelli mancava. Prima di usare il pettine, lo strofinò col sapone, senza sentirsi comunque tranquilla. C’era anche un indumento che sembrava adatto per coricarsi... profumava di pulito, però le stava decisamente largo.
«Signora,» disse sottovoce Daneel, «il capitano Baley desidera sapere se potete riceverlo.»
«Credo di sì,» fece lei continuando a cercare un indumento da notte della sua taglia. «Fallo entrare.»