CAPITOLO SESTO L’EQUIPAGGIO
Gladia era sul suolo di Solaria. Fiutò la vegetazione... odori diversi da quelli di Aurora.. e di colpo superò un baratro di venti decadi.
Non c’era nulla che potesse rievocare il passato con la stessa intensità degli odori. Né i suoni né le vedute.
Ecco, quel profumo lieve, unico, la riportava all’infanzia... la libertà di correre, con una dozzina di robot che la sorvegliavano attenti... l’eccitazione provata nel vedere a volte altri bambini, nel fermarsi timida a guardare, nell’avvicinarsi con passo esitante, nel tendere la mano per toccare, finché non interveniva un robot che diceva: «Basta, Signorina Gladia,» e la conduceva via, mentre lei si voltava a osservare l’altro bambino circondato da una schiera di robot.
Ricordava il giorno in cui le avevano detto che d’ora innanzi avrebbe visto gli altri esseri umani solo tramite l’olovisione. Li avrebbe osservati... non visti, avevano precisato. I robot avevano pronunciato visti quasi fosse una parola vietata, sottovoce.
Gladia poteva vedere i robot, certo... ma loro non erano esseri umani.
All’inizio, non era stata un’esperienza malvagia. Le immagini con cui poteva parlare erano tridimensionali, si muovevano liberamente. Potevano parlare, correre, fare le capriole se volevano... ma non era possibile toccarle, tastarle. Poi le avevano detto che poteva realmente vedere qualcuno che spesso aveva osservato e che le era simpatico. Si trattava di un uomo adulto, molto più vecchio di lei, anche se come tutti i Solariani aveva un aspetto giovanile. Se Gladia lo desiderava, era libera di continuare a vederlo, ogni qual volta fosse stato necessario.
Gladia lo desiderava. Ricordava esattamente quel primo incontro... era senza parole, come lui... si erano girati attorno, timorosi di toccarsi... Ma bastava. Quello era il matrimonio?
Certo che lo era. Si erano incontrati di nuovo... vedendosi, non osservandosi, perché così voleva il matrimonio. Prima o poi si sarebbero toccati. Dovevano farlo.
Per Gladia era stato il giorno più eccitante della sua vita... finché non era arrivato, ed era successo.
Con rabbia, Gladia bloccò i propri pensieri. A che scopo andare avanti? Lei così calda e smaniosa, lui così freddo e distaccato. E aveva continuato ad essere freddo. Quando andava da lei, a intervalli stabiliti, per quei rituali che avrebbero potuto fecondarla, lo faceva con un’avversione tanto netta che Gladia ben presto aveva cominciato a sperare che il marito dimenticasse di presentarsi. Ma lui era un uomo ligio al dovere, ed era sempre puntuale.
Poi, dopo anni di costante infelicità, un giorno lo aveva trovato morto, col cranio fracassato, con tutti i sospetti che le gravavano addosso. Elijah Baley l’aveva salvata e Gladia aveva dovuto lasciare Solaria, mandata su Aurora.
Ora era tornata, e sentiva il profumo di Solaria.
Non c’era nient’altro di familiare. La casa in lontananza non assomigliava
minimamente a quella che ricordava in modo vago. In venti decadi era stata modificata, abbattuta, ricostruita. Nemmeno i terreni circostanti le trasmettevano alcunché di familiare.
Si ritrovò a tendere la mano dietro di sé per toccare la nave dei Coloni che l’aveva portata su quel mondo che aveva l’odore di casa sua ma che per il resto non era la sua casa... toccare la nave tanto per toccare qualcosa di relativamente familiáre al confronto.
Daneel, fermo accanto a lei all’ombra della nave, disse: «Vedete i robot, Lady Gladia?»
C’era un gruppo di robot a un centinaio di metri di distanza, tra gli alberi di un frutteto, che osservavano solenni, immobili, mentre il sole scintillava sulle loro lucide strutture metalliche grigiastre.
«Sì, li vedo, Daneel.»
«Hanno un che di familiare, signora?»
«Niente affatto. Sembrano nuovi modelli. Io non li ricordo, e sicuramente loro non possono ricordare me. Se D.G. si aspettava qualcosa di buono dalla mia presunta familiarità coi robot della mia proprietà di un tempo, be’, temo che resterà deluso.»
Giskard disse: «Pare non stiano facendo nulla, signora.»
«Comprensibile,» disse Gladia. «Noi siamo intrusi, e loro sono venuti ad osservarci per fare rapporto in base agli ordini vigenti. Ma non hanno nessuno a cui riferire, quindi possono solo osservare in silenzio. Senza altri ordini, immagino che si limiteranno a far questo, continuamente.»
Daneel intervenne dicendo: «Forse è meglio che ci ritiriamo nei nostri alloggi a bordo della nave, Lady Gladia. Il capitano, credo, sta dirigendo l’allestimento delle difese, e non è ancora pronto ad uscire in esplorazione. Ho l’impressione che sarà contrariato se saprà che avete abbandonato il vostro alloggio senza il suo permesso.»
Sprezzante, Gladia replicò: «Non intendo rinunciare a metter piede sulla superficie del mio mondo solo per soddisfare i capricci di D.G.»
«Capisco, però alcuni membri dell’equipaggio sono impegnati qui vicino, e credo abbiano notato la vostra presenza.»
«E si stanno anche avvicinando,» aggiunse Giskard. «Se volete evitare infezioni...»
«A questo sono preparata,» disse Gladia. «Filtri nasali e guanti.»
Gladia non capiva la natura delle strutture che i Coloni stavano erigendo sul terreno piatto attorno alla nave. Per la maggior parte gli uomini dell’equipaggio, assorti nella costruzione, non avevano visto Gladia e i suoi due compagni seminascosti dall’ombra. (Era la stagione calda in quel settore del pianeta, e la la temperatura tendeva ad aumentare costantemente, o a diminuire in altri periodi, dato che il giorno solariano era più lungo di quello auroriano di quasi sei ore.)
Gli uomini che stavano avvicinandosi erano cinque e uno di loro, il più alto e massiccio, puntava diritto verso Gladia. Gli altri a un certo punto si fermarono a guardare quasi fossero solo incuriositi, poi obbedendo a un gesto del primo
ripresero ad avanzare cambiando leggermente direzione per raggiungere il trio di Aurora.
Gladia li studiò silenziosa, le sopracciglia inarcate in atteggiamento altezzoso. Daneel e Giskard attesero impassibili.
Giskard si rivolse sottovoce a Daneel. «Non so dove sia il capitano. Non riesco a distinguerlo nel gruppo di uomini al lavoro, ma deve essere là in mezzo.»
«Dobbiamo ritirarci?» suggerì Daneel a voce alta.
«Sarebbe vergognoso!» esclamò Gladia. «Questo è il mio mondo!»
Non si spostò di un centimetro, mentre i cinque uomini procedevano disinvolti.
Avevano lavorato, svolgendo duro lavoro fisico (“Come robot,” pensò Gladia con sdegno) ed erano sudati. Gladia avvertì la puzza che emanavano. Questo avrebbe dovuto spingerla ad andare via in modo più efficace di qualsiasi minaccia, ma lei non arretrò minimamente. I filtri nasali, era certa, alleviavano l’effetto della puzza.
Il tipo massiccio si avvicinò più degli altri. Aveva la pelle abbronzata e le braccia nude e muscolose luccicavano sotto un velo di umidità. Doveva avere all’incirca trent’anni (Gladia non sapeva giudicare con precisione l’età di quegli esseri dalla vita cosi breve) e una volta lavato e vestito con un briciolo di gusto probabilmente sarebbe stato più che presentabile.
Il Colono esordi: «Cosi siete la signora spaziale di Aurora che ha viaggiato sulla nostra nave, eh?» Parlò piuttosto lentamente, in un ovvio tentativo di conferire un tono aristocratico al suo Galattico. Non ci riuscì, naturalmente... e dalla sua bocca uscì un accento da Colono ancor più rozzo di quello di D.G.
Gladia, stabilendo i propri diritti territoriali, disse: «Io sono di Solaria, Colono.» E si bloccò confusa e imbarazzata. Ultimamente aveva pensato tanto a Solaria che venti decadi si erano quasi volatilizzate, e lei aveva parlato usando un accento solariano molto marcato. A aperte, r arrotondate, o che suonavano più o meno oi.
Con voce più bassa e tono meno autoritario, usando la pronuncia dell’Università Auroriana (il linguaggio standard della Galassia adottato da tutti i mondi spaziali) scandì bene: «Io sono di Solaria, Colono.»
Lui rise e si rivolse ai compagni. «Sentito che parlare ricercato? Ma doveva pur provarci. Giusto, ragazzi?»
Anche gli altri risero, e uno disse: «Falla parlare ancora un po’, Niss. Forse possiamo imparare tutti a parlare come bamboline spaziali.» E portò una mano sul fianco in modo languido e aggraziato, mentre protendeva l’altra mollemente.
Sempre sorridendo, Niss disse: «Zitti, voi!» Il silenzio fu immediato.
Tornò a rivolgersi a Gladia. «Sono Berto Niss, marinaio scelto. Voi come vi chiamate donnina?»
Gladia non si azzardò a parlare di nuovo.
Niss insisté: «Mi sto comportando educatamente, donnina. Parlo da gentiluomo, come gli Spaziali. Lo so che siete abbastanza vecchia da essere la mia bisnonna. Quanti anni avete?»
«Quattrocento!» gridò uno degli uomini dietro Niss. «Ma non li dimostra!»
«Neanche cento ne dimostra!» aggiunse un compagno.
«Sembra il tipo giusto per un po’ di su e giù,» intervenne un terzo uomo. «E scommetto che è parecchio che va in bianco. Niss, chiedile se ne ha voglia. In modo educato, però, e dille se possiamo fare un giro ciascuno!»
Gladia arrossì rabbiosamente, e Daneel disse: «Marinaio scelto Niss, i vostri compagni stanno offendendo Lady Gladia. Volete allontanarvi?»
Niss si girò verso Daneel, che finora aveva ignorato del tutto. Il sorriso svanì dalle sue labbra. «Sentite, voi... Questa signorinetta è zona vietata per noi. L’ha detto il capitano. Non le daremo fastidio. Solo una chiacchieratina innocua. Quell’affare là è un robot. Non ci scomoderemo per lui, e lui non può nemmeno toccarci. Conosciamo le Tre Leggi della Robotica. Basta ordinargli di stare alla larga da noi, giusto? Ma voi siete uno Spaziale, e il capitano non ci ha dato istruzioni riguardo a voi. Quindi,» concluse Niss puntando l’indice, «non immischiatevi e lasciateci in pace, o saranno dolori e vi ritroverete con il vostro bel muso tutto ammaccato.»
Daneel non disse nulla.
Niss annuì. «Bene. Mi piacciono i tipi abbastanza svegli da capire quando devono stare al loro posto.»
E si rivolse a Gladia. «D’accordo, piccola Spaziale, vi lasceremo stare perché il capitano vuole che nessuno vi disturbi. Se il mio compagno ha fatto un commento un po’ pesante, be’, è normale... Una bella stretta di mano, e facciamo amicizia... Spaziale, Colono, che differenza c’è?»
Tese la mano verso Gladia, che si ritrasse inorridita. La mano di Daneel scattò con rapidità prodigiosa e bloccò il polso di Niss.
«Marinaio scelto Niss,» disse Daneel. «Non provate a toccare la signora.»
Niss fissò le dita che gli serravano il polso. Con un ringhio basso, minaccioso disse: «Molla la presa. Conto fino a tre!»
Daneel staccò la mano. «Devo fare come dite, perché non voglio farvi del male, però devo proteggere la signora... e se, come ho ragione di credere, la signora non desidera essere toccata, forse sarò costretto a ricorrere a un gesto violento a vostro danno. In ogni caso, vi garantisco che farò il possibile perche la violenza sia minima.»
Uno degli uomini gridò allegramente: «Fagli vedere chi sei, Niss. Questo ha la lingua sciolta!»
«Senti, Spaziale,» disse Niss. «Ti ho detto due volte di toglierti di torno, e tu mi hai toccato. Adesso te lo ripeto per r’ultima volta. Fai un solo gesto, di’ una sola parola, e ti faccio a pezzi. Questa donna mi stringerà la mano, amichevolmente, nient’altro. Poi ce ne andremo. Non chiedo troppo, no?»
Con voce strozzata, Gladia mormorò: «Non voglio che mi tocchi. Fai quello che è necessario, Daneel.»
«Signore, con tutto il dovuto rispetto,» disse Daneel «la signora non desidera essere toccata. Devo chiedere a voi e ai vostri compagni di allontanarvi.»
Niss sorrise e alzò il braccio muscoloso per spingere da parte Daneel senza tanti complimenti.
Il braccio sinistro di Daneel guizzò, e Niss si ritrovò ancora con il polso bloccato. «Per favore, allontanatevi, signore.»
Niss aveva ancora i denti in bella vista, ma non sorrideva più. Sollevò di scatto il braccio. La mano di Daneel assecondò brevemente il movimento, poi si arrestò senza il minimo sforzo e si spostò verso il basso trascinando con sé il braccio di Niss, quindi con una rapida torsione Daneel piegò il braccio dietro la schiena del Colono e lo immobilizzò.
Niss, trovatosi inaspettatamente con le spalle rivolte a Daneel, annaspò all’indietro con la mano libera cercando il collo dell’avversario. Daneel gli afferrò l’altro polso tirando verso il basso finché Niss non emise un grugnito di dolore.
Gli altri quattro Coloni, che avevano pregustato una scena diversa, erano zitti, immobili, a bocca aperta.
Guardandoli, Niss sbottò: «Aiutatemi!»
Daneel intervenne: «Non vi aiuteranno, signore, perché in tal caso la punizione del capitano sarà anche peggiore. Adesso assicuratemi che non importunerete più Lady Gladia e che vi allontanerete tutti tranquillamente. Altrimenti, marinaio scelto Niss, dovrò purtroppo slogarvi le braccia.» E mentre parlava serrò ulteriormente la presa, strappando a Niss un lamento strozzato.
«Le mie scuse, signore,» disse Daneel. «Ma sto eseguendo ordini rigorosi. Ho la vostra assicurazione, allora?»
Niss scalciò all’indietro digrignando i denti, ma prima che il suo scarpone potesse centrare il bersaglio, Daneel si spostò di lato e gli fece perdere l’equilibrio. Il Colono stramazzò a faccia in avanti.
«Ho la vostra assicurazione, signore?» ripeté Daneel, tirandogli adagio i polsi così da alzargli appena le braccia.
Niss urlò di dolore e farfugliò: «Mi arrendo. Mollami!»
Daneel lo liberò e arretrò immediatamente. Lentamente, indolenzito, Niss si girò sulla schiena, muovendo adagio braccia e polsi con una smorfia di sofferenza.
Poi, accostando la destra alla fondina che portava, tentò di estrarre goffamente il disintegratore.
Il piede di Daneel gli calò sulla mano, inchiodandolo al terreno. «Non fatelo signore, o dovrò spezzarvi le ossa della mano, temo.» E si chinò sfilando il disintegratore dal fodero. «Adesso alzatevi.»
«Forza, Niss,» disse un’altra voce. «Obbedisci... In piedi!»
D.G. era accanto a loro, la barba arruffata scossa da un fremito, il volto leggermente arrossato, la voce pericolosamente calma. «Voi quattro,» ordinò «datemi le vostre armi, uno alla volta. Su, svelti! Uno... due... tre... quattro. Adesso, sull’attenti.» Poi rivolto a Daneel: «Signore, consegnatemi anche quell’arma... Bene. E cinque. Ora, sull’attenti, Niss.» E depose i disintegratori a terra accanto a sé.
Niss si irrigidì sull’attenti, gli occhi iniettati di sangue, la faccia contratta in una smorfia di dolore.
«Qualcuno vuole spiegarmi cos’è successo?» chiese D.G.
«Capitano,» rispose Daneel sollecito «il signor Niss ed io abbiamo avuto un
alterco scherzoso. Non è stato fatto alcun male.»
«Eppure Niss sembra piuttosto malconcio,» commentò D.G.
«Nulla di serio, capitano,» disse Daneel.
«Certo. Bene, ne riparleremo più tardi... Signora,» e D.G. si rivolse a Gladia «non ricordo di avervi dato il permesso di scendere dalla nave. Ora tornate subito a bordo coi vostri compagni. Il capitano qui sono io, e non siamo su Aurora. Obbedite!»
Daneel posò una mano sul gomito di Gladia, che a testa alta si voltò e imboccò la passerella di sbarco, seguita da Giskard.
D.G. parlò finalmente ai suoi uomini. «Voi cinque, venite con me. Andremo in fondo a questa faccenda... a costo di spremervi come limoni.» E con un gesto ordinò ad un sottufficiale di raccogliere le armi e di portarle via.
D.G. fissò i cinque con aria truce. Era nel suo alloggio, l’unico angolo della nave che non fosse grande come un cubicolo e che mostrasse qualche vago accenno di lusso e comodità.
Indicando a turno ciascuno degli uomini, disse: «Bene, ci regoleremo in questo modo... Tu mi dirai esattamente quel che è successo, parola per parola, fin nei minimi particolari. Quando avrai finito, lui mi dirà cos’hai tralasciato o se nella tua versione c’è qualcosa che non va; e gli altri faranno lo stesso, fino ad arrivare a Niss. Senza dubbio non eravate completamente in voi, e avete fatto qualcosa di decisamente stupido rimediando una figura umiliante, soprattutto Niss. Se dal vostro racconto risulterà che non avete commesso stupidaggini e non avete rimediato figuracce, saprò subito che state mentendo... del resto, la Spaziale mi dirà sicuramente come sono andate le cose, e io le crederò. Raccontatemi delle bugie e vi garantisco che peggiorerete solo la vostra situazione. Forza, tu... comincia!»
Il primo uomo si affrettò a balbettare la sua versione, che il secondo, il terzo e il quarto ampliarono o modificarono leggermente. D.G. ascoltò impassibile, quindi fece cenno a Berto Niss di tirarsi da parte.
Rivolto ai quattro, disse: «E mentre Niss le stava buscando sacrosante dallo Spaziale e spolverava con la faccia il terreno, voi cosa facevate? Osservavate? La paura vi impediva di muovervi? Tutti e quattro? Contro un uomo solo?»
Uno dei membri dell’equipaggio ruppe il silenzio. «È successo tutto così in fretta, capitano... Stavamo per intervenire, ma era già tutto finito.»
«E come contavate di intervenire, ammesso che foste riusciti a schiodarvi da dove eravate?»
«Be’, avremmo separato lo straniero spaziale dal nostro compagno.»
«Pensate che ci sareste riusciti?»
Questa volta nessuno aprì bocca.
D.G. proseguì. «Bene, la situazione è questa. Il vostro compito non era quello di andare a infastidire gli stranieri, quindi siete multati di una settimana di paga. E adesso chiariamo una cosa... Se racconterete quel che è successo a chicchessia...
adesso o in futuro, a membri dell’equipaggio o ad estranei, da ubriachi o da sobri... verrete degradati e diventerete tutti quanti apprendisti di bordo. Anche se uno solo parlerà, sarete degradati, quindi tenetevi d’occhio a vicenda. Ora tornate al lavoro e cercate di non contrariarmi più durante questo viaggio, o alla minima infrazione vi sbatto agli arresti.»
I quattro se ne andarono con un’aria abbattuta, in perfetto silenzio. Niss rimase, con un livido in faccia e il braccio che gli creava dei problemi.
D.G. lo squadrò chiuso in un mutismo per nulla incoraggiante. Niss guardò a destra, a sinistra, si studiò i piedi, fece il possibile per sottrarsi allo sguardo del capitano. Solo quando gli occhi di Niss non poterono più rifugiarsi in qualche azione evasiva e dovettero fronteggiare i lampi ostili che sprizzavano da quelli del suo superiore, D.G. disse: «Sai, sei proprio carino adesso che ti sei azzuffato con un damerino spaziale grosso la metà di te. La prossima volta che ne vedi uno, ti conviene nasconderti.»
«Sì, capitano.»
«Prima che lasciassimo Aurora, durante la seduta di istruzioni, non mi hai sentito, Niss, quando ho detto di non disturbare né rivolgere la parola alla Spaziale e ai suoi compagni per nessun motivo?»
«Capitano, volevo solo scambiare due chiacchiere, educatamente. Eravamo curiosi, volevamo dare un’occhiata da vicino. Non c’erano cattive intenzioni.»
«Ah, no? Le hai chiesto quanti anni aveva. Erano affari tuoi?»
«Semplice curiosità.»
«Ma uno di voi ha fatto commenti di tipo sessuale.»
«Non io, capitano.»
«Qualcun altro, eh? E tu hai chiesto scusa?»
«A una Spaziale?» inorridì Niss.
«Certo. Stavate violando i miei ordini.»
«Non c’erano cattive intenzioni,» insisté Niss.
«Nemmeno verso l’uomo?»
«Mi ha messo una mano addosso, capitano.»
«Lo so. Perché?»
«Voleva darmi degli ordini.»
«E tu non eri disposto a tollerarlo, vero?»
«Voi l’avreste fatto, capitano?»
«D’accordo. Hai voluto importi... e ti sei ritrovato a faccia in giù, per terra. Com’è successo?»
«Non lo so proprio, capitano. È stato velocissimo... sembrava una scena accelerata. E aveva una presa d’acciaio.»
«Certo che l’aveva,» annuì D.G. «Cosa ti aspettavi, idiota? Quel tipo è tutto d’acciaio!»
«Capitano?»
«Niss, possibile che tu non conosca la storia di Elijah Baley?»
Niss si strofinò un orecchio, imbarazzato. «So che era il vostro trisnonno, o qualcosa del genere, capitano.»
«Sì, questo lo sanno tutti, dal nome che porto. Mai sentito nulla sulla storia della sua vita?»
«Non è il mio genere, capitano. Non la storia, almeno.» Niss scrollò le spalle, sussultò e fece per massaggiarsi una spalla, poi decise che era meglio non provarci.
«Mai sentito parlare di R. Daneel Olivaw?»
Niss aggrottò le ciglia. «Era l’amico di Elijah Baley.»
«Sì. Allora, qualcosa sai. Sai cosa significa la R. in Daneel Olivaw?»
«Sta per Robot, giusto? Era un amico robot. A quell’epoca c’erano dei robot sulla Terra.»
«C’erano, Niss, e ci sono ancora. Ma Daneel non era solo un robot. Era un robot spaziale che assomigliava perfettamente a uno Spaziale in carne ed ossa. Pensaci, Niss. Indovina un po’ chi era lo Spaziale con cui volevi azzuffarti.»
Niss sbarrò gli occhi, arrossendo. «Volete dire che quello Spaziale era un ro...»
«È R. Daneel Olivaw.»
«Ma, capitano, è una storia di duecento anni fa!»
«Sì, e la Spaziale era una cara amica del mio Antenato Elijah. Ha duecentotrentacinque anni, nel caso ti interessi ancora saperlo. Credi che un robot non possa vivere cosi a lungo? Già, stavi cercando di batterti con un robot, pezzo di idiota.»
«Perché non me lo ha detto?» sbottò Niss indignato.
«E perché avrebbe dovuto dirtelo? Glielo hai chiesto, tu? Ascolta, Niss... Le raccomandazioni che ho fatto agli altri perché stiano zitti valgono anche per te... anzi, soprattutto per te. Loro sono semplicemente marinai semplici, mentre io avevo una mezza idea di promuoverti capo-equipaggio. Avevo una mezza idea... Se vuoi diventare capo-equipaggio, i muscoli non bastano, ci vuole anche il cervello. E adesso sarà più dura per te, perché dovrai dimostrare di avere un po’ di cervello, nonostante io creda il contrario.»
«Capitano, io...»
«Non parlare. Ascolta. Se questa storia si diffonde, gli altri quattro diventeranno apprendisti di bordo, mentre tu invece diventerai nessuno, una nullità. Non metterai mai più il piede su una nave. Nessuna nave ti prenderà a bordo, te lo garantisco. Né come membro dell’equipaggio né come passeggero. Prova a chiederti come vivresti, come potresti guadagnarti da vivere su Baleyworld, quindi, tieni la bocca chiusa, non importunare la Spaziale, anzi non guardarla mai per più di mezzo secondo, e questo vale anche per i suoi due robot. E dovrai assicurarti inoltre che nessuno dell’equipaggio li offenda minimamente. Sarai tu il responsabile... La tua multa è di due settimane di paga.»
«Ma, capitano,» protestò Niss «gli altri...»
«Da loro mi aspettavo meno, Niss, per cui la loro multa è stata minore. Adesso esci.»
D.G. giocherellava con il fotocubo sempre presente sulla sua scrivania. Ogni volta che lo girava, il fotocubo si anneriva, per poi schiarirsi una volta appoggiato
su un lato qualsiasi. Quando si schiariva, appariva l’immagine tridimensionale di un volto femminile che sorrideva.
Tra l’equipaggio correva voce che ognuno dei sei lati portasse all’apparizione di una donna diversa. Era una voce fondata.
Jamin Oser osservò l’alternarsi simultaneo di immagini senza alcun interesse. Ora che la nave era al sicuro, almeno salvo attacchi di natura imprevedibile, era giunto il momento di pensare alla mossa successiva.
D.G. però stava affrontando il problema per vie traverse... o non lo stava affrontando affatto. «È stata colpa della donna, naturalmente,» disse.
Oser si strinse nelle spalle, passandosi una mano sulla barba quasi stesse rassicurandosi di non essere, almeno, una donna. A differenza di D.G., Oser ostentava una rigogliosa crescita di peli anche sul labbro superiore.
«A quanto pare,» continuò D.G. «una volta sul suo pianeta natale, ha accantonato le più elementari norme di prudenza. È scesa dalla nave, anche se le avevo chiesto di non farlo.»
«Forse avreste potuto ordinarle di non farlo.»
«Sarebbe servito a poco. È un’aristocratica viziata, abituata a far sempre a modo suo e a dare ordini ai suoi robot. E poi, visto che ho bisogno di lei, voglio che collabori, non che mi guardi in cagnesco... Senza contare che era l’amica dell’Antenato.»
«Ed è ancora viva,» commentò Oser scuotendo la testa. «Se ci penso, mi viene la pelle d’oca... È vecchia, vecchissima.»
«Ma sembra giovane. È ancora attraente. È altezzosa. Quando gli uomini si sono avvicinati, non ha voluto ritirarsi, e si è rifiutata di stringere la mano a uno di loro... Be’, comunque è finita.»
«Ma era proprio necessario, capitano, dire a Niss che aveva cercato di aggredire un robot?»
«Dovevo farlo, Oser! Dovevo! Credendo di essere stato battuto e umiliato di fronte a quattro suoi compagni da uno Spaziale effeminato meno grande e grosso di lui, Niss si sarebbe sentito distrutto, sarebbe diventato un relitto umano inservibile. E poi, per nessun motivo vogliamo che si sparga la voce che gli Spaziali... Gli Spaziali umani sono superuomini. È per questo che ho dovuto ordinare a quei quattro di stare zitti. Ci penserà Niss a sorvegliarli... E se, nonostante tutto, questa storia si diffonderà, be’, almeno si saprà anche che lo Spaziale era un robot... Per fortuna questo episodio ha qualche lato positivo.»
«Cioè, capitano?»
«Ecco, mi ha fatto pensare ai robot, Oser. Cosa sappiamo sull’argomento robot? Tu, per esempio, cosa sai?»
Oser si strinse nelle spalle. «Capitano, non è un argomento sul quale mi soffermo spesso.»
«Già, questo vale per tutti... per i Coloni, almeno. Sappiamo che gli Spaziali hanno dei robot, dipendono da loro, non si spostano senza robot, non riescono a fare nulla senza robot, sono parassiti dei robot, e sappiamo con certezza che gli Spaziali a causa dei robot stanno decadendo. Sappiamo che un tempo la Terra
aveva dei robot, imposti dag,i Spaziali, e che gradualmente questi robot stanno scomparendo da,la Terra, che non si trovano nelle Città ma soltanto nelle campagne esterne. Sappiamo che i mondi dei Coloni non vogliono i robot in nessun posto, nemmeno nelle campagne. Così i Coloni non hanno mai occasione di incontrare un robot sui loro pianeti, e difficilmente ne vedono qualcuno sulla Terra.» (Ogni volta che pronunciava la parola Terra, la voce di D.G. assumeva un accento particolare, quasi tendesse a porre in risalto l’iniziale maiuscola, quasi dietro quell’unica parola fosse possibile cogliere di riflesso casa e madrepatria.) «Che altro sappiamo?»
«Ci sono le Tre Leggi della Robotica,» rispose Oser.
«Giusto.» D.G. spinse da parte il fotocubo e si piegò in avanti. «Soprattutto la Prima Legge... Un robot non può fare del male ad un essere umano, o, tramite l’inazione, permettere che un essere umano riceva danno... Sì? Be’, non contarci. Non significa nulla. Ci sentiamo tutti al sicuro dai robot grazie a questa legge, e ben venga se ci dà un senso di sicurezza, ma non se ci dà un falso senso di sicurezza. Il robot Daneel ha fatto del male a Niss in tutta tranquillità, nonostante la famosa Prima Legge.»
«Stava difendendo...»
«Esatto. E quando si tratta di scegliere tra due mali, due possibili danni? Se si tratta di danneggiare Niss o permettere che a soffrire sia la padrona spaziale? Naturalmente, la precedenza spetta a lei.»
«Mi sembra un discorso logico.»
«Certo che lo è. E noi ci troviamo su un pianeta di robot, un paio di centinaia di milioni di robot... Che ordini hanno? Come bilanciano il conflitto tra mali diversi? Chi ci dice che nessuno di loro ci toccherà? Qualcosa su questo pianeta ha già distrutto due navi.»
Inquieto, Oser disse: «Questo Daneel è un robot insolito... sembra perfettamente umano. Forse non è il caso di generalizzare basandoci su di lui. Quell’altro robot... come si chiama?»
«Giskard. È facile ricordarlo. Il mio nome è Daneel Giskard.»
«Per me siete il capitano e basta. Comunque, quel Giskard se n’è rimasto immobile, senza reagire. Ha l’aspetto da robot e si comporta da robot. In questo momento qui su Solaria ci sono parecchi robot che ci stanno osservando senza far nulla. Osservano, e basta.»
«E se ci fossero dei robot speciali capaci di danneggiarci?»
«Credo che siamo pronti ad affrontarli.»
«Sì, adesso lo siamo. È questo l’aspetto positivo dell’incidente tra Daneel e Niss. Pensavamo che gli unici a crearci dei problemi potessero essere i Solariani ancora sul pianeta. Be’, non è necessario che ci siano dei Solariani per trovarci nei guai. Possono benissimo essere andati via. Forse sono i robot, o almeno certi robot di costituzione particolare, la probabile fonte del pericolo. E se Lady Gladia è in grado di mobilitare i robot di questa zona, che un tempo era la sua proprietà, di mobilitarli perché difendano lei e noi, può darsi allora che riusciamo a neutralizzare i tranelli lasciati su questo pianeta dal Solariani.»
«Ma lei sarà in grado di farlo?» chiese Oser. «Lo vedremo,» disse D.G.
«Grazie, Daneel,» aveva detto Gladia. «Ti sei comportato bene.» I suoi lineamenti erano tirati, le labbra tese ed esangui, le gote pallide. Poi, sottovoce, aveva aggiunto: «Vorrei non essere venuta...»
«Un desiderio inutile, Lady Gladia,» aveva detto Giskard. «L’amico Daneel ed io resteremo all’esterno della vostra cabina per accertarci che non veniate disturbata.»
Il corridoio era deserto e rimase tale, ma Daneel e Giskard preferirono parlare su una frequenza al di sotto della soglia auditiva umana, scambiandosi pensieri nel loro codice conciso e condensato.
Giskard esordì: «Rifiutando di ritirarsi, Lady Gladia non ha preso una decisione accorta. Questo è evidente.»
«Immagino, amico Giskard, che tu non abbia potuto influenzarla perché decidesse diversamente,» disse Daneel.
«Era una decisione troppo salda, e presa con troppa rapidità, amico Daneel. Anche il proposito del Colono Niss aveva caratteristiche identiche. La sua curiosità verso Lady Gladia e il suo disprezzo e l’ostilità nei tuoi confronti erano troppo forti perché potessi intervenire senza causare seri danni mentali. Gli altri quattro erano alla mia portata. Non è stato difficile impedir loro di intervenire. La sorpresa provata nel vedere con quanta abilità hai bloccato Niss li ha paralizzati in modo naturale, ed io ho dovuto solo rafforzare leggermente quella corrente emotiva.»
«È stata una vera fortuna, amico Giskard. Se quei quattro si fossero uniti a Niss, io avrei dovuto compiere una scelta problematica... costringere Lady Gladia a una ritirata umiliante, o nuocere in modo grave a un paio di Coloni per intimorire gli altri. Forse avrei scelto la prima alternativa, ma anche in tal caso avrei provato un disagio intenso.»
«Stai bene, amico Daneel?»
«Benissimo. Niss ha subito danni minimi.»
«Fisicamente, amico Daneel. Nella sua mente, però, ho notato una profonda umiliazione, peggiore per lui del dolore fisico. Avvertendo quel sentimento, non avrei potuto fare quello che hai fatto tu con pari facilità. Eppure, amico Daneel...»
«Sì, amico Giskard?»
«Sono turbato per il futuro. Su Aurora, nel corso delle decadi della mia esistenza, ho potuto operare lentamente, attendere le opportunità giuste per agire sulle menti con delicatezza senza fare alcun male. Ho potuto rafforzare tendenze già presenti, indebolire tendenze già attenuate, far leva in modo tenue su impulsi già indirizzati in una data direzione. Ma nel periodo di crisi in cui ci troviamo, le emozioni sono particolarmente forti, le decisioni vengono prese rapidamente, gli eventi si susseguono a ritmo serrato. Per intervenire con efficacia, anch’io dovrò agire molto in fretta, e le Tre Leggi della Robotica me lo impediscono. Occorre tempo per soppesare le sottigliezze differenziali del male fisico e mentale. Se mi
fossi trovato solo con Lady Gladia quando si è avvicinato il Colono non so proprio che linea d’azione avrei potuto adottare così da evitare di nuocere seriamente a Lady Gladia, a uno o più Coloni, a me stesso... o forse a tutti quanti.»
«Cosa si può fare, allora?» chiese Daneel.
«Dal momento che è impossibile modificare le Tre Leggi, amico Daneel, dobbiamo di nuovo concludere che non c’è nulla che possiamo fare, se non attendere l’insuccesso.»