l’unico requisito richiesto era quello, che nulla doveva violare la regola assoluta della distanza più breve tra due punti.

Tutto quanto era auroriano - o meglio, spaziale, anche se in tal senso Aurora era il pianeta più progredito - si presentava invece a strati. La funzionalità era lo strato inferiore (non si poteva trascurarla del tutto, se non nelle cose puramente ornamentali) sopra il quale c’era sempre qualcosa che soddisfaceva gli occhi, i sensi in genere, e infine lo spirito.

Qui era senz’altro meglio! O una tale esuberanza creativa significava forse che gli Spaziali non erano più in grado di vivere in un universo spoglio, essenziale? Una constatazione negativa? Il futuro apparteneva a quegli esseri prosaici e schematici? O si trattava semplicemente del fatto che i Coloni non avevano ancora imparato ad apprezzare le dolcezze della vita?

Eppure, se la vita aveva tanti aspetti dolci, come mai lei ne aveva trovati così pochi?

A bordo della nave, Gladia non aveva praticamente nulla da fare se non rimuginare su simili interrogativi. D.G., quel barbaro discendente di Elijah, le aveva insinuato il dubbio nella mente, sostenendo in tutta tranquillità e sicurezza che i mondi degli Spaziali stavano morendo, anche se durante il suo brevissimo soggiorno su Aurora doveva aver visto per forza che quello era un mondo florido e stabile.

Gladia aveva cercato di sottrarsi ai propri pensieri utilizzando gli olofilm che le avevano fornito, osservando con scarsa curiosità le immagini che si accavallavano sulla superficie di proiezione via via che la storia avventurosa - erano tutte storie d’avventure - passava a ritmo serrato da un evento all’altro lasciando pochissimo spazio ai dialoghi e alla riflessione... e al divertimento, al piacere. Proprio come i loro mobili.

D.G. entrò mentre lei stava seguendo distrattamente un film. Gladia lo aspettava. I suoi robot, che sorvegliavano la porta, avevano segnalato l’arrivo di D.G. con notevole anticipo, e non lo avrebbero lasciato entrare se lei non fosse stata in condizioni di riceverlo. Daneel entrò con lui.

D.G. disse: «Come va?» Poi, mentre la mano di Gladia toccava un contatto facendo svanire le immagini, soggiunse: «Non è necessario che spegniate. Posso guardare insieme a voi.»

«No, grazie. Ne ho avuto abbastanza.»

«Siete a vostro agio?»

«Non proprio. Sono... isolata.»

«Mi spiace. Del resto, anch’io lo ero su Aurora. Non hanno permesso che nessuno dei miei uomini mi accompagnasse.»

«E adesso vi state vendicando?»

«Niente affatto. Innanzitutto, vi ho permesso di prendere con voi due robot. In secondo luogo, non sono io ma il mio equipaggio il responsabile di questa situazione. Loro non hanno simpatia né per gli Spaziali né per i robot... Ma perché vi lamentate? L’isolamento non allevia la vostra paura di infettarvi?»

Gli occhi di Gladia esprimevano alterigia, ma il tono della sua voce era stanco.

«Forse sono ormai troppo vecchia per avere certe paure. Sotto molti aspetti, credo di avere vissuto abbastanza. E poi, ho i miei guanti, i filtri nasali, e in caso di necessità anche la maschera. E dubito che vi scomoderete a toccarmi.»

«Già, né io né nessun altro,» disse D.G. con un’improvvisa sfumatura truce nella voce, mentre la sua mano si spostava verso l’oggetto che portava sull’anca destra.

Lo sguardo di Gladia seguì quel movimento. «Cos’è?»

D.G. sorrise, e la sua barba sembrò luccicare nei riflessi della luce della cabina. C’erano alcuni peli rossicci sparsi tra quelli color marrone. «Un’arma spiegò, e la estrasse. La impugnò stringendo un calcio sagomato che si rigonfiava al di sopra della mano, quasi fosse la forza della stretta a causare il rigonfiamento. Di fronte, rivolta verso Gladia, sporgeva una sottile protuberanza cilindrica di una quindicina dì centimetri. Non c’era alcuna apertura visibile.

«Quest’aggeggio uccide le persone?» Gladia tese la mano verso l’arma.

D.G. la ritrasse prontamente. «Mai cercare di prendere un’arma a qualcuno, signora! È peggio di un’offesa grave, perché ogni Colono è addestrato a reagire violentemente a una mossa del genere e potreste essere ferita.»

Gladia spalancò gli occhi e spostò subito la mano, portandola dietro la schiena. «Non minacciatemi! Daneel non ha senso dell’umorismo in questi casi. Su Aurora nessuno è così barbaro da girare armato.»

«Be’, non abbiamo i robot che ci proteggono, noi,» commentò D.G. per nulla scosso dall’aggettivo. «Comunque, questo non è un congegno mortale... Per certi versi, è anche peggio. Emette una specie di vibrazione che stimola le terminazioni nervose responsabili della sensazione del dolore. Non immaginereste mai quanto faccia male. Nessuno sarebbe disposto a sopportare due volte l’effetto di quest’arma, e chi la porta la usa molto raramente. La chiamiamo frusta neuronica.»

Gladia corrugò la fronte. «Disgustoso! Noi abbiamo i robot, ma i robot non fanno mai male a nessuno, se non in casi di emergenza estrema… e anche allora il male che fanno è minimo.»

D.G. scrollò le spalle. «Molto civile... ma un po’ di dolore, magari anche qualche uccisione, è preferibile alla decadenza dello spirito causata dai robot. E poi, una frusta neuronica non ha effetti letali, mentre voi sulle vostre navi da guerra disponete di armi progettate per distruggere e uccidere su vasta scala.»

«Perché abbiamo combattuto delle guerre agli albori della nostra storia, quando il nostro retaggio terrestre era ancora forte... ma ora abbiamo imparato la lezione.»

«Eppure avete usato quelle armi sulla Terra anche dopo avere imparato la famosa lezione.»

«Questo...» Gladia s’interruppe e serrò la bocca, quasi volesse rimangiarsi quanto stava per dire.

D.G. annuì. «Lo so. Stavate per dire che questo è un altro discorso. Pensateci, signora, caso mai vi venisse in mente di chiedervi come mai ai miei uomini non piacciono gli Spaziali... o come mai a me non piacciono. Ma dal momento che mi sarete utile, signora, metterò da parte i miei sentimenti.»

«Come potrò esservi utile?»

«Siete Solariana, no?»

«Continuate a ripeterlo. Sono passate più di venti decadi. Non so come sia Solaria adesso. Non so nulla di Solaria. Com’era Baleyworld venti decadi fa, sentiamo?»

«Venti decadi fa non esisteva, ma Solaria esisteva, e io rischierò, puntando sul fatto che ricordiate qualcosa di utile.» D.G. si alzò, piegò il capo in un gesto di saluto quasi beffardo, e se ne andò.

Gladia si chiuse per un po’ in un silenzio cupo, meditabonda, poi esordì: «Non è stato proprio educato, vero?»

Daneel rispose: «Lady Gladia, il Colono è chiaramente sotto tensione. Sta dirigendosi verso un mondo su cui due navi come la sua sono state distrutte e gli equipaggi sono stati uccisi. Lui e il suo equipaggio vanno incontro a un grave pericolo.»

«Difendi sempre qualsiasi essere umano, vero, Daneel?» fece Gladia risentita. «Il pericolo esiste anche per me, e io non lo affronto spontaneamente, ma questo non mi obbliga ad es. sere sgarbata.»

Daneel tacque.

«Be’, forse sono stata un po’ sgarbata, vero?» continuò Gladia.

«Non credo che il Colono si sia offeso,» disse Daneel. «Posso suggerirvi di prepararvi ad andare a letto, signora? È tardi.»

«D’accordo, Daneel. Andrò a letto, però non credo di essere abbastanza rilassata per dormire.»

«L’amico Giskard mi assicura che dormirete, signora, e di solito lui non sbaglia in queste cose.»

Gladia infatti dormì.

Daneel e Giskard si trovavano al buio nella cabina di Gladia.

«Dormirà un sonno profondo, amico Daneel,» disse Giskard. «Ha bisogno di riposare bene. Sta affrontando un viaggio pericoloso.»

«Mi è parso, amico Giskard, che tu l’abbia influenzata ad accettare di partire. Immagino tu l’abbia fatto per un valido motivo.»

«Amico Daneel, sappiamo così poco della crisi incombente sulla Galassia che non possiamo respingere tranquillamente qualsiasi azione ci possa permettere di accrescere le nostre conoscenze. Dobbiamo sapere cosa sta accadendo su Solaria, quindi l’unico modo per scoprirlo era andare là... e l’unico modo per andare era far sì che Lady Gladia partisse. Per quanto riguarda le mie influenze, si è trattato di uno sfioramento quasi impercettibile. Nonostante affermasse il contrario, era smaniosa di partire. In lei c’era un desiderio intensissimo di vedere Solaria. Se non fosse partita, la sua sofferenza interiore non sarebbe cessata.»

«Dal momento che lo dici, lo accetto per vero, eppure sono perplesso. Non aveva sostenuto spesso che la sua vita su Solaria era infelice, che ormai la sua

patria era Aurora, che non desiderava più tornare sul pianeta d’origine?»

«Sì, è vero. Nella sua mente era presente anche questo. Entrambi i sentimenti esistevano contemporaneamente Ho osservato spesso un simile fenomeno nelle menti umane .. la presenza simultanea di due sentimenti opposti.»

«Un fenomeno per nulla logico, amico Giskard.»

«Sono d’accordo, e posso solo concludere che gli esseri umani non sempre sono logici. Dev’essere questa la ragione per cui è così difficile elaborare le Leggi che regolano il comportamento umano... Nel caso di Lady Gladia, ho rilevato occasionalmente questo struggimento per Solaria. Di solito era ben nascosto, oscurato dall’antipatia ben più intensa verso quel mondo. Però, quando sono giunte le notizie dell’abbandono di Solaria, il suo atteggiamento è cambiato.»

«Perché? Che legame c’era tra l’abbandono di Solaria e le esperienze giovanili da cui è nata l’avversione di Lady Gladia? Dato che aveva represso il desiderio di tornare nelle decadi in cui Solaria era una società attiva, perché allentare i freni inibitori solo quando Solaria è diventato un pianeta abbandonato, perché struggersi per un mondo che adesso dovrebbe essere per lei qualcosa di completamente estraneo?»

«Non sono in grado di spiegarlo, amico Daneel. Più informazioni raccolgo sulla mente umana, più mi dispero nel constatare che le mie capacità di comprensione restano ferme a zero. Vedere nelle menti non è un vero vantaggio, e spesso invidio la tua semplicità di controllo del comportamento che deriva dalla tua incapacità di vedere al di sotto della superficie.»

«Hai almeno qualche interessante supposizione, amico Giskard?»

«Forse quel pianeta deserto le crea dispiacere. Lo ha abbandonato venti decadi fa...»

«È stata costretta ad andarsene.»

«Credo che lei ora la consideri una specie di fuga, che sia assillata dall’idea di avere dato agli altri un esempio negativo, nel senso che se non fosse partita nessun altro avrebbe lasciato il pianeta, che ora sarebbe popolato e felice. Dato che non posso leggerle il pensiero, però, sto solo brancolando, forse in modo impreciso, provando a trarre deduzioni dai suoi sentimenti.»

«No, non può aver dato alcun esempio, amico Giskard. Sono trascorse venti decadi dalla sua partenza, quindi non può esserci alcun legame di causa verificabile tra i due fatti.»

«Sono d’accordo, ma a volte gli esseri umani provano uno strano piacere nel nutrire sentimenti dolorosi, nel biasimare se stessi senza alcuna ragione concreta... In ogni caso, Lady Gladia desiderava tornare su Solaria con tale intensità che ho ritenuto necessario agire sui freni inibitori che le impedivano di accettare la proposta del viaggio. Un intervento insignificante, il mio. Eppure, anche se la sua partenza era necessaria perché potessimo accompagnarla, ho la sensazione che gli svantaggi potrebbero essere più grandi dei vantaggi.»

«Come, amico Giskard?»

«Forse il Consiglio era cosi ansioso di veder partire Lady Gladia al seguito del Colono perché mirava all’assenza di Lady Gladia da Aurora in una fase cruciale

della preparazione dell’annientamento della Terra e dei Coloni.»

Daneel sembrò riflettere un istante. «A che servirebbe, secondo te, l’assenza di Lady Gladia?»

«Non saprei, amico Daneel. Vorrei conoscere il tuo parere.»

«Non ho preso in considerazione questo aspetto del problema.»

«Fallo adesso!» Se Giskard fosse stato umano, la sua frase sarebbe stata un ordine.

Ci fu una pausa di riflessione, dopo di che Daneel disse: «Amico Giskard, finché il dottor Mandamus non si è presentato da lei, Lady Gladia non aveva mai mostrato alcun interesse per gli affari internazionali. Era amica del dottor Fastolfe e di Elijah Baley, però questa amicizia derivava da affetti personali ed era priva di qualsiasi base ideologica. Inoltre, sia il dottor Fastolfe che Elijah Baley sono scomparsi, ora. Lady Gladia detesta il dottor Amadiro e la sua avversione è ricambiata, ma anche in questo caso si tratta di una questione personale. È un’avversione vecchia di due secoli, però nessuno dei due è mai passato ad esternarla con azioni concrete pur conservando ostinatamente una pessima opinione dell’altro. Il dottor Amadiro, il personaggio più influente del Consiglio, non ha motivo di temere Lady Gladia, né di tramare perché venga allontanata da Aurora.»

«Tralasci il fatto che, allontanando Lady Gladia, Amadiro ha allontanato anche noi due. Probabilmente era certo che lei non si sarebbe mossa senza di noi, quindi può darsi che gli elementi pericolosi per lui siamo proprio noi due.»

«Nel corso della nostra esistenza, amico Giskard, mai una volta abbiamo costituito una minaccia per il dottor Amadiro. Perché dovrebbe temerci? Non è al corrente delle tue capacità, né del modo in cui le hai impiegate. Perché allora dovrebbe prendersi la briga di allontanarci temporaneamente da Aurora?»

«Temporaneamente, amico Daneel? Perché dai per scontato che intenda allontanarci temporaneamente? Forse è più informato del Colono circa i fatti di Solaria, forse sa con certezza che il Colono e il suo equipaggio verranno distrutti... e con loro, Lady Gladia e noi due. Forse la distruzione della nave dei Coloni è il suo obiettivo primario, e la fine dell’amica e dei robot del dottor Fastolfe costituisce una specie di premio aggiunto.»

«Non credo che correrebbe il rischio di scatenare una guerra coi mondi dei Coloni, perché la distruzione della nave potrebbe provocare un conflitto... E anche il piacere di saperci distrutti non basterebbe a compensare un rischio del genere.

«Non è possibile, amico Daneel, che la guerra sia proprio quello che Amadiro desidera? Che la sua valutazione della situazione non comporti alcun rischio per lui? E che sbarazzarsi nel medesimo tempo di noi lo renda felice senza compromettere minimamente i suoi piani?»

Calmo, Daneel ribatté: «Non mi sembra un’ipotesi ragionevole. Una guerra, nella situazione attuale, significherebbe la vittoria dei Coloni. Sono più adatti, psicologicamente, ai rigori della guerra. Le loro forze sono meglio disseminate, quindi potrebbero sfruttare con maggior successo azioni incursive.

Sui loro mondi piuttosto primitivi hanno relativamente poco da perdere, mentre

gli Spaziali hanno molto da perdere sui loro mondi comodi e progrediti. Se i Coloni fossero disposti a sacrificare un loro mondo in cambio di un mondo degli Spaziali, gli Spaziali dovrebbero cedere subito.»

«Ma nella situazione attuale si combatterebbe davvero una guerra? E se gli Spaziali disponessero di una nuova arma da usare per sconfiggere i Coloni rapidamente? Forse è questa la natura della crisi da affrontare.»

«In tal caso, amico Giskard, la vittoria potrebbe essere conseguita in modo più rapido ed efficace con un attacco a sorpresa. Perché scomodarsi a provocare una guerra, che i Coloni potrebbero iniziare con incursioni inattese sui mondi spaziali causando danni notevoli?»

«Forse gli Spaziali devono prima collaudare l’arma, e la distruzione di alcune navi su Solaria è appunto un test.»

«Gli Spaziali sarebbero assai poco intelligenti se non fossero riusciti a trovare un sistema di collaudo che non tradisse l’esistenza della nuova arma.»

«D’accordo, amico Daneel, allora come spieghi questo viaggio che stiamo compiendo? Come spieghi la prontezza, l’entusiasmo con cui il Consiglio ha accettato di offrirci come accompagnatori al Colono? Il Colono aveva previsto che avrebbero ordinato a Lady Gladia di partire, e in effetti così è stato.»

«Non ho esaminato questo aspetto del problema, amico Giskard.»

«Esaminalo ora.»

«D’accordo,» disse Daneel.

Seguirono lunghi attimi di silenzio, durante i quali Giskard non mostrò alcun segno di impazienza.

Infine, lentamente, quasi stesse percorrendo con cautela linee di pensiero ignote, Daneel disse: «Non credo che Baleyworld, o qualsiasi altro mondo dei Coloni, abbia fondamentalmente il diritto di appropriarsi dei robot di Solaria. Anche se i Solariani sono partiti o si sono estinti, Solaria rimane un mondo spaziale, per quanto non occupato. Certamente i restanti quarantanove mondi spaziali farebbero un ragionamento del genere. Soprattutto Aurora, se si sentisse padrona della situazione.»

«Secondo te, amico Daneel, la distruzione delle due navi dei Coloni è stata l’azione con cui gli Spaziali hanno fatto valere il loro diritto di proprietà su Solaria?»

«No, un’Aurora padrona della situazione, potenza spaziale leader, non avrebbe agito così. Avrebbe semplicemente annunciato che Solaria, abbandonata o meno, era zona vietata alle navi dei Coloni e avrebbe minacciato rappresaglie contro qualsiasi Colono penetrato nel sistema planetario solariano. E attorno a quel sistema planetario, Aurora avrebbe dislocato un cordone di navi e di stazioni di intercettamento. Non si è verificato nulla di tutto questo, amico Giskard. Perché, dunque, distruggere navi che avrebbero potuto essere tenute a distanza da Solaria senza eccessive difficoltà?»

«Ma quelle navi sono state distrutte, amico Daneel. Vuoi servirti della illogicità di base della mente umana come spiegazione?»

«No, a meno di non esservi costretto. Per il momento, accantoniamo la

distruzione delle navi in quanto avvenuta. Consideriamo le conseguenze... Il capitano di una nave dei Coloni si avvicina ad Aurora, chiede il permesso di parlare con il Consiglio, insiste perché possa prendere a bordo una cittadina auroriana per andare ad indagare sui fatti avvenuti su Solaria, e il Consiglio gli concede tutto. Se la distruzione delle navi è un’azione troppo forte per Aurora, un atteggiamento tanto accomodante verso il capitano dei Coloni è un’azione troppo debole. Lungi dal cercare una guerra, Aurora, cedendo, sembra disposta a tutto pur di scongiurare la possibilità di un conflitto.»

«Sì,» convenne Giskard. «È un’interpretazione dei fatti plausibile. Ma, proseguendo il ragionamento?»

«Secondo me, i mondi spaziali non sono ancora così deboli da dovere adottare un comportamento tanto servile... e, anche se lo fossero, l’orgoglio derivato da secoli di predominio impedirebbe loro di agire in questo modo. Quindi devono essere motivati da qualcosa di diverso dalla debolezza. Ho osservato che è impossibile che stiano istigando deliberatamente le ostilità, per cui è assai più probabile che stiano cercando di guadagnare tempo.»

«A che scopo, amico Daneel?»

«Vogliono distruggere i Coloni, però non sono ancora pronti. E lasciano che questo Colono ottenga ciò che vuole, per evitare una guerra finché non saranno in grado di battersi alle loro condizioni. Anzi, mi sorprende che non gli abbiano offerto di essere scortato da una nave da guerra auroriana. Se la mia analisi è corretta, come credo, è impossibile che Aurora sia coinvolta negli incidenti su Solaria. Sarebbe insensato da parte di Aurora perdersi in stupide azioni di disturbo che servirebbero solo a mettere in guardia i Coloni contro un intervento veramente devastante degli Spaziali.»

«Allora come spieghi queste azioni di disturbo, per usare la tua definizione, amico Daneel?»

«Forse troveremo la spiegazione quando atterreremo su Solaria. Forse Aurora è curiosa quanto noi e i Coloni, e proprio per questo ha collaborato col capitano, arrivando al punto di acconsentire che Lady Gladia lo seguisse.»

Adesso fu Giskard a rimanere in silenzio. Infine disse: «E quale sarebbe questa misteriosa devastazione che avrebbero in mente?»

«Prima abbiamo parlato di una crisi derivante dal piano spaziale di sconfiggere la Terra, ma abbiamo usato Terra in senso generale, riferendoci ai Terrestri e ai loro discendenti Coloni.

Però, se sospettiamo seriamente la preparazione di un colpo devastante che permetterà agli Spaziali di battere il nemico in modo fulmineo, forse possiamo essere più precisi. È impossibile che gli Spaziali intendano attaccare un certo mondo dei Coloni. Presi singolarmente, i mondi dei Coloni sono sacrificabili, e il resto dei Coloni partirebbe prontamente alla controffensiva. È pure impossibile che gli Spaziali intendano attaccare parecchi mondi dei Coloni o magari tutti quanti. Sono troppi, e troppo sparsi. Probabilmente non tutti gli attacchi avrebbero esito favorevole, e i mondi dei Coloni scampati all’incursione nemica, rabbiosi e disperati, porterebbero devastazione sui mondi spaziali.»

«Dunque, secondo te, amico Daneel, si tratterà di un colpo sferrato contro la Terra stessa.»

«Sì, amico Giskard. La Terra ospita la maggior parte degli esseri umani a vita breve, è una fonte inesauribile di emigranti diretti sui mondi dei Coloni e di individui pronti a colonizzare nuovi pianeti, ed è la patria venerata di tutti i Coloni. Se in qualche modo la Terra venisse distrutta, il movimento dei Coloni potrebbe non riprendersi mai più da un simile colpo.»

«Ma i Coloni non cercherebbero di vendicarsi con un’azione massiccia, e di forza pari a quella adottata, se gli Spaziali distruggessero uno dei loro mondi? Mi sembra che ciò sia inevitabile.»

«Anche a me, amico Giskard. Quindi, a meno che gli Spaziali non siano impazziti, la loro azione dovrebbe essere molto abile e ingegnosa, un’azione di cui loro non dovrebbero sembrare minimamente responsabili.»

«Perché non adottare questa abile tattica contro i mondi dei Coloni che ospitano la maggior parte del potenziale bellico dei Terrestri?»

«Forse gli Spaziali sono convinti che un colpo sferrato alla Terra sarebbe più devastante da un punto di vista psicologico, o forse per la sua natura intrinseca questo colpo può essere sferrato solo contro la Terra mentre contro i mondi dei Coloni non funzionerebbe. Io propendo per la seconda ipotesi, dal momento che la Terra è un mondo unico, a sé stante, con una società diversa da tutti gli altri pianeti, sia dei Coloni che degli Spaziali.»

«Dunque, per riassumere, tu amico Daneel pensi che gli Spaziali stiano preparando un colpo ingegnoso ai danni della Terra, un colpo che la distruggerà senza che sia possibile risalire agli Spaziali come responsabili, un colpo che non avrebbe gli stessi effetti devastanti su qualsiasi altro mondo, un colpo che per ora gli Spaziali non sono ancora in grado di sferrare.»

«Sì, amico Giskard, però può darsi che presto siano in grado di sferrarlo.. e quando saranno pronti, dovranno agire immediatamente. Un qualsiasi indugio, e le probabilità di un inconveniente o di una fuga di notizie aumenterebbero, smascherando i veri responsabili.»

«Amico Daneel, dedurre tutto questo partendo dalle scarse indicazioni disponibili è un’impresa encomiabile. Ora parlami della natura del colpo. Cos’hanno in mente di preciso gli Spaziali?»

«Amico Giskard, sono giunto a queste conclusioni muovendomi su presupposti alquanto incerti, senza mai essere sicuro della validità del mio ragionamento. Ma anche ammettendo che sia valido, non posso spingermi oltre. Purtroppo, non conosco né riesco a immaginare la natura del colpo.»

«Ma se non conosciamo la natura del colpo non possiamo adottare misure adeguate per pararlo e risolvere la crisi. Se dobbiamo aspettare che questo colpo si riveli da solo tramite le sue conseguenze, forse sarà troppo tardi per intervenire.»

«Se c’è uno Spaziale al corrente della natura di questo evento ormai prossimo, ebbene, questi dovrebbe essere Amadiro. Non potresti costringere Amadiro ad annunciare la cosa pubblicamente, avvertendo così i Coloni e rendendo il progetto inutilizzabile?»

«No, non posso farlo senza distruggergli in pratica la mente, amico Daneel. Anzi, dubito che riuscirei a impedirne il disgregamento prima del suo annuncio.»

«Forse, allora, possiamo consolarci pensando che il mio ragionamento sia errato e che gli Spaziali non stiano preparando alcun colpo ai danni della Terra.»

«No,» disse Giskard. «Ritengo che tu abbia ragione... Quindi non ci resta che aspettare... impotenti.»

Gladia attese, tormentata da un’ansia quasi dolorosa, la conclusione del Balzo finale. Allora sarebbero stati abbastanza vicini a Solaria da scorgere il disco del suo sole.

Sarebbe stato solo un disco, naturalmente, un cerchio di luce dai vaghi contorni, talmente fioco da potere essere osservato senza strizzare gli occhi attraverso un filtro adeguato.

Non avrebbe presentato caratteristiche particolari.

Tutte le stelle che accoglievano tra gli altri pianeti un mondo abitabile in senso umano rispondevano a precisi requisiti che le rendevano molto simili. Erano tutte stelle singole... non molto più grandi né molto più piccole del sole che splendeva sulla Terra... non erano troppo attive, o troppo vecchie, o troppo giovani, o troppo calde, o troppo fredde, o troppo insolite nella loro composizione chimica. Tutte avevano macchie solari e prominenze e solo una meticolosa spettroeliografia era in grado di rivelare i dettagli che facevano di ogni stella un esemplare unico.

Tuttavia, quando si ritrovò a fissare quel cerchio di luce assolutamente anonimo, Gladia si accorse di avere le lacrime agli occhi. Quando aveva vissuto su Solaria non si era mai soffermata a pensare al sole, lo aveva semplicemente considerato l’eterna fonte di luce e di calore che sorgeva e tramontava seguendo un ritmo costante. Lasciando Solaria, lo aveva osservato sparire alle sue spalle provando un senso di gratitudine. Non aveva alcun ricordo prezioso legato a quel sole.

Ma adesso piangeva in silenzio. Si vergognava di se stessa per un simile sfogo immotivato, però non riusciva a controllare le lacrime.

Compì uno sforzo maggiore quando si accese la luce di segnalazione. Doveva esserci D.G. alla porta... nessun altro si sarebbe avvicinato alla sua cabina.

Daneel chiese: «Deve entrare, signora? Mi sembrate emotivamente scossa.»

«Sì, sono emotivamente scossa, Daneel, comunque lascialo entrare. Immagino che non rimarrà sorpreso, lui.»

Invece accadde il contrario. Almeno, D.G. entrò con un sorriso sul volto barbuto... e quel sorriso svanì un istante dopo.

Arretrando, D.G. disse sottovoce: «Tornerò più tardi...»

«Restate!» proruppe Gladia. «Non è nulla. Una sciocca reazione passeggera.» Aspirò, asciugandosi gli occhi irritata. «Come mai qui?»

«Volevo parlare di Solaria con voi. Se riusciremo a completare una microregolazione, atterreremo domani. Ma se adesso non siete in grado di sostenere una...»

«Sono perfettamente in grado di farlo. Anzi, ho una domanda per voi. Perché abbiamo impiegato tre Balzi per arrivare? Un Balzo sarebbe stato sufficiente. Almeno, venti decadi fa, quando mi sono trasferita da Solaria su Aurora, era sufficiente un solo Balzo. La tecnica dei viaggi spaziali non dovrebbe essere regredita da allora.»

Il sorriso di D.G. tornò. «Azione evasiva. Se una nave auroriana ci stesse seguendo... ecco, diciamo che ho voluto confonderla.»

«Perché dovremmo essere seguiti?»

«Semplice ipotesi, signora. Il Consiglio mi è parso troppo smanioso di rendersi utile. Hanno addirittura suggerito che una nave auroriana si unisse alla mia in questa spedizione su Solaria.»

«Be’, un appoggio avrebbe potuto servire, no?»

«Forse... se fossi stato sicuro dell’estraneità di Aurora ai fatti di Solaria. Ho detto chiaramente al Consiglio che avrei fatto a meno di una scorta... o meglio, che mi sareste bastata voi,» disse D.G. puntandole contro un dito. «Però è Possibile che il Consiglio, per pura bontà d’animo, mi abbia fatto accompagnare contro la mia volontà, non vi pare? Be’, io una scorta non la voglio! Mi aspetto già abbastanza guai senza dovermi guardare nervosamente alle spalle ogni minuto. Quindi ho fatto in modo che seguirmi non fosse tanto facile... Allora, cosa sapete circa Solaria, signora?»

«Quante volte devo ripetervelo? Non so nulla ! Sono trascorse venti decadi.»

«Mi riferisco alla psicologia dei Solariani, signora. Non può essere cambiata in appena venti decadi... Spiegatemi perché hanno abbandonato il pianeta.»

«A quanto ho sentito,» rispose calma Gladia «la popolazione diminuiva costantemente, in seguito a un insieme di morti premature e di bassissima natalità.»

«Vi sembra plausibile?»

«Certo. Le nascite sono sempre state scarse.» Gladia contrasse il viso a quel ricordo. «Le usanze solariane non facilitano la fecondazione, né naturale, né artificiale e tanto meno ectogenetica.»

«Mai avuto figli, signora?»

«Non su Solaria.»

«E le morti premature?»

«Be’, forse dipendevano da un senso generale di fallimento. Era ovvio che Solaria non funzionava a dovere, sebbene i Solariani si fossero dedicati con fervore alla costruzione di una società ideale... una società migliore di quella della Terra e superiore a quelle degli altri mondi spaziali.»

«Cioè, secondo voi, Solaria stava morendo per una specie di crepacuore collettivo dei suoi abitanti?»

«Se volete usare questa ridicola espressione,» fece Gladia seccata.

D.G. scrollò le spalle. «Mi limito a interpretare la vostra spiegazione. Ma gli abitanti sarebbero partiti veramente per questo motivo? Per andare dove? Per vivere come?»

«Non lo so.»

«Eppure, Lady Gladia, è risaputo che i Solariani sono abituati a enormi

estensioni di terra, a vivere in un isolamento quasi totale serviti da migliaia di robot. Abbandonando Solaria, dove possono avere trovato una società che soddisfi queste loro esigenze? Si sono trasferiti per caso su un altro mondo spaziale?»

«A quanto mi risulta, no. Del resto, non godo della loro confidenza.»

«Possono avere trovato un nuovo pianeta tutto per loro? In tal caso, si tratterebbe di un mondo ostile e primitivo, da sottoporre ad una trasformazione ambientale. I Solariani sarebbero pronti ad una impresa del genere?»

Gladia scosse il capo. «Non lo so.»

«Forse non è vero che se ne sono andati.»

«Invece pare proprio che Solaria non dia segno di essere un pianeta abitato.»

«Cioè?»

«Tutte le comunicazioni interplanetarie sono cessate. Tutte le radiazioni provenienti dal pianeta sono cessate, a parte quelle dovute a cause naturali e al lavoro dei robot.»

«Come lo sapete?»

«Dai notiziari diffusi su Aurora.»

«Ah! Dai notiziari di Aurora! E se qualcuno mentisse?»

«A che scopo mentire?» replicò Gladia irrigidendosi.

«Per attirare le nostre navi sul pianeta e distruggerci.»

«Assurdo, D.G.,» scattò Gladia. «Cosa ricaverebbero gli Spaziali distruggendo due navi commerciali mediante uno stratagemma tanto elaborato?»

«Eppure due navi dei Coloni sono state distrutte su un pianeta teoricamente deserto. Come lo spiegate?»

«Non lo so. Immagino stiamo andando su Solatia proprio per trovare una spiegazione.»

D.G. la fissò cupo. «Siete in grado di guidarmi nella zona che vi apparteneva quando vivevate su Solaria?»

«La mia proprietà?» Gladia lo fissò a sua volta, stupefatta.

«Non vi piacerebbe rivederla?»

Il cuore di Gladia parve incepparsi un attimo. «Sì, mi piacerebbe. Ma perché proprio la mia proprietà?»

«Le due navi distrutte erano atterrate in due punti lontanissimi del pianeta, eppure sono state eliminate rapidamente. Anche se ogni angolo del pianeta può essere mortale, secondo me la vostra proprietà forse è meno pericolosa.»

«Perché?»

«Perché là potremmo essere aiutati dai robot. Voi dovreste conoscerli, no? I robot durano ben più di venti decadi, se non sbaglio. Almeno, se ci basiamo sull’esempio di Daneel e Giskard. E i robot attivi quando voi abitavate là dovrebbero ricordarsi di voi, trattarvi da padrona, dare la precedenza a voi in fatto di fedeltà.»

«C’erano diecimila robot sulla mia proprietà. Io ne conoscevo sì e no una trentina, di vista. Gli altri perlopiù non li ho mai visti, e può darsi che loro non mi abbiano mai vista. I robot agricoli non sono molto sofisticati, e nemmeno quelli minerari e quelli addetti alla silvicoltura. Sì, i robot domestici dovrebbero ancora

ricordarsi di me... sempre che dopo la mia partenza non siano stati trasferiti o venduti. E poi, teniamo presente che capita sempre qualche incidente e che alcuni robot non durano affatto venti decadi... per concludere, a differenza della memoria robotica, la memoria umana non è infallibile, quindi può darsi che io non riconosca nessuno dei miei vecchi robot.»

«In ogni caso, siete in grado di indicarmi come raggiungere la vostra proprietà?» chiese D.G.

«Per latitudine e longitudine? No.»

«Ho delle carte geografiche di Solaria. Questo potrebbe aiutarvi?»

«Forse potrei darvi qualche indicazione approssimativa. La mia proprietà si trova nella parte centro-sud del continente settentrionale di Heliona.»

«E quando saremo approssimativamente in zona, sapreste essere più precisa basandovi sui punti di riferimento del territorio? Sorvoleremo Solaria a bassissima quota.»

«Più precisa, osservando le coste e i fiumi?»

«Sì.»

«Credo di poterci riuscire.»

«Ottimo! Nel frattempo, vedete di ricordare il nome e l’aspetto di qualche robot. È importante... Può andarne della nostra vita.»

D.G. sembrava una persona diversa coi suoi ufficiali. L’ampio sorriso era scomparso, come pure l’atteggiamento di placida indifferenza per il pericolo. Sedeva, chino sulle mappe, con un’espressione di concentrazione estrema.

«Se quella donna ci ha dato indicazioni esatte,» disse, «la sua proprietà dovrebbe essere all’incirca qui.:. e passando alla propulsione normale dovremmo esserci tra non molto.»

«Un bello spreco di energia, capitano,» borbottò Jamin Oser, comandante in seconda. Era alto, e, come D.G., barbuto. La sua barba era color ruggine, al pari delle sopracciglia che si inarcavano su un paio di occhi azzurri e vivaci. Sembrava piuttosto vecchio, una vecchiaia dovuta all’esperienza e non agli anni, comunque.

«Non posso farci nulla,» disse D.G. «Se avessimo l’antigravità che i tecnocrati continuano a prometterci da un giorno all’altro, le cose cambierebbero.» Fissò di nuovo la cartina. «Lei dice che dovrebbe essere lungo questo fiume, circa sessanta chilometri a monte da dove sfocia in quest’altro fiume più grande. Sempre che le sue indicazioni siano esatte.»

«Continuate a dubitarne,» intervenne Chandrus Nadirhaba, che portava le mostrine di navigatore e doveva fare atterrare la nave nel punto esatto... o in ogni caso nel punto indicato. La sua pelle scura e i baffi ben curati accentuavano la forza e la bellezza del viso.

«Lei sta cercando di ricordare qualcosa a distanza di venti decadi,» disse D.G. «Tu sapresti ricordare i particolari di un posto anche se le decadi passate fossero solo tre? Quella donna non è un robot. Può darsi che abbia dimenticato.»

«Allora perché l’abbiamo presa a bordo?» borbottò Oser. «E quell’altro tipo e il

robot? Innervosisce l’equipaggio, e neppure a me piace questa situazione.»

D.G. alzò lo sguardo, accigliato, dicendo a bassa voce «Su questa nave non ha importanza quello che può piacere o no a te o all’equipaggio. Qui sono io il responsabile, e le decisioni le prendo io. Rischiamo tutti di morire poco dopo l’atterraggio... e quella donna potrebbe salvarci.»

Nadirhaba replicò spiccio: «Se moriremo, pazienza. Non saremmo Mercanti se non sapessimo che un grosso guadagno può nascondere un rischio mortale. E in questa missione siamo tutti volontari. Comunque, capitano, non guasterebbe sapere da che parte arriva la morte. Se lo avete scoperto, deve proprio rimanere un segreto?»

«No, non esiste nessun segreto. In teoria i Solariani se ne sono andati... ma supponiamo che un paio di centinaia di loro siano rimasti a casa zitti zitti per tenere d’occhio la baracca, diciamo.»

«E cosa possono fare contro una nave armata, capitano? Hanno un’arma segreta?»

«Non tanto segreta,» rispose D.G. «Solaria è piena di robot. I Coloni sono venuti su questo mondo proprio per questo, no? I pochi Solariani rimasti potrebbero disporre ognuno di un milione di robot. Un esercito formidabile.»

Eban Kalaya era l’esperto di comunicazioni. Finora non aveva aperto bocca, consapevole della propria posizione di giovane subalterno, indicata anche dal fatto che dei quattro ufficiali presenti lui era l’unico senza alcun pelo sul viso. Finalmente, azzardò un’osservazione. «I robot non possono fare del male agli esseri umani.»

«È quel che ci hanno raccontato,» ribatté D.G. asciutto. «Ma noi che ne sappiamo veramente di robot? Sappiamo invece che due navi sono state distrutte e che un centinaio di bravi Coloni sono stati uccisi in due zone lontane di un mondo che pullula di robot. Solo i robot possono essere gli autori della strage, no? Noi non sappiamo che genere di ordini possa dare ai robot un Solariano, né grazie a quali trucchi sia possibile aggirare la famosa Prima Legge.

«Quindi cambieremo tattica. Stando ai rapporti pervenuti dalle due navi prima della distruzione, tutti gli uomini a bordo sono sbarcati dopo l’atterraggio. Dopo tutto, era un pianeta deserto e loro volevano sgranchirsi le gambe, respirare un po’ d’aria pura e dare un’occhiata ai robot da prelevare. Al momento dell’attacco, le navi erano indifese e gli equipaggi non erano in stato di all’erta.

«Questa volta non succederà. Io scendo, ma voialtri resterete a bordo della nave o nelle sue immediate vicinanze.»

Gli occhi scuri di Nadirhaba avvamparono di disapprovazione. «Perché proprio voi, capitano? Se vi occorre qualcuno che faccia da esca, qualsiasi altro dell’equipaggio sarebbe una perdita-meno grave.»

«Apprezzo il pensiero, navigatore. Ma non sarò solo. Verranno con me la Spaziale e i suoi compagni. Lei è l’elemento essenziale. Può darsi che conosca qualche robot, o che i robot la riconoscano. Spero che, per quanto possano avere ricevuto l’ordine di attaccarci, i robot non attaccheranno la Spaziale.»

«Cioè, si ricorderanno della Cara Padroncina e cadranno in ginocchio,» fece

Nadirhaba sarcastico.

«Se preferisci metterla in questi termini... Infatti è per questo che l’ho portata con noi e che atterreremo sulla sua proprietà. Io devo starle vicino perché sono l’unico che la conosca... un po’, almeno... e poi devo controllare che si comporti bene. Una volta superato il pericolo usando lei come scudo, sapremo cosa avremo di fronte e potremo procedere per conto nostro. Lei non ci servirà più.»

Oser chiese: «Allora come ci regoleremo con lei? La scaricheremo nello spazio per alleggerirci?»

«La porteremo su Aurora!» ruggì D.G.

Oser ribatté: «Per l’equipaggio sarà un viaggio dispendioso e inutile, capitano. Diranno che possiamo benissimo lasciarla su questo maledetto pianeta. In fondo, è qui che è nata, no?»

«Sì. E io comincerò a prendere ordini dall’equipaggio, vero?»

«Certo che no, capitano. Però anche il piacere dell’equipaggio conta... E un equipaggio nervoso può complicare un viaggio.»