CAPITOLO QUARTO UN ALTRO DISCENDENTE
Gladia aveva provato a rilassarsi dopo lo snervante incontro con Mandamus... e lo fece con tale accanimento da ottenere l’effetto contrario. Aveva opacizzato le finestre della camera da letto, aveva inserito nell’ambiente una tiepida brezza con un fruscio di foglie in sottofondo e qualche tenue, remoto cinguettio. Era passata poi ad un rumore lontano di risacca e aveva aggiunto un lieve ma inconfondibile odore salmastro all’aria.
Tutto inutile. Nella sua mente continuava ad echeggiare quanto era appena successo... e quel che sarebbe accaduto entro breve tempo. Perché aveva chiacchierato a vanvera con Mandamus? Non erano affari suoi, né di Amadiro, se lei si fosse incontrata o meno con Elijah, né se avesse avuto o no un figlio da lui o da qualcun altro!
L’insistenza con cui Mandamus l’aveva interrogata riguardo la propria origine l’aveva colta impreparata, facendole perder la calma, ecco cos’era successo. In una società dove a nessuno importava nulla della discendenza o della parentela se non per motivi medico-genetici, l’intrusione improvvisa di un simile argomento in una discussione non poteva che avere effetti sconvolgenti. E, come se non bastasse, c’erano stati i continui riferimenti ad Elijah... sicuramente accidentali, certo.
Gladia decise che stava cercando di giustificarsi e, spazientita, accantonò simili ragionamenti. Aveva reagito malamente e si era messa a farfugliare come una bambina, non c’era proprio nient’altro da spiegare.
E adesso c’era questo Colono in arrivo.
Non era un Terrestre. Non era nato sulla Terra, sicuramente, ed era più che probabile che non avesse mai messo piede su quel pianeta. Forse il suo popolo viveva da generazioni su un mondo straniero di cui lei non aveva mai sentito parlare.
Avrebbe dovuto essere considerato uno Spaziale, dunque, rifletté Gladia. Anche gli Spaziali discendevano dai Terrestri... da molti più secoli, ma questo che importanza aveva? Certo, gli Spaziali erano longevi, mentre questi Coloni avevano una vita piuttosto breve... ma era proprio una distinzione tanto netta? Perfino uno Spaziale poteva morire prematuramente in seguito a qualche strano incidente; un tempo Gladia aveva sentito parlare di uno Spaziale morto di morte naturale prima dei sessant’anni. Dunque, perché non considerare il prossimo visitatore uno Spaziale dall’accento insolito?
Ma non era così semplice. Senza dubbio, il Colono non si sentiva uno Spaziale. “Non conta quello che sei, ma quello che pensi di essere” rifletté Gladia. “Perciò, consideralo un Colono, non uno Spaziale.”
Eppure, tutti gli esseri umani non erano semplicemente uomini e basta, indipendentemente dalle definizioni che li distinguevano... spaziali, Coloni, Auroriani, Terrestri? Lo dimostrava il fatto che i robot non potevano fare del male a nessuno di loro. Daneel sarebbe accorso altrettanto prontamente in difesa del più
ignorante dei Terrestri che del Presidente del Consiglio di Aurora... il che significava...
Gladia stava lasciandosi trasportare da un senso di distensione verso un sonno leggero, quando un pensiero improvviso le si incuneò nella mente di prepotenza.
Perché il Colono si chiamava Baley?
La sua mente si destò, liberandosi dalle gradite spire d’oblio che stavano avviluppandola.
Perché proprio Baley?
Forse era semplicemente un nome comune tra i Coloni. Dopo tutto, era stato Elijah a tradurre in realtà il sogno della Colonizzazione, quindi per loro doveva essere una specie di eroe come... come:..
Gladia non riuscì a pensare ad un eroe analogo per gli Auroriani. Chi aveva guidato la prima spedizione giunta su Aurora? Chi aveva diretto le opere di trasformazione ambientale del mondo quasi inabitabile che Aurora era stato un tempo? Gladia non lo sapeva.
La sua ignoranza derivava dal fatto che era stata educata su Solaria... o dal fatto che gli Auroriani non avevano alcun eroe fondatore? In fin dei conti, la prima spedizione sul pianeta era formata unicamente da Terrestri. Solo nelle generazioni successive, con l’avvento della longevità grazie a sofisticati interventi di bioingegneria, i Terrestri erano diventati Auroriani.
Dopo di che, perché mai gli Auroriani avrebbero dovuto vedere come eroi i loro predecessori tanto disprezzati?
Forse invece i Coloni avevano eroi terrestri. Forse loro non erano ancora cambiati. Non era escluso che un giorno potessero cambiare, che Elijah potesse divenire un personaggio scomodo, da dimenticare... però, fino a quel giorno...
Sì, quella doveva essere la spiegazione. Probabilmente una buona percentuale dei Coloni aveva adottato il cognome di Elijah. Povero Elijah! Tutti a gravargli addosso, ad affollarsi sulla sua ombra. Povero Elijah... caro Elijah...
E Gladia si addormentò.
Fu un sonno troppo agitato per restituirle la calma e il buon umore. Al risveglio si ritrovò accigliata senza rendersene conto, e se si fosse vista allo specchio sarebbe stata colpita dal proprio aspetto assai poco giovanile.
Daneel, per il quale lei era un essere umano indipendentemente dall’età, dall’aspetto e dall’umore, disse: «Lady...»
Gladia lo interruppe, percorsa da un lieve brivido. «È arrivato il Colono?»
Guardò l’indicatore a nastro sulla parete e fece un gesto rapido, al che Daneel regolò subito la temperatura dell’ambiente, alzandola. Era stata una giornata-fresca, e la sera si annunciava ancor più frizzante.
«Sì, è arrivato, signora.»
«Dove lo avete sistemato?»
«Nella camera principale degli ospiti, signora. Giskard è con lui, e i robot di servizio sono tutti a disposizione.»
«Spero avranno l’accortezza di informarsi sui suoi gusti a tavola. Non conosco la cucina dei Coloni, ma mi auguro che i robot si sforzino per quanto è possibile di soddisfare le richieste dell’ospite.»
«Sono certo che Giskard sbrigherà tutto con la massima competenza, signora.»
Anche Gladia ne era certa, ma quasi senza accorgersene sbuffò.
«Immagino sia stato in quarantena, prima di ricevere il permesso di atterrare,» disse.
«Sarebbe impensabile un mancato rispetto delle norme di quarantena, signora.»
«Be’, comunque, metterò i guanti e i filtri nasali.»
Gladia uscì dalla camera da letto, vagamente consapevole della presenza di robot nelle immediate vicinanze, e con un segno ordinò che le portassero un nuovo paio di guanti e di filtri. Ogni casa aveva un proprio vocabolario di segni e ogni membro umano di un nucleo domestico coltivava quei segni, imparando a farli rapidamente e con discrezione. Un robot doveva eseguire quei taciti ordini quasi leggesse la mente del padrone; di conseguenza, non era in grado di eseguire gli ordini di un umano estraneo alla casa, a meno che non fossero formulati con accuratezza verbale.
Sarebbe stato estremamente umiliante per il padrone di casa il fatto che uno dei suoi robot esitasse nell’eseguire un ordine o, peggio ancora, lo eseguisse in modo errato. Questo significava che l’essere umano aveva pasticciato con un segno... o che era stato il robot a pasticciare.
Gladia sapeva che generalmente lo sbaglio era dell’essere umano, ma nella maggior parte dei casi non veniva ammesso. Così, senza che fosse necessario, il robot era sottoposto a una revisione, oppure veniva messo in vendita ingiustamente. Gladia si era sempre detta che mai sarebbe caduta in quella trappola tesa dall’orgoglio ferito, eppure se in quel momento non avesse ricevuto i guanti e i filtri...
Non dovette terminare il pensiero. Il robot più vicino le portò quello che desiderava, rapido e preciso.
Gladia sistemò i filtri nasali e provò a soffiare per assicurarsi che fossero bene a posto (non intendeva infettarsi con qualche germe cocciuto scampato magari ai minuziosi trattamenti della quarantena). «Che aspetto ha, Daneel?» chiese.
«Statura e corporatura medie, signora.»
«Ma di faccia?» Era una domanda sciocca. Se l’ospite avesse avuto qualche somiglianza con Elijah Baley, Daneel lo avrebbe notato all’istante e avrebbe certo riferito.
«È difficile dirlo, signora. La faccia non è ben visibile.»
«In che senso? Non avrà una maschera, vero, Daneel?»
«In un certo senso, sì, signora. La sua faccia è coperta di peli.»
«Peli?» Gladia rise. «Come negli sceneggiati storici dell’ipervisione? Le barbe?» Con alcuni gesti, indicò un ciuffo di peli sul mento. e un altro sotto il naso.
«In quantità maggiore, signora. Mezza faccia ne è coperta.»
Gladia spalancò gli occhi e per la prima volta provò un’intensa curiosità per il visitatore. Una faccia coperta di peli... chissà che impressione faceva? I maschi di
Aurora (gli Spaziali in generale) avevano pochissimi peli facciali, che del resto venivano tolti per sempre durante l’adolescenza... in pratica, durante l’infanzia.
A volte, il labbro superiore non veniva toccato. Gladia ricordava che suo marito, Santirix Gremionis, prima del matrimonio portava una sottile striscia di peli sotto il naso. Baffi, li chiamava. Sembravano uno strano sopracciglio fuori posto, e quando si era rassegnata ad accettarlo come marito, Gladia aveva insistito perché Santirix si facesse depilare in modo definitivo.
Lui aveva obbedito senza protestare, e Gladia si ritrovò a chiedersi solo adesso se il marito avesse sentito la mancanza di quei baffi. Nei primi anni, certe volte lo aveva visto portare un dito al labbro superiore. Aveva pensato si trattasse di una reazione nervosa a una vaga sensazione di prurito, e solo ora capì che il marito invece cercava qualcosa che non sarebbe più cresciuto.
Chissà che aria aveva un uomo con la faccia piena... piena di baffi? Sarebbe sembrato un orso?
E chissà cosa si provava ad avere la faccia ridotta così? E se anche le donne avessero avuto peli del genere? Gladia pensò ad un uomo e una donna che cercavano di baciarsi stentando a trovare le rispettive bocche. Il pensiero le parve divertente, di un’oscenità innocua. Scoppiò a ridere, sempre più incuriosita da un simile mostro.
Comunque, non c’era bisogno di lasciarsi intimorire, anche se il visitatore, oltre a un aspetto animalesco, avesse avuto un comportamento animalesco. Lui non aveva robot con sé, dato che i Coloni avevano una società non robotica, mentre Gladia era circondata da parecchi robot. Il mostro sarebbe stato immobilizzato in una frazione di secondo alla minima mossa sospetta... o anche se avesse osato alzare la voce rabbiosamente.
Di ottimo umore. Gladia disse: «Portami da lui, Daneel.»
Il mostro si alzò, dicendo qualcosa di simile a: «Buun poumeriggio, sunniora.»
Gladia interpretò subito il buon pomeriggio, mentre le occorse un istante di più per tradurre l’ultima parola in signora.
Distrattamente, rispose: «Buon pomeriggio.» Ricordava le difficoltà-incontrate nel capire la pronuncia auroriana del Galattico Standard quando, tanto tempo prima, giovane e spaventata, era giunta su Aurora da Solaria.
L’accento del mostro era rozzo, incivile... o le sembrava tale solo perché il suo orecchio non vi era abituato? Elijah, se ben ricordava, pronunciava certe consonanti mute, però per il resto parlava discretamente. Comunque, erano trascorse quasi venti decadi e questo Colono non proveniva dalla Terra. La lingua, nell’isolamento, subiva cambiamenti.
Ma solo una piccola parte della mente di Gladia era rivolta al problema linguistico. Più che altro, lei stava fissando stupefatta quella barba.
Era diversissima dalle barbe sfoggiate dagli attori nei drammi storici. Quelle degli attori erano a ciuffi... sparse un po’ qui un po’ là... erano lisce, lucide e sembravano attaccaticce.
La barba del Colonizzatore copriva in modo uniforme mento e guance; era folta, marrone scuro, leggermente più chiara e ondulata dei capelli, e lunga almeno
cinque centimetri.
Non copriva il volto interamente, però. La fronte era del tutto nuda (a parte le sopracciglia), come pure il naso e le zone sotto gli occhi.
Anche il labbro superiore era spoglio, ma una sfumatura scura sembrava indicare una crescita incipiente di peluria. E sotto il labbro inferiore un’altra area nuda, coi peli che cominciavano a crescere nella parte centrale, infoltendosi verso il mento.
Dato che le labbra erano prive di peli, non ci sarebbero stati problemi a baciarlo, rifletté Gladia. Pur rendendosi conto di fissarlo in maniera assai poco educata, continuò a studiarlo, e disse: «Pare che togliate i peli attorno alle labbra...»
«Sì, signora.»
«Posso chiedervi il perché?»
«Certo. Per motivi igienici. Non voglio che il cibo si attacchi.»
«Li... li raschiate via, vero? Si vede che stanno ricrescendo.»
«Uso un laser facciale. Bastano quindici secondi dopo essermi svegliato.»
«Perché non vi depilate definitivamente?»
«Perché può darsi che un giorno voglia farmeli crescere ancora.»
«Come mai?»
«Per motivi estetici, signora.»
Gladia non afferrò la terza parola. Le sembrò di sentire qualcosa di simile a eretici o a acetici. «Prego?»
Il Colono spiegò: «Potrei stancarmi del mio aspetto e decidere di lasciarmi crescere di nuovo i peli sul labbro superiore. Sapete, a certe donne piacciono, e... be’, se voglio ho due baffi, io.» Aveva cercato, senza riuscirci, di darsi un’aria di modestia.
«Ah, motivi estetici!» esclamò Gladia, comprendendo di colpo la strana parola.
Il Colono rise, mostrando denti candidi e regolari. «Anche voi parlate in modo curioso, signora.»
Gladia provò ad apparire altezzosa, ma si ritrovò a sorridere. La pronuncia esatta era solo una questione di consenso locale. «Dovreste sentirmi quando uso il mio accento solariano, allora... Direi mouteivi eistettici.»
«Sono stato in posti dove parlano più o meno cosi. È una pronuncia berrbara.» Il Colono storpiò barbara arrotando incredibilmente la r.
Gladia ridacchiò. «Usate la punta della lingua. Dovreste usare i lati, invece. Solo i Solariani riescono a farlo correttamente.»
«Forse potrete insegnarmelo. Un Mercante come me, che è stato dappertutto, sente perversioni linguistiche di ogni genere.» Provò ad arrotare la r dell’ultima parola, ma volendo strafare tossì.
«Visto? Vi aggroviglierete le tonsille e non vi riprenderete mai più.» Gladia stava ancora fissandogli la barba, e la sua curiosità ebbe il sopravvento. Tese la mano verso di essa.
Il Colono sussultò e fece per indietreggiare, poi, intuendo le intenzioni di lei, restò immobile.
La mano di Gladia, guantata in modo quasi invisibile, gli si posò delicata sul
lato sinistro del viso. La plastica sottilissima che le copriva le dita non influiva sul senso del tatto. I peli le parvero morbidi ed elastici.
«Bello,» disse, con evidente sorpresa.
«È ampiamente ammirata,» disse lui, con un largo sorriso.
«Ma non posso starmene qui a manipolarvi tutto il giorno.»
«Per quel che mi riguarda, siete libera di farlo.»
Ignorando il suo commento insinuante, Gladia chiese: «Avete detto ai miei robot cosa gradireste mangiare?»
«Signora, ho detto ai robot quello che dirò a voi... mangerò qualunque cosa sia disponibile. Nell’ultimo anno sono stato su una ventina di mondi, tutti con usanze alimentari diverse. Un Mercante impara a mangiare qualunque cosa non sia propriamente tossico. Meglio un pasto auroriano che un tentativo di imitazione di qualche piatto tipico di Baleyworld.»
«Baleyworld?» ripeté Gladia, corrugando la fronte.
«Dal nome del capo della prima spedizione che ha messo piede sul pianeta... della prima spedizione dei Coloni, per la precisione. Ben Baley.»
«Il figlio di Elijah Baley?»
«Si,» annuì il Colono, e cambiò d’un tratto argomento. Guardandosi, disse con una sfumatura petulante nella voce: «Non capisco come facciate a sopportare questi vostri vestiti... così lisci e tutti buffi. Non vedo l’ora di infilarmi di nuovo nei miei.»
«Sono certa che potrete farlo quanto prima. Ma per il momento, se volete tenermi compagnia a tavola... A proposito, mi è stato detto che vi chiamate Baley... come il vostro pianeta.»
«Normale. È il nome più onorato del pianeta, naturalmente. Io sono Digi Baley.»
Erano entrati in sala da pranzo, accompagnati da Giskard e Daneel che si ritirarono nelle rispettive nicchie. Altri robot erano già nelle nicchie, e due ne uscirono per servire il pasto. La stanza risplendeva del chiarore del sole, le pareti brulicavano di decorazioni, la tavola era apparecchiata e l’odore del cibo era invitante.
Il Colono annusò l’aria e sospirò soddisfatto. «Credo proprio che la cucina di Aurora non mi creerà problemi. Dove devo sedermi, signora?»
Un robot rispose subito: «Se volete sedere qui, signore...»
Il Colono si accomodò, imitato un attimo dopo da Gladia, ossequiosa ai privilegi dell’ospite.
«Digi? Non conosco le particolarità di nomenclatura del vostro mondo, quindi scusatemi se la mia domanda è offensiva... Digi non suona un po’ femminile come nome?»
«Niente affatto,» rispose il Colono, piuttosto impettito. «Comunque, non è un nome. Sono due iniziali. La quarta lettera dell’alfabeto, e la settima.»
«Oh,» fece Gladia, illuminata. «D.G. Baley. E, scusate la mia curiosità, per cosa stanno le iniziali?»
«La D sta per quello, sicuramente,» rispose il Colonizzatore indicando col
pollice una delle nicchie murali. «E la G, credo, per quello.» E indicò una seconda nicchia.
«State scherzando, vero?» chiese Gladia sottovoce.
«Oh, no. Mi chiamo Daneel Giskard Baley. In ogni generazione, la mia famiglia ha sempre avuto almeno un Daneel o un Giskard. Io ero l’ultimo di sei figli, ma il primo maschio. Mia madre ha deciso di averne avuti abbastanza, e visto che ero l’unico maschio ha pensato di darmi tutti e due i nomi. Daneel Giskard... un fardello troppo grande per i miei gusti. Preferisco essere chiamato D.G., e sarei felice se anche voi mi chiamaste così.» Baley sorrise affabile. «Il primo a portare i due nomi, e anche il primo a vedere i due fantastici originali.»
«Ma perché questi nomi?»
«Un’idea dell’Antenato Elijah, stando alla storia di famiglia. Ha voluto battezzare così i suoi primi due nipoti, il primo Daneel, il secondo Giskard. È diventata una tradizione.»
«E le ragazze?»
«Il nome tradizionale di generazione in generazione è Jazebel... Jessie. Sapete, la moglie di Elijah.»
«Lo so.»
«Non ci sono...» Il Colonizzatore s’interruppe, volgendo la propria attenzione al piatto messogli di fronte. «Se fossimo su Baleyworld, direi che questa è una fetta di arrosto di maiale in salsa di arachidi.»
«In realtà, è un piatto vegetale, D.G. Stavate per dire che non c’è nessuna Gladia in famiglia?»
«Sì, nessuna,» rispose lui, calmo. «Jessie, la prima Jessie, non avrebbe voluto, pare... comunque, io non accetto questa spiegazione. La moglie di Elijah non è mai venuta su Baleyworld, non ha mai lasciato la Terra. Quindi, come avrebbe potuto protestare? No, secondo me, era l’Antenato a non volere nessun’altra Gladia. Niente imitazioni, niente copie, nessuna finzione. Una sola Gladia. Unica... L’Antenato ha chiesto anche che non ci fossero altri Elijah in seguito.»
Gladia mangiava con un certo impaccio. «Il vostro Antenato ha trascorso l’ultima parte della sua vita cercando di essere freddo e distaccato come Daneel, penso. In ogni caso, in cuor suo era un tipo romantico. Avrebbe potuto permettere che ci fossero altri Elijah e altre Gladia. Io sicuramente non mi sarei offesa, e immagino non si sarebbe offesa neppure sua moglie.» Accennò una risatina tremula.
«Tutto questo ha un che di irreale,» commentò D.G. «L’Antenato appartiene praticamente alla storia; è morto centosessantaquattro anni fa. Io sono un suo discendente della settima generazione, eppure eccomi qua in compagnia di una donna che lo conosceva quando lui era ancora abbastanza giovane.»
«Be’, non è che lo conoscessi proprio,» disse Gladia fissando il piatto. «L’ho incontrato per brevi periodi in tre diverse occasioni lungo un arco di sette anni.»
«Lo so. Il figlio dell’Antenato, Ben, ha scritto una biografia del padre, un classico della letteratura di Baleyworld. L’ho letta anch’io.»
«Davvero? Io non l’ho letta. Non sapevo nemmeno che esistesse. Cosa... cosa
dice per quanto mi riguarda?»
D.G. parve divertito. «Nulla che potreste trovare spiacevole, anzi siete messa in ottima luce. Ma lasciamo perdere... Quello che mi sorprende è che noi due siamo qui insieme, adesso, separati da sette generazioni. Quanti anni avete, signora? Se è una domanda lecita...»
«Non so se sia lecita, però non ho nulla in contrario a rispondervi. Ho duecentotrentatre anni, in Anni Galattici Standard. Più di ventitre decadi.»
«Ne dimostrate sì e no quarantacinque. L’Antenato è morto a settantanove anni, senza dubbio vecchio. Io ho trentanove anni e quando morrò voi sarete ancora viva...»
«Se non morrò per qualche disavventura.»
«E continuerete a vivere altre cinque decadi.»
«Mi invidiate, D.G.?» chiese Gladia con un accenno di amarezza nella voce. «Mi invidiate per essere sopravvissuta a Elijah di oltre sedici decadi, e per essere condannata a sopravvivergli forse di altre dieci decadi?»
«Certo che vi invidio,» fu la risposta pacata di D.G. «Perché non dovrei? Non mi spiacerebbe vivere per qualche secolo, se non fosse per il cattivo esempio che darei alla gente di Baleyworld. Non vorrei una longevità di massa. Il passo del progresso storico e intellettuale diverrebbe troppo lento. Le persone al vertice rimarrebbero troppo a lungo al potere. Baleyworld sarebbe preda del conservatorismo e della decadenza... come è successo al vostro mondo.»
Gladia drizzò il mento. «Aurora procede a meraviglia, lo vedrete.»
«Mi riferivo al vostro mondo. Solaria.»
Gladia esitò, poi disse: «Solaria non è il mio mondo.»
«Spero lo sia. Sono venuto da voi perché credo che Solaria sia il vostro mondo.»
«Se è per questo che siete venuto, state sprecando il vostro tempo, giovanotto.»
«Siete nata su Solaria, mi risulta, ed è là che avete vissuto per qualche tempo.»
«Ho vissuto là per le prime tre decadi della mia vita... circa un ottavo di quanto ho vissuto finora.»
«Be’, siete sempre abbastanza solariana da potermi aiutare in una questione piuttosto importante.»
«Non sono affatto solariana, nonostante questa vostra questione importante.»
«È una questione di guerra o di pace... se vi basta come importanza. I mondi spaziali e quelli dei Coloni sono di fronte alla prospettiva di una guerra, e in caso di un conflitto la situazione sarà brutta per tutti. Sta a voi, signora, impedire questa guerra e assicurare la pace.»
Il pasto, un pasto frugale, era terminato, e Gladia si ritrovò a fissare D.G. con un’espressione di gelida rabbia. Aveva vissuto tranquillamente durante le ultime venti decadi, eliminando pazientemente le complessità della vita. Lentamente, aveva dimenticato la sventura di Solaria e le difficoltà di adattamento su Aurora. Era riuscita a seppellire in profondità la sofferenza di due assassinii e l’estasi di due strani amori... con un robot e con un Terrestre... e a superare nel migliore dei modi tutto quanto. Poi, un lungo matrimonio sereno, due figli, il suo lavoro di
creatrice di abiti. In seguito i figli se n’erano andati, il marito pure, e alla fine Gladia aveva abbandonato anche il lavoro.
Adesso era sola, coi suoi robot, e le bastava (forse era rassegnazione) lasciare che la sua vita scivolasse tranquillamente, pacificamente, verso l’ora finale... una conclusione così dolce che forse lei non si sarebbe accorta di nulla.
Era quello che desiderava.
Poi... Cosa stava accadendo?
Era iniziato la notte precedente, quando lei aveva scrutato invano il cielo per vedere la stella di Solaria, che non era ancora sorta e che in ogni caso non sarebbe stata visibile. Sembrava quasi che quell’unico sciocco tentativo di afferrare il passato, che avrebbe dovuto rimanere morto e sepolto, avesse infranto . la parete di distacco di cui lei si era circondata.
Quindi il nome di Elijah Baley, il ricordo più gioioso e doloroso di quelli che aveva accantonato con tanta cura, era affiorato ripetutamente in macabra sequenza.
Era poi stata costretta ad affrontare un uomo che, erroneamente, credeva di essere un discendente di quinto grado di Elijah, e adesso ad incontrare un altro uomo che era davvero discendente di settimo grado del Terrestre. Infine, tutti la stavano caricando di problemi e responsabilità simili a quelli che avevano assillato Elijah stesso in varie circostanze.
In un certo senso, le pareva quasi di essersi trasformata in Elijah, senza possedere però il suo talento e il suo caparbio attaccamento al dovere.
Cosa aveva fatto per meritarlo?
La rabbia che provava fu travolta da un’ondata di autocommiserazione. Si sentì trattata ingiustamente. Nessuno aveva il diritto di addossarle responsabilità indesiderate.
Sforzandosi di mantenere salda la voce, disse: «Perché vi ostinate a considerarmi Solariana, nonostante vi ripeta che non sono Solariana?»
D.G. non sembrò turbato dalla sfumatura glaciale della sua voce. Stava ancora stringendo il morbido tovagliolo che gli era stato dato al termine del pasto, un tovagliolo caldo e leggermente umido. Imitando i gesti di Gladia, D.G. si era pulito le mani e la bocca. Quindi lo aveva piegato, strofinandosi la barba. Adesso il tovagliolo stava lacerandosi, raggrinzito.
«Immagino che si dissolverà del tutto,» commentò D.G.
«Sì.» Gladia aveva depositato il proprio tovagliolo nell’apposito contenitore sul tavolo. Non era buona educazione tenerlo in mano, ma si poteva fare un’eccezione per l’evidente scarsa dimestichezza del Colono con le usanze civili. «Alcuni pensano che abbia un effetto inquinante sull’atmosfera, comunque c’è una lieve corrente d’aria che solleva i residui verso l’alto, dove vengono trattenuti da filtri. Nessun problema, dunque... Ma non avete risposto alla mia domanda, signore.»
D.G. appallottolò i resti del tovagliolo e li depose su un bracciolo della sedia. Un robot, obbedendo al gesto rapido e impercettibile di Gladia, li tolse.
«Non intendo ignorare la vostra domanda, signora. Non sto cercando di
obbligarvi ad essere Solariana. Sostengo solo che siete nata su Solaria e che avete passato là le vostre prime decadi di vita, per cui in un certo senso potreste essere considerata Solariana... Lo sapete che Solaria è stata abbandonata?»
«Si. Ho sentito la notizia.»
«E non provate nulla per quanto è successo?»
«Sono un’Auroriana, ormai da venti decadi.»
«Questo è un non sequitur.»
«Un che?» Gladia non aveva afferrato il significato dell’ultima parola.
«Non ha alcun collegamento con la mia domanda.»
«Ah, non sequitur, vero? Voi avete pronunciato più o meno nonsenso.»
D.G. sorrise. «Benissimo. Basta nonsensi. Vi chiedo se provate qualcosa per la morte di Solaria e voi mi dite che siete Auroriana. Vi sembra una risposta? Anche un’Auroriana potrebbe essere addolorata per la morte di un mondo gemello E voi…»
«Non ha importanza. Perché vi interessa tanto?» sbottò Gladia, gelida.
«Ve lo spiegherò. Noi... mi riferisco ai Mercanti dei mondi dei Coloni... siamo interessati alla cosa perché ci sono in gioco affari, profitti, un mondo intero da guadagnare. Solaria è già stata trasformata e resa abitabile, è un mondo comodo, e a quanto pare voi Spaziali non ne avete bisogno né lo volete. Perché non dovremmo colonizzarlo noi?»
«Perché non è vostro.»
«Signora, è per caso vostro? Aurora ha gli stessi diritti di Baleyworld per quel che riguarda Solaria. Non è lecito supporre che un mondo deserto appartenga a chiunque sia disposto a colonizzarlo?»
«Lo avete colonizzato?»
«No... perché non è deserto.»
«Intendete dire che i Solariani non hanno abbandonato completamente il pianeta?» chiese Gladia ansiosa.
Il sorriso di D.G. si allargò. «L’idea vi eccita... anche se siete Auroriana.»
Gladia contrasse il viso in un’espressione accigliata. «Rispondete alla mia domanda.»
D.G. scrollò le spalle. «Grosso modo c’erano solo cinquemila Solariani sul pianeta appena prima che fosse abbandonato, stando ai nostri calcoli. La popolazione era in diminuzione da anni. Ma anche nel caso di soli cinquemila abitanti... siamo davvero sicuri che se ne siano andati proprio tutti? Comunque, non è questo il punto. Anche se i Solariani fossero andati via davvero, il pianeta in ogni caso non sarebbe deserto. Sulla sua t superficie ci sono circa duecento milioni di robot... robot senza padrone... e tra di essi, alcuni degli esemplari più perfezionati della Galassia. Probabilmente, i Solariani partiti avranno portato con sé qualche robot... è difficile immaginare che uno Spaziale possa fare a meno completamente dei suoi robot.» (Si guardò attorno sorridendo, e indicò i robot nelle nicchie della stanza.) «Però è impossibile che si siano portati appresso quarantamila robot a testa.»
Gladia disse: «Bene. Allora, visto che i vostri mondi di Coloni non sono
infestati dai robot e desiderano rimanere tali, presumo non possiate colonizzare Solaria.»
«Appunto. Non finché i robot non saranno spariti, ed è a questo punto che entrano in scena i Mercanti come me.»
«In che modo?»
«Non vogliamo una società robotica, però non abbiamo problemi ad avere a che fare con loro per affari. Non abbiamo nessun timore superstizioso verso i robot. Sappiamo solo che una società robotica è destinata al decadimento. Gli Spaziali ce ne hanno dato un esempio lampante. Così, pur non volendo vivere a contatto di questo veleno robotico, siamo dispostissimi a venderlo agli Spaziali per una somma considerevole... se gli Spaziali sono tanto sciocchi da desiderare una società del genere.»
«Pensate che gli Spaziali li compreranno?»
«Certo. Compreranno volentieri gli eleganti modelli di Produzione solariana. È risaputo che i Solariani erano i migliori progettisti di robot della Galassia, anche se si dice che il defunto dottor Fastolfe, nonostante fosse Auroriano, sia stato il genio indiscusso del settore. E poi, pur chiedendo una somma considerevole, si tratterebbe sempre di una cifra inferiore al vero valore dei robot. Un affare vantaggioso sia per gli Spaziali che per i Mercanti... il segreto del successo nel commercio.»
«Gli Spaziali non comprerebbero mai robot dai Coloni,» osservò Gladia sprezzante.
D.G. da buon mercante sapeva ignorare particolari secondari quali la rabbia o il disprezzo. Per lui contavano soprattutto gli affari. «Certo che li compreranno. Provate a offrire loro robot ultimo modello a metà prezzo... Perché mai dovrebbero rifiutarli? Negli affari è sorprendente come le questioni ideologiche passino in secondo piano.»
«Credo che la sorpresa toccherà a voi. Provate a vendere quei robot e vedrete.»
«Vorrei poterlo fare subito, signora. Eccome, se cercherei di venderli! Il fatto è che non ne ho nemmeno uno sottomano.»
«Perché?»
«Perché nessuno è riuscito a procurarsi un solo robot. Su Solaria sono atterrati due mercantili con spazio sufficiente per una trentina di robot. Se fossero riusciti nell’impresa intere flotte di mercantili li avrebbero seguiti, e probabilmente avremmo continuato a fare affari per intere decadi... e poi avremmo colonizzato il pianeta.»
«Ma non sono riusciti nell’impresa. Perché?»
«Perché entrambe le navi sono state distrutte sulla superficie del pianeta e, a quanto ci risulta, tutti gli uomini dell’equipaggio sono morti.»
«Guasti alle apparecchiature?»
«Sciocchezze. Le navi sono atterrate senza danni, non c’è stato il minimo incidente. Stando ai loro ultimi rapporti, degli Spaziali erano in fase di avvicinamento... non sappiamo se fossero Solariani o provenienti da altri mondi spaziali. Possiamo solo presumere che gli Spaziali abbiano attaccato senza
preavviso.»
«Impossibile.»
«Davvero?»
«Certo che è impossibile. Perché avrebbero dovuto attaccare?»
«Per tenerci alla larga dal pianeta, direi.»
«In tal caso sarebbe bastato che annunciassero che quel mondo era occupato.»
«Forse hanno pensato che fosse più piacevole uccidere qualche Colono. Almeno, questo è quanto credono molti dei nostri, e ci sono pressioni perché si sistemi la faccenda inviando alcune navi da guerra su Solaria e impiantando una base militare sul pianeta.»
«Sarebbe pericoloso.»
«Sicuro. Si potrebbe arrivare a una guerra. Alcuni dei nostri tipi più infiammabili non vedono l’ora che scoppi. Forse anche alcuni Spaziali non ne vedono l’ora, e hanno distrutto le due navi solamente per provocare le ostilità.»
Gladia era allibita. Nei notiziari non c’era stato il minimo accenno a relazioni tese tra Spaziali e Coloni.
«Comunque, è sempre possibile discutere del problema,» disse. «I vostri hanno contattato la Federazione Spaziale?»
«Sì, anche se è una istituzione priva di qualsiasi importanza. Abbiamo anche contattato il Consiglio Auroriano.»
«E allora?»
«Gli Spaziali negano tutto. Insinuano che i profitti potenziali del commercio di robot solariani sono così grandi che i Mercanti, ai quali interessano solo i soldi... come se loro li disprezzassero... che i Mercanti, dicevo, sarebbero prontissimi a lottare tra loro. Insomma, vogliono farci credere che le due navi si sono distrutte a vicenda nella speranza di conquistare il monopolio per il proprio mondo d’origine.»
«Provenivano da due mondi diversi, allora?»
«Sì.»
«Non pensate, allora, che possa davvero essere scoppiato un combattimento tra loro?»
«Poco probabile, ma ammetto che sia possibile. Tra i mondi dei Coloni non si sono mai avuti conflitti aperti, però qualche contrasto abbastanza accanito c’è stato, risolto mediante l’arbitrato della Terra. Resta comunque il fatto che i mondi dei Coloni potrebbero perdere la loro compattezza, in casi estremi, di fronte a un affare del valore di parecchi miliardi di dollari. Dunque la guerra non è affatto una buona prospettiva per noi. Bisogna intervenire per scoraggiare le teste calde. Ed è qui che entriamo in scena noi.»
«Noi?»
«Voi ed io. Mi è stato chiesto di raggiungere Solaria e scoprire, se possibile, cosa sia realmente accaduto. Prenderò una nave... armata, non in modo massiccio.»
«Potreste essere distrutti anche voi.»
«Forse. Ma la mia nave, almeno, non verrà colta alla sprovvista. E poi, io non sono uno di quegli eroi dell’ipervisione, e ho riflettuto sulle misure da adottare per
minimizzare i rischi. Uno degli svantaggi per i Coloni che intendono avventurarsi su Solaria è il fatto di non conoscere proprio quel mondo. Quindi, potrebbe essere utile portare con sé qualcuno che lo conosce... portare un Solariano, insomma.»
«Cioè, vorreste portare me?»
«Esatto, signora.»
«Perché proprio me?»
«Mi sembra ovvio, signora. I Solariani che hanno abbandonato il pianeta non sappiamo dove siano andati. Se ne sono rimasti alcuni sul pianeta, molto probabile che siano il nemico da affrontare. Non ci sono altri Spaziali nati su Solaria sui mondi spaziali, che ci risulti... tranne voi. Siete l’unico cittadino solariano che potessi contattare... l’unico in tutta la Galassia. È per questo che mi servite, e che dovete seguirmi.»
«Vi sbagliate Colono. Se sono io l’unico cittadino solariano disponibile, immaginate pure che io non esista. Non ho alcuna intenzione di venire con voi, e non potete costringermi in alcun modo. Sono circondata dai miei robot. Fate un solo passo, e verrete subito immobilizzato... e se lotterete avrete la peggio.»
«Nessuno vuole costringervi. Dovete venire spontaneamente... e non dovreste farvi pregare, credo. Qui si tratta di scongiurare una guerra.»
«Questo è compito dei nostri due governi. Mi rifiuto di entrare in questa faccenda. Sono una privata cittadina »
«Fatelo per il vostro mondo. In caso di guerra noi patiremmo, ma anche Aurora patirebbe.»
«Non sono uno di quegli eroi dell’ipervisione, proprio come non lo siete voi.»
«Allora, fatelo per me. Me lo dovete.»
«Siete pazzo! Io non vi devo nulla.»
D.G. sorrise. «Personalmente, non mi dovete nulla. Mi dovete parecchio come discendente di Elijah Baley, però.»
Gladia raggelò e rimase a fissare stralunata quel mostro irsuto. Come aveva potuto dimenticare chi fosse?»
Con qualche difficoltà, infine, mormorò: «No.»
«Sì,» disse D.G. ostinato. «In due diverse occasioni, l’Antenato ha fatto moltissimo per voi... più di quanto possiate fare per ripagarlo. Lui non è più tra noi a reclamare il debito... una piccola parte del debito. Io eredito questo suo diritto.»
Disperata, Gladia disse: «Ma se vengo con voi cosa posso fare?»
«Vedremo. Allora, verrete?»
Gladia avrebbe voluto rifiutare... ma era per questo che all’improvviso Elijah era entrato di nuovo nella sua vita nelle ultime ventiquattro ore? Perché in nome di Elijah le fosse rivolta quella richiesta impossibile che lei non avrebbe saputo respingere?
«Inutile. Il Consiglio non mi permetterà di venire con voi. Non permetteranno che un’Auroriana lasci il suo mondo su una nave dei Coloni.»
«Signora, siete su Aurora da venti decadi, quindi pensate che gli Auroriani vi considerino una di loro. Non è così. Per loro, siete ancora una Solariana. Vi permetteranno di partire.»
«No, non me lo permetteranno,» ribatté Gladia, mentre il cuore le batteva forte e la pelle delle braccia le si accapponava. D.G. aveva ragione... pensò ad Amadiro, che sicuramente la riteneva una Solariana e basta. Comunque, cercando di rassicurare se stessa, ripeté: «Non me lo permetteranno.»
«Invece sì,» insisté D.G. «Un inviato del vostro Consiglio non è venuto a chiedervi di ricevermi?»
Con tono di sfida, lei rispose: «Mi ha chiesto solo di riferire il contenuto di questa conversazione. E lo farò.»
«Se loro vogliono che mi spiate qui a casa vostra, signora, a maggior ragione vorranno che mi spiate su Solaria. Là sareste ancor più utile, no?» D.G. attese una sua reazione invano, poi disse stancamente: «Signora, se rifiuterete io non vi costringerò, perché non sarà necessario. Saranno loro a costringervi. Ma io non voglio che questo accada. L’Antenato non lo vorrebbe, se fosse qui. Vorrebbe che veniste con me per un senso di gratitudine... Signora, l’Antenato si è impegnato per voi in condizioni di estrema difficoltà. Non siete disposta ad impegnarvi per la sua memoria?»
Gladia avvertì un tuffo al cuore. Sapeva di non potersi opporre ad una simile argomentazione. «Ma... non posso muovermi senza robot.»
«Non ho una pretesa del genere.» D.G. stava sorridendo di nuovo. «Perché non portate i miei due omonimi? Ve ne servono altri?»
Gladia guardò Daneel. Era immobile. Spostò lo sguardo verso Giskard... immobile anche lui. Poi, per un attimo, le sembrò che la sua testa si muovesse leggermente, in un cenno di assenso.
“Devo fidarmi di lui...”
«D’accordo, verrò con voi. Questi due robot saranno più che sufficienti.»