Parte Sesta - Alpha.
16 - Il centro dei Mondi.
LXIX
Trevize fissò a lungo Pelorat, con un'espressione di netta contrarietà. Poi disse: - Hai visto qualcosa che io non ho visto, e non me ne hai parlato?
- No - rispose docilmente Pelorat. - L'hai vista anche tu, e come ti ripeto ho cercato di spiegarti... Ma non eri dell'umore giusto per ascoltarmi.
- Be', riprova.
Bliss sbottò: - Non fare il prepotente con lui, Trevize.
- Non sto facendo il prepotente. Sto solo chiedendo informazioni... E tu non trattarlo da bambino.
- Per favore, smettetela di parlare tra voi e ascoltate me - intervenne Pelorat. - Ricordi, Golan, che abbiamo parlato dei primi tentativi di scoprire l'origine del genere umano? Del Progetto Yariff? Sai, quel sistema in cui si cercava di stabilire il periodo di colonizzazione di vari pianeti partendo dal presupposto che prendendo come centro il punto, di origine i pianeti avrebbero dovuto essere colonizzati con un'espansione avvenuta uniformemente in tutte le direzioni... così spostandosi dai pianeti più recenti a quelli più vecchi ci si dovrebbe avvicinare appunto al mondo d'origine da qualsiasi direzione...
Trevize annuì. - E ricordo che quel sistema non funzionò perché le date di colonizzazione non erano affidabili.
- Esatto, vecchio mio. Però i mondi di cui si occupava Yariff facevano parte della seconda ondata espansionistica della razza umana. A quell'epoca il viaggio iperspaziale era già molto perfezionato, e la colonizzazione deve essersi sviluppata in modo scomposto, frammentario. Non era difficile compiere grandi balzi e coprire distanze enormi, e la colonizzazione non ha seguito necessariamente un criterio di simmetria radiale verso l'esterno. Questo fatto sicuramente ha acuito il problema della scarsa affidabilità delle date di colonizzazione.
"Ma pensa un attimo ai Mondi Spaziali, Golan. Appartenevano alla prima ondata, quelli. Allora il viaggio iperspaziale era ancora agli inizi, e probabilmente non ci si spostava per tratti smisurati. Mentre milioni di mondi sono stati colonizzati, forse in modo caotico, durante la seconda fase di espansione, durante la prima ne sono stati colonizzati appena cinquanta, probabilmente in modo ordinato. Mentre i milioni di mondi della seconda ondata sono stati colonizzati lungo un arco di tempo di ventimila anni, i cinquanta mondi della prima ondata sono stati colonizzati in un arco di pochi secoli... quasi contemporaneamente, al confronto. Quei cinquanta mondi, presi assieme, dovrebbero formare grosso modo una sfera simmetrica attorno al pianeta d'origine.
"Abbiamo le coordinate dei cinquanta mondi. Le hai fotografate dalla statua, ricordi? L'entità che sta distruggendo le informazioni riguardanti la Terra, sia essa una cosa o una persona, si è lasciata sfuggire quelle coordinate, o non ha pensato che potessero fornirci l'informazione desiderata. Adesso, Golan, basta che tu corregga le coordinate in base agli ultimi ventimila anni di spostamenti stellari, poi troverai il centro della sfera. Dovresti arrivare abbastanza vicino al sole della Terra, o almeno dov'era ventimila anni fa."
Trevize, che aveva seguito il monologo di Pelorat a bocca aperta, impiegò alcuni attimi a scuotersi. - Ah... perché non ci ho pensato? - sbottò.
- Ho provato a dirtelo quando eravamo su Melpomenia.
- Certo. Scusa se non ti ho dato ascolto, Janov. Il fatto è che non mi è venuto in mente...
Trevize si bloccò imbarazzato e Pelorat ridacchiò. - Che potessi avere qualcosa di importante da dire... Già, in circostanze normali avresti avuto ragione, però tieni presente che quello era il mio campo. Comunque, in generale, sei pienamente giustificato se decidi di non ascoltarmi.
- Non è vero, Janov. Mi sento uno sciocco, e me lo merito. Ti chiedo ancora scusa... E adesso corro al computer.
Trevize e Pelorat andarono nella sala comandi, e Pelorat come sempre rimase a osservare con un misto di meraviglia e incredulità mentre l'amico posava le mani sulla scrivania e si trasformava quasi in un unico organismo uomo-macchina.
- Dovrò ipotizzare alcune cose, Janov - spiegò Trevize, lo sguardo vacuo per quella strana fusione col computer. - Che il primo numero sia una distanza in parsec, che gli altri due siano angoli in radianti... cioè in parole povere, che il primo numero indichi l'alto e il basso, e che gli altri indichino destra e sinistra. E dovrò presupporre che l'uso del più e del meno nel caso degli angoli sia Galattico Standard, e che i tre zeri si riferiscano al sole di Melpomenia.
- Mi sembra che vada bene - annuì Pelorat.
- Davvero? Ci sono sei modi in cui disporre i numeri, quattro modi di disporre i segni, le distanze possono essere espresse in anni-luce invece che in parsec, gli angoli in gradi invece che in radianti. Ci sono novantasei variazioni, come vedi. Inoltre, se le distanze sono in anni luce, non sappiamo la lunghezza dell'anno usato. E per finire, non sappiamo come abbiano misurato gli angoli... dall'equatore di Melpomenia in un caso, immagino... ma il loro meridiano fondamentale?
Pelorat corrugò la fronte. - Da come parli, sembra un'impresa senza speranza.
- No. Aurora e Solaria sono comprese nella lista, e so la loro posizione nello spazio. Userò le coordinate e vedrò se riesco a individuarle. Se finirò nel punto sbagliato, correggerò le coordinate finché non mi daranno quello giusto, e saprò da quali presupposti sbagliati sono partito. Una volta stabiliti i presupposti esatti, potrò cercare il centro della sfera.
- Con tutte queste combinazioni possibili, non sarà un po' complicato decidere cosa fare?
- Cosa? - fece Trevize, sempre più assorto. Poi, quando Pelorat ripeté la domanda, rispose: - Oh, be', è probabile che le coordinate seguano il sistema Galattico Standard, e al fatto che il meridiano fondamentale possa essere ignoto si può rimediare. Questi sistemi per localizzare i punti nello spazio sono stati studiati molto tempo fa, e molti astronomi sono convinti che risalgano a prima del volo interstellare. Per certi versi gli esseri umani sono estremamente conservatori, e non cambiano quasi mai le convenzioni numeriche una volta abituatisi a quelle. Arrivano addirittura a scambiarle per leggi della natura, credo... Ed è un bene, perché se ogni mondo avesse unità di misura proprie e le cambiasse ogni secolo, penso proprio che il progresso scientifico si arresterebbe completamente.
Era evidente che stava lavorando mentre parlava, perché le sue parole non erano fluide. E a un certo punto mormorò: - Silenzio, adesso.
Corrugò la fronte concentrandosi allo spasimo, e solo parecchi minuti più tardi si rilassò e ispirò a fondo. Sottovoce, annunciò: - Le misure sono valide. Ho localizzato Aurora. Vedi?
Pelorat fissò il campo stellare, e la stella luminosissima quasi al centro. - Ne sei proprio sicuro?
- La mia opinione non conta. Il computer ne è sicuro. In fin dei conti, siamo stati su Aurora. Abbiamo le sue caratteristiche... diametro, massa, luminosità, temperatura, dati spettrali, per non parlare poi della disposizione delle stelle vicine... Il computer dice che è Aurora.
- Allora possiamo fidarci della sua parola, immagino.
- Dobbiamo fidarci, credimi. Adesso regolerò lo schermo, e il computer potrà mettersi al lavoro. Ha le cinquanta serie di coordinate, e le userà una alla volta.
Trevize stava già occupandosi dello schermo mentre parlava. Normalmente il computer operava nelle quattro dimensioni dello spazio-tempo, ma per l'utilizzo da parte degli esseri umani di solito lo schermo veniva usato bidimensionalmente. Ora lo schermo sembrò dilatarsi in un volume scuro dotato di profondità, oltre che di altezza e ampiezza. Trevize abbassò le luci quasi del tutto, perché le stelle risaltassero con maggior facilità all'osservatore.
- Adesso comincia - sussurrò.
Un attimo dopo, apparve una stella... poi un'altra... poi un'altra ancora. La panoramica cambiava ad ogni nuova aggiunta, era come se lo spazio stesse spostandosi all'indietro per offrire all'occhio una vista sempre più ampia. C'erano inoltre gli spostamenti verso l'alto o verso il basso, verso destra o sinistra...
Alla fine, sospesi nello spazio tridimensionale, apparvero cinquanta puntini luminosi.
Trevize commentò: - Avrei gradito una disposizione sferica perfetta. Questa sembra la struttura di una palla di neve compressa malamente, in fretta e furia.
- E questo fatto rovina tutto?
- Crea qualche difficoltà... ma era inevitabile, immagino. Le stelle stesse non sono distribuite uniformemente, quindi nemmeno i pianeti abitabili, così deve esserci per forza una certa irregolarità nella fondazione di nuovi mondi. Il computer porterà ognuno di questi puntini nella sua posizione attuale, tenendo conto dello spostamento probabile degli ultimi ventimila anni, il che non comporterà che una correzione minima, poi li disporrà in modo da formare una sfera ideale. Troverà, in altre parole, una superficie sferica da cui la distanza di tutti i punti luminosi sia minima. Poi troveremo il centro della sfera e la Terra dovrebbe essere abbastanza vicina al centro... Almeno, speriamo... Non ci vorrà molto.
LXX
Non ci volle molto. Trevize, abituato ai miracoli del computer, rimase comunque stupito per la sua rapidità.
Aveva istruito il computer perché emettesse una nota bassa e reverberante dopo avere calcolato le coordinate del centro ideale. Non c'era alcun motivo di farlo... solo la soddisfazione di sentire quel suono e sapere che forse la ricerca era terminata.
La nota arrivò nel giro di pochi minuti, e fu come un lieve colpo di gong. Crebbe di intensità fino a creare una vibrazione avvertibile fisicamente, e progressivamente, si spense.
Bliss apparve quasi subito sulla soglia. - Cosa succede? - chiese, spalancando gli occhi. - Un'emergenza?
Trevize rispose: - Niente affatto.
Pelorat aggiunse smanioso: - Forse abbiamo localizzato la Terra, Bliss. Quel suono era il computer che ci avvertiva.
Bliss entrò. - Avreste potuto avvertire anche me.
- Mi dispiace, Bliss - si scusò Trevize. - Non pensavo che sarebbe stato così forte.
Fallom aveva seguito Bliss nella stanza, e disse: - Perché c'è stato quel suono, Bliss?
- Vedo che conosce il tuo nome - commentò Trevize, appoggiandosi allo schienale, stremato. Ora si trattava di controllare se quanto avevano scoperto esisteva anche nella Galassia reale, di vedere se alle coordinate del centro dei Mondi Spaziali corrispondeva davvero una stella di tipo G' Anche questa volta, Trevize era restio a procedere, a compiere la verifica finale.
- Sì - disse Bliss. - Conosce il mio nome. E anche il tuo e quello di Pel. Che c'è di strano. Noi conosciamo il suo.
- Nulla in contrario - fece Trevize distrattamente. - Solo che questa bambina mi preoccupa... può solo crearci dei problemi.
- Che ha fatto di male finora? - replicò Bliss.
Trevize allargò le braccia. - È solo una sensazione, la mia.
- Bliss gli rivolse un'occhiata sprezzante, e spiegò a Fallom: - Stiamo cercando di trovare la Terra, Fallom.
- Cos'è la Terra?
- Un altro mondo, ma un mondo speciale. È il mondo da cui provenivano i nostri antenati. Sai cosa significa la parola "antenati" dopo le tue letture, Fallom?
- Significa...? - Ma l'ultima parola non era in galattico.
Pelorat intervenne: - È un termine arcaico per "antenati", Bliss. La nostra parola "progenitori" ci si avvicina di più.
- Molto bene - sorrise Bliss. - La Terra è il mondo da cui provenivano i nostri progenitori, Fallom. I tuoi, i miei, quelli di Pel e di Trevize.
- I tuoi, Bliss... e anche i miei. - Fallom sembrava perplessa. - Tutti e due i tipi?
- C'è un solo tipo di antenati - disse Bliss. - Abbiamo gli stessi progenitori, noi... tutti quanti.
Trevize commentò: - Mi sembra che si renda conto perfettamente di essere diversa da noi.
Bliss fece sottovoce: - Non dirlo. Dobbiamo fare in modo che si senta uguale a noi... Nei tratti essenziali, almeno.
- L'ermafroditismo è un tratto essenziale, direi.
- Parlo della mente.
- Anche i lobi trasduttivi sono tratti essenziali.
- Via, Trevize, non essere così pignolo. Fallom è intelligente e umana se mettiamo da parte certi dettagli.
Bliss tornò a rivolgersi a Fallom alzando la voce. - Rifletti su questo punto, Fallom... I tuoi progenitori e i miei sono gli stessi. Tutta la gente di tutti i mondi... molti, moltissimi mondi... ha gli stessi progenitori, e questi progenitori vivevano in origine sul mondo chiamato Terra. Questo significa che siamo tutti parenti, no?... Ora torna nella nostra stanza e pensaci.
Fallom, dopo un'occhiata pensosa a Trevize, si girò e corse via, incoraggiata da una pacca affettuosa di Bliss.
Bliss disse quindi a Trevize: - Per favore, promettimi che in sua presenza eviterai qualsiasi commento che possa farle credere di essere diversa da noi.
- Te lo prometto. Non intendo intralciare il processo educativo, né sovvertirlo... comunque, lei è diversa da noi.
- Sotto certi aspetti. Come io sono diversa da te, e come Pel è diverso da te.
- Non essere ingenua, Bliss. Nel caso di Fallom le differenze sono molto più grandi.
- Un po' più grandi. Sono molto più importanti le somiglianze. Lei, e il suo popolo, faranno parte di Galaxia un giorno. Ne sono certa.
- D'accordo. Non discutiamo. - Trevize si girò verso il computer senza troppo entusiasmo. - Intanto, devo controllare la posizione ipotetica della Terra nello spazio reale, ho paura.
- Paura?
- Be' - Trevize si strinse nelle spalle ostentando un'aria di noncuranza - e se non ci sarà nessuna stella adatta vicino a quel punto?
- Non ci sarà, e basta - rispose Bliss.
- Forse è inutile controllare adesso... Tanto potremo effettuare il balzo solo tra parecchi giorni.
- Giorni che trascorrerai tormentandoti. Controlla subito. Aspettando non cambierà nulla.
Trevize serrò le labbra e un attimo dopo annuì. - Hai ragione. Benissimo, allora... Facciamolo.
Appoggiò le mani entro i contorni di contatto della scrivania, e lo schermo si oscurò.
Bliss disse: - Io esco. Se resto ti innervosirò. - E con un cenno della mano se ne andò.
- Il fatto è - borbottò Trevize - che prima controlleremo la mappa galattica del computer, e anche se il sole della Terra si trovasse nella posizione calcolata la mappa non dovrebbe includerlo. E in tal caso noi...
Si interruppe sbalordito mentre sullo schermo appariva un ammasso di stelle. Erano piuttosto numerose e fioche, con qualche scintillio più vivido sparso qui e là, disseminate abbastanza uniformemente sullo schermo. Ma verso il centro spiccava una stella più brillante di tutte le altre.
- Ci siamo! esultò Pelorat. - Ci siamo, vecchio mio. Guarda com'è luminosa!
- Qualsiasi stella centrata sulle sue coordinate è luminosa - disse Trevize, cercando di frenare una eccitazione iniziale che avrebbe potuto rivelarsi infondata. - In fin dei conti, l'immagine è presentata a un parsec di distanza dal punto esatto delle coordinate. Comunque, quella stella non è certamente una nana rossa, né una rossa gigante... Aspettiamo i dati del computer.
Alcuni secondi di silenzio, dopo di che Trevize disse: - Classe spettrale G-2... Diametro 1,4 milioni di chilometri... massa 1,02 volte quella del sole di Terminus... temperatura superficiale 6000 assoluti... rotazione lenta, poco meno di 30 giorni... nessuna attività insolita, nessuna irregolarità.
- Non sono caratteristiche tipiche del tipo di stella attorno al quale orbitano i pianeti abitabili? - fece Pelorat.
- Sì - annuì Trevize. - Quindi, sono anche le caratteristiche prevedibili del sole della Terra. Se è là che è nata la vita, è logico che il sole della Terra rappresenti il modello ideale.
- Dunque ci sono buone probabilità di trovare un pianeta abitabile in quel sistema...
- Non c'è bisogno di fare delle ipotesi - disse Trevize estremamente perplesso. - Stando alla mappa galattica c'è un pianeta abitato... ma l'informazione è seguita a un punto interrogativo.
L'entusiasmo di Pelorat crebbe. - Proprio come era logico aspettarsi, Golan. Il pianeta abitato esiste, ma il tentativo di nascondere la cosa confonde i dati riguardanti il pianeta, lasciando nell'incertezza chi ha redatto la mappa del computer!
- No, non era affatto logico aspettarselo, ed è questo che mi preoccupa. Avremmo dovuto aspettarci ben altro. Considerando l'efficienza con cui i dati sulla Terra sono stati fatti sparire, chi ha redatto la mappa non avrebbe dovuto sapere che in questo sistema c'è la vita, men che mai degli esseri umani. Anzi, non avrebbe nemmeno dovuto sapere che il sole della Terra esiste. I Mondi Spaziali non figurano nella mappa... Perché il sole della Terra dovrebbe esserci?
- Be, comunque c'è. Che senso ha discuterne? Quali altre informazioni sulla stella sono riportate?
- C'è un nome.
- Ah! Quale?
- Alpha.
Una breve pausa, poi Pelorat esclamò smanioso: - Ci siamo proprio, vecchio mio! Questo nome è la prova decisiva... Pensa al suo significato!
- Ha un significato? Per me è solo un nome, un nome strano. Non sembra galattico.
- Non è galattico, infatti! è in una lingua preistorica della Terra, la stessa lingua in cui è arrivato fino a noi il nome del pianeta di Bliss, Gaia.
- E cosa significa Alpha?
- Alpha è la prima lettera dell'alfabeto di quella lingua antica. Questo è un punto su cui esistono documentazioni valide. Nei tempi antichi, a volte "alpha" era usato come simbolo dell'inizio, per rappresentare il "primo" di ogni cosa. Se un sole viene chiamato "Alpha" è implicito che deve trattarsi del primo sole. E il primo sole è quello attorno al quale ruota il primo pianeta che ha dato origine alla vita umana... la Terra, no?
- Ne sei certo?
- Certissimo - annuì Pelorat.
- Nelle antiche leggende non si parla di qualche caratteristica insolita del sole della Terra?
- No, quali caratteristiche insolite dovrebbe avere? È il sole modello per definizione, e i dati forniti dal computer lo confermano, no?
- Il sole della Terra è una stella singola, vero?
- Be', certo! Mi pare che tutti i pianeti abitati orbitino attorno a stelle singole.
- Lo pensavo anch'io - disse Trevize. - Il guaio è che la stella al centro dello schermo non è una stella singola, è doppia, binaria. La più luminosa delle due stelle del sistema binario è in effetti un modello perfetto, e il computer ci ha fornito appunto i suoi dati. Attorno a quella stella, però, con un periodo di circa ottant'anni, ruota un'altra stella, che ha una massa pari ai quattro quinti della prima. A occhio nudo è impossibile vedere le due stelle come corpi separati, ma con un ingrandimento adeguato sono certo che la distingueremmo.
- Ne sei proprio sicuro, Golan? - fece Pelorat smarrito.
- Lo dice il computer... E se siamo di fronte a una stella binaria, allora non può essere il sole della Terra quello.
LXXI
Trevize interruppe il contatto col computer, e le luci riacquistarono un'intensità normale.
A quella specie di segnale, Bliss rientrò nella sala, seguita da Fallom. - Be', che risultati ci sono?
Con voce incolore, Trevize rispose: - Un po' deludenti. Nel punto dove mi aspettavo di trovare il sole della Terra ho trovato invece una stella binaria. Il sole della Terra è una stella singola, quindi le coordinate non corrispondono.
Pelorat chiese: - E adesso che si fa, Golan?
Trevize scrollò le spalle. - A dire il vero non mi aspettavo che le coordinate coincidessero con la posizione del sole della Terra. Nemmeno gli Spaziali colonizzavano i mondi secondo uno schema sferico esatto. Può darsi che Aurora, il più vecchio dei Mondi Spaziali, abbia inviato nello spazio a sua volta dei coloni, il che può aver contribuito a deformare la sfera. E può darsi poi che il sole della Terra non si sia mosso alla stessa velocità media dei Mondi Spaziali.
- Così la Terra potrebbe essere ovunque - fece Pelorat. - È questo che stai cercando di dire?
- No. Non proprio ovunque. La discrepanza non può essere tanto grande. Il sole della Terra deve trovarsi in prossimità delle coordinate. La stella che abbiamo individuato con notevole precisione nel punto indicato dalle coordinate deve essere vicina al sole della Terra. È sorprendente... una stella vicina così simile al sole della Terra, se non fosse per il suo carattere binario... eppure...
- Ma allora dovremmo vedere il sole della Terra sulla mappa, no? Vederlo vicino ad Alpha, insomma...
- No, perché secondo me il sole della Terra non è riportato sulla mappa. È stato questo particolare a lasciarmi perplesso non appena abbiamo avvistato Alpha... Per quanto potesse assomigliare al sole della Terra, vedendo che era riportato sulla mappa ho sospettato subito che non fosse quello che cercavamo.
- Be', perché non controlli le stesse coordinate nello spazio reale, allora? - intervenne Bliss. - Se vicino al centro apparirà una stella abbastanza luminosa non riportata dalla mappa, una stella dalle caratteristiche simili ad Alpha, ma singola, potrebbe trattarsi del sole della Terra, giusto?
Trevize sospirò. - Se fosse come dici tu, attorno a quella stella troveremmo senza dubbio il pianeta Terra... sarei pronto a scommettere tutti i miei averi... Ma anche questa volta non me la sento di provare subito...
- Perché potresti fallire?
Trevize annuì. - Comunque, concedimi solo un istante per riprendere fiato... poi farò uno sforzo e controllerò.
E mentre i tre adulti si guardavano, Fallom si avvicinò alla scrivania-computer e fissò incuriosita i contorni delle mani tracciati sul ripiano. Allungò una mano esitante verso quei segni, ma Trevize la bloccò con un gesto brusco del braccio e con un altrettanto brusco: - Non devi toccare, Fallom.
Fallom ebbe un sussulto, e si strinse a Bliss.
Pelorat disse: - È una situazione che dobbiamo affrontare, Golan. E se non trovassimo nulla nello spazio reale?
- Saremo costretti a ripiegare sul piano precedente, e a visitare gli altri quarantasette Mondi Spaziali.
- E se anche così non concluderemo nulla?
Trevize scosse il capo, seccato, quasi volesse scrollarsi di dosso quella prospettiva. Abbassando lo sguardo, disse: - Escogiterò qualcos'altro.
- Ma se non esistesse proprio un mondo di progenitori?
Trevize drizzò il capo di scatto sentendo quella voce acuta. - Chi ha parlato? - fece.
Era una domanda superflua. Superato un primo attimo di incredulità, capì subito chi gli avesse rivolto la domanda.
- Io - rispose Fallom.
Trevize la fissò, leggermente corrucciato. - Hai capito il discorso?
Fallom disse: - State cercando il mondo dei progenitori, ma non l'avete ancora trovato. Forse un mondo così non esiste alcuno.
- Non esiste alcun mondo così - la corresse Bliss.
- No, Fallom - disse serio Trevize. - C'è stato un grande sforzo per nasconderlo. E se si cerca con tanto accanimento di nascondere qualcosa, significa che c'è qualcosa da nascondere. Mi capisci?
- Sì - rispose Fallom. - Non lasci che tocchi le mani sulla scrivania. Se fai così significa che sarebbe interessante toccarle.
- Ah, ma non per te, Fallom... Bliss, stai creando un mostro che ci distruggerà. Non lasciarla più entrare qui se non sono al computer. E anche se ci sono, pensaci bene prima di farla entrare, d'accordo?
Quell'incidente minore ebbe un effetto salutare su Trevize, comunque, perché sembrò scuoterlo, spronandolo a vincere la propria indecisione. Disse: - Be', è meglio che mi metta all'opera. Se rimarrò seduto qui, incerto sul da farsi, quell'essere grottesco si impossesserà della nave.
Le luci si attenuarono, e Bliss protestò: - Mi avevi fatto una promessa, Trevize. Quando è presente lei, non devi chiamarla mostro né essere grottesco.
- Allora tienila d'occhio, e insegnale un po' d'educazione. Dille che i bambini non dovrebbero mai farsi sentire, e che dovrebbero farsi vedere il meno possibile.
Bliss corrugò la fronte. - Il tuo atteggiamento verso i bambini è semplicemente orribile.
- Può darsi, ma non è il momento di discuterne.
Poi, in un tono che esprimeva un misto di soddisfazione e di sollievo, Trevize annunciò: - Ecco... Alpha nello spazio reale... E sulla destra, leggermente in alto, c'è una stella luminosa quasi quanto Alpha che non figura nella mappa del computer. Quello è il sole della Terra. Sono pronto a scommettere qualsiasi cosa!
LXXII
- Bene - disse Bliss - non pretenderemo nulla da te se perdi, quindi perché non sistemiamo subito la faccenda? Visitiamo la stella non appena sarà possibile effettuare il balzo.
Trevize scosse la testa. - No. Questa volta non si tratta di indecisione né di paura. È questione di prudenza. Abbiamo visitato tre mondi sconosciuti, e per tre volte ci siamo trovati di fronte a dei pericoli inattesi, siamo stati costretti a ripartire con la massima fretta. Questa volta la posta in gioco è troppo importante, e non agirò più in modo avventato, se possibile. Finora, abbiamo solo qualche storia vaga di croste radioattive, e questo non basta. Per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile, a un parsec dalla Terra c'è un pianeta abitato e...
- Siamo davvero sicuri che Alpha abbia un pianeta abitato? - intervenne Pelorat. - Hai detto che il computer metteva un punto interrogativo dopo questo dato.
- Be', comunque vale la pena di provare - rispose Trevize. - Perché non dovremmo dare un'occhiata a quel pianeta? Se sarà veramente abitato da esseri umani, cerchiamo di scoprire cosa sanno della Terra. Dopo tutto, per loro la Terra non sarà qualcosa di remoto e leggendario... È un mondo vicino, che brilla ben visibile nel loro cielo.
Bliss disse pensosa: - Non è una cattiva idea. Se Alpha è abitato e se gli abitanti non saranno i soliti, tipici Isolati, forse incontreremo della gente cordiale, e tanto per cambiare forse troveremo del cibo decente.
- Gente amica e cibo decente - annuì Trevize. - Per te va bene, Janov?
- Decidi tu, vecchio mio - rispose Pelorat. - Io ti seguirò dovunque tu vada.
Fallom chiese all'improvviso: - Troveremo Jemby?
Bliss si affrettò a rispondere, prima che potesse farlo Trevize. - Lo cercheremo, Fallom.
- Allora è deciso- concluse Trevize. - Puntiamo su Alpha.
LXXIII
- Due grandi stelle - disse Fallom indicando lo schermo.
- Esatto - disse Trevize. - Due... Bliss, per favore, sorvegliatela. Non voglio che si metta a giocare con qualche strumento.
- Le strumentazioni l'affascinano - disse Bliss.
- Lo so, ma il suo fascino non mi affascina... Anche se, a dire il vero, sono affascinato quanto lei nel vedere contemporaneamente sullo schermo due stelle così luminose.
Le due stelle brillavano in modo incredibile. Lo schermo aveva aumentato automaticamente l'intensità di filtraggio per eliminare le radiazioni dannose alla retina. Di conseguenza, poche altre stelle erano visibili, e le due gemelle regnavano altezzose in un isolamento pressoché totale.
- Il fatto è che prima d'ora non ero mai stato così vicino a un sistema binario - spiegò Trevize.
- Davvero? - fece Pelorat stupito. - Com'è possibile?
Trevize rise. - Ho viaggiato, Janov, però non sono il giraspazio che pensi.
- Io non ero mai stato nello spazio prima di incontrare te, Golan, ma ho sempre pensato che bastasse incominciare a viaggiare per...
- Per raggiungere qualsiasi posto... lo so. È naturale. La gente legata ai pianeti ha un difetto... Per quanto sforzi la propria immaginazione, non riesce a cogliere la grandezza reale della Galassia. Potremmo viaggiare tutta la vita senza sfiorare neppure buona parte della Galassia... E poi, nessuno va mai nei sistemi binari.
- Perché? - chiese Bliss. - Su Gaia non siamo esperti d'astronomia come gli Isolati che viaggiano nella Galassia, ma se non sbaglio le stelle binarie non sono poi così rare.
- Non lo sono - convenne Trevize. - Ci sono molte più binarie che stelle singole. Comunque, la formazione di due stelle vicine sconvolge i normali processi di formazione planetaria. Le binarie hanno meno materiale planetario delle singole. I pianeti che si formano attorno alle binarie spesso hanno orbite relativamente instabili, ed è raro che presentino caratteristiche di abitabilità.
"I primi esploratori, probabilmente, hanno studiato da vicino molte binarie, ma dopo un po' di tempo si sono dedicati solo alla ricerca delle stelle singole, dato che a loro interessava scoprire mondi colonizzabili. E in una Galassia con un'elevata percentuale di colonizzazione è normale che praticamente tutti gli scambi commerciali, le comunicazioni, avvengano tra mondi abitati che orbitano attorno a stelle singole. Probabilmente, nei periodi di attività militare a volte si fissavano delle basi su qualche piccolo mondo disabitato dei sistemi binari che si trovava in posizione strategica, ma col perfezionamento del viaggio iperspaziale queste basi sono diventate inutili."
Pelorat disse umilmente: - Quante cose non so... Incredibile.
Trevize sorrise. - Non lasciarti impressionare da quel che dico, Janov. Sto solo ripetendoti alcune delle centinaia di cose superflue che ci insegnavano in Marina solo per inerzia... Pensa, invece... Tu conosci un'infinità di cose di mitologia, folklore, lingue arcaiche... tutte cose che io non so, che conoscete in pochi.
- Sì... comunque quelle due stelle formano un sistema binario, e una delle due ha un pianeta abitato - disse Bliss.
- Speriamo, Bliss - fece Trevize. - Le eccezioni si trovano sempre. E in questo caso c'è anche un punto interrogativo ufficiale che complica ulteriormente le cose... No, Fallom, quei pulsanti non sono giocattoli... Bliss, mettile le manette, o portala fuori.
- Non farà nessun danno - protestò Bliss. Ma attirò a sé la Solariana ugualmente. - Se ti interessa tanto quel pianeta abitabile, perché non siamo già là?
- Innanzitutto, sono curioso, e voglio osservare con comodo questo sistema binario - rispose Trevize. - E poi, voglio essere prudente. Come ho già spiegato, da quando abbiamo lasciato Gaia, ci sono capitati solo fatti spiacevoli che invitano chiaramente alla prudenza.
Pelorat chiese: - Quale delle due è Alpha, Golan?
- Non ci perderemo, Janov. Il computer sa benissimo quale delle due è Alpha, e lo sappiamo anche noi. È la più calda e la più gialla delle due, perché è la più grande. Quella a destra ha un colore che tende all'arancione, un po' come il sole di Aurora, se ricordi... Vedi?
- Sì, adesso che me lo dici.
- Bene. Quella è la più piccola... Qual è la seconda lettera di quell'alfabeto antico di cui parlavi?
Pelorat rifletté un istante. - Beta.
- Allora quella arancione è Beta, quella giallo chiaro è Alpha... ed è là che siamo diretti.
17 - Nuova Terra.
LXXIV
- Quattro pianeti - mormorò Trevize. - Tutti piccoli, più una scia di asteroidi. Nessun gigante gassoso.
- Qualcosa che non quadra? - si informò Pelorat.
- Non proprio. Era prevedibile. Le binarie in orbita reciproca a breve distanza non possono avere pianeti in orbita attorno a sé. Al massimo i pianeti possono ruotare attorno al centro di gravità delle due stelle, ma non dovrebbero essere abitabili data la distanza.
"D'altro canto, se le binarie sono sufficientemente lontane, possono esserci dei pianeti in orbita attorno a ciascuna stella. sempre che i pianeti siano abbastanza vicini all'una o all'altra. Stando ai dati del computer, queste due stelle hanno una distanza media di 3,5 miliardi di chilometri, e al periastro, il punto in cui sono più vicine, hanno una distanza di 1,7 miliardi di chilometri. Un pianeta in orbita a meno di duecento milioni di chilometri da una delle due stelle si troverebbe in posizione stabile, però non può esserci nessun pianeta con un'orbita superiore... Quindi, niente giganti gassosi, dal momento che un gigante gassoso dovrebbe essere situato a una distanza molto maggiore... Ma che importa? Tanto, i giganti gassosi non sono abitabili."
- Però può darsi che uno di quei pianeti lo sia.
- Solo il secondo. Se non altro, perché è abbastanza grande da avere un'atmosfera.
Si avvicinarono al secondo pianeta rapidamente, e lungo un arco di due giorni la sua immagine si dilatò; dapprima ingrandendosi in modo misurato e maestoso. Poi, constatato che nessuna nave veniva a intercettarli, a una velocità sempre crescente, quasi spaventosa.
La Far Star seguiva un'orbita provvisoria a un migliaio di chilometri dallo strato di nubi, quando Trevize commentò arcigno: - Adesso capisco la presenza di quel punto interrogativo nella memoria del computer. Non c'è traccia di radiazioni... nessuna luce nell'emisfero notturno... niente onde radio.
- Lo strato di nubi sembra piuttosto spesso - fece notare Pelorat.
- Ma le onde radio dovrebbero attraversarlo.
Osservarono il pianeta che ruotava sotto di loro, un vortice maestoso di nuvole bianche che attraverso qualche squarcio lasciava intravedere lo sciabordio bluastro di un oceano.
Trevize disse: - La massa nuvolosa è piuttosto elevata per un mondo abitato. Dovrebbe essere un mondo abbastanza tetro... Quello che mi preoccupa maggiormente - aggiunse, mentre si tuffavano ancora una volta nell'ombra notturna - È che nessuna stazione spaziale si è messa in contatto con noi.
- Com'è successo su Comporellen? - fece Pelorat.
- Come sarebbe successo su qualsiasi mondo abitato. Avrebbero dovuto fermarci per il solito controllo dei documenti, del carico e via dicendo.
Bliss intervenne: - Forse, per qualche motivo, non abbiamo sentito il loro messaggio.
- Il nostro computer avrebbe captato qualsiasi messaggio su qualsiasi frequenza. E poi, noi stessi abbiamo inviato dei segnali, ma non c'è stata la minima reazione. Scendere sotto lo strato di nubi senza mettersi in contatto con le autorità spaziali di un mondo non è un gesto molto cortese, ma non vedo che altro possiamo fare.
La Far Star rallentò e si mantenne in quota incrementando la spinta antigravitazionale. Sbucò di nuovo sul lato diurno e rallentò ulteriormente. Trevize, collegato al computer, trovò uno squarcio adeguato nello strato di nubi. La nave si abbassò, penetrandovi. Sotto di loro, mosso da una lieve brezza, si agitava l'oceano, parecchi chilometri più in basso, striato di schiuma candida.
Abbandonarono l'area illuminata dal sole, portandosi sotto una volta nuvolosa. La distesa d'acqua sottostante diventò subito grigia, e la temperatura scese sensibilmente.
Fallom, fissando lo schermo, parlò per alcuni istanti nella sua lingua ricca di consonanti, poi passò al galattico. - Cos'è quello che vediamo sotto?
- È un oceano - rispose Bliss, con voce carezzevole. - È una grande massa d'acqua.
- Perché non asciuga?
Bliss guardò Trevize, che rispose: - C'è troppa acqua perché possa asciugarsi.
Fallom gemette: - Non voglio tutta quell'acqua. Andiamo via. - E cominciò a piagnucolare, mentre la Far Star attraversava un ammasso di nuvole temporalesche e lo schermo diventava una macchia lattiginosa striata di gocce di pioggia.
Le luci della sala comando si abbassarono e la nave prese a sobbalzare leggermente.
Trevize alzò lo sguardo sorpreso e gridò: - Bliss, la tua cara Fallom è abbastanza adulta da saper usare la trasduzione. Sta servendosi dell'energia elettrica per cercare di manipolare i comandi. Fermala!
Bliss abbracciò Fallom e la strinse. - Va tutto bene, Fallom. Non c'e niente di cui aver paura. È solo un altro mondo, tutto qui. Ne esistono molti come questo.
Fallom si rilassò un po' ma continuò a tremare.
Bliss si rivolse a Trevize. - Non ha mai visto un oceano, lei, e può darsi che non sappia neppure cosa sono la pioggia e la nebbia. Non puoi essere un po' comprensivo?
- No, non se manomette la nave. È un pericolo per tutti. Portala di là e calmala.
Bliss annuì.
Pelorat disse: - Vengo con te, Bliss.
- No, no, Pel. Resta qui. Io calmo Fallom, e tu cerca di calmare Trevize. - Dopo di che Bliss uscì.
- Non ho bisogno che qualcuno mi calmi - sbottò Trevize. - Mi spiace di aver perso il controllo, ma non possiamo permettere che una bambina giochi coi comandi, no?
- Certo che no - convenne Pelorat. - Ma Bliss è stata colta di sorpresa. Bliss è in grado di controllare Fallom... che tra l'altro si comporta molto bene se si considera che è stata strappata al suo mondo e al suo robot e, volente o nolente, è stata gettata in una vita che non capisce.
- Lo so. Ma non sono stato io a volerla portare con noi. L'idea è stata di Bliss.
- Già, ma Fallom sarebbe stata uccisa se non l'avessimo portata con noi.
- Be'... chiederò scusa a Bliss più tardi. E anche alla bambina.
Ma Trevize era ancora cupo in viso, e Pelorat gli domandò garbatamente: - Golan, vecchio mio, c'è qualcos'altro che ti preoccupa?
- L'oceano - rispose Trevize. Erano usciti ormai da un pezzo dal temporale, ma le nubi non accennavano a diminuire.
- Cos'ha che non va?
- Ce n'è troppo.
Pelorat sembrò non capire, al che Trevize disse a bruciapelo: - Niente terra. Non abbiamo visto nessuna terra emersa. L'atmosfera è perfettamente normale, ossigeno e azoto in percentuale giusta, dunque deve trattarsi di un pianeta modificato, e devono esserci delle forme di vita vegetale per mantenere un livello adeguato di ossigeno. In natura, atmosfere del genere non esistono... tranne, si presume, sulla Terra, dove si è formata chissà come... Però sui pianeti modificati ci sono sempre quantità ragionevoli di terraferma, fino a un terzo della superficie complessiva, e mai meno di un quinto. Allora come è possibile che questo sia un pianeta modificato e manchi la terraferma?
Pelorat disse: - Forse, dato che appartiene a un sistema binario, è un pianeta atipico. Forse non è stato modificato, e la sua atmosfera si è formata in modo diverso da quanto avviene sui pianeti delle stelle singole. Forse qui la vita si è evoluta in maniera indipendente, come sulla Terra... ma solo forme di vita acquatica.
- Anche se fosse così, noi non ne ricaveremmo niente - disse Trevize. - Dalla vita marina non può nascere una tecnologia. La tecnologia si basa sempre sul fuoco, il che è impossibile in acqua. Un pianeta vivo ma privo di tecnologia non è quello che stiamo cercando.
- Capisco, ma io stavo solo facendo delle riflessioni. Dopo tutto, per quel che ne sappiamo, la tecnologia è nata una sola volta... sulla Terra. Per il resto, i coloni l'hanno portata con sé. Non puoi dire che la tecnologia è sempre in un determinato modo, se hai un unico caso da studiare.
- Lo spostamento in acqua richiede forme aerodinamiche affusolate. Non possono esserci profili irregolari, né appendici come le mani.
- I calamari hanno i tentacoli.
Trevize disse: - D'accordo, discutiamo pure... ma se stai pensando a delle specie di calamari intelligenti evolutisi indipendentemente in qualche angolo della Galassia, e in possesso di una tecnologia non basata sul fuoco... be', ti rispondo che a mio avviso è assai improbabile esistano.
- A tuo avviso, però.
Trevize scoppiò a ridere. - Molto bene, Janov. Vedo che stai ricorrendo alla logica e intendi punirmi per come ho trattato Bliss prima, e ammetto che stai facendo un buon lavoro. Te lo prometto... se non troveremo della terraferma, esploreremo il mare nel miglior modo possibile in cerca della tua civiltà di calamari.
Mentre parlava, la nave entrò di nuovo nel lato notturno, e lo schermo diventò nero.
Pelorat sussultò. - Ma... continuo a chiedermelo... È sicuro?
- Cosa, Janov?
- Viaggiare così, al buio. Potremmo perdere quota, precipitare nell'oceano e disintegrarci all'istante.
- Impossibile, Janov. Davvero! Il computer ci mantiene su una linea gravitazionale di forza. In altre parole, rimane sempre a una intensità gravitazionale costante rispetto al pianeta, il che significa che siamo sempre a un'altezza costante, o quasi, sopra il livello del mare.
- A che altezza?
- Cinque chilometri circa.
- Questo non mi consola, Golan. E se raggiungessimo la terraferma e ci schiantassimo contro una montagna senza vederla?
- Noi non vediamo, ma il radar della nave vede tutto, e il computer se ci fosse una montagna ci guiderebbe attorno ad essa o sopra di essa.
- E se ci fosse una distesa di terra piatta? Al buio non la individueremo.
- No, Janov, la individueremo ugualmente. Le onde radar riflesse dall'acqua sono diverse da quelle riflesse dal terreno. L'acqua è sostanzialmente uniforme. Il terreno invece è scabro. Per questo motivo, le onde riflesse dal terreno sono molto più confuse di quelle riflesse dall'acqua. Il computer noterà la differenza, e se ci sarà della terraferma in vista ce lo farà sapere.
Rimasero in silenzio e, un paio d'ore più tardi, raggiunsero di nuovo il lato diurno, mentre l'oceano scorreva monotono sotto di loro oscurato di tanto in tanto da qualche formazione temporalesca. In mezzo a una di queste perturbazioni, il vento fece uscire di rotta la Far Star. Il computer lasciò fare per evitare un inutile spreco di energia e per minimizzare la possibilità di danni fisici, spiegò Trevize. Poi, superata la perturbazione, il computer riportò la nave in rotta progressivamente.
- Probabilmente era il margine di un uragano - disse Trevize.
Pelorat disse: - Ascolta, vecchio mio... ci stiamo solo spostando da ovest a est... o da est a ovest. In pratica stiamo esaminando soltanto l'equatore.
Trevize replicò: - Il che sarebbe stupido, vero? No, stiamo seguendo una rotta circolare nordovest-sudest. In questo modo sorvoliamo sia i tropici che le regioni temperate, e ogni volta che ripetiamo il giro la rotta si sposta verso ovest in quanto il pianeta ruota sul suo asse sotto di noi. Stiamo intersecando questo mondo in lungo e in largo, come vedi. E dato che finora non abbiamo avvistato la terraferma, le probabilità di trovare un continente di una certa estensione sono scese sotto il dieci per cento, secondo il computer, e le probabilità di avvistare un'isola di una certa estensione sono scese sotto il venticinque per cento... e diminuiscono ad ogni giro.
- Sai cosa avrei fatto - disse Pelorat lentamente, mentre l'emisfero notturno li risucchiava per l'ennesima volta. - Sarei rimasto ben lontano dal pianeta e avrei sondato l'emisfero rivolto verso di me con il radar.
- Già. Poi saresti passato sull'emisfero opposto e avresti fatto la stessa cosa. O avresti aspettato che ruotasse il pianeta... Questo si chiama senno di poi, Janov. Non ci aspettavamo di avvicinarci a un pianeta abitabile senza fermarci a una stazione d'ingresso... dove ci avrebbero assegnato una rotta o ci avrebbero rifiutato l'ingresso. E una volta superato lo strato di nubi ci aspettavamo di trovare quasi subito la terraferma. I pianeti abitabili sono... terraferma!
- Be', solo in parte - replicò Pelorat.
- Non intendevo quello - disse Trevize in preda a un'eccitazione improvvisa. - Sto dicendo che abbiamo trovato la terraferma! Zitto!
Cercando di controllarsi, Trevize appoggiò quindi le mani sulla scrivania e si fuse col computer. Un attimo dopo annunciò: - È un'isola lunga circa duecentocinquanta chilometri e larga circa sessantacinque, per un'area approssimativa di quindicimila chilometri quadrati. Non è grandissima, ma è rispettabile. Più che un semplice puntino sulla mappa... Aspetta...
Le luci della sala comandi si spensero.
- Cosa stiamo facendo? - mormorò Pelorat, come se l'oscurità fosse qualcosa di fragile che si poteva infrangere.
- Aspettiamo che i nostri occhi si abituino al buio. La nave è sull'isola. Guarda. Vedi qualcosa?
- No... Forse qualche piccola chiazza di luce... Ma non ne sono sicuro.
- Anch'io le vedo. Adesso inserisco il telescopio.
Adesso la luce era visibilissima... Chiazze irregolari.
- È abitato - disse Trevize. - Forse è l'unica parte abitata del pianeta.
- Che facciamo?
- Aspettiamo che sia giorno. Così avremo alcune ore di riposo.
- Ma... se ci attaccassero?
- Con cosa? Non rilevo in pratica nessuna radiazione... a parte i raggi luminosi visibili e degli infrarossi. È un pianeta abitato e gli abitanti sono chiaramente intelligenti. Possiedono una tecnologia, ma è ovvio che si tratta di una tecnologia preelettronica, quindi non credo che ci sia nulla da temere quassù. E se dovessi sbagliarmi, il computer ci avvertirà in tempo.
- E quando sarà giorno?
- Atterreremo, naturalmente.
LXXV
Quando scesero, i primi raggi mattutini del sole splendevano attraverso uno squarcio tra le nuvole, rivelando parte dell'isola... verdeggiante, con l'interno segnato da una catena di colline basse e ondulate che si perdeva in lontananza in un alone color porpora.
Mentre si abbassavano sempre più, videro boschetti isolati e qualche frutteto, ma per la maggior parte c'erano fattorie ben curate. Immediatamente sotto di loro, sulla costa sudorientale dell'isola c'era una spiaggia di sabbia argentea fiancheggiata sul retro da una fila irregolare di massi, oltre la quale si estendeva un prato. Di tanto in tanto si scorgeva una casa, ma le case non erano raggruppate in maniera tale da formare un centro abitato vero e proprio.
Infine, videro una rete di strade fiancheggiate da abitazioni sparse... poi, nell'aria fresca del mattino, avvistarono in lontananza un veicolo aereo. Capirono che si trattava di un veicolo aereo, e non di un uccello, solo dal modo in cui solcava l'aria. Era il primo segno indubitabile di una presenza intelligente concreta visto fino a quel momento sul pianeta.
- Potrebbe essere un veicolo automatico, sempre che siano in grado di costruirne uno senza ricorrere all'elettronica - disse Trevize.
- E infatti è probabile che lo sia - disse Bliss. - Se ai comandi ci fosse un'essere umano, si dirigerebbe verso di noi, non credi? Immagino che siamo uno spettacolo insolito... un veicolo che si posa in superficie senza ausilio di razzi frenanti che eruttano fuoco.
- Uno spettacolo insolito su qualsiasi pianeta - annuì Trevize meditabondo. - Non possono essere molti i mondi che hanno assistito alla discesa di un veicolo spaziale gravitazionale... La spiaggia sarebbe un posto ideale per l'atterraggio, ma non voglio che il vento faccia inondare la nave. Scenderemo su quel tratto erboso dietro i massi.
- Almeno - commentò Pelorat - una nave gravitazionale atterrando non brucia il terreno altrui.
Si posarono dolcemente sui quattro cuscinetti ammortizzatori usciti dallo scafo durante la fase finale. I cuscinetti affondarono nel terreno sotto il peso della nave.
Pelorat disse: - Ho paura che lasceremo dei segni, però.
- Per fortuna, il clima sembra ragionevole - fece Bliss un po' circospetta. - Caldo, oserei dire.
C'era una donna sul prato, che osservava la discesa della nave senza mostrare alcun timore né sorpresa. La sua espressione era solo di estremo interesse.
Non indossava granché, il che confermava la valutazione climatica di Bliss. I suoi sandali sembravano di tela, e avvolta attorno ai fianchi portava una gonna con un motivo floreale. Le gambe erano nude, e non indossava indumenti sopra la cintola.
Aveva lunghi capelli di un nero lucente che le arrivavano quasi alla vita, la pelle di un colorito marrone chiaro, gli occhi stretti.
Trevize si guardò intorno e vide che non c'erano altri esseri umani nei paraggi. Stringendosi nelle spalle, disse: - Be', è prima mattina è può darsi che gli abitanti perlopiù siano in casa, o dormano ancora... Comunque, non mi pare un'area densamente popolata... Ora andrò a parlare con quella donna, sempre che si esprima in modo comprensibile. Voi altri...
- Credo che possiamo benissimo scendere anche noi - replicò decisa Bliss. - Quella donna mi sembra completamente innocua, e in ogni caso voglio sgranchirmi le gambe, respirare un po' d'aria vera, e magari cercare un po' di cibo locale. Voglio che Fallom si ambienti di nuovo su un mondo, e penso che a Pel piacerebbe esaminare quella donna più da vicino.
- Chi? Io? - Pelorat arrossì leggermente. - Niente affatto, Bliss... comunque sono io il linguista del nostro gruppetto.
Trevize scrollò le spalle. - D'accordo, venite tutti, allora. Però, anche se quella donna ha un'aria innocua, intendo portare con me le mie armi.
- Non credo che avrai occasione di usarle con quella giovane, né che sarai tentato di farlo - osservò Bliss.
Trevize sorrise. - È attraente, vero?
Trevize lasciò la nave per primo, poi fu la volta di Bliss e di Fallom, che scese cauta la rampa. Pelorat fu l'ultimo.
La donna continuò ad osservare interessata, senza spostarsi di un millimetro.
Trevize borbottò: - Be', proviamo.
Staccò bene le mani dalle armi e disse: - Salute a te.
La giovane rifletté un istante quindi rispose: - E io saluto te e i di te compagni.
Pelorat esclamò esultante: - Meraviglioso! Parla il Galattico Classico, e con un accento corretto.
- La capisco anch'io - disse Trevize, facendo oscillare una mano per indicare che la sua comprensione non era perfetta. Spero che lei mi capisca.
Sorridendo, assumendo un'espressione amichevole, continuò: - Veniamo dallo spazio. Veniamo da un altro mondo.
- Questo è bene - disse la giovane, con una voce squillante da soprano. - Viene codesta nave dall'Impero?
- Viene da una stella lontana, e si chiama Far Star.
La giovane guardò la scritta sulla nave. - È ciò che è scritto là? Se sì, e se la prima lettera è una F, allora, vi dico, è impressa rovesciata.
Trevize stava per obiettare, ma Pelorat estasiato intervenne. - Ha ragione. La lettera F si è invertita circa duemila anni fa. Che occasione meravigliosa per studiare approfonditamente il Galattico Classico, e come lingua viva!
Trevize osservò attentamente la giovane donna. Non superava di molto il metro e mezzo di altezza, e i suoi seni per quanto ben fatti erano piccoli. Eppure non sembrava acerba. I capezzoli erano grandi, le areole scure... anche se forse questo dipendeva dal colorito bruno della pelle.
Disse: - Mi chiamo Golan Trevize; il mio amico è Janov Pelorat; la donna è Bliss; e la bambina è Fallom.
- Dunque, sulla stella remota da cui provenite, è usanza che agli uomini due nomi tocchino? Io sono Hiroko, figlia di Hiroko.
- E tuo padre? - chiese Pelorat.
Al che Hiroko si strinse nelle spalle, indifferente. - Il nome di lui, così dice mia madre, è Smool, ma non ha importanza. Non lo conosco.
- E dove sono gli altri? - domandò Trevize. - A quanto pare sei l'unica persona ad accoglierci.
Hiroko rispose: - Molti uomini sono a bordo dei pescherecci. Molte donne, nei campi. Io presi una vacanza negli ultimi due giorni, così ora ho avuto la fortuna di vedere questo grande evento. Ma la gente è curiosa, e la nave sarà stata vista scendere, pure in lontananza. Presto, altri saranno qui.
- Ci sono molte altre persone su quest'isola?
- Più di venticinque migliaia - disse Hiroko orgogliosa.
- Ci sono altre isole nell'oceano?
- Altre isole, buon signore? - fece la giovane perplessa.
Per Trevize, fu una risposta sufficiente. Quello era l'unico punto del pianeta abitato da esseri umani.
Chiese: - Qual è il nome del vostro mondo?
- È Alpha. Ci insegnano che l'intero nome è Alpha Centauri, se ciò ha significato maggiore per te, ma noi lo chiamiamo Alpha soltanto e, vedi, è un mondo dal volto ridente.
- Un mondo che? - Trevize si rivolse a Pelorat con aria interrogativa.
- Intende dire un mondo bello - spiegò Pelorat.
- Lo è - annuì Trevize. - Almeno, qui e in questo momento. - Guardò il cielo azzurro del mattino, con le sue nubi che si rincorrevano. - Una bella giornata di sole, Hiroko. Ma immagino che non ci siano molte giornate come questa su Alpha.
Hiroko si irrigidì. - Quante ne desideriamo, signore. Le nubi vengono quando ci occorre pioggia, ma in molti giorni ci sembra bello che il cielo lassù sia limpido. Invero, un cielo favorevole e un vento calmo sono augurabili nei giorni in cui i pescherecci sono in mare.
- Dunque, la tua gente controlla il clima, Hiroko?
- Non lo facessimo, Golan Trevize, saremmo zuppi di pioggia.
- Ma come fate?
- Non essendo un ingegnere, signore, non posso dirtelo.
- E quale sarebbe il nome di quest'isola su cui vivete tu e la tua gente?
Hiroko rispose: - La nostra isola celestiale in mezzo al vasto mare d'acque è chiamato da noi Nuova Terra.
Al che Trevize e Pelorat si fissarono strabiliati.
LXXVI
Non vi fu il tempo di approfondire. Stavano arrivando altre persone. Decine di persone. Probabilmente, pensò Trevize, quelle che non erano in mare o nei campi, e che non si trovavano troppo lontane. Per la maggior parte arrivarono a piedi, anche se si vedevano due veicoli da superficie... piuttosto antiquati e goffi.
Sì, quella era una società a basso livello tecnologico, eppure controllavano i fenomeni meteorologici.
Si sapeva che la tecnologia non procedeva necessariamente in modo compatto; che l'arretratezza in un settore non escludeva necessariamente un progresso considerevole in altri settori... certo però che quell'esempio di sviluppo non uniforme era insolito.
Almeno metà delle persone che stavano osservando la nave erano anziane, uomini e donne; c'erano anche tre o quattro bambini. Per il resto, le donne erano in maggioranza rispetto agli uomini. E nessuno sembrava spaventato o incerto.
Trevize mormorò a Bliss: - Li stai influenzando? Sembrano... sereni.
- Non li sto influenzando affatto - rispose Bliss. - Non tocco mai le menti se proprio non devo... È Fallom che mi preoccupa.
Per quanto i nuovi venuti fossero pochi, per chiunque si fosse imbattuto nelle normali folle di curiosi che si trovavano su qualsiasi mondo della Galassia, per Fallom rappresentavano una moltitudine, dal momento che la bambina aveva addirittura stentato ad abituarsi alla presenza dei tre adulti a bordo della Far Star. Fallom aveva il respiro affannoso, gli occhi socchiusi, come se fosse in stato di shock.
Bliss l'accarezzava con gesti ritmici e delicati, mormorando una specie di nenia per calmarla, e sicuramente intervenendo anche con delicatezza infinita sulle sue fibrille mentali.
Fallom d'un tratto inspirò a fondo, ebbe quasi un sussulto violento, e si scosse. Drizzò la testa, guardò i presenti con un'aria non più stranita come prima e infilò la testa sotto il braccio di Bliss.
Pelorat pareva in preda a un timore reverenziale, e il suo sguardo si spostava continuamente da un Alphano all'altro. Disse: - Golan, sono tutti diversi tra loro.
Anche Trevize l'aveva notato. C'era un campionario assortito di colori di carnagione e di capelli, compreso un tipo dai capelli rossi, gli occhi azzurri e le lentiggini. Alcuni adulti (almeno sembravano tali) erano bassi come Hiroko, un paio erano più alti di Trevize. Un certo numero di maschi e di femmine avevano il taglio degli occhi uguale a quello di Hiroko, e Trevize rammentò che sui popolosi pianeti commerciali del settore di Fili quegli occhi erano la caratteristica della popolazione, lui però non era mai stato in quel settore.
Tutti gli Alphani non portavano nulla al di sopra della cintola, e i seni delle donne sembravano tutti piccoli. Era la particolarità fisica più uniforme che Trevize potesse vedere.
Bliss disse all'improvviso: - Hiroko, la mia piccola non è abituata ai viaggi spaziali, e si ritrova a dover digerire troppe novità in una sola volta. Non sarebbe possibile farla sedere e magari mangiare qualcosa e bere?
Hiroko parve perplessa, e Pelorat le ripeté la richiesta di Bliss nel galattico più elaborato del periodo mediano dell'Impero.
Hiroko portò una mano alla bocca e si inginocchiò con movimenti aggraziati. - Imploro da te perdono, stimata signora - disse. - Non ho considerato i bisogni di codesta bambina, né i tuoi. La stranezza di questo evento mi ha troppo assorta. Vorresti tu... vorreste voi tutti, come visitatori e ospiti, entrare nel refettorio per il pasto mattutino? Possiamo unirci a voi e fungere da vostri anfitrioni?
Bliss rispose lentamente, scandendo bene le parole, sperando che questo facilitasse la comprensione. - Siete davvero gentili. Però sarebbe meglio che solo tu fungessi da anfitrione, per il bene della bambina che non è abituata a stare con molte persone.
Hiroko si alzò. - Sarà fatto come da te richiesto.
Li guidò tranquilla attraverso il prato, mentre gli altri Alphani sembravano soprattutto interessarsi agli abiti degli stranieri. Trevize si tolse la giacca e la porse a un uomo che gli si era accostato e l'aveva toccata con aria interrogativa.
- Ecco - disse Trevize - guardala bene, ma restituiscila. - Poi rivolto a Hiroko: - Fai in modo che la riabbia indietro, Hiroko.
- Oh, di certo, ti sarà ritornata, stimato signore - annuì seria la giovane.
Trevize sorrise e proseguì. Si sentiva più a proprio agio senza giacca in quella brezza carezzevole.
Non aveva visto armi addosso a chi lo attorniava, e constatò con interesse che gli Alphani non mostravano alcun timore né alcun disagio per le sue armi. Non sembravano nemmeno incuriositi. Forse non sapevano che quegli oggetti erano armi. Da quanto aveva potuto osservare finora Trevize, Alpha aveva tutta l'aria di essere un mondo pacifico.
Una donna, portandosi di fronte a Bliss, si girò a esaminare meticolosamente la sua camicetta, quindi chiese: - Hai seni, stimata signora?
E, quasi fosse incapace di attendere una risposta, posò adagio una mano sul petto di Bliss.
Bliss sorrise. - Li ho, come hai appena scoperto. Forse non sono belli come i tuoi, ma non li nascondo per questo motivo. Sul mio mondo è sconveniente ch'essi siano esibiti.
E soggiunse sottovoce rivolta a Pelorat: - Che te ne pare del mio Galattico Classico?
- Sei stata bravissima, Bliss.
La sala da pranzo era spaziosa, con lunghi tavoli ai quali su entrambi i lati erano fissate delle panche. Chiaramente, gli Alphani consumavano pasti comunitari.
Trevize si sentiva un po' in colpa. In seguito alla richiesta di Bliss, tutto quello spazio era stato destinato adesso ad appena cinque persone, e gli altri Alphani erano stati relegati all'esterno. Alcuni, però, si erano fermati in prossimità delle finestre (che erano semplici aperture nelle pareti, prive di qualsiasi protezione) presumibilmente per osservare gli stranieri a tavola.
Involontariamente, Trevize si chiese cosa sarebbe successo in caso di pioggia. Sicuramente, la pioggia sarebbe arrivata solo in caso di necessità, e sarebbe stata una pioggia lieve, senza raffiche di vento, che sarebbe cessata non appena cessato il bisogno. Quindi non sarebbe mai arrivata all'improvviso, e gli Alphani non sarebbero stati impreparati...
La finestra di fronte a Trevize si affacciava sul mare, e in lontananza, all'orizzonte, a Trevize sembrò di scorgere un banco di nubi simile a quelli che oscuravano quasi del tutto il cielo ovunque, fatta eccezione per quel piccolo paradiso.
Il controllo meteorologico presentava dei vantaggi.
Furono serviti da una giovane che si muoveva in punta di piedi. Nessuno chiese agli ospiti cosa desiderassero; vennero serviti e basta. C'erano tre bicchieri... uno piccolo di latte, uno medio di succo d'uva, uno grande di acqua. Ogni commensale ricevette due uova in camicia con pezzettini di formaggio, e un piatto di pesce alla griglia e di patate arrosto accompagnate da foglie di lattuga.
Bliss guardò scoraggiata la quantità di cibo che aveva di fronte, non sapendo da dove iniziare. Fallom non aveva problemi del genere. Bevve avidamente il succo d'uva, quindi si lanciò sul pesce e le patate. Stava per usare le dita, ma Bliss le porse un grosso cucchiaio con l'estremità a rebbio che fungeva anche da forchetta, e Fallom l'accettò.
Pelorat sorrise soddisfatto e si dedicò subito alle sue uova.
Trevize lo imitò, dicendo: - Tanto per ricordare che gusto hanno le uova vere.
Hiroko, trascurando la propria colazione e osservando deliziata con quanto appetito mangiavano gli ospiti (perché anche Bliss finalmente si era messa all'opera con lo stesso slancio dei compagni), infine chiese: - È di vostro gradimento?
- Tutto ottimo - annuì Trevize, con voce un po' soffocata. - Su quest'isola il cibo non scarseggia... O ci offrite un pasto così abbondante per cortesia?
Hiroko ascoltò assorta e evidentemente comprese il significato della domanda, in quanto rispose: - No, no, stimato signore. La nostra terra è generosa, il nostro mare ancor più. Le nostre anatre danno uova, le nostre capre e latte e formaggio. E abbiamo i nostri grani. Ma, soprattutto, il nostro mare è colmo di innumerevoli varietà di pesci, in copiosissima quantità. L'intero Impero potrebbe mangiare alle nostre tavole e tuttavia non esaurire il nostro mare pescoso.
Trevize sorrise tra sé. Chiaramente, la giovane Alphana non immaginava nemmeno quanto fosse grande in realtà la Galassia.
Disse: - Quest'isola è chiamata Nuova Terra, Hiroko. Dove può essere allora la Vecchia Terra?
Lei lo fissò confusa. - Vecchia Terra, hai detto? Imploro perdono, stimato signore. Non comprendo.
Trevize spiegò: - Prima che ci fosse una Nuova Terra, il tuo popolo deve aver vissuto altrove. Dov'è questo posto da cui proviene il tuo popolo?
- Di questo non so nulla, stimato signore - rispose Hiroko, l'espressione solenne e turbata. - Da una vita questa è la mia terra... e di mia madre, e della di lei madre, e delle madri venute prima... Di un'altra terra, non so nulla.
- Ma - insisté Trevize con garbo - perché chiamate questo posto Nuova Terra?
- Perché, stimato signore - rispose Hiroko altrettanto garbatamente - È da tutti chiamato così, da che mente di donna ha raziocinio.
- Ma è una Nuova Terra, quindi una Terra venuta in seguito. Deve esserci una Vecchia Terra, una Terra precedente, da cui questa ha preso il nome. Ogni mattina c'è un nuovo giorno, il che significa che prima c'è stato un vecchio giorno. Non capisci che non può essere diversamente?
- No, stimato signore. So soltanto come questa terra è chiamata. Null'altro io so, né seguo questo tuo ragionare, che noi qui chiameremmo astruso. Senza offesa.
Trevize scosse la testa, frustrato.
LXXVII
Trevize mormorò a Pelorat: - Ovunque andiamo, qualsiasi cosa facciamo, non otteniamo alcuna informazione.
- Sappiamo dov'è la Terra... quindi, che importa? - fece Pelorat muovendo appena le labbra.
- Voglio sapere qualcosa sulla Terra.
- Hiroko è giovanissima. Non può essere un pozzo di informazioni.
Trevize rifletté un istante, e annuì. - Giusto, Janov.
Rivolgendosi a Hiroko, disse: - Hiroko, non ci hai chiesto perché siamo qui sul vostro mondo.
Hiroko abbassò gli occhi. - Sarebbe scortese chiedere prima che abbiate mangiato e riposato, stimato signore.
- Ma adesso abbiamo mangiato, o quasi, e ci siamo riposati di recente, quindi ti dirò perché siamo qui. Il mio amico, dottor Pelorat, è uno studioso sul nostro mondo, un dotto. È un mitologo. Sai cosa significa?
- No, stimato signore.
- Il mio amico studia le vecchie storie che si raccontano su ogni mondo. Queste storie si chiamano anche miti e leggende, ed è di questo che si interessa il dottor Pelorat. Su Nuova Terra ci sono dei dotti che conoscono le vecchie storie di questo mondo?
Hiroko si concentrò corrugando leggermente la fronte. - Non è una materia di mia conoscenza. Abbiamo nei dintorni un vecchio che ama parlare dei giorni antichi. Dove possa avere appreso queste cose, non so, e ritengo possa averle inventate di sana pianta, o le abbia udite da qualcuno che a sua volta le abbia inventate così. Forse è questa la materia di cui il tuo dotto compagno gradirebbe sentire parlare, ma non intendo fuorviarvi. È mio parere - e si guardò attorno come se volesse assicurarsi che nessuno la sentisse - che il vecchio sia solo un blaterone, quantunque in molti lo ascoltino volentieri.
Trevize annuì. - A noi interessano proprio questi blateramenti. Non sarebbe possibile portare il mio amico da questo vecchio...
- Monolee è il suo nome.
- ...portarlo da Monolee, allora? Pensi che Monolee sia disposto a parlare col mio amico?
- Disposto a parlare? Dovresti chiedere, se mai, se sarà disposto a cessare di parlare. È solo un uomo, e dunque potendo parlerà senza pausa per mezzo mese... Senza offesa, stimato signore.
- Assolutamente. Adesso vorresti accompagnare il mio amico da Monolee?
- È sempre possibile farlo. Il vecchio è sempre a casa, e sempre ben disposto a salutare orecchie attente.
Trevize suggerì: - E forse una donna anziana potrebbe essere disposta a venire a sedersi con Bliss... Lei deve badare alla bambina e non può muoversi troppo. Ma le farebbe piacere un po' di compagnia, perché si sa, alle donne piace...
- Blaterare? - disse Hiroko divertita. - Così dicono gli uomini, quantunque io abbia notato che gli uomini sono sempre i più grandi chiacchieroni. Quando tornano dalla pesca, fanno gara l'un l'altro per vedere chi ingigantisce di più con la fantasia le proprie imprese e le prede. E pur se nessuno bada loro, pur se non sono creduti, non cessano. Ma, basta, io stessa sto blaterando... Chiamerò un'amica di mia madre, una donna che ora scorgo attraverso la finestra, perché resti con la signora e la bambina dopo aver guidato il tuo amico, lo stimato dottore, da Monolee. Se il tuo amico sarà avido d'ascolto come Monolee lo sarà di parola, faticherai a separarli. Vogliate perdonare la mia momentanea assenza, ora.
Quando Hiroko fu uscita, Trevize si rivolse a Pelorat. - Senti, cerca di scoprire il più possibile da quel vecchio, e Bliss anche tu cerca di sapere il più possibile dalla donna che verrà qui... Ci occorrono informazioni sulla Terra.
- E tu? Cosa farai? - domandò Bliss.
- Io rimarrò con Hiroko, e vedrò di trovare una terza fonte di informazioni.
Bliss sorrise. - Ah, certo... Pel sarà con il vecchio; io con una vecchia. Tu ti sacrificherai e rimarrai con questa giovane seducente e seminuda. Mi sembra un'equa suddivisione dei compiti.
- Guarda caso, Bliss, è equa.
- Già, dal tuo punto di vista, certamente!
Hiroko rientrò e si sedette di nuovo. - È tutto approntato. Lo stimato dottor Pelorat verrà portato da Monolee, e la stimata signora Bliss, insieme alla bambina, avrà compagnia. Mi vuoi dunque concedere, stimato signor Trevize, l'onore di proseguire con te la conversazione, forse riguardo questa Vecchia Terra di cui...
- Blatero? - fece Trevize.
- No - disse Hiroko ridendo. - Ma è stato giusto burlarmi. Ho mostrato solo scortesia fino ad ora nel rispondere alla tua domanda. Mi aggraderebbe fare ammenda.
Trevize chiese a Pelorat: - Aggraderebbe?
- Le piacerebbe molto, - mormorò Pelorat.
Trevize disse: - Hiroko non c'è stata scortesia, ma se servirà a tranquilizzarti, parlerò volentieri con te.
- Ti ringrazio per la tua bontà - fece Hiroko, alzandosi.
Anche Trevize si alzò. - Bliss, controlla che Janov non si trovi in pericolo.
- Ci penso io. Tu invece hai le tue... - Bliss indicò con un cenno le fondine.
- Non credo che ne avrò bisogno - rispose Trevize impacciato.
Seguì Hiroko all'esterno. Il sole era alto nel cielo, e c'era ancor più caldo. Come sempre, nell'aria si avvertiva un profumo strano. Trevize ricordava quello debole di Comporellen, quello leggermente muschiato di Aurora, quello delizioso di Solaria. (Su Melpomenia indossavano le tute spaziali, all'interno delle quali si sentiva solo l'odore del proprio corpo.) In ogni caso, il profumo scompariva in poche ore per la saturazione dei centri olfattivi del naso.
Su Alpha si sentiva una calda fragranza di erba, e Trevize provò un certo disappunto al pensiero che sarebbe durata così poco.
Stavano avvicinandosi a una piccola costruzione che sembrava fatta di malta rosa chiaro.
- È la mia casa - disse Hiroko. - Apparteneva un tempo alla sorella minore di mia madre.
Entrò, invitando Trevize a seguirla. La porta era aperta... o meglio, non c'era nessuna porta per la precisione, notò Trevize.
Disse: - Cosa fate quando piove?
- Siamo preparati. La pioggia dura sempre due giorni, fino a tre ore avanti l'alba, quando è maggiore il fresco, e il terreno si bagna meglio. Quando piove, mi basta tirare attraverso la porta questa tenda robusta e impermeabile.
Mentre parlava, Hiroko tirò la tenda. Sembrava fatta di una specie di tela spessa.
- La lascerò così, adesso - proseguì Hiroko. - Tutti così sapranno che sono in casa ma non a disposizione, in quanto addormentata o impegnata in cose di importanza.
- Non sembra granché come mezzo per proteggere la propria intimità.
- È un'ottima protezione. Vedi, l'entrata è coperta.
- Ma chiunque potrebbe spingerla da parte.
- In spregio ai desideri dell'occupante? - fece Hiroko confusa. - Si fanno cose simili sul tuo mondo? Sarebbe barbaro.
Trevize sorrise. - Chiedevo soltanto.
Hiroko lo condusse nella seconda delle due stanze, e lo invitò ad accomodarsi su una sedia imbottita. Erano stanze anguste e spoglie che trasmettevano un lieve senso di claustrofobia, ma sembrava fosse destinata a essere soltanto un luogo dove appartarsi e riposare. Le aperture delle finestre erano piccole e vicine al soffitto, ma disposte con cura lungo le pareti c'erano delle strisce di materiale speculare che diffondevano la luce. Nel pavimento c'erano delle fessure da cui si alzava una corrente lieve e fresca. Non c'era traccia di illuminazione artificiale, e Trevize si chiese se gli Alphani dovessero alzarsi all'alba e andare a letto al tramonto.
Stava per domandarlo, quando Hiroko lo precedette dicendo: - La signora Bliss è la tua compagna?
Trevize rispose cauto: - Mi chiedi, cioè, se è la mia compagna sessuale?
Hiroko arrossì. - Ti scongiuro, abbi riguardo per le convenienze della conversazione educata... Comunque, sì... mi riferivo alle piacevolezze private.
- No, è la compagna del mio amico studioso.
- Eppure sei tu il più giovane, e il più piacente.
- Be', grazie, ma Bliss è di un altro avviso. Lei preferisce di gran lunga il dottor Pelorat.
- Ciò mi sorprende molto... Lui non ti rende partecipe?
- Non gli ho mai fatto una richiesta del genere, ma sono certo che risponderebbe di no. Né vorrei una risposta diversa.
Hiroko annuì. - Capisco. È il suo deretano.
- Il suo deretano?
- Sai... Questo. - E Hiroko si batté una mano sul grazioso posteriore.
- Ah, quello! Capisco. Sì, Bliss ha proporzioni generose nella regione pelvica. - Trevize tracciò una curva con le mani e strizzò l'occhio. (E Hiroko rise.)
Trevize disse: - Comunque, a molti uomini piace quel genere di abbondanza fisica.
- Stento a crederlo. È da ingordi desiderare in eccesso ciò che è piacevole se preso con moderazione. Mi preferiresti, tu, se avessi seni grossi e penzolanti, coi capezzoli rivolti ai piedi? In verità, ho visto seni simili, ma non ho visto frotte di uomini accorrenti. Le poverette afflitte da tale sventura devono coprire le loro mostruosità... come la signora Bliss.
- Le dimensioni eccessive non attraggono nemmeno me, comunque sono sicuro che se Bliss copre i seni non lo fa per nascondere qualche imperfezione.
- Dunque, tu, non disapprovi il mio aspetto e la mia forma?
- Sarei un pazzo se lo facessi. Sei molto bella.
- E sulla tua nave, andando di mondo in mondo, cosa fai per procurarti piacere... essendo a te negata la signora Bliss?
- Nulla, Hiroko. Non c'è nulla che possa fare. Di tanto in tanto penso al piacere, e questo crea dei disagi, ma chi viaggia nello spazio sa benissimo che certe volte bisogna fare delle rinunce. Ci ripaghiamo dei disagi in altre occasioni.
- Se è un disagio, in che modo è possibile rimediare?
- Ora che ne parli, il disagio che avverto è aumentato. Ma non credo che sarebbe cortese suggerire quale potrebbe essere per me la cura migliore.
- Sarebbe scortese se a suggerirla fossi io?
- Dipende dal suggerimento.
- Io suggerirei di procurarci piacere a vicenda.
- Hiroko, mi hai portato qui perché arrivassimo a questo? Hiroko sorrise. - Sì. È il mio dovere di padrona di casa, ed è anche ciò che desidero.
- In tal caso, ammetto che anch'io lo desidero. Anzi, mi... mi aggraderebbe molto procurarti piacere.
18 - Lo spettacolo musicale.
LXXVIII
Pranzarono nella stessa sala in cui avevano fatto colazione. Era piena di Alphani, e con loro c'erano Trevize e Pelorat, graditi ospiti. Bliss e Fallom mangiavano separate, più o meno in privato, in una piccola dipendenza.
C'erano parecchi tipi di pesce, e una zuppa in cui galleggiavano pezzetti di carne, forse capretto bollito. C'erano pagnotte da affettare, burro e marmellata; un'insalata abbondante; niente dessert, e un'infinità di brocche di succhi di frutta. Trevize e Pelorat, dopo la sostanziosa colazione, si limitarono a un pasto frugale, a differenza di tutti gli altri.
- Come faranno a non ingrassare? - si chiese Pelorat a mezza voce.
Trevize si strinse nelle spalle. - Molti lavori pesanti, forse.
Chiaramente era un società in cui il decoro a tavola non aveva molto valore. C'era un frastuono di grida, risate, tazze battute con forza sul tavolo... tazze solide evidentemente infrangibili. E le donne erano chiassose quanto gli uomini, per quanto in modo più stridulo.
Pelorat era frastornato, ma Trevize, che almeno per ora non avvertiva la benché minima traccia del disagio di cui aveva parlato con Hiroko, si sentiva rilassato e di ottimo umore.
Disse: - Niente male, questo ambiente. Sembra che questa gente si goda la vita e non abbia eccessive preoccupazioni. Controllano il tempo, hanno cibo a volontà. Per loro questa è una specie di epoca aurea che non termina mai.
Dovette gridare per farsi sentire, e Pelorat gli urlò di rimando: - Ma tutto questo baccano!
- Ci sono abituati.
- Non vedo come facciano a capirsi in mezzo a tanto chiasso!
Sicuramente, i due ospiti non capivano nulla. A un volume così alto, la strana pronuncia, la grammatica arcaica e l'ordine delle parole della lingua alphana formavano un miscuglio incomprensibile. Per Trevize e Pelorat era come ascoltare i rumori di uno zoo spaventato.
Solo dopo il pranzo si riunirono a Bliss in una piccola costruzione che a Trevize parve quasi identica alla casa di Hiroko, e che era stata assegnata agli ospiti come alloggio provvisorio. Fallom era nella seconda stanza, finalmente sola, e stava cercando di fare un sonnellino, spiegò Bliss.
Pelorat guardò l'apertura murale che fungeva da porta e disse incerto: - Non c'è molta privacy qui. Come possiamo parlare liberamente?
Trevize disse: - Ti assicuro che una volta tirata la tenda non saremo disturbati da nessuno. La tenda è una barriera impenetrabile che ha la solidità di una consuetudine sociale.
Pelorat alzò lo sguardo verso le finestre aperte. - Possono sentirci.
- Non c'è bisogno che gridiamo. Gli Alphani non staranno a origliare. Anche quando erano fuori dalle finestre della sala da pranzo a colazione, si mantenevano a rispettosa distanza.
Bliss sorrise. - Hai imparato moltissimo sulle usanze alphane nel tempo che hai trascorso in compagnia della piccola Hiroko, e sembri molto sicuro del loro rispetto per l'intimità altrui. Cosa è successo?
Trevize replicò: - Se hai capito che la mia situazione mentale è cambiata in meglio e immagini il motivo, posso solo chiederti di lasciare in pace la mia mente.
- Sai benissimo che Gaia non toccherà la tua mente in nessuna circostanza, a meno che non si tratti di una emergenza vitale. Comunque, non sono mentalmente cieca. Ho percepito quel che è successo a un chilometro di distanza. È un'abitudine cui non puoi rinunciare quando viaggi nello spazio, mio caro erotomane?
- Erotomane? Via, Bliss... Due sole volte in tutto il viaggio. Due volte!
- Siamo stati solo su due mondi abitati da femmine umane funzionanti. Due su due... e in entrambi i casi è successo quasi subito dopo il nostro arrivo.
- Sai benissimo che non avevo scelta su Comporellen.
- Hai ragione. Ricordo che tipo era quella - rise Bliss. - Eppure non credo che Hiroko ti abbia bloccato nella sua morsa d'acciaio, né abbia piegato il tuo povero corpo con la sua irresistibile forza di volontà.
- Certo che no. Ero perfettamente consenziente. Comunque, la proposta è partita da lei.
Con una punta di invidia nella voce, Pelorat chiese: - Ti capita sempre così, Golan?
- Certo, Pel - fece Bliss. - Le donne sono impotenti di fronte al suo fascino.
- Magari - disse Trevize. - Ma non è così... E sono contento che non sia così... Ho altre cose che mi interessano nella vita. Comunque, in questo caso sono stato irresistibile. In fin dei conti, siamo le prime persone provenienti da un altro mondo che lei abbia mai visto... che gli Alphani delle ultime generazioni abbiano mai visto, forse. Da certe cose che Hiroko si è lasciata sfuggire, da certe sue osservazioni, ho capito che era abbastanza eccitata dall'idea che potessi essere diverso dagli Alphani, o anatomicamente o in quanto a tecnica... Poverina. Temo che sia rimasta delusa.
- Oh? - fece Bliss. - E tu, sei rimasto deluso?
- No - rispose Trevize. - Sono stato su parecchi mondi e l'esperienza non mi manca. E ho scoperto che la gente è sempre la stessa e che il sesso è sempre lo stesso. Se ci sono differenze apprezzabili, di solito si tratta di cose banali e spiacevoli. I profumi che ho incontrato in vita mia! Ricordo che una ragazza non riusciva a combinare nulla se non c'era della musica suonata a tutto volume, musica che era un'accozzaglia di suoni stridenti. Così lei suonava questa musica, e allora ero io a non riuscire a combinare nulla. Ve lo assicuro... il vecchio sistema tradizionale mi va benissimo.
- A proposito di musica - disse Bliss. - Siamo stati invitati a uno spettacolo musicale dopo cena. Una manifestazione molto formale, pare... in nostro onore. Mi è parso di capire che gli Alphani siano molto orgogliosi della loro musica.
Trevize fece una smorfia. - Il loro orgoglio non renderà certo la musica più piacevole alle nostre orecchie.
- Ascolta - fece Bliss. - Sono orgogliosi perché pare che suonino con maestria degli strumenti estremamente arcaici. Estremamente arcaici, capito? Attraverso di essi può darsi che riusciamo ad avere informazioni sulla Terra.
Trevize inarcò di colpo le sopracciglia. - Un'idea interessante. E a proposito... forse voi due avete già qualche informazione. Janov, hai visto quel tale Monolee?
- Certo - rispose Pelorat. - Sono rimasto con lui per tre ore, e Hiroko non esagerava. Si è trattato in pratica di un monologo continuo da parte sua e quando mi sono allontanato per venire a pranzare Monolee si è aggrappato a me e non mi ha lasciato andare finché non gli ho promesso che sarei tornato quanto prima ad ascoltarlo.
- E non ti ha raccontato nulla di interessante?
- Be', anche lui, come chiunque altro, ha insistito sulla radioattività letale della Terra; ha detto che gli antenati degli Alphani furono gli ultimi a lasciare il pianeta e che se non fossero partiti sarebbero morti... E, Golan, la sua enfasi è stata tale che ho dovuto credergli per forza. Ne sono convinto... La Terra è morta, e la nostra ricerca a conti fatti è inutile.
LXXIX
Dalla sua sedia Trevize fissò Pelorat, seduto su una branda. Bliss, che sedeva accanto a Pelorat, si alzò e guardò i due uomini.
Infine, Trevize disse: - Lascia che sia io a giudicare l'utilità della nostra ricerca, Janov. Riferiscimi quello che ti ha raccontato quel vecchio chiacchierone... in modo conciso, naturalmente.
Pelorat disse: - Mentre Monolee parlava ho preso appunti. È servito ad aumentare la credibilità del mio ruolo di studioso, ma non c'è bisogno che li consulti. Monolee parlava a ruota libera. Ogni cosa che diceva gli ricordava qualcos'altro, ma, naturalmente, è da una vita che cerco di sistemare in modo organico le informazioni per ricavarne i dati rilevanti e significativi, quindi per me è quasi un fatto istintivo riuscire a condensare un discorso lungo e incoerente trasformandolo...
Trevize intervenne garbato: - In qualcosa di altrettanto lungo e incoerente? Vieni al punto, Janov.
Imbarazzato, Pelorat si schiarì la voce. - Sì, certo, vecchio mio. Cercherò di presentare un resoconto organico e cronologicamente ordinato... La Terra era la patria originale dell'umanità e di milioni di specie di piante e animali. Continuò a esserlo per innumerevoli anni, fino all'invenzione del volo iperspaziale. Poi furono fondati i Mondi Spaziali, che si staccarono dalla Terra, crearono culture indipendenti e giunsero a disprezzare e a opprimere il pianeta madre.
"Dopo un paio di secoli di questa situazione, la Terra riuscì a riguadagnare la propria libertà, anche se Monolee non mi ha spiegato di preciso come avvenne... e io non ho osato fargli delle domande, anche se mi avesse lasciato la possibilità di interromperlo, perché così lo avrei fatto divagare ulteriormente... In effetti, ha accennato a un eroe terrestre di nome Elijah Baley, ma i riferimenti a quel personaggio erano così caratteristici dell'abitudine di attribuire a una singola figura le imprese di intere generazioni che francamente sarebbe stato inutile cercare di..."
Bliss disse: - Pel, caro, ti abbiamo capito perfettamente.
Pelorat si fermò di nuovo a riflettere. - Oh, certo. Scusate... La Terra avviò una seconda ondata di colonizzazione, fondando molti nuovi mondi. Il nuovo gruppo di Coloni si dimostrò più forte degli Spaziali, li superò, li sconfisse, e alla fine fondò l'Impero Galattico. Durante le guerre tra Coloni e Spaziali... non, non guerre, perché Monolee ha usato il termine "conflitto" e lo ha ribadito... durante il conflitto, la Terra diventò radioattiva.
Trevize osservò seccato: - Che assurdità, Janov. Come può un mondo diventare radioattivo? Tutti i mondi sono leggermente radioattivi dal momento della loro formazione, e la radioattività decade lentamente. Un mondo non diventa radioattivo.
Pelorat si strinse nelle spalle. - Sto solo riferendoti le parole di Monolee. E lui mi ha solo raccontato qualcosa che qualcun altro gli aveva raccontato dopo averla sentita da un altro ancora, e via dicendo... È la storia popolare, tramandata da chissà quante generazioni, con chissà quante distorsioni a ogni passaggio.
- Capisco, ma non esistono libri, documenti primitivi in grado di fornirci una versione più precisa del racconto di Monolee?
- In effetti, sono riuscito a chiederglielo, e la risposta è stata no. Monolee ha detto in modo vago che nell'antichità c'erano sì dei libri sull'argomento, libri andati smarriti da un pezzo, ma che lui mi stava raccontando appunto il contenuto di tali libri.
- Sì, travisato e distorto. Sempre la stessa storia... Su qualsiasi mondo andiamo, in un modo o nell'altro i documenti riguardanti la Terra sono scomparsi... Be', secondo lui, allora, come sarebbe iniziata la radioattività sulla Terra?
- Non me ne ha parlato dettagliatamente. Ha solo accennato alla responsabilità degli Spaziali, ma ho capito che gli Spaziali erano i demoni ai quali i Terrestri attribuivano la colpa di qualsiasi sventura. La radioattività...
Una voce squillante lo interruppe. - Bliss, io sono Spaziale?
Fallom era ferma sulla soglia tra le due stanze, i capelli arruffati, la camicia da notte (destinata in origine alle dimensioni maggiori di Bliss) scivolata da una spalla a rivelare un seno non sviluppato.
Bliss disse: - Ci preoccupiamo di chi può origliare da fuori e ci siamo scordati di chi origlia dentro... Fallom, perché dici così? - Si alzò, andando dalla Solariana.
Fallom rispose: - Non ho quello che hanno loro - e indicò i due uomini - né quel che hai tu, Bliss. Sono diversa. È perché sono una Spaziale?
- Lo sei, Fallom - disse Bliss in tono carezzevole. - Ma certe piccole differenze non hanno importanza. Vieni, a letto.
Fallom divenne docile, come accadeva sempre quando interveniva Bliss. Si girò e fece: - Sono un demone? Cos'è un demone?
Bliss disse girando la testa: - Aspettatemi. Torno subito.
Rientrò dopo alcuni minuti, scuotendo il capo. - Dormirà finché non la sveglierò io. Avrei dovuto farlo prima, immagino... ma qualsiasi modificazione mentale deve essere giustificata da una effettiva necessità. - E aggiunse, quasi volesse difendersi: - Non posso permettere che cominci a rimuginare sulle differenze tra il suo corredo genitale e il nostro.
Pelorat osservò: - Un giorno dovrà sapere di essere un ermafrodita.
- Un giorno - annuì Bliss. - Non ora, però. Continua a raccontare, Pel.
- Be', la Terra diventò radioattiva, o almeno la sua crosta. All'epoca, la Terra aveva una popolazione incredibilmente numerosa concentrata in enormi città situate perlopiù sottoterra...
- Questo è certamente falso - intervenne Trevize. - Deve essere il patriottismo locale che glorifica l'età aurea di un pianeta ispirandosi in questo caso all'età aurea di Trantor, quando Trantor era la capitale imperiale di un sistema di mondi esteso quanto la Galassia.
Pelorat esitò un istante, quindi disse: - Golan, credimi, non devi insegnarmi il mio mestiere. Noi mitologi sappiamo benissimo che i miti e le leggende contengono elementi plagiati altrove, lezioni morali, cicli naturali, e cento altre distorsioni, e ci sforziamo di eliminarle per arrivare al fondo di verità che può esserci. La stessa tecnica va usata anche con le storie più credibili, perché nessuno scrive la verità pura e semplice... sempre ammesso che esista. Adesso, ti sto dicendo più o meno quello che mi ha detto Monolee, anche se è probabile che anch'io a mia volta aggiunga delle distorsioni nonostante cerchi di essere obiettivo.
- D'accordo. Continua, Janov - fece Trevize. - Non intendevo offenderti.
- E io non mi sono offeso. Le immense città, sempre che esistessero, crollarono con il progressivo aumento della radioattività, e la popolazione diminuì drammaticamente aggrappandosi a quelle regioni relativamente prive di radiazioni. Per bloccare l'aumento della popolazione si ricorse a un severo controllo delle nascite e all'eutanasia per le persone oltre i sessant'anni.
- Orribile - fece Bliss indignata.
- Indubbiamente - convenne Pelorat. - Ma è quel che facevano, stando a Monolee, e può darsi che sia vero trattandosi di una cosa che non fa onore ai Terrestri ed essendo poco probabile l'invenzione e l'aggiunta di particolari poco lusinghieri. I Terrestri, dopo il disprezzo e l'oppressione degli Spaziali, ora erano disprezzati e oppressi dall'Impero... questa però potrebbe essere una esagerazione dovuta all'autocommiserazione, un sentimento molto allettante. Per esempio, c'è quel caso...
- Sì, sì, Pelorat. Un'altra volta. Continua con la Terra.
- Chiedo scusa... L'Impero, in uno slancio di generosità, accettò di portare via il terreno contaminato e di sostituirlo importando del terreno non radioattivo. Va da sé che era un'impresa colossale di cui l'Impero si stancò ben presto, soprattutto dato che quel periodo dovrebbe coincidere con la caduta di Kandar V, dopo la quale l'Impero aveva cose assai più gravi di cui preoccuparsi.
"La radioattività continuò ad aumentare, la popolazione a diminuire, e infine l'Impero in un nuovo slancio di generosità si offrì di trasferire quel che restava della popolazione su un nuovo mondo tutto per i superstiti... su questo mondo, insomma.
"In un epoca precedente, pare, una spedizione aveva rifornito di forme di vita l'oceano, così quando si misero a punto i piani per il trasferimento dei Terrestri, su Alpha c'erano già un'atmosfera d'ossigeno e ampie risorse alimentari. Ai mondi dell'Impero Galattico non interessava questo mondo, perché esiste una certa avversione naturale per i pianeti appartenenti a un sistema binario di stelle. Nei sistemi binari i mondi abitabili sono rarissimi, e a mio avviso anche quelli abitabili vengono rifiutati perché si pensa che abbiano per forza qualcosa che non va. È una forma di pensiero ricorrente. Per esempio, c'è un caso notissimo...
- Il caso notissimo, dopo, Janov - disse Trevize. - Continua a parlare del trasferimento.
Pelorat ubbidì, accelerando leggermente il ritmo del discorso. - A questo punto, bisognava solo provvedere alla creazione del territorio vero e proprio. Nella parte meno profonda dell'oceano si cominciò ad accumulare del materiale scavato dagli abissi, fino a formare l'isola di Nuova Terra. Vennero poi aggiunti massi e banchi corallini, e vennero seminate piante da superficie in modo che il sistema di radici contribuisse alla stabilità del terreno. L'Impero si era di nuovo imbarcato in un'impresa colossale. Forse all'inizio i piani prevedevano la formazione di continenti, ma una volta allestita questa unica isola la fase di generosità dell'Impero era ormai terminata.
"I Terrestri superstiti furono portati qui. Le flotte imperiali trasferirono su Alpha uomini e attrezzature, e non tornarono mai più. I Terrestri di Nuova Terra si ritrovarono in un isolamento totale."
Trevize disse: - Totale? Monolee ha detto che prima di noi non era mai venuto nessuno?
- Quasi totale. Anche accantonando la ripugnanza di carattere superstizioso verso i sistemi binari, a che scopo venire qui? Occasionalmente, rare volte, arrivava magari una nave, come la nostra, ma una volta partita, chiuso... nessun altro contatto.
Trevize disse: - Hai chiesto a Monolee la posizione della Terra?
- Certo. Non la conosce.
- Ma se sa tante cose di storia terrestre, come fa a non conoscere la posizione della Terra?
- Per la precisione, Golan gli ho chiesto se la stella a un parsec da Alpha non potesse essere il sole attorno a cui ruota la Terra. Monolee non sapeva cosa fosse un parsec, e io gli ho spiegato che è una breve distanza astronomica. Breve o lunga, lui non sapeva dove fosse la Terra, ha detto. E ha detto di non conoscere nessuno che lo sappia, e che secondo lui è sbagliato cercare di trovarla, perché bisogna lasciare che continui a muoversi nello spazio in pace, per sempre.
- Sei d'accordo con lui? - fece Trevize.
Pelorat scosse la testa, mestamente. - Non proprio... Ma Monolee ha detto che dato il continuo aumento della radioattività, il pianeta deve essere diventato completamente inabitabile poco dopo il trasferimento su Alpha, quindi adesso dovrebbe essere tanto radioattivo, da essere inavvicinabile.
- Sciocchezze - sbottò deciso Trevize. - Un pianeta non può diventare radioattivo e, una volta radioattivo, continuare a incrementare il livello di radioattività. La radioattività può solo diminuire.
- Ma Monolee è talmente sicuro... Sono tante le persone incontrate su altri mondi che concordano sulla radioattività della Terra... Mi sembra del tutto inutile proseguire.
Trevize inspirò a fondo, e controllando il proprio tono di voce disse: - Sciocchezze, Janov... Non è vero.
Pelorat replicò: - Be', vecchio mio, non devi credere a qualcosa solo perché vuoi crederci.
- Quello che voglio non c'entra. Su tutti i mondi che visitiamo ci accorgiamo che qualsiasi documento riguardante la Terra è sparito. Perché sarebbero spariti se non ci fosse nulla da nascondere, se la Terra fosse un pianeta radioattivo morto e inavvicinabile?
- Non saprei, Golan.
- Lo sai, invece. Quando stavamo avvicinandoci a Melpomenia hai detto che la radioattività potrebbe essere l'altra faccia della medaglia. Distruggere i documenti per eliminare le informazioni precise; divulgare la storia della radioattività per fornire informazioni imprecise. Due sistemi per scoraggiare qualsiasi tentativo di ricerca della Terra... E noi non dobbiamo lasciarci ingannare e scoraggiarci.
Bliss disse: - Se non sbaglio, tu pensi che quella stella vicina sia il sole della Terra. Che senso ha, allora, continuare a discutere di questa ipotetica radioattività? Perché non raggiungiamo quella stella e controlliamo se c'è davvero la Terra e com'è?
Trevize rispose: - Perché gli abitanti della Terra devono essere straordinariamente potenti, e io preferirei andare là disponendo di qualche dato sul pianeta e sui suoi abitanti. E dal momento che continuo a non sapere nulla, avvicinarsi alla Terra rappresenta un pericolo. Sto pensando di lasciarvi qui su Alpha e di proseguire da solo. Mettere a repentaglio una vita è più che sufficiente.
- No, Golan - disse Pelorat infervorandosi. - Bliss e Fallom possono restare qui, io però devo venire con te. Cerco la Terra da prima che tu nascessi, e non posso fermarmi quando la meta è così vicina, quali che siano i pericoli che mi attendono.
- Bliss e Fallom non aspetteranno qui - intervenne Bliss. - Io sono Gaia, e Gaia può proteggerci perfino dalla Terra.
- Lo spero - osservò cupo Trevize. - Comunque, Gaia non ha potuto impedire l'eliminazione di tutti i ricordi primitivi del ruolo avuto dalla Terra nella sua fondazione.
- È successo agli albori della storia di Gaia, quando Gaia non era ancora ben organizzata, quando non era ancora un organismo perfezionato. Adesso le cose sono diverse.
- Lo spero... Ma non è per caso che tu abbia delle informazioni sulla Terra che noi non abbiamo? Questa mattina ti ho chiesto di parlare con la vecchia che sarebbe venuta a farti compagnia...
- L'ho fatto.
- E cosa hai scoperto?
- Riguardo la Terra, nulla. Vuoto assoluto.
- Ah.
- Ma gli Alphani sono biotecnologi molto progrediti.
- Oh?
- Su questa piccola isola, hanno fatto crescere e sperimentato moltissime varietà di piante e animali, e hanno creato un equilibrio ecologico ideale, stabile e indipendente, malgrado il numero ridotto delle specie che avevano all'inizio. Hanno migliorato le forme di vita oceaniche trovate al loro arrivo alcuni millenni fa, aumentando il loro potere nutritivo e migliorando il gusto. È la loro biotecnologia che ha trasformato questo mondo in un paradiso d'abbondanza. E hanno anche dei progetti per se stessi.
- Cioè?
Bliss spiegò: - Sanno benissimo di non potere progredire oltre certi limiti dal momento che sono confinati sull'unico lembo di terra esistente sul loro mondo, ma sognano di diventare anfibi.
- Di diventare cosa?
- Anfibi. Intendono farsi crescere delle branchie, oltre ai polmoni. Sognano di poter passare sott'acqua lunghi periodi di tempo, di trovare zone poco profonde e di costruire delle strutture sul fondo dell'oceano. La vecchia era raggiante di gioia mentre me ne parlava; però ha ammesso che gli Alphani stanno lavorando a questo progetto da ormai parecchi secoli, e che i progressi sono stati scarsi.
Trevize disse: - Sono due campi in cui potrebbero essere più avanti di noi... il controllo meteorologico e la biotecnologia... Chissà che tecniche usano?
- Dovremmo rivolgerci ai loro specialisti - fece Bliss. - E non è detto che quelli siano disposti a discuterne.
- Il nostro interesse primario qui è un altro - disse Trevize. - Comunque non sarebbe tempo sprecato se la Fondazione cercasse di imparare qualcosa da questo mondo in miniatura.
- Ma su Terminus riusciamo a controllare le condizioni meteorologiche abbastanza bene - osservò Pelorat.
- Il controllo è discreto su molti mondi - annuì Trevize. - Però si tratta sempre di un fenomeno che interessa tutto il pianeta. Gli Alphani invece controllano le condizioni meteorologiche di una piccola parte del loro mondo, e devono adottare tecniche che a noi mancano... Nient'altro, Bliss?
- Degli inviti... A quanto pare, quando non si dedica all'agricoltura e alla pesca, questa gente ama festeggiare. Dopo cena, questa sera, ci sarà lo spettacolo musicale di cui vi ho già parlato. Domani ci sarà una festa sulla spiaggia. Lungo tutta la costa, pare, si riuniranno tutti quelli che non saranno impegnati nei campi e festeggeranno il mare e il sole, dato che nei due giorni successivi pioverà. Poi, la mattina dopo, la flotta da pesca tornerà, prima che cominci a piovere, e verso sera ci sarà una festa alimentare con assaggi del pesce pescato.
Pelorat gemette. - I pasti normalmente sono già più che abbondanti. Chissà come sarà una festa alimentare?
- Sarà imperniata sulla varietà, non sulla quantità, se ho ben capito... Comunque, noi quattro siamo invitati a partecipare ad ogni festa, soprattutto allo spettacolo musicale di questa sera.
- Lo spettacolo con gli strumenti antichi? - fece Trevize.
- Esattamente.
- Tra parentesi, antichi in che senso? Sono computer primitivi?
- No, no. È questo il punto. Non si tratta di musica elettronica, ma di musica meccanica. Mi hanno descritto com'è. Sfregano delle cose, soffiano dentro certi tubi, percuotono delle superfici.
- Stai inventandoti tutto per scherzo, spero? - disse Trevize allibito.
- Niente affatto... E la tua Hiroko suonerà uno di quei tubi, di cui ora non ricordo il nome... quindi dovresti riuscire a sopportare il concerto.
- L'idea mi affascina - disse Pelorat. - Non so quasi nulla della musica primitiva, e mi piacerebbe davvero sentirla.
- Non è la "mia Hiroko" - disse gelido Trevize. - Ma secondo te useranno strumenti di origine terrestre?
- Credo proprio di sì - rispose Bliss. - Almeno, le donne alphane dicono che sono strumenti che esistevano già molto tempo prima che i loro antenati venissero qui.
- In tal caso, può darsi che valga la pena di sentire tutti quegli sfregamenti, quei soffi e quei colpi - riconobbe Trevize. - Forse ci daranno qualche indizio utile riguardo la Terra.
LXXXI
Stranamente, era Fallom la più eccitata alla prospettiva della serata musicale. Lei e Bliss si erano lavate nella latrina esterna dietro il loro alloggio, che comprendeva un bagno con acqua corrente calda e fredda (o meglio, tiepida e fresca), un lavabo e un gabinetto a seggetta. La latrina era pulitissima e, nel sole del tardo pomeriggio, perfino bene illuminata e accogliente.
Come sempre, Fallom era affascinata dal seno di Bliss, e Bliss (ora che Fallom capiva il galattico) non poté fare a meno di spiegarle che sul suo mondo la gente era fatta così. Al che, inevitabilmente, Fallom chiese: - Perché? - e Bliss dopo avere riflettuto un po' dovette ricorrere alla risposta universale dicendo: - Perché sì!
Terminato il bagno, Bliss aiutò Fallom a indossare l'indumento intimo e la gonna fornite dagli Alphani. Le sembrò abbastanza ragionevole lasciare Fallom nuda dalla vita in su. Bliss invece, pur indossando gli indumenti alphani dalla vita in giù (capi un po' stretti sui fianchi), mise la propria camicetta. Era sciocco essere troppo inibita e non voler mostrare i seni in una società dove tutte le donne lo facevano, specialmente considerando che lei non aveva seni grandi e cadenti, ma ben fatti come tutti quelli visti prevalentemente su Alpha... ma, be', Bliss non se la sentiva proprio.
Poi toccò ai due uomini ritirarsi nella latrina. Trevize si lagnò in modo tipicamente maschile del tempo eccessivo trascorso dalle donne in bagno.
Bliss fece girare Fallom per accertarsi che la gonna stesse a posto sulla figuretta acerba di lei. Disse: - È una gonna molto graziosa, Fallom. Ti piace?
Fallom si guardò in uno specchio e rispose: - Sì, mi piace. Ma non avrò freddo con niente addosso? - E si passò le mani sul petto nudo.
- Non credo, Fallom. È un mondo abbastanza caldo, questo.
- Però tu porti qualcosa!
- Certo. Si usa così sul mio mondo... Ascolta, Fallom, durante la cena e dopo staremo con molti Alphani. Credi di riuscire a resistere?
Fallom sembrò turbata, e Bliss continuò: - Io sarò seduta alla tua destra e ti stringerò. Pel siederà a sinistra, e Trevize di fronte a te. Non permetteremo a nessuno di parlarti, e tu non dovrai parlare a nessuno.
- Proverò Bliss.
- E poi, alcuni Alphani suoneranno per noi della musica, in modo speciale. Sai cos'è la musica? - Bliss cominciò a canticchiare imitando come meglio poteva un brano di musica elettronica.
Il viso di Fallom si illuminò. - Vuoi dire... - L'ultima parola era in solariano. Fallom iniziò a cantare.
Bliss spalancò gli occhi. Era una melodia splendida, anche se un po' irruenta e ricca di trilli. - Esatto - annuì. - Musica.
Fallom raccontò eccitata: - Jemby suonava... musica, di continuo. Suonava musica su un... - Di nuovo una parola nella sua lingua.
Bliss ripeté la parola dubbiosa. - Su un fliute?
Fallom rise. - Non fliute... si dice...
Sentendole confrontare direttamente, Bliss capì la differenza tra le due parole, ma capì anche che non sarebbe riuscita a pronunciare la seconda. - Come è fatto? - chiese.
Il vocabolario di galattico ancora limitato di Fallom non era sufficiente per una descrizione accurata, e i suoi gesti non evocarono alcuna forma chiara nella mente di Bliss.
- Jemby mi ha insegnato a usarlo - disse orgogliosa Fallom. - Sai, usavo le dita come faceva Jemby, ma Jemby mi ha detto che presto l'avrei suonato senza.
- È meraviglioso, cara - disse Bliss. - Dopo cena, vedremo se gli Alphani sono bravi come lo era il tuo Jemby.
Gli occhi di Fallom luccicavano, e pregustando l'evento musicale Fallom riuscì a superare l'abbondante banchetto malgrado la folla, il baccano e i cori di risate che echeggiavano attorno a lei. Solo una volta, quando venne rovesciato un piatto accidentalmente e si levarono grida divertite accanto a loro, Fallom parve spaventata e Bliss l'attirò subito a sé in un abbraccio protettivo.
- Forse dovremmo chiedere se è possibile mangiare da soli d'ora in poi - mormorò Bliss a Pelorat. - Altrimenti dovremo andarcene da questo pianeta. È già abbastanza dura mangiare tutte queste proteine animali isolate... e almeno vorrei poterlo fare in pace.
- È solo un eccesso di buon umore - disse Pelorat, che avrebbe sopportato qualunque cosa, a patto che fosse classificabile come comportamento e cultura primitiva.
...Poi la cena terminò, e annunciarono l'inizio imminente dello spettacolo musicale.
LXXXII
La sala in cui si sarebbe svolto era grande quasi quanto la sala da pranzo, e c'erano sedili pieghevoli (piuttosto scomodi, constatò Trevize) per circa centocinquanta persone. In qualità di ospiti, i visitatori vennero guidati in prima fila, e molti Alphani fecero commenti educati e lusinghieri sul loro abbigliamento.
I due uomini erano a torso nudo, e Trevize tendeva i muscoli addominali ogni volta che si ricordava di farlo, e di tanto in tanto ammirava compiaciuto il proprio torace villoso. Pelorat, intento a osservare tutto quel che aveva attorno, se ne infischiava del proprio aspetto. La camicetta di Bliss attirò occhiate furtive di perplessità, ma non suscitò alcun commento.
Trevize notò che la sala era piena solo a metà, e che il pubblico era formato perlopiù di donne, probabilmente perché gran parte degli uomini erano in mare.
Pelorat richiamò la sua attenzione con un colpetto di gomito. - Hanno l'elettricità.
Trevize guardò i tubi verticali sulle pareti, e quelli sul soffitto. Erano debolmente luminosi.
- Fluorescenza - commentò. - Un sistema primitivo.
- Già, però funziona... E nelle nostre stanze e nella latrina ci sono quegli altri oggetti. Credevo che fossero solo decorativi. Se scopriremo come farli funzionare non dovremo più stare al buio.
Bliss disse seccata: - Avrebbero potuto dircelo.
Pelorat replicò: - Pensavano che sapessimo, che fosse una cosa risaputa.
Quattro donne uscirono da dietro un divisorio e si sedettero in gruppo nello spazio all'estremità della sala. Ognuna aveva uno strumento di legno lucido di forma identica, una forma piuttosto strana. Le dimensioni però cambiavano notevolmente. Uno era piccolo, due erano leggermente più grossi, il quarto molto più grande. Ogni donna inoltre reggeva nell'altra mano una lunga bacchetta.
Il pubblico fischiò sommessamente al loro ingresso, e le quattro donne si inchinarono. Ognuna aveva un nastro legato sui seni in modo abbastanza stretto, quasi a impedire che intralciassero l'esecuzione.
Trevize interpretò i fischi come un segno di approvazione, e garbatamente aggiunse il proprio. Al che Fallom si produsse in un trillo ben più lacerante di un fischio, e Bliss dovette zittirla posandole la mano sulla spalla prima che attirasse troppo l'attenzione.
Tre donne infilarono lo strumento sotto il mento, mentre lo strumento più grande restò sul pavimento tra le gambe della quarta donna. La lunga bacchetta nella destra di ogni musicista fu fatta scorrere sulle corde tese che attraversavano ogni strumento per quasi tutta la lunghezza, mentre le dita della sinistra si muovevano rapide e schiacciavano le corde su e giù.
Quello era lo "sfregamento" che si era aspettato, rifletté Trevize, ma non produceva affatto un rumore molesto. C'era una successione di note dolce e melodiosa; ogni strumento forniva il proprio apporto, e il tutto si fondeva in un piacevole amalgama.
Non possedeva l'infinita complessità della musica elettronica (la "vera musica" a giudizio di Trevize) ed era qualcosa di abbastanza ripetitivo. Eppure via via che l'orecchio si abituava a quello strano sistema sonoro, Trevize cominciò a cogliere anche certe sfumature. Era necessario un certo sforzo, però, e Trevize pensò con rimpianto alla precisione matematica e alla purezza timbrica della "vera musica"... comunque, riconobbe che se avesse ascoltato spesso la musica di quei semplici oggetti di legno probabilmente alla fine gli sarebbe piaciuta.
A tre quarti d'ora dall'inizio del concerto entrò in scena anche Hiroko. Notò subito Trevize in prima fila e gli sorrise. Trevize si unì di buon grado al saluto del pubblico. Hiroko era splendida; portava una lunga gonna e un fiore tra i capelli, ed era a seno scoperto dato che evidentemente non avrebbe ostacolato l'uso del suo strumento.
Il suo strumento era un tubo di legno scuro lungo oltre mezzo metro e spesso un paio di centimetri. Hiroko accostò lo strumento alle labbra e soffiò in un'apertura vicino a una estremità, ricavandone una nota esile, dolce che cambiò ripetutamente via via che le sue dita toccavano degli oggetti metallici posti lungo il tubo.
Alla prima nota, Fallom strinse il braccio di Bliss e disse: - Bliss, quello è un... - e a Bliss sembrò che quella parola fosse "fliute".
Bliss scosse la testa, e Fallom sottovoce insisté: - Ma lo è proprio!
Alcuni del pubblico si girarono. Bliss coprì la bocca di Fallom, con la mano e si chinò a mormorarle con una certa severità nell'orecchio: - Taci!
Dopo di che Fallom ascoltò Hiroko in silenzio, ma muovendo spasmodicamente le dita, come se stesse toccando lei stessa gli oggetti lungo lo strumento.
L'ultimo a esibirsi del concerto fu un uomo anziano che aveva appeso alle spalle uno strumento scanalato ai lati. Lo spingeva e lo tirava, mentre una mano guizzava velocissima su una serie di oggetti bianchi e neri premendoli a gruppi.
Trevize trovò quel suono molto fastidioso, barbaro, spiacevolmente simile al latrato dei cani di Aurora... non che il suono fosse una specie di latrato, però le emozioni che suscitava erano le stesse. Bliss sembrava in procinto di coprirsi le orecchie, e Pelorat aveva un'espressione corrucciata. Solo Fallom sembrava divertirsi perché stava battendo piano un piede, e quando se ne accorse Trevize si rese conto stupito che quella musica aveva un ritmo in perfetto sincronismo col battere della bambina.
Finalmente il concerto terminò e in sala scoppiò un uragano di fischi, sovrastati nettamente dai gorgheggi di Fallom.
Il pubblico si divise in tanti gruppetti, e la gente cominciò a chiacchierare, o meglio a schiamazzare come facevano sempre gli Alphani quando si riunivano pubblicamente. I concertisti erano in fondo alla sala e parlavano con le persone che si avvicinavano per congratularsi dell'esibizione.
Fallom sfuggì alla stretta di Bliss e corse da Hiroko.
- Hiroko - strillò ansante. - Lasciami vedere il...
- Il che, cara? - fece Hiroko.
- La cosa con cui hai suonato la musica.
- Ah - rise Hiroko. - Quello è un flauto, piccina.
- Posso vederlo?
Hiroko aprì un astuccio ed estrasse lo strumento. Era separato in tre parti, ma lei lo montò svelta, lo tese verso Fallom accostandole un'estremità alle labbra e le disse: - Ecco, soffia qui il tuo fiato.
- Lo so, lo so - disse Fallom, e fece per prendere il flauto.
Hiroko si ritrasse di scatto. - Soffia, bambina, ma non toccare.
Fallom sembrò delusa. - Posso guardare, almeno? Non lo toccherò.
- Certamente, cara.
Hiroko tornò a mostrare il flauto e Fallom lo fissò.
Poi, l'illuminazione fluorescente della sala si affievolì, e risuonò una nota di flauto, un po' incerta, tremula.
Hiroko, sorpresa, per poco non lasciò cadere lo strumento, e Fallom strillò: - L'ho fatto. L'ho fatto. Jemby aveva detto che un giorno sarei riuscita a farlo.
Hiroko chiese: - Tu sei stata a suonare?
- Sì, io. Io.
- Ma in quale modo hai fatto, bambina?
Rossa per imbarazzo, Bliss disse: - Mi spiace, Hiroko. Ora la porto via.
- No. Voglio che ancora lo faccia - ribatté Hiroko.
Alcuni Alphani si erano raccolti lì attorno a osservare. Fallom corrugò la fronte, quasi stesse compiendo uno sforzo. Le luci si affievolirono più di prima, e si udì un'altra nota di flauto, questa volta limpida e ferma. Poi i suoni si rincorsero in modo bizzarro, mentre gli oggetti metallici lungo il flauto si muovevano da soli.
- È un po' diverso dal... - disse Fallom, ansimando, come se il fiato che aveva prodotto il suono fosse stato il suo, non un movimento guidato dell'aria.
Pelorat disse a Trevize: - Probabilmente prende l'energia dalla corrente elettrica che alimenta le luci a fluorescenza.
- Prova ancora - chiese Hiroko con voce strozzata.
Fallom chiuse gli occhi. Le note adesso erano più lievi, più sicure. Il flauto suonava da solo, senza dita che lo manovrassero, animato dall'energia trasdotta dai lobi ancora immaturi di Fallom. Le note, dopo un inizio quasi a caso, si disposero in una sequenza armoniosa. Tutti si erano raccolti attorno a Hiroko e a Fallom... la prima reggeva delicatamente le estremità dello strumento col pollice e l'indice, mentre la bambina ad occhi chiusi dirigeva la corrente d'aria e il movimento dei tasti.
- È il brano che ho suonato! - mormorò Hiroko.
- Lo ricordo - annuì Fallom, cercando di non perdere la concentrazione.
- Non hai sbagliato una sola nota - disse Hiroko al termine del pezzo.
- Però non è giusto, Hiroko. Non l'hai suonato giusto.
Bliss intervenne: - Fallom! Non è cortese! Non devi...
- Ti prego - disse Hiroko perentoria. - Non interloquire... Perché non è giusto, bambina?
- Perché io lo suonerei diversamente.
- Mostrami, dunque.
Il flauto tornò a suonare, ma in modo assai più complicato perché le forze che premevano i tasti ora agivano più rapidamente e creavano combinazioni più elaborate di prima. La musica era infinitamente più viva, coinvolgente, vibrante. Hiroko sembrava pietrificata, e nella sala regnava un silenzio assoluto.
Il silenzio continuò anche dopo che Fallom ebbe finito di suonare, finché Hiroko respirando a fondo disse: - Piccola, non avevi mai suonato questo prima??
- No - rispose Fallom. - Prima riuscivo a usare solo le dita, e con le dita è impossibile. Nessuno può farlo - soggiunse poi senza avere l'aria di vantarsi.
- Puoi suonare qualcosa altro?
- Posso inventare qualcosa.
- Intendi dire... improvvisare?
A quella parola, Fallom corrugò la fronte e guardò Bliss. Bliss annuì, e la Solariana disse: - Sì.
- Ti prego, fallo, dunque - chiese Hiroko.
Fallom rifletté un paio di minuti, poi iniziò lentamente, con una successione di note molto semplice, sognante. Le luci fluorescenti andavano e venivano a seconda dell'energia necessaria. Ma apparentemente nessuno se ne accorse, perché sembrava che quello fosse l'effetto della musica e non viceversa, come se uno spirito elettrico stesse obbedendo ai dettami delle onde sonore.
La combinazione di note si ripeté con un lieve aumento di volume, poi un po' più complessa, poi in variazioni che senza perdere di vista il motivo di base diventarono sempre più trascinanti, mozzafiato. E infine, dopo la progressiva ascesa, le note scesero vorticosamente, come in una picchiata che riportò a terra gli ascoltatori pur lasciando in loro un senso di euforia e di leggerezza.
Seguì un vero pandemonio di acclamazioni, e perfino Trevize, abituato a un tipo di musica completamente diverso, pensò con rammarico: "Ecco, adesso non sentirò mai più una cosa del genere".
Quando tornò la calma, Hiroko porse il flauto a Fallom. - Prendi, Fallom, questo è tuo!
Fallom si protese in avanti smaniosa, ma Bliss la bloccò. - Non possiamo accettarlo, Hiroko. È uno strumento prezioso.
- Ne posseggo un altro, Bliss. Non altrettanto valido, ma è giusto così. Questo strumento appartiene a colui che meglio lo suona. Non ho mai sentito musica come questa, e sarebbe sbagliato che possedessi io uno strumento che non so usare come si può usare invece. Ah, se sapessi suonarlo senza toccarlo!
Fallom prese il flauto e con un'espressione di gioia intensa lo strinse al petto.
LXXXIII
Le due stanze del loro alloggio erano illuminate da una luce fluorescente ciascuna. Come la latrina. Erano fioche, e volendo leggere non sarebbero state sufficienti, ma perlomeno gli ospiti non erano al buio.
Adesso comunque indugiavano all'aperto. Il cielo era pieno di stelle, un fenomeno che era sempre affascinante per un indigeno di Terminus, dove il cielo notturno era quasi vuoto a parte lo sfocato scorcio della nube galattica.
Hiroko li aveva accompagnati, temendo che si smarrissero o inciampassero. Durante il tragitto aveva tenuto per mano Fallom, e dopo avere acceso le luci dell'alloggio rimase fuori con loro, continuando a stringere Fallom.
Bliss fece un altro tentativo, perché aveva percepito benissimo che Hiroko era in preda a sentimenti contrastanti. - Davvero, Hiroko... non possiamo prendere il tuo flauto...
- No, a Fallom deve rimanere. - Ma malgrado tutto Hiroko era ancora molto scossa.
Trevize stava contemplando il cielo. La notte era particolarmente buia, un'oscurità appena scalfita dalla luce che filtrava dalle loro stanze e dalle scintille quasi invisibili delle altre case in lontananza.
Disse: - Hiroko, vedi quella stella così scintillante? Come si chiama?
Hiroko alzò lo sguardo e, senza dimostrare alcun interesse, rispose: - Quella stella è il Compagno.
- Perché viene chiamata così?
- Attornia il nostro sole ogni ottanta Anni Standard. È una stella della sera in questa parte dell'anno. È visibile anche di giorno, quando è posta sopra l'orizzonte.
Bene, pensò Trevize. Non è del tutto ignorante in astronomia. Disse: - Sai che Alpha ha un altro compagno, molto più piccolo, molto più lontano di quella stella brillante? Non si può vederlo senza un telescopio... - (Nemmeno lui l'aveva visto, non si era preso la briga di cercarlo, ma il computer di bordo conteneva quell'informazione nella memoria.)
Hiroko rispose indifferente: - Ci è stato insegnato a scuola.
- E cosa mi dici di quella stella? Vedi quelle sei stelle che formano una linea a zigzag?
- Quella è Cassiopea.
- Davvero? - sussultò Trevize. - Quale?
- Tutte le stelle. L'intera linea a zigzag. È Cassiopea.
- Perché è chiamata così?
- Non so. Non so nulla di astronomia, stimato Trevize.
- Vedi la stella più bassa della linea a zigzag, quella più brillante delle altre? Che stella è?
- Una stella. Non conosco il nome.
- Ma se si escludono le due stelle compagne, è quella la stella più vicina ad Alpha. È a un solo parsec di distanza.
- Tu lo dici? - fece Hiroko. - Io questo non so.
- Non potrebbe essere la stella attorno a cui ruota la Terra?
Hiroko osservò la stella con un lieve guizzo di interesse. - Non so. Da nessuno ho mai sentito dire questo.
- Non credi che potrebbe esserla?
- Come posso rispondere? Nessuno sa dove sia la Terra. Io... io ora devo lasciarvi. Riprenderò il mio lavoro nei campi domani mattina prima della festa sulla spiaggia. Vi rivedrò là, dopo pranzo. Bene?
- Certo, Hiroko.
Hiroko si allontanò di scatto, mettendosi quasi a correre nell'oscurità. Trevize la seguì con lo sguardo, quindi raggiunse gli altri nell'alloggio.
Chiese: - Secondo te stava mentendo a proposito della Terra, Bliss?
Bliss scosse la testa. - Non credo... È in preda a una enorme tensione, qualcosa che ho riscontrato solo dopo il concerto. C'era già prima che tu le facessi quelle domande sulle stelle.
- Allora è perché si è privata del flauto?
- Forse. Non posso dirlo di preciso. - Bliss si rivolse quindi a Fallom. - Ora, Fallom, andrai nella tua stanza. Quando sarai pronta per coricarti, andrai alla latrina, userai il vasino, poi ti laverai le mani, la faccia e i denti.
- Vorrei suonare il flauto, Bliss.
- Solo un po', e piano. Capito, Fallom? E quando te lo dirò, dovrai smettere.
-Sì, Bliss.
Adesso erano finalmente soli; Bliss sull'unica sedia, e gli uomini seduti sulle rispettive brande.
Bliss disse: - A questo punto, mi pare inutile fermarsi ancora su questo pianeta, no?
Trevize scrollò le spalle. - Non abbiamo ancora discusso dell'origine terrestre di quegli strumenti antichi, e potremmo scoprire qualche indizio interessante. Inoltre, forse ci conviene attendere il ritorno della flotta di pescherecci. Forse gli uomini sanno qualcosa che chi sta qui a casa non sa.
- Poco probabile, secondo me - fece Bliss. - Sicuro che non siano gli occhi scuri di Hiroko a trattenerti?
Trevize sbottò spazientito: - Non capisco, Bliss. Tu che c'entri con le mie azioni? Chi ti dà il diritto di giudicarmi dal punto di vista morale?
- La tua moralità non mi preoccupa. Io penso alla nostra spedizione. Vuoi trovare la Terra per poter decidere finalmente se sia giusta la tua scelta di Galaxia a scapito dei Mondi Isolati. Io voglio che tu raggiunga una conclusione. Dici di dover visitare la Terra per prendere la tua decisione, sei convinto che la Terra ruoti attorno a quella stella luminosa che si vede in cielo. Andiamo là, allora! D'accordo, sarebbe utile disporre di qualche informazione prima di andare, ma mi sembra evidente che qui non otterremo nessuna informazione... Non voglio rimanere solo perché ti piace Hiroko.
- Forse partiremo - disse Trevize. - Lasciami riflettere... e ti assicuro che Hiroko non influenzerà la mia decisione.
Pelorat intervenne: - Secondo me dovremmo dirigerci sulla Terra, se non altro per scoprire se è radioattiva o no. Mi pare superfluo aspettare oltre.
- Sicuro che non siano gli occhi scuri di Bliss a stimolarti? - fece Trevize con una punta d'astio. E un istante dopo: - No, ritiro quel che ho detto, Janov. Stavo solo reagendo in modo infantile... Eppure... questo è un mondo incantevole, a parte Hiroko, e ammetto che in altre circostanze sarei tentato di restare qui a tempo indeterminato... Bliss, non credi che Alpha demolisca la tua teoria sugli Isolati?
- In che senso? - chiese Bliss.
- Hai sostenuto che ogni mondo realmente isolato diventa pericoloso e ostile.
- Perfino Comporellen - confermò impassibile Bliss - che è abbastanza al di fuori della rete principale di attività galattica, nonostante in teoria sia una Potenza Alleata della Federazione della Fondazione.
- Ma non Gaia. Questo mondo è completamente isolato, ma non puoi certo lamentarti della loro amicizia e della loro ospitalità! Ci nutrono, ci vestono, ci danno un tetto, organizzano spettacoli in nostro onore, ci invitano a prolungare il nostro soggiorno. Che difetto hanno?
- Nessuno, a quanto pare... Hiroko ti offre addirittura il suo corpo.
Trevize scattò rabbioso: - Bliss, perché questo fatto ti disturba tanto? Hiroko non mi ha offerto il suo corpo. È stato uno scambio reciproco, del tutto appagante. E mi sembra che tu stessa non esiti a offrire il tuo corpo quando vuoi.
- Per favore, Bliss - intervenne Pelorat. - Golan ha ragione. Non c'è motivo di criticare i suoi piaceri privati.
- A patto che non abbiano ripercussioni su di noi - disse ostinata Bliss.
- Non hanno nessuna ripercussione - disse Trevize. - Partiremo, te lo assicuro. La sosta per cercare qualche informazione non sarà lunga.
- Comunque, io non mi fido degli Isolati... nemmeno quando offrono doni.
Trevize alzò le braccia al cielo. - Raggiungere una conclusione, e alterare le prove perché si adattino a questa conclusione... Tipico di...
- Non dirlo - l'interruppe minacciosa Bliss. - Non sono una donna. Sono Gaia. Non sono io a essere inquieta... È Gaia!
- Ma è assurdo essere... - E in quel mentre si sentì un raspio alla porta.
Trevize raggelò. - Cos'è? - disse sottovoce.
Bliss si strinse nelle spalle. - Apri la porta e guarda. Sei tu a dire che è un mondo amico privo di pericoli, no?
Ma Trevize esitò, finché una voce sommessa all'esterno chiamò: - Per favore. Sono io!
Era la voce di Hiroko. Trevize spalancò la tenda.
Hiroko si affrettò a entrare. Aveva le gote bagnate.
- Chiudi - ansimò.
- Che c'è? - domandò Bliss.
Hiroko si aggrappò a Trevize. - Non ho potuto stare lontana. Ho provato, ma era insopportabile. Andate, tutti voi. Portate la bambina con voi, presto. Allontanate la nave... lontano da Alpha... finché è ancora buio.
- Ma perché? - fece Trevize.
- Perché altrimenti morrete, tutti voi.
LXXXIV
Per alcuni attimi, i tre fissarono pietrificati Hiroko, poi Trevize disse: - Vorresti dire che la tua gente ci ucciderà?
Mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance, Hiroko rispose: - Tu già sei avviato sulla strada che conduce alla morte, stimato Trevize... E con te gli altri... Tempo addietro, i dotti crearono un virus, per noi innocuo, ma letale per gli Esterni. Noi siamo immuni. - Gli scuoté il braccio disperata. - Tu sei infetto!
- Com'è successo?
- Quando abbiamo soddisfatto il piacere... È un modo di contagio.
Trevize protestò: - Ma io sto benissimo.
- Il virus è ancora inattivo. Verrà reso attivo al ritorno della flotta da pesca. Secondo le nostre leggi, tutti devono decidere in questo... perfino gli uomini. Tutti sicuramente decideranno che bisogna farlo, e vi tratterremo qui fino a quel momento, due mattine da ora. Partite senza indugio, mentre è ancora buio e nessuno sospetta!
Bliss chiese brusca: - Perché la tua gente lo fa?
- Per la nostra salvezza. Pochi siamo, e abbiamo molto. Non vogliamo l'intrusione di Esterni. Se uno arriva e poi diffonde la notizia, altri ne verranno. Così quando di tanto in tanto una nave arriva noi dobbiamo provvedere a che non riparta.
- Ma allora come mai ci metti in guardia? - domandò Trevize.
- Non chiedere la ragione... No, la dirò, poiché lo sento ancora. Ascoltate...
Dalla stanza attigua giungevano le note sommesse e dolcissime del flauto suonato da Fallom.
Hiroko disse: - Non sopporto la distruzione di quella musica, perché anche la bambina morrebbe.
Trevize disse arcigno: - È per questo che hai dato il flauto a Fallom? Perché sapevi che lo avresti riavuto quando lei fosse morta?
Hiroko inorridì. - No, questo non avevo in mente... Partite con la bambina, e portate il flauto, e che io più non lo veda. Sarete salvi nello spazio, e lasciato inattivo il virus che adesso tu hai in corpo morirà dopo poco. In cambio, io vi chiedo di non parlare mai di questo mondo, così che nessuno mai sappia che esiste.
- Non ne parleremo - disse Trevize.
Hiroko alzò lo sguardo. Sottovoce chiese: - Posso baciarti un'ultima volta prima che tu vada?
Trevize rispose: - No. Sono già stato contagiato una volta, e mi pare più che sufficiente. - Poi, in tono meno rude, aggiunse: - Non piangere. Altrimenti ti chiederanno perché piangi e tu non saprai cosa rispondere... Ti perdono, malgrado quello che mi hai fatto, per questo gesto che compi adesso per salvarci.
Hiroko si drizzò, si asciugò il viso, respirò a fondo e disse: - Ti ringrazio. - E uscì in fretta.
Trevize disse: - Spegneremo la luce, aspetteremo un po', poi ce ne andremo... Bliss, di' a Fallom di smettere di suonare. Ricordati di portare il flauto, naturalmente... Usciremo e raggiungeremo la nave sempre che riusciamo a trovarla al buio.
- La troverò - disse Bliss. - A bordo ci sono dei miei indumenti e, anche se con intensità minore, anche quelli fanno parte di Gaia. Per Gaia sarà facilissimo trovare Ga- ia. - E andò nell'altra stanza a prendere Fallom.
Pelorat chiese: - Credi che siano riusciti a danneggiare la nave per bloccarci sul pianeta?
- Non possiedono la tecnologia necessaria - fece Trevize accigliato. Quando Bliss rientrò tenendo per mano la piccola solariana, Trevize spense la luce.
Rimasero seduti in silenzio nell'oscurità per un periodo di tempo in apparenza interminabile. Poi Trevize aprì la porta lentamente. Il cielo sembrava un po' più nuvoloso, ma c'erano ancora le stelle. Adesso Cassiopea era alta nel cielo, e all'estremità inferiore brillava la stella che avrebbe potuto essere il sole della Terra.
Trevize uscì, guardingo, facendo segno agli altri di seguirlo, abbassando automaticamente la mano sul calcio della frusta neuronica. Era sicuro che non avrebbe dovuto usarla, ma...
Bliss passò alla testa del gruppo, tenendo per mano Pelorat, che a sua volta teneva per mano Trevize. L'apra mano di Bliss era intrecciata a quella di Fallom, che aveva con sé il flauto. Tastando adagio il terreno coi piedi nell'oscurità pressoché assoluta, Bliss condusse gli altri verso il punto da cui le giungevano debolissime le vibrazioni gaiane dei suoi abiti a bordo della Far Star.