Il piroscafo.
Il risveglio naturale mi sopravvenne, però, assai presto. Faceva ancora buio fondo, e alla luce di un fiammifero potei leggere sulla sveglia (tolta a prestito da Silvestro in paese) che mancavano più di trenta minuti all'ora della nostra alzata. Tuttavia, non avevo più nessuna voglia di dormire; e badando a non disturbare il sonno di Silvestro (il quale seguitava a russare, sebbene con più discrezione) scivolai fuori della grotta.
Tenevo la coperta sulle spalle alla moda siciliana, per uso di mantello; ma in verità non faceva freddo, neanche adesso che il vento sciroccale era caduto. Si capiva, dal riflesso lustro dei sassi, che doveva aver piovuto durante la notte. Qua e là, per il cielo stracciato, erano visibili le piccole stelle dicembrine, e un'ultima falce - di luna spargeva un pallidissimo barlume di crepuscolo. Il mare, steso dalla pioggia senza vento, oscillava appena assonnato e monotono. E io, avanzando lungo il mare in quel grande mantello, mi sentivo già una specie di masnadiero, senza casa, né patria, con un teschio ricamato sulla divisa!
Dalla campagna, già si udivano cantare i galletti. E d'un tratto, un rimpianto sconsolato mi si appesantì sul cuore, al pensiero del mattino che si sarebbe levato sull'isola, uguale agli altri giorni: le botteghe che si aprivano, le capre che uscivano dai capanni, la matrigna e Carminiello che scendevano nella cucina... Se, almeno, fosse durato sempre il presente inverno, malaticcio e smorto, sull'isola! Ma no, anche l'estate, invece, sarebbe tornata immancabilmente, uguale al solito. Non la si può uccidere, essa è un drago invulnerabile che sempre rinasce, con la sua fanciullezza meravigliosa. Ed era un'orrida gelosia che mi amareggiava, questa: di pensare all'isola di nuovo infuocata dall'estate, senza di me! La rena sarà di nuovo calda, i colori si riaccenderanno nelle grotte, i migratori, di ritorno dall'Africa, ripasseranno il cielo... E in simile festa adorata, nessuno: neppure un qualsiasi passero, o una minima formica, o un infimo pesciolino del mare, si lagnerà di questa ingiustizia: che l'estate sia tornata sull'isola, senza Arturo! In tutta l'immensa natura, qua intorno, non resterà neppure un pensiero per A. G. Come se, per di qua, un Arturo Gerace non ci fosse passato mai!
Mi stesi, nella mia coperta, su quei sassi bagnati e lividi, e chiusi gli occhi, fingendo per un poco d'esser tornato indietro, a qualche bella, passata stagione; e di trovarmi disteso sulla rena della mia spiaggetta; e che quel vicino fruscio fosse il mare sereno e fresco di là a basso, pronto a ricevere la Torpediniera delle Antille. Il fuoco di quella infinita stagione puerile mi montò al sangue, con una passione terribile che quasi mi faceva mancare. E l'unico amore mio di quegli anni tornò a salutarmi. Gli dissi ad alta voce, come se davvero lui fosse lì accosto: - Addio, pà.
Subitaneo, il ricordo della sua persona mi accorse alla mente: non come una figura precisa, ma come una specie di nube che avanzava carica d'oro, azzurro torbido; o come un sapore amaro; o un vocio quasi di folla, ma invece erano gli echi numerosi dei suoi richiami e parole, che ritornavano da ogni punto della mia vita. E certi tratti propri di lui, ma quasi trascurabili: una sua alzata di spalle; un suo ridere distratto; oppure la forma grande e negletta delle sue unghie; le giunture delle sue dita; o un suo ginocchio graffiato dagli scogli... ritornavano isolati, a farmi battere il cuore, quasi unici simboli perfetti di una grazia molteplice, misteriosa, senza fine... E di un dolore che mi si faceva più acerbo per questo motivo: perché sentivo che esso era una cosa fanciullesca; pari a un incontro di correnti turbinose, esso si precipitava tutto quanto in questo presente, breve passaggio d'addio! E dopo, lo avrei dimenticato, naturalmente, tradito. Di qui sarei passato a un'altra età, e avrei riguardato a lui come a una favola.
Ormai, gli perdonavo ogni cosa. Anche la sua partenza con un altro. E perfino quel suo severo discorso finale, nel quale, alla presenza di Stella, m'aveva chiamato, oltre al resto, "rubacuori e Don Giovanni"; e che lì per lì mi aveva offeso non poco.
(In seguito, ripensandoci a distanza, mi son domandato se, in fondo, quel suo discorso non fosse poi giusto, almeno in parte... Forse, davvero io, mentre mi credevo innamorato di questa o quella persona, o di due o anche tre persone insieme, in realtà non ne amavo nessuna. Il fatto è che, in generale, io ero troppo innamorato dell'innamoramento: questa è sempre stata la vera passione mia!
Può darsi, in coscienza, ch'io non abbia mai amato sul serio W. G. E in quanto a N., chi era, poi, questa famosissima donna? una povera napoletanella senza niente di speciale, come a Napoli ce ne sono tante!
Sì, ho il fondato sospetto che quel discorso non fosse del tutto sbagliato. Il sospetto, non proprio la certezza... Così dunque la vita è rimasta un mistero. E io stesso, per me, sono ancora il primo mistero!
Da questa infinita distanza, adesso, ripenso a W. G. Me lo immagino, forse, più che mai invecchiato, imbruttito dalle rughe, coi capelli grigi. Che va e torna, solo, scombinato, adorando chi gli dice parodia. Non amato da nessuno - giacché perfino N., che pure non era bella, amava un altro... E vorrei fargli sapere: non importa, anche se sei vecchio. Per me, tu resterai sempre il più bello.
…Di lei, a suo tempo, ebbi qualche notizia, a Napoli, attraverso viaggiatori venuti da Procida. Stava bene, di salute, per quanto dimagrata molto. E seguitava la solita sua vita nella Casa dei guaglioni, con Carmine che si faceva ogni giorno più simpatico. Essa, però, non usava più chiamarlo Carmine, lo chiamava a preferenza col suo secondo nome di Arturo. E per me, io sono contento che sull'isola vi sia un altro Arturo Gerace, biondino, che a quest'ora, forse, corre libero e beato per le spiagge...)
Dalla grotta, che avevo lasciata socchiusa, mi giunse il trillo della sveglia. Accorsi, nel timore che esso non bastasse a scuotere il sonno del mio balio; ma trovai, invece, costui già seduto frammezzo alle coperte, che si stropicciava gli occhi intontito e borbottava degli accidenti contro quel trillo importuno. Immediatamente, facendomi accosto a lui, io gli annunciai, con impazienza trionfale:
- Ehi! Lo sai che russi?
- Che? - egli fece senza ben capire, ancora tutto insonnolito. Io allora gli gridai nell'orecchio, con una voce tonante, e una voglia di ridere che mi scoppiava fra le parole:
Lo - SAI CHE - QUANDO - DORMI - RUSSI?
- Eh! mi fai il solletico col flato! - egli protestò, sfregandosi l'orecchia. - Russo... ah... e che c'è? si capisce, - seguitò poi, principiando appena a ridestarsi, - che, non dovrei russare? Ogni cristiano, quando dorme, russa.
- Già!!! - esclamai io, rotolandomi addirittura in terra dalle risate, - però, c’è maniera e maniera! Tu batti il campionato mondiale! Sembri un'orchestra radio al massimo!
- Ah, sì? ci ho piacere assai! - egli ribatté, ormai del tutto sveglio e piuttosto impermalito, - ma perché, forse, tu, guagliò, ti crederesti per caso di russare piano?! Che stanotte io, a una cert'ora, ho dovuto uscire sulla spiaggia per fare un goccio d'acqua, e là, a una distanza di dieci metri, si sentiva ancora un russare, dalla grotta, come se passasse una squadriglia d'apparecchi a bassa quota!
Simile notizia mi rese felice. Difatti, se russavo a questa maniera, era chiaro segno che potevo ormai considerarmi cresciuto, maturo e realmente virile, sotto tutti i riguardi.
Ci caricammo dei bagagli, coperte, ecc. e ci avviammo verso il paese, per la riviera che incominciava a sbianchirsi nell'alba. Lungo la linea di levante, un colore rosso, sotto strisce di nubi cupe, annunciava una giornata di tempo volubile. Come giungemmo alla piazza, Silvestro si diresse verso la Capitaneria, già aperta, per consegnare a un tale suo conoscente i vari oggetti avuti ieri in prestito, da restituirsi ai diversi proprietari. Egli s'incaricò pure di acquistare i biglietti per la nostra traversata, mentre io lo precedevo verso il molo.
I primi raggi del sole, interrotti e corruschi, si allungavano sul mare quasi liscio. Io pensai che fra poco avrei veduto Napoli, il continente, le città, chissà quali moltitudini! E mi prese una smania improvvisa di partire, via da quella piazza, e da quella banchina.
- Il piroscafo era già là, in attesa. E al guardarlo, io sentii tutta la stranezza della mia tramontata infanzia. Aver veduto tante volte quel battello attraccare e salpare, e mai essermi imbarcato per il viaggio! Come se quella, per me, non fosse stata una povera navicella di linea, una specie di tranvai; ma una larva scostante e inaccessibile, destinata a chi sa quali ghiacciai deserti!
Silvestro ritornava coi biglietti; e i marinai andavano disponendo la scaletta per l'imbarco. Mentre il mio balio conversava con loro, io, senza farmi vedere, trassi di tasca quel cerchietto d'oro che N. mi aveva inviato la sera prima. E di nascosto lo baciai.
A riguardarlo, d'un tratto una debolezza inebriante mi oscuro la vista. In quel momento, l'invio dell'orecchino mi si tradusse in tutti i suoi significati: d'addio, di confidenza; e di civetteria amara e meravigliosa! Così, adesso avevo saputo che era anche civetta, la mia cara innamoratella! Senza conoscersi, certo, ma lo era. Difatti, quale altro saluto di donna potrebbe mai esprimere una civetteria più bella di questa sua, nella sua ignoranza? Mandarmi in ricordo non il segno d'una mia carezza, o d'un bacio; ma di un maltrattamento infame. Come a dirmi: anche i tuoi maltrattamenti, sono cose d'amore, per me.
Provai la tentazione furiosa di tornare indietro, correndo, fino alla Casa dei guaglioni. E di coricarmi accanto a lei: di dirle:
"Fammi dormire un poco assieme a te. Partirò domani. Non dico che dobbiamo fare l'amore, se tu non vuoi. Ma almeno lascia ch'io ti baci qua all'orecchio, dove ti ho ferito".
Già, però, il marinaio, ai piedi della scaletta, stracciava i nostri biglietti per il controllo; già Silvestro saliva, assieme a me, la scaletta. La sirena dava il fischio della partenza.
Come fui sul sedile accanto a Silvestro, nascosi il volto sul braccio, contro lo schienale. E dissi a Silvestro: - Senti. Non mi va di vedere Procida mentre s'allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia... Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch'io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento.
E rimasi col viso sul braccio, quasi in un malore senza nessun pensiero, finché Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse:
- Arturo, su, puoi svegliarti.
Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L'isola non si vedeva più.