La scena finale.
In risposta, io, fuori di me dal furore, già ero sull'atto di scagliarmi contro di lui; ma in quel momento stesso, un noto passo affrettato risuonava nel corridoio; e fui afferrato a un braccio da mio padre, sopraggiunto dalla soglia alle mie spalle.
Egli aveva giusto sorpreso le ultime parole di Stella, e, come un'eco, mi ripeté: - A chi sputi in faccia? - dandomi uno sguardo penetrante, intinto di minaccia e d'apprensione, e facendosi assai pallido in viso. Questo suo pallore angosciato mi disarmò. Ma fu con brusca violenza, tuttavia, che mi svincolai dalla sua stretta, rifiutandomi di dargli spiegazione. Poi, mi scostai cupo da Stella, che a sua volta, desistendo dalla zuffa, s'era riseduto sul divano, in posa indifferente e sarcastica. E mi fermai nell'angolo del camino, a qualche passo da loro due.
Egli recava da sopra, in un mucchio sul braccio, lenzuola, coperte, un guanciale. Come un servitore, pensai. Notai, nel tempo stesso, con una sorpresa amareggiata, che s'era messo degli abiti nuovi, da me non mai veduti prima d'oggi: pantaloni di velluto rigato, e una giacca di maglia grigia, e al collo un fazzoletto di seta turchina! S'era sbarbato con cura, e perfino pettinato, lisciandosi i capelli all'indietro. Cosi pulito, elegante, mi appariva bello come un grande principe romanzesco; pure, mentre lo miravo incantato, mi sorpresi a cercare in lui, assurdamente, con disperazione, quell'aspetto comico o grottesco che gli meritava da Stella l'epiteto di parodia.
Addirittura bramavo di riconoscere davvero in lui qualcosa di ridicolo; ma, purtroppo, non vedevo che grazia nella sua persona.
La sua magrezza snervata, che risaltava singolarmente in quella sua tenuta di lusso, lo faceva sembrare più debole e più giovane: e la salute fanciullesca di Stella, offendeva, come una sfrontatezza o una trivialità, vicino a lui.
Egli girò ancora uno sguardo, ombrato d'allarme, fra Stella e me. Ma non fece altre domande. Poi subito distraendosi, di proposito, dalla nostra zuffa misteriosa, come niente fosse stato, si appressò al divano e lasciando cadere lenzuola e coperte a lato di Stella gli annunciò, con franca animazione:
- Dunque, è tutto fatto. Ho preparato anche la valigia! -Quindi verso di me, con una voce diversa, intonata a una superbia autoritaria:
- A proposito, Arturo. T'ho cercato per dirtelo, ma tu non eri in camera. Parto domattina, col primo vapore!
Domattina! Fino a quest'ultima parola, io m'ero rifiutato di comprendere l'imminenza di questa realtà, che travolgeva il domani, e tutti gli altri miei giorni futuri, nella sua rovina tempestosa. Fissai mio padre con occhi sperduti, dopo di che egli m'avvisò ancora, aggrottando la fronte:
- E’ bene salutarci adesso, perché domattina io non ne avrò il tempo... - La mia voce proruppe, soffocata dalla rivolta:
- Parti... assieme a lui!
- Ciò non ti riguarda, - rispose mio padre.
- Non puoi farlo! no! non puoi farlo!
Mio padre mi dette un'occhiata di sbieco, sovrastandomi col suo splendore corrusco:
- Io, - mi rispose, - parto con chi mi pare. Con buona sopportazione de Usted.
Sentivo ch'egli adesso si pavesava della sua peggior superbia contro di me anche per brillare meglio agli occhi di Stella: forse anche per vendicarsi su di me, con la sua padronanza, dell'infima servitù in cui Stella lo teneva! Stella medesimo sembrava capire questa cosa: e lo guardava di sottecchi, ironico, senza nessun apprezzamento. Ma egli non s'avvedeva di quell'ironia, tanto era feroce, nel suo fuoco teatrale.
- Dunque, Arturo, siamo d'accordo? - terminò, rigirandosi a mezzo dalla mia parte, con un piglio reciso e definitivo, che voleva essere un invito ad accomiatarmi. Io stavo per rispondergli: “Certo! ti saluto! ", e voltargli le spalle. Ma un istinto, più fiero d'ogni volontà (simile a quello detto di conservazione) mi gridava come un tuono negli orecchi che, dopo, fra lui e me, era finita, e che là, appena fuori dello stanzone, mi aspettava una notte senza fondo! Feci un passo, e (sfiorato appena Stella con uno sguardo di spregio, quasi la sua presenza, per me, fosse cosa da ignorarsi), mi misi di fronte a lui:
- Io tengo sedici anni! - esclamai, - tu hai promesso che, quando mi facevo uomo, avresti viaggiato assieme a me. E adesso, è venuta quell'epoca! Io tengo l'età, sono uomo!
- Ah. Me ne rallegro, - disse mio padre. Indi, spostandosi verso l'estremità del camino, e là appoggiandosi, una mano in tasca, con accento di calma sforzata, mi invitò:
- Vieni qua, Arturo, qua davanti a me, per favore -. Certo, egli temeva che di nuovo io gli offendessi Stella. Sdegnoso, io gli ubbidii. Ed egli allora, fissandomi, disse:
- Vogliamo separarci con le buone maniere, Arturo?
Io corrugai la fronte, senza rispondergli. - Beh, in tal caso, -egli proseguì, dominando a malapena la sua burrascosa impazienza, - ti prego di rimandare l'argomento ad altra occasione, e di ritirarti di sopra, se non ti spiace. Siamo d'accordo, quanto alla promessa che dici: s'intende, ogni promessa è sacra, fra gentiluomini... Ma non mi sembra questa l'ora migliore per discorrerne: di mezzanotte, mentre sto per partire... Ne riparleremo con più calma, al mio ritorno.
Io feci un riso di cinismo disperato. Egli si rabbuiò.
- Cosi, frattanto, - aggiunse, con voce più alterata e fosca, -avrai tempo di crescere un altro poco, si spera. Per esempio, ti avvezzerai a non fare tanto il guappo come stasera, qui: giacché altrimenti, a questo modo, fai vedere a tutti che, pure se tieni l'età, sei un guaglioncello, anzi un pupo... Buona notte!
Io sentii che mi facevo di fuoco, poi pallido come i morti: -Sì, - gli risposi, - me ne vado. Però, le tue promesse, te le puoi tenere! Io non le voglio...
Confusamente avvertii che la mia voce prendeva a gridare. Ormai, s'era fatta una vera voce da maschio, non più stonata come qualche mese prima; e mi si rinnovava, all'udirla, la strana sensazione che uno straniero sconosciuto, un barbaro, parlasse dalla mia bocca. Non pensavo a quel che dicevo; e non vedevo più altro fuori della persona di W. G. che mi guardava con una specie di curiosità nei nuvolosi occhi turchini. Le mie pupille, avide di amarezza, andarono al suo polso sinistro, spoglio dell'orologio:
- Tu non tieni nessuna fede! - seguitai a gridare, - né alle promesse, e neanche ai giuramenti! tu hai tradito pure l'amicizia! Ormai ti conosco! che sei un traditore!
Mi pareva di trovarmi sperso allo sbaraglio in una reale bufera, senza più altro sostegno sotto i piedi che un orribile rollio. Vidi la persona di W. G. staccarsi lentamente dal lato del camino, con la sua andatura un po' stracca, ma deliberata, facendomisi contro; e m'aspettai che volesse picchiarmi. Sarebbe stata la prima volta nella nostra vita che mi picchiava; e, pure in quel baleno, feci in tempo a pensare che in ogni caso certo non avrei reagito. Lui era mio padre, e i padri hanno sui figli il diritto di picchiarli. Benché io fossi ormai cresciuto, era sempre lui che m'aveva fatto nascere.
Invece, non si può dire propriamente che mi picchiò. Si contentò di agguantarmi alle braccia, presso l'attaccatura delle spalle, dicendo: - Ehi! moro! - Poi mi rilasciò fieramente, con una scossa, torvo in viso, ma facendo, nel tempo stesso, una risatella quasi di divertimento. E soggiunse: - Ah, cosi tu ora mi conosci, eh! hai detto!
- Beh, e se tu mi conosci da ora, - riprese, facendo due o tre passi innanzi a me, - io, invece, ti conosco già da un pezzo, moretto mio!
- No, tu non mi conosci per niente, - mormorai, - nessuno mi conosce, a me!
- Oh, davvero, mio grande sconosciuto! E invece, io ti conosco proprio bene assai, ti conosco sulla palma della mia mano! E anzi adesso qua, davanti a testimoni, voglio dirti quel che sei!
- E dillo. Chi se ne importa!
Egli si fermò, a un passo da me, in una posa guerresca e spietata. E in tale momento, sul suo volto incominciarono a passare: la magnificenza, e la festa, e la complicità, e i verdetti supremi, e la doppiezza e la fatuità e la strage! insomma, tutte quelle già conosciute arie ch'egli prendeva allorquando non si capiva se preparasse (forse) una qualche sanzione augusta e micidiale, o non piuttosto (forse) tramasse una malizia d'inferno.
Bene, proferì, - dunque io qua attesto, e tutto il mondo ha da sapere, che tu, Arturo, sei GELOSO! Anzi, con più precisione diremo che la Vostra Signoria si merita il titolo di Geloso Universale. Ella infatti, oh grande Hidalgo, oh Don Giovanni, oh re di cuori, di colpo s'incapriccia di tutti quanti. E va lanciando a tutti quanti i Suoi strali come Amore figlio di Venere, e se non ci coglie, poi, s'ingelosisce... Secondo la Sua pretesa, il mondo intero dovrebbe fare l'innamorato di Arturo Gerace. Ma per la parte Sua, poi, la Vostra Signoria non ama nessuno, dato che siete un capriccioso e un vanitoso e un egoista e un furfante, preso unicamente dalle vostre bellezze. E adesso vattene a dormire. Fila!
- Me ne vado, sì... - io dissi con voce bassa. Poi con voce sempre più alta, cupa, disperata, ripetei: - Sì, me ne vado! E me ne voglio scordare, di te! per sempre! ascolta! questa è l'ultima parola mia!
- Benissimo, - egli disse, - siamo d'accordo. E’ l'ultima parola!
Io impetuosamente mi voltai verso l'uscio; ma in quel movimento mi capitò sotto lo sguardo Stella, mezzo buttato sul divano grande contro la parete. Per tutto il tempo, senza metterci parola, egli di là aveva assistito comodamente alla nostra baruffa, come fosse a teatro; e durante l'ultimo discorso di mio padre aveva lasciato udire qualche risata sommessa. Lo colsi, infatti, con la bocca ancora atteggiata a ridere; e ciò, in quel momento, mi fece perdere l'ultimo barlume di ragione. Tornai indietro di un passo, e fuori di me, senza nemmeno sapere quel che facevo, afferrai a caso una posata ch'era là sul tavolino della cena, e la scagliai contro di lui.
Mio padre rimase per qualche secondo immobile, tenuto dalla collera e dallo stupore, mentre che Stella, schivato abilmente il colpo, deponeva con calma la posata (non mi pare che fosse un coltello, piuttosto una forchetta ma non saprei dire precisamente), su una sedia lì vicino.
Io intanto m'ero piantato là a metà strada fra il camino e l'uscio, e aspettavo, risoluto. Non potevo, infatti, dopo una simile sfida, andarmene via senz'altro, col rischio di far supporre, magari, che scappavo per paura di Stella. Ma costui, senza neppure levarsi dal divano, mi sorrise con molta serietà, e mi disse in tono conciliante:
- Beh, perché te la pigli con me, adesso? Scusa, ma non era mica di te, che ridevo.
Poi, volgendosi verso mio padre, con un'aria di pazienza graziosa e superiore:
- E’ dal primo momento, - gli disse, - subito, appena ha messo il piede in questa stanza, che lui va cercando, in tutti i modi, di litigare con me.
- Esci di qua! vattene, e non farti rivedere! m'hai capito? -mi ripeté mio padre, che fremeva, oramai, di una vera collera terribile.
Allora il mio sguardo indurito percorse, all'intorno, lo stanzone, che parve ruotare alla mia vista come una scena girevole sul punto di sparire per sempre; e a precipizio me ne andai. Quando fui nella mia camera, non mi curai neppure d'accendere la luce. Mi buttai sul letto, con la faccia contro il guanciale, e rimasi parecchi minuti cosi, aspettando un'apocalisse, o un terremoto, o una qualsiasi rovina cosmica, che risolvesse questa notte odiosa. Da una parte, non avrei mai voluto che arrivasse il mattino; ma dall'altra, misuravo con paura le ore interminabili della notte, giacché ero certo che non avrei potuto dormire.