Nello stanzone.
Il lampadario del soffitto, polveroso e fioco, illuminava a malapena quell'angolo dello stanzone. Ma pure in quel misero splendore, immediatamente fu manifesta ai miei occhi, là, come un quadro di preciso risalto, l'accoglienza ospitale, signorile, esultante, che mio padre, in una improvvisazione inesperta, aveva apparecchiato a colui: una specie di ingenuo, disordinato festino! Sulla tavola, trasportata presso il divano, c'erano i piatti coi resti della mia cena, olive, sfogliate dolci, datteri, sigarette, vino, anche una bottiglia, già vuota, di spumante, e un'altra di liquore. A terra, scovato chi sa dove nella casa, perfino un tappeto; e sul divano un guanciale, e la coperta di lana di mio padre... Tutto ciò, ai miei occhi di selvaggio ferito, assunse l'importanza d'uno sfarzo regale!
Anche le fattezze di lui, stavolta (diversamente da quel giorno sul molo), mi si mostrarono immediatamente con una precisione straordinaria peggio che se un faro le avesse illuminate! Subito, al primo rivederlo, mi accorsi di quanto m'ero sbagliato, sul molo, giudicandolo brutto! e la consapevolezza istantanea che, invece, era bello, mi attraversò come una lama. Forse, non avrei esecrato fino a quel punto la sua bellezza, s'egli fosse stato biondo; ma era moro, invece, quanto e più di me; e ciò produceva nei miei sentimenti, non so perché, l'urto di un dramma insopportabile.
La mia conversazione con lui m'è rimasta nel ricordo involta in una scena fumosa, incendiata dal mio odio. M'ispirava odio la sagoma del suo corpo, alto, bene sviluppato, e nel quale la muscolatura, che non pareva aver sofferto della prigionia, risaltava ai movimenti. E le sue spalle. E il collo robusto, che portava fieramente il capo (modellato con una grazia intrepida, nella sua pallidezza di prigioniero). E i bei capelli mori, tagliati con cura e fanciulleschi, dall'attaccatura piuttosto bassa sulla fronte, come nelle sculture... Non c'era nemmeno un tratto, un gesto, in lui, che potesse indurmi al perdono.
I suoi occhi, in ombra sotto le orbite incavate, dagli incolti sopraccigli, avevano una maniera sdegnosa, tracotante e sorniona di non guardare l'interlocutore direttamente, ma di sbieco. La sua bocca, dura e bella, nel sorriso non dischiudeva i labbri, limitandosi a sollevarli un poco da una parte, in una specie di brutalità allusiva; come se un vero, gentile sorriso disdicesse con la sua virilità. E sul mento aveva, appena accennata, una fossetta, che aggiungeva ancora risolutezza e ardimento alla sua espressione.