La mammana.
Questa Fortunata esercitava a Procida la sua professione di mammàna da più di trent'anni; fra le partorienti assistite da lei, c’era stata anche mia madre, e io le addossavo la colpa di non avermela salvata, e disprezzavo l'opinione dei Procidani, fra i quali essa godeva fama di grande maestra nella sua arte. Le sue mani, enormi e scure, mi parevano le mani di una omicida; e il conoscere che essa mi aveva tratto alla luce, e aveva, inoltre, con opportune istruzioni, guidato agli inizi il mio balio Silvestro, non bastava a riconciliarmi con lei. Essa, fra tutte le donne dell'isola, era forse la sola che non avesse mai degnato di alcuna considerazione le voci popolari, affrontando imperterrita il maleficio di casa Gerace. Ma neppure questa non mi pareva una prova speciale di merito da parte sua, perché, sebbene portasse le vesti, lei non si poteva annoverare propriamente fra le femmine. A vederla attraversare il paese con la sua borsa professionale sotto il braccio, col suo gran passo a gambe larghe, marziale e tuttavia trasandato, la si sarebbe detta un qualche soldataccio della flotta turca, reincarnatosi in funzione di mammàna. Era di forme così alte e grosse (in certi punti angolose, in altri obese) che a malapena passava per l'usciòlo di casa sua, e, vicino alle altre donne, pareva una gigantessa. Di pelle, era alquanto mora; sul labbro le cresceva un poco di baffi, e perfino dei peli di barba sul mento. Aveva piedi e mani enormi, denti lunghi e irregolari, e una voce sgraziata, cupa, piuttosto rauca. Portava gli occhiali, e sempre lo stesso abito di fustagno scolorito, a grandi fiorami. Solo, d'inverno, copriva quest'abito con uno spolverino di un colore fuligginoso. E alla domenica, si metteva sulla testa un velo ricamato, sotto il quale pareva ancora più brutta.
A causa della sua bruttezza, non aveva mai trovato nessuno con cui maritarsi, e viveva sola in una casetta di una stanza. Usava con tutti un tono di malagrazia, burbero e sbrigativo, apparendo sempre distratta ai discorsi altrui, come avesse ognora la mente indaffarata. E quando enunciava qualche sua propria opinione, per lo più lo faceva senza rivolgersi a nessuno dei presenti, ma piuttosto a se stessa, o all'aria in un borbottamento cupo ed enfatico, quasi recitasse dei versi astrusi. I soli con cui talvolta si mettesse a discorrere con maggior confidenza, e complimenti, erano i ragazzini neonati, oppure il suo gatto. Conoscevo di vista costui, che era celebrato per tutto il paese come una specie di vegliardo centenario, avendo già compiuto diciannove anni di età! e stava sempre seduto alla finestra della casetta, simile a un sinistro guardiano. Spesso, passando per di là, io cercavo di offenderlo, in varie maniere.
Credo che non impiegai più di dieci minuti per arrivare alla casa di Fortunata (che di solito è un percorso di mezz'ora almeno). Mi detti a picchiare alla porticina coi pugni, coi calci; e la mammàna non tardò ad affacciarsi alla finestra, con una mantelluccia buttata sulla camicia da notte: - Corri subito, - le dissi in tono d'imperio, - a casa nostra c’è una donna che sta male... sta male assai! - Eh, guagliò, sei uno solo, e ti credevo una banda, essa borbottò con la sua voce cavernosa, - una donna!... Sarà Nunziata, che si vuole sgravare, e chi altra dovrebb'essere, questa femmina vostra! Va bene, aspettami un minuto, e vengo. - Fa' presto! - le comandai di nuovo. Indi, mentr'ella si ritirava dalla finestra, le gridai dietro, con accento carico d'odio e di minaccia: - E adesso, eh, non t'ubbriacare! Se t'ubbriachi, guai a te!
Veramente, sebbene si risapesse ch'ella aveva un certo gusto per il vino, e ne teneva sempre un fiasco nella sua stanza, nessuno mai l'aveva veduta brilla, e io le dissi quella frase solo perché bramavo di esprimerle in qualche maniera il mio malanimo. Essa, però, da parte sua, non se ne risentì, né si preoccupò di darmi risposta. Allo stesso modo, quando capitava che ci incontrassimo per la strada, e io deliberatamente torcevo il viso da lei, essa non dava segno di adontarsene affatto, e anzi nemmeno di farci caso. Senza dubbio, per avermi aiutato a venire al mondo, mi teneva tuttora nel conto di un guaglioncello, alle cui fantasie non si bada.
Mi sedetti sul muricciolo, in attesa di colei. E rimasi quasi sorpreso, all'avvedermi ch'era una bella notte tiepida, con l'aria ferma, e una luna grande, appena velata da vapori di nebbia. Il mare, i giardini avevano un colore sorridente, come in primavera; e non s'udiva né un movimento, né una voce. Forse, io m'aspettavo che tutte le presenze del creato dovessero agitarsi commosse intorno a come la corte intorno a una regina! ma, invece, l'agonia di una donna nella sua stanzetta è una cosa tanto povera, che non può ombrare il grande universo.
Mi stesi sul muricciolo, premendo la faccia contro la calcina rugosa, con un sentimento di sconsolata miseria. Il bel paesaggio, e lo stellato, e la mia isola, mi apparivano, d'un tratto, amari, scostanti, perfino schifosi, perché non avevano pensieri per quella stanzetta, che di qua non si scorgeva nemmeno, isolata laggiù nella Casa dei guaglioni, e che era importante solo per me. Là, durante tutto quest'ultimo anno, ogni notte, custoditi sotto le palpebre come due gemme preziose in uno scrigno, avevano dormito due occhi neri di regina, che sapevano dire la confidenza, e l'adorazione, e l'onore di servirmi e di essermi parente. Ma adesso, io rivedevo l'angoscia che m'era apparsa poco prima in quegli occhioni: così severa, troppo sterminata per la loro ignoranza. E mi ridissi con orrore:
- Ah, certo è la morte! è la morte!
Tutti i miei gusti, i miei rimpianti s'erano capovolti in disordine dentro di me. Di Wilhelm, addirittura me n'ero dimenticato, come di un sogno. Pareva quasi che sulla terra esistessimo soltanto io e Nunz. E del mio famoso odio per lei, che era stato la mia croce, non me ne restava più nemmeno una traccia.
La mammàna riapparve sull'uscio, pronta, con la sua solita borsa sotto l'ascella; e con un salto io scesi giù dal muricciolo. Nell'avviarsi (dopo aver indirizzato verso l'interno della casupola, al suo gatto, un saluto zuccheroso e pieno di cerimonia), ella scrutò il cammino della luna, corrugando la fronte occhialuta. E sentenziò, discorrendo per conto proprio secondo la sua maniera usuale:
- Buone ore, queste, per le creature, maschi e femmine! I guaglioni nati dopo la mezzanotte e di primo mattino crescono belli, fortunati e in buona salute! e le femmine, in buona salute e costumate!
Poi, piuttosto soddisfatta, prese a marciare sulle sue scarpacce di corda che non davano suono, risoluta e ribalda come la figura di un boia. I miei occhi pieni di disgusto caddero sulle sue mani, che alla luce della luna apparivano più nere, enormi; e per risparmiarmi la sua vista, io corsi avanti a lei di un buon tratto, procedendo rapido da solo. Ogni tanto, mi rivoltavo a sorvegliare che mi seguisse, e non se la svignasse, magari, per i giardini e i vicoli; e le gridavo in tono minaccioso: - Ehi, cammina! - Ma giunto al termine del paese, in cima alla lunga salita dopo la piazzetta, ebbi in cuore una scossa: a distanza, in alto, era apparsa la Casa dei guaglioni, con le finestre, da quel lato, tutte spente; e pareva una visione antica e abbandonata, come se già non vi fosse più nessun vivo dietro le sue mura!