Al piano di sopra.
La valigia della sposa era piuttosto leggera; ma, per quanto non potesse contenere molta roba, mi metteva in curiosità. Era la prima volta che abitavo nella stessa casa con una donna, e che assistevo da vicino alla sua vita; e non avevo nessuna idea delle costumanze delle donne, del corredo di queste infagottate creature, e se sempre, anche nel chiuso delle mura, anche quando dormono, esse appaiono così informi e misteriose. La sposa non s’era ancora tolto il cappotto del viaggio, un cappottino goffo e stinto, che le si era fatto troppo corto, così che l'ampia gonna del vestito, di un velluto sfolgorante ma assai sciupato, lo sopravanzava di un bel pezzo. Senza dubbio, all'apparenza questa donna era una comune stracciona; ma, dopo la sorpresa dei gioielli, io potevo aspettarmi che nascondesse nella valigia, magari, dei costumi di sultana orientale.
Per ora, ella ne estrasse soltanto un paio di vecchie scarpe, senza tacchi, scalcagnate, e ridotte all'uso di ciabattelle; e incominciò subito a portarle con soddisfazione, sebbene fossero di una misura eccessiva per lei, così che doveva strascinarle, camminando, e ogni tanto le sfuggivano dai piedi.
Mio padre, nel deporre in camera la propria valigia, mi aveva detto di portare quella della sposa in un'altra stanza di rimpetto alla sua, dove c'era un armadio e un lettino di ferro; e lui stesso, poco dopo, venne a portarvi il materasso e le coperte. Ma la sposa, che da principio pareva molto soddisfatta di avere una stanza apposta per la sua roba, all'intendere che quella stanza le era riserbata anche per dormirci la notte, si spaurì; e nonostante la soggezione che aveva di mio padre, incominciò a ripetere ostinatamente che questa cosa non era possibile, che essa aveva paura di passare la notte in una stanza da sola, e che voleva dormire insieme agli altri. Mio padre la stava a sentire piuttosto infastidito da una simile novità, perché era avvezzo a non dividere la propria camera con nessuno; ma vedendo che lei addirittura si sbiancava in viso per lo spavento, si volse a me, senza degnarsi nemmeno di risponderle, e mi disse spazientito: - E va bene! Me la terrò in camera mia con me. Forza, moro, aiutami a alzare questo letto -. E insieme lui e io trasportammo di là in camera sua il lettino della sposa.
Essa ci seguì contenta. Il nuovo lettino non poté trovar posto a fianco del grande letto di mio padre, che occupava quasi tutta la parete di fondo; e lo mettemmo per traverso, con lo schienale contro la parete più lunga, in modo che veniva a trovarsi quasi ai piedi del letto di mio padre. Appena vide sistemate in tal modo le cose, la sposa, che voleva far mostra di aiutarci, si dette a sbattere e a rivoltare con grande ardore, incominciando dal letto grande, i materassi e cuscini pieni di polvere. E fra tali fatiche, domandò a mio padre, in tutta naturalezza:
- E adesso, da stanotte io dormirò nel letto matrimoniale insieme a te, al posto di Arturo? E lui dormirà qui nel lettino? - La sua convinzione, evidentemente, era che io non avessi la camera mia, per dormirvi la notte, ma fossi abituato invece a dormire insieme con mio padre, nel suo stesso letto!
A simile, nuovo indizio della sua ignoranza, io mi limitai a ridere; ma mio padre, ch'era già piuttosto annoiato per il trasporto del lettino, alzò con disprezzo una spalla e le disse, piegando i labbri in aria di canzonatura e rifacendole un poco il verso:
- Nossignora. Tu, quando mi sarà venuto sonno, dormirai nel letto piccolo. Io dormirò nel letto mio, grande, dove ho sempre dormito. E Arturo dormirà nel letto suo, in camera sua, dove ha sempre dormito!
Poi, armandosi di una collera ostentata, le gridò
- Ti devi ricordare, guagliò, che tu qui non sei in mezzo a una pezzentaglia e a una tribù, qui sei nel CASTELLO DEI GERACE! E se dici ancora qualche altra indecenza, ti mando a dormire lassù, a quell'altro castello, fra le guardie e i galeotti!
Era chiaro ch'essa non capiva perché mai s'era meritata una sfuriata simile; ma tuttavia, si fece rossa per la vergogna d'aver potuto dire un'indecenza. E mi guardava, quasi interrogandomi, con l'aria di domandarsi che male ci sarebbe per una sposa a dormire nella stessa camera insieme a me, che ero un ragazzino.
Alla fine, mi fece venire la rabbia; e le dissi, con accento di vivo disprezzo:
- Io dormo solo, in camera mia! Non ho bisogno di altre persone vicino a me. Se credi che tutti abbiano paura come te, ti sbagli. Io dormirei solo anche in mezzo alle Montagne Rocciose o alle steppe dell'Asia Centrale!
La sposa, a tali parole, mi guardò con ammirazione sincera; ma girava all'intorno, per la stanza, le pupille ingrandite, come se l'impaurisse l'idea di dormire là sola con mio padre. Tuttavia, fra queste due paure: dormire sola del tutto in una stanza, o dormire sola con mio padre, sceglieva piuttosto la seconda che la prima.
Forse per rincuorarsi, essa riprese a sbattere con ancora più ardore il materasso grande, tanto da farne arrivare la polvere fino a mio padre, che s'era buttato svogliatamente sul lettino. Egli balzò su, e sputò da una parte; poi, con ira sincera stavolta, frenò in aria le mani di lei, esclamando, tutto offuscato in viso:
- Eh! Vuoi smetterla adesso con questi materassi! che cosa ti prende! quando mai ti sei ritrovata addosso tanta febbre di pulizia, da fare un simile strazio coi materassi!
Essa mormorò, sperduta: - A casa mia... si faceva...
- Già! a casa tua! chi sa quando mai! a casa tua! si sbattevano i materassi!
- Sempre, ogni anno, per la Santa Pasqua... e certe volte anche più spesso... anche più spesso nell'anno...
Egli abbassò di colpo, lasciandoli dalla stretta, i polsi della sposa, con tanta brutalità come se volesse stroncarglieli: e un sapore schernevole si mescolò alla sua voce irata:
- Beh, rispose, - adesso non sei più a casa tua, qui siamo nel Castello di Procida, questo è il mio letto nuziale, e nessuno ti ha comandato di fare oggi le pulizie di Pasqua.
E così detto, sputò di nuovo, e andò a raccogliere da un angolo la propria valigia, portandola nel mezzo della stanza e incominciando a slegarne la corda d'intorno. Io non lo avevo ancora mai veduto avventarsi contro qualcuno con tanta enfasi e rancore: con me, le volte che aveva qualche sua ragione da redarguirmi, si sbrigava con poche parole senza importanza, con bruscheria accigliata, e quasi distratta. Adesso, questa scena con la sposa mi manifestava una nuova forma dei suoi umori, a me misteriosi com'era misteriosa e indiscutibile la sua giustizia; e nell'assistervi io avevo sentito i miei nervi contrarsi, quasi che, stavolta, anch'io dividessi la paura della sposa. Alla fine, quand'egli le lasciò i polsi, e si staccò da lei, provai il sentimento d'una oscura liberazione.
Aperta la valigia, egli, mezzo inginocchiato in terra, si dette a vuotarla in disordine, come sempre faceva. La sposa intanto rimaneva ferma vicino al letto, guardandosi intorno per la camera. Tacemmo un poco tutti e tre; poi essa ruppe il silenzio, domandando incuriosita perché mai la camera avesse tanti usci in fila.
Mio padre, non avendo voglia di dilungarsi in tante spiegazioni, le dette subito questa risposta, senza nemmeno alzare il capo dalla valigia:
- Perché in questa casa, come usa in tutti i castelli, di notte ogni camera è guardata da una scolta di sentinelle armate, che vegliano ciascuna davanti a un uscio. Per prova che non dormono mai, ogni ora, per l'intera durata della notte, dànno uno squillo di tromba tutte insieme.
Lei non s'azzardò a confutare mio padre, ma, incerta se credere davvero, o no, a quella sua spiegazione fantastica, guardò me, come per leggerne una conferma nel mio viso. Io non seppi trattenermi dal ridere, e allora lei pure, colorandosi un poco in faccia, rise a gola spiegata. In quel punto mio padre aveva terminato di disfare il suo bagaglio, e si rialzava prontamente su da terra. Senza più occuparsi di noialtri, posò sul cassettone il mucchio della roba, e con un calcio respinse la valigia nell'angolo; poi, tendendo l'orecchio al suono del campanile, che si udiva rintoccare da lontano, confrontò l'ora sul proprio orologio Amicus. La storia degli usci e delle sentinelle, per cui la sposa e io ancora ridevamo, s'era già scancellata dalla sua mente.
Ritornò al lettino, dove pocanzi era stato sdraiato, e si sedette di traverso sull'orlo del guanciale, col dorso appoggiato ai ferri. Distratto, un poco sonnolento, i capelli che gli spiovevano sugli occhi, allungava un piede, scancellando in terra con la suola della scarpa i suoi sputi di prima. In quel momento la sposa s'era messa a osservare il ritratto dell'Amalfitano, e domandò: - Chi è? - E lui sbadigliando le rispose:
- E un'immagine santa, che protegge il castello -. E aggiunse, in tono insidioso, sdraiandosi sul letto:
- Come in tutti i castelli, anche qua c'è un antenato morto, che seguita ad andare in giro. Quello è il suo ritratto. Sta' attenta che quel morto non venga a trapassarti il cuore, mentre dormi.
A tale risposta, ella, come prima, guardò la mia faccia, ma stavolta non vi lesse né una conferma, né una negazione. Alzò una spalla sorridendo, e sussurrò:
- Se uno ha la buona coscienza, perché deve temere il castigo?
Perché lui, - le disse mio padre, - odiava tutte le donne.
- Come! odiava tutte le donne!
Già. E se fosse stato lui il padrone dell'universo, le avrebbe ammazzate tutte.
- Ma se non ci sono più le donne, finisce questo mondo.
Mio padre appoggiò la testa sul braccio ripiegato, e ridendo sogguardò la sposa con una espressione avversa e subdola:
- E che gliene importava a lui, disse, - di far continuare il mondo? Tanto, lui è morto. Che soddisfazione gli dà, a lui, la continuazione del mondo?
- Era cristiano, e faceva di questi pensieri! - ella disse, incrociando le due mani sul petto, come per armarsi, nella lotta fra la propria timidezza e i propri sentimenti. Il viso le palpitava in un modo che io, guardandolo, mi figurai il suo cuore che batteva, simile a un uccellino appena rubato dal nido, rinchiuso dentro il pugno. Chinò un poco la testa sulla spalla, dondolandosi ora su un piede, ora sull'altro; e alla fine, interrogò sommessamente:
- Perché le odiava?
- Perché, - rispose mio padre ributtando giù la testa sul guanciale, - diceva che le donne sono tutte brutte.
- Tutte brutte! - essa ripeté, - come! tutte quante brutte! Allora... come... tutte quante! Allora, pure quelle che lavorano al cinema sono brutte?
- Che ne sai, tu, del cinema! - disse mio padre, stirandosi, con una voce pigra e strascicata, - che ci sei stata una volta sola, che ti ci ho portato io, e si dava un film sui pellirosse!
A tali parole, io pensai, con un certo dispetto, che allora, su questo punto, io mi trovavo più indietro di lei, giacché a Procida non c'era nessun cinematografo, e io non avevo mai veduto nessun film in tutta la mia vita.
La sposa replicò, malsicura:
- Mia sorella c'è stata... ce l'ha portata un parente nostro, che sta a Nola... un bravo cristiano! E stata a vedere quell'altro film... il nome non me lo ricordo, ma lì, quelli che ci lavoravano, non avevano la pelle rossa. E poi le artiste si vedono anche pittate sui cartelli... si vedono, per Napoli...
- Continua, sì, continua a discorrere di quelle male femmine!
- esclamò beffardamente mio padre, - così, fra poco ci divertiremo a vederti cascare la lingua! Non lo sai, che il diavolo fa cascare la lingua a chi parla di schifezze e di male femmine? Tua madre non te l'ha detto?
La sposa si fece rossa. Mio padre sbadigliò.
- E poi, sta' zitta, che capisci, tu? - egli proseguì a dire, -guagliò, smettila. Non ho voglia di discutere con te sulla bellezza.
Mortificata, essa tentò, tuttavia, di mettere avanti un altro esempio più degno, che la riscattasse dell'esempio indecoroso usato prima:
- E la Regina, - disse, - allora pure la Regina è brutta?
Mio padre rise, schiacciando la bocca contro il cuscino, con tanto gusto che pareva lo volesse mordere; e anch'io risi. Essa ci guardò sperduta, l'uno e l'altro, cercando, forse, nella sua mente soggetta, un ultimo argomento di difesa. Infine, i suoi occhi, nel guardarci, si rannuvolarono, e con voce impetuosa, tremante, essa ci propose l'argomento supremo:
- E la Madonna, - disse, - pure Lei è brutta? La Madre di Dio!
Mio padre chiuse gli occhi:
- Basta, - disse, - ho sonno. Voglio riposarmi un'ora o due. Andate via, e lasciatemi solo. Ci rivediamo più tardi.
Uscimmo silenziosamente dalla sua camera, e ne chiudemmo l'uscio. Sul corridoio, la sposa, a bassa voce per non disturbare mio padre, mi chiese di farle compagnia mentre toglieva la sua roba dalla valigia; perché non s'era ancora abituata alla casa, e le faceva paura di trovarsi sola in una stanza, adesso ch'era quasi buio.