Nella luce del ponente.

 

Mio padre intanto ridendo le strappava i fermagli e i pettini, e le disordinava i capelli con tutte e due le mani, e pettinini e forcine cadevano da ogni parte. Una grande capigliatura nera, tutta di riccioli e boccoli naturali, come una pelliccia selvaggia, le scendeva scompigliata intorno al viso, fino alle spalle. Il suo viso s'era fatto ombroso e quasi protervo, e nei suoi occhi s'era acceso uno splendore di lagrime; essa non ardiva, però, di schivare mio padre; solo, quando lui ebbe finito di disfarle i capelli, squassò forte la testa, con l'atto che si vede fare talvolta ai cavalli, o anche ai gatti.

Io guardavo incuriosito tutti quei riccioli, anche perché m'era tornata in mente una certa frase detta, pochi minuti prima, da mio padre; ma egli indovinò il mio dubbio, e mi disse:

- Che t'immagini, tu, Arturo! No, no: l'hanno spidocchiata bene, per le sue nozze.

Egli la tratteneva per la gonna; ma essa non tentava neppure di fuggire. Con una mano stringeva sempre la sua preziosa borsetta, nascondendola un poco dietro il fianco, per proteggerla dalla turbolenza di mio padre; e rimaneva docile, fra noi due, di fronte alla porta vetrata. Adesso, le sue iridi, che nella penombra erano nere nere, rivelavano screziature diverse, come le penne dei galletti. Il cerchio, invece, che le disegnava le iridi, era proprio scuro morato, simile a un orletto di velluto. E intorno, il bianco dell'occhio si serbava ancora intinto di viola-azzurrino, come nelle creature piccole.

Le sue guance erano piene e rotonde, come in quei volti che, ancora, non hanno preso la forma precisa della gioventù. E i suoi labbri, un poco screpolati dal freddo, somigliavano a certi fruttini rossi (sempre un poco rosicchiati dagli scoiattoli, o dai conigli selvatici), che crescono a Vivara.

Adesso, che m'appariva per la prima volta in piena luce, la sua faccia dimostrava ancora meno dell'età che io le avevo dato da principio, sul molo. Se il suo corpo, alto e sviluppato, non l'avesse smentita, si sarebbe creduto, a vederla, ch'essa era ancora negli anni dell'infanzia. La sua pelle era chiara, pura e liscia, quasi che perfino la tela, con cui s'asciugava il viso, fosse stata attenta a non sciuparla. Essendo donna, certo essa aveva passato tutta la sua vita rinchiusa: perfino sulla fronte, e intorno agli occhi, dove noialtri, avvezzi al sole, abbiamo sempre qualche ruga o qualche macchia, lei non aveva nessun segno. Le sue tempie erano d'una bianchezza quasi trasparente: e nell'incavo delle sue orbite, sotto l'occhio, la sua pelle bianca, intatta e liscia somigliava a quei petali delicati, che aperti non durano nemmeno un giorno, e appena cogli il fiore, si ombrano.

Il suo collo, sotto quel gran capo chiomato, appariva assai sottile, ma dalla gola al mento c'era una curva ricolma, tenera. Là, ella era di un colore ancora più candido che in viso; e adesso, là vicino, le si era posato un boccolo nero. Altre due frezze più lunghe, tutte inanellate, le toccavano una spalla, e dietro la nuca, quasi sotto l'orecchio, le spuntavano alcuni ricciolini corti, simili a quelli delle capre. Dei grandi riccioli pesanti le coprivano la fronte fino ai sopraccigli; e sulla tempia, invece, aveva un boccoletto leggero, fino, che si muoveva a ogni respiro.

La sua capigliatura pareva cresciuta a capriccio, secondo la fantasia. Per me, che non li avevo mai veduti prima, era un divertimento osservare tutti quei riccetti e boccoli; ma per lei, avvezza a portarli fino da piccola, essi non dovevano avere niente di straordinario, erano una cosa naturale. Se ne avvolgeva uno attorno a un dito, per nascondere l'esagerato turbamento in cui l'aveva messa mio padre; e poco dopo, vergognandosi d'esser tanto scapigliata, se li scansò familiarmente, con la mano, d'intorno alla faccia. Allora, apparvero scoperti i suoi orecchi, minuti, ben fatti, che si distinguevano, con la loro tinta rosa, dalla bianchezza del viso e del collo. Secondo la solita usanza delle donne, essa aveva i lobi forati; e vi portava infilati due cerchietti d'oro, di quelli che le femmine, il giorno del battesimo, ricevono in dono dalla comare.

Mentre si riassestava, per istinto, i capelli, ella non sapeva liberarsi, tuttavia, dalla sua misteriosa paura, e aveva un'aria sperduta, di allarme, vicino a mio padre. Mio padre fece sventolare, con una scossa impetuosa, il lembo di gonna per cui la tratteneva, e la lasciò: - Io, - le dichiarò in tono capriccioso e avverso, - ho preso una fidanzata ricciolella, e voglio una moglie ricciolella - Essa rispose, con voce mite e tremante:

- Ma io mica vi porto collera, se m'avete disfatto i capelli. Voi ditemi la vostra volontà, e io faccio come volete voi.

- E che nascondi, là? - le disse mio padre. - Avanti, mostraci i tuoi gioielli.

E con una risata aggressiva le strappò di mano la famosa borsa, rovesciando sulla tavola tutto quello che conteneva. Erano sul serio dei gioielli! un mucchio di bracciali, spille, collane, quasi tutti regalatile da mio padre durante il fidanzamento. Io, che non ero esperto di simili cose, ritenni, da principio, che fosse tutto oro vero, topazi, rubini, perle e diamanti veri. Invece, erano gingilli falsi, comperati alle fiere o sui carrettini. Mio padre l'aveva conquistata con dei pezzi di vetro, come si fa coi selvaggi.

Di vero, in quel mucchio, c'era solo qualche ramo di corallo, e un anellino d'argento, con una Madonna incisa, che le aveva regalato la sua comare per la cresima, e che adesso non le entrava più.

(Tutti quei gioielli, essa non li portava mai: li teneva riposti nell'armadio, con adorazione religiosa. Addosso, non portava altro che gli orecchini della Comare, la medaglia d'argento col Sacro Cuore, infilata a un cordoncino, e la fede: ma questi per lei non erano nemmeno dei gioielli, erano parte del suo corpo, come i riccioli).

Mio padre si divertì per un poco a giocare alla rinfusa coi gioielli, poi se ne saziò, e lasciò in pace la sposa. Attratto dal bel tempo ch'era tornato, ci disse di aspettarlo e uscì verso l'orlo dello spiazzo per vedere il mare. Allora la sposa, che stava isolata in un angolo, si riaccostò alla tavola dei gioielli, come una fiera senza difesa, che, appena la minaccia si allontana, esce dal suo covo nella foresta.

La porta vetrata era aperta: e il grande tramonto marino, rasserenato dal vento, accendeva tutta la cucina coi suoi ultimi colori solari: perfino l'onda, giù, dell'alto mare, rimandava sulla parete a calce il suo riflesso oscillante che si spegneva a poco a poco. Essa, ancora in allarme, ferma presso la tavola dei gioielli con una espressione gelosa, sembrava le rondini e le palombe quando stanno vicino al loro nido pieno di ovetti. Alla fine, risolvendosi quasi con furia ammucchiò tutti i suoi gioielli, e se li ripose di nuovo nella borsa, con un sospiro racconsolato. Poi si buttò giù in terra, e spostandosi qua e là sui ginocchi come un animale, con tutti i capelli che le scendevano sulla faccia, si dette a raccogliere in grembo i pettini e le forcine. Il mio dovere, come uomo, sarebbe stato di aiutarla: io non ero un ignorante, e lo sapevo. Ma ricordando che, non molto prima, sul molo, essa non s'era fidata di farmi portare la borsa, rimasi sdegnosamente al mio posto.

Quand'ebbe finito, essa si rimise in piedi, e versò pettini e forcine sulla sedia, vicino alle scarpette dai tacchi alti. Poi dette una grande scossa indietro ai suoi capelli e mi fece un sorrisetto di amicizia. Io la guardai duramente. E lei tralasciò di sorridere, ma non parve offesa. I suoi cigli erano ancora bagnati di quelle puerili, misteriose lagrime di prima: però nei suoi occhi l'umidore delle lagrime non sembrava una cosa amara, che glieli bruciasse, come a noialtri: sembrava un vapore sospeso, che s'illumina scherzando con le iridi e con le pupille. E gli isguardi ch'essa dava, sottomessi ma molto franchi, e pieni d'onore, e sempre accesi da un'allegrezza e da una specie di preghiera, mi ricordavano qualcuno... ecco chi! Immacolatella! Lei pure aveva uno sguardo simile, come se sempre vedesse il miracoloso Iddio.

In attesa di mio padre, io m'ero seduto sullo scalino della soglia. Quel punto della casa era al riparo dalla tramontana, e il sole vi s'attardava prima di scendere, posandovi quasi un lieve tepore. Poco dopo, essa pure venne a sedersi sullo scalino accanto a me, e incominciò a districarsi alla meglio i capelli con uno di quei pettinini sdentati che aveva raccolto. Si sentiva il mare battere giù alla mia spiaggetta e ogni tanto il fischio della tramontana sull'isola. Io stavo muto. Essa disse:

- Adesso no, ma da ragazza mia madre teneva lei pure tanti capelli come me. Mia sorella, invece, tiene pochi capelli.

Poi, avendo finito di pettinarsi, esclamò:

- Madonna! quant'è rosso il cielo stasera!

E aggiunse sospirando, in tono grave e incantato, ma non amaro, come se riconoscesse, ubbidiente, le leggi dello sposalizio nel suo.proprio destino:

- Pensare! questa è la prima volta che mi trovo lontana dalla casa mia!

Mio padre ritornò dallo spiazzo; e avanti che facesse scuro, portammo di sopra le valige, che avevamo lasciato nell'androne. Comie già sul molo, mio padre portava la propria valigia, e io quella della sposa. Essa ci veniva dietro, recando in un fagotto, fatto col suo scialle, i pettini, le scarpe, e la borsa dei gioielli.

 

 

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