Partenze.
Quel giorno, mio padre partiva. Secondo il solito, io e Immacolatella stavamo a guardarlo mentre riponeva alla rinfusa nella valigia le sue camicie senza più bottoni, il maglione, la giacca pesante, ecc. Ogni volta che partiva, egli metteva nella valigia l'intero suo corredo, giacché non si poteva mai prevedere quanto tempo starebbe lontano: poteva ritornare dentro due o tre giorni, come poteva rimanere assente per mesi, fino all'inverno, e dopo.
I suoi preparativi per la partenza, li faceva sempre all'ultimo minuto, con una fretta meccanica nei gesti, ma il viso distratto, come se nella sua mente avesse già lasciato l'isola. Quando gli vidi chiudere la valigia, d'un tratto io mi sentii turbinare il cuore per una risoluzione inaspettata, e gli dissi:
- Non potrei partire con te?
Non m'ero preparato a fargli oggi questa domanda, e si vide subito che lui non la prendeva neppure in considerazione. Il suo sguardo si adombrò appena, e i suoi labbri ebbero una smorfia quasi impercettibile, come se pensasse ad altro.
- Con me! - replicò poi, squadrandomi, - a che fare? Sei un guaglioncello. Aspetta d'esser cresciuto, per partire con me.
Rapidamente girò una corda intorno alla valigia (che era di un genere ordinario e mezza sconquassata), e la assicurò con un nodo vigoroso e abile da marinaio. Poi, con me e Immacolatella al suo seguito, si affrettò giù a basso. Così, egli lasciava la Casa dei guaglioni a passo veloce, tenendo la valigia afferrata per un capo della corda, le guance animate, gli occhi incupiti dall'impazienza: ormai già per me fiabesco e irraggiungibile, come se, gaucho, attraversasse la pampa argentina, con un toro preso al laccio; oppure, Capitano delle armate greche, trascinasse volando sul cocchio, per il campo di Troia, la spoglia del troiano vinto; o come se, domatore di cavalli nella steppa, corresse a fianco del suo puledro, pronto a saltargli in groppa nella corsa. E pensare che aveva ancora sulla pelle il sale del mare procidano, dove s'era bagnato con me la mattina!
Giù nella strada ci aspettava la carrozza che doveva condurci al Porto, e io mi sedetti accanto a lui sul sedile di damasco rosso mentre, secondo il solito, Immacolatella tutta contenta ci seguiva da terra, per gareggiare in velocità col cavallo. Fino dai primi metri del percorso, facilmente essa ci sopravanzava con un forte distacco, e risaliva dal fondo della strada con gli orecchi al vento, abbaiando come per salutarci e provocare il cavallo. Ma costui procedeva nel suo solito vecchio trotto, e non si prendeva la pena di gareggiare con lei, considerandola certo una fanatica.
Mio padre taceva e guardava ogni momento l'orologio; poi guardava la schiena del vetturino, e il cavallo, con una impazienza accanita, come per incitare il vetturino a frustare più forte, e il cavallo a correre. E intanto la mia fantasia, come una grande fiamma, s'alzava verso un'altra partenza, che, oggi, m'era stata promessa. Come stavolta, io sarei seduto nella carrozza accanto a mio padre; ma non per accompagnarlo fino al porto, e poi salutarlo dal molo mentre lui parte sul piroscafo, no! per salire con lui sul piroscafo, e partire insieme con lui! Forse verso Venezia, o Palermo, forse fino alla Scozia, o alle foci del Nilo, o al Colorado! A ritrovare Pugnale Algerino e gli altri nostri seguaci, che ci aspetteranno laggiù.
Aspetta d'esser cresciuto, per partire con me. Ebbi un pensiero di rivolta contro l'assolutezza della vita, che mi condannava a percorrere una Siberia sterminata di giorni e di notti prima di togliermi a questa amarezza: d'essere un ragazzino. Dall'impazienza, in quel momento, mi sarei perfino assoggettato a un lunghissimo letargo, che mi facesse attraversare senza accorgermene le mie età inferiori, per ritrovarmi, d'un tratto, uomo, pari a mio padre. Pari a mio padre! Purtroppo, io (pensai, guardandolo), anche quando mi farò uomo, non potrò mai essere pari a lui. Non avrò mai i capelli biondi, né gli occhi viola-celesti, né sarò mai così bello!!
Il piroscafo che veniva da Ischia, e che doveva portare mio padre a Napoli, non era ancora entrato nel porto. C'erano alcuni minuti da aspettare. Mio padre e io ci sedemmo vicini sulla valigia, e Immacolatella, affannata per le sue gare di corsa, si sdraiò ai nostri piedi. Essa pareva convinta che quella sosta sul molo significasse per la nostra famiglia il termine del viaggio. E che, oramai giunti a destinazione e stabiliti, potessimo riposarci tutti e tre insieme quanto ci pareva, senza doverci separare mai.
Però, quando il piroscafo ebbe gettato la passerella, e mio padre e io ci alzammo, anch'essa si alzò pronta, agitando la coda, senza mostrare nessuno stupore. Quando poi mio padre fu separato da noi due, sul piroscafo che si staccava dal molo, essa abbaiò forte, con l'aria di accusare il piroscafo; ma non fece drammi. A lei non doleva molto che mio padre partisse, giacché, per lei, ero io, il padrone. Se fossi partito io, di sicuro si sarebbe buttata in mare, tentando di raggiungere il piroscafo a nuoto, e poi, ritornata a terra, disperata, sarebbe rimasta sul molo a piangere e a chiamarmi, fino alla morte.